Alphonse Elric a bordo
della sua auto sfreccia sulla strada completamente deserta guardando di
tanto
in tanto il paesaggio roccioso fuori dal finestrino: Non si sarebbe mai
aspettato un ambiente così tetro e spoglio, per almeno un
due o tre kilometri
non ci sono altro che montagne, valli sconfinate senza
un’anima viva e piante
secche.
Dopotutto chi mai
verrebbe di sua spontanea volontà in questo luogo
dimenticato da Dio? Sarà
stato scelto appositamente per la sua posizione e per la poca affluenza
come
sede di un istituto maligno.
Una volta arrivato a
destinazione parcheggia la vettura abbastanza distante dal cancello
d’entrata e
si avvicina iniziando a guardarsi intorno: Più che un
istituto sembra una
prigione, ci sono imponenti muri con del filo spinato in cima e dei
recinti
elettrici che a suo dire sarebbero più adatti per dei
cavalli, non per dei
bambini.
Non si preannuncia
stimolante la sua visita, ma tira un sospiro
d’incoraggiamento e prima che i
soldati a guardia dell’entrata lo tramortiscano mostra il
distintivo.
-Sono un’agente…
dovrei visitare la struttura-
-Si signore- Sembrano
automi, all’unisono si voltano sbattendo i tacchi degli
stivali per aprirgli il
cancello elettrico e lasciarlo passare. –Qualcuno la
accompagnerà, buona
permanenza signore-
“Se tutti qui si
comportano come degli automi credo di aver già capito quale
sia il problema di
Edward: Mancanza di contatti Umani!”
Tira dritto senza mai
voltarsi indietro, sente il cancello richiudersi e un brivido gli
percorre la
schiena. Una volta entrato nella struttura viene accolto da un uomo
esile dai
grandi occhiali che sembrano coprire occhi spiritati.
-Salve io sono Shou
tucker…-
-Alphonse Elric…-
Sembra sorpreso a
sentire nuovamente quel cognome.
-Oh Elric… lei però
non ha il gene…-
-No sono un agente
comune…-
-Benissimo… mi segua
prego le mostro la struttura…-
Gesticolando a non
finire lo precede lungo un corridoio interamente grigio, strano che non
ci
siano colori, forme o disegni in un istituto di bambini.
-Avrei una domanda
signor Tucker: E’ possibile che il gene si ripresenti
più volte nella stessa
famiglia?-
-E’ impossibile, il
gene compare un'unica volta, in tutto l’anno si prelevano
solo un centinaio di
neonati aventi il gene in tutto il mondo-
-Quindi vuole dirmi
che in tutto il mondo più o meno cento piccoli vengono
strappati dalle braccia
della loro mamma ogni anno?-
Il tono usato è molto
duro, cerca di trasmettere lo sconcerto e la rabbia che prova per
quegli
esperimenti disumani e il dolore che è sicuro abbia provato
sua madre nel
vedersi portare via il bambino che aveva amato e nutrito per nove mesi
di
gestazione, che viveva in empatia con lei come un’unica cosa.
-Esatto…-
-Quale sarebbe lo
scopo di tutto ciò?-
-Nel corso degli anni
selezioniamo con dure prove i bambini che dimostrano di avere maggiore
capacità
di adattamento, spirito di iniziativa, forza e
determinazione… alla scopo di
creare una spia praticamente perfetta-
-E questo titolo va
alla persona che resiste ad ogni prova senza mai essere scartata?-
-Ancora esatto…- Si
ferma di fronte ad una porta grigia anch’essa, dalla
serratura ermetica, per
impedire a chiunque di uscire. –Prego questa è la
sala degli addestramenti-
Una volta entrato si
trova davanti ad una piccola balconata di metallo dove i bambini
probabilmente
vengono osservati, si sporge quanto basta per vedere dei ragazzini di
forse dieci,
undici anni maneggiare pistole come al poligono di tiro e combattere
con vere
lance, mentre alla parete sono appesi altri tipi di arma tagliente o da
fuoco
che sia.
-Voi fate combattere
questi ragazzini con armi vere? Potrebbero ferirsi…-
Sconcertato si volta
per chiedere spiegazioni al signor Tucker che non sembra poi sbalordito
come
lui.
-E’ l’obbiettivo delle
prove: rimanere illeso, sono combattimenti che talvolta possono
sfociare nel
mortale… non siamo in un parco giochi signor Elric qui
addestriamo spie non
pargoli indifesi-
-Quindi lei lascerebbe
davvero che un bambino morisse?-
-Sono cose che
capitano in questo campo-
-E le famiglie? Avete
sottratto questi bambini ai loro genitori per mandarli a morire?!-
-Signor Elric lei
dovrebbe sapere che alla famiglia non è più
permesso avere contatti,
interferisce con la loro crescita… una volta varcati quei
cancelli i soggetti
perdono la loro identità, per noi sono numerati per anno e
ordine di nascita e
gli viene subito insegnato ciò per cui sono stati creati-
-Loro non sono stati
creati, sono nati… sono il frutto di un padre e di una
madre, vuole dire che i
bambini non sanno di avere dei genitori e una famiglia che li cerca?-
-Non è nostro
obbiettivo far chiarezza nel loro passato, gli viene insegnato a
combattere
perché non hanno altra scelta, o combattono o muoiono, col
corso degli anni si
otterrà come lei avrà sicuramente notato un'unica
e perfetta spia-
No… quella
conversazione ai limiti della logica non stava avvenendo, si rifiuta di
credere
che tutto ciò abbia veramente un senso per qualcuno:
Combattere o morire, non
sono concetti che si possono insegnare ad un bambino spaventato.
-Insinuate in loro
soltanto paura e insicurezza rendendoli delle macchine da combattimento
prive
di emozione! Come può questo essere giusto?!-
Erano loro ad aver
insinuato tutte quelle stupidaggini nella testa di suo fratello, a
renderlo
così freddo e distaccato, calcolatore, una perfetta spia che
vive per uccidere
o per essere uccisa.
-E’ semplice istruire
dei ragazzini convinti di essere stati creati per un unico scopo,
più che
bambini spaventati che piangono e vogliono la mamma, il concetto di
famiglia
non esiste in questo istituto, i bambini non sanno assolutamente da
dove
vengono, non hanno legami di parentela, vivono per
sopravvivere…-
-Non ha senso!-
-Tutto ha un senso
signor Elric, dipende dai punti di vista, per noi questo metodo
è efficace…-
-Che cosa dite ai
bambini se iniziano a porsi delle domande sulla loro nascita?-
-Sono nati qui, non
hanno alcuno scopo se non quello di combattere e
sopravvivere… sarebbe inutile
per loro ricercare un’eventuale famiglia, perché
nessuno li ha mai amati
veramente, altrimenti non sarebbero qui, le pare?-
Queste parole fecero
scattare un moto d’ira irrefrenabile in Alphonse, ora aveva
capito qual’era il
problema di suo fratello, il motivo di tanta freddezza, il
perché fosse così
distaccato nei suoi confronti: Per sedici anni della sua vita gli
avevano
inculcato nel cervello solo concetti orribili e crudeli, aveva
combattuto per
la sua vita e non conosceva altra via d’uscita e non si
sarebbe mai fidato di
nessuno all’infuori di se stesso poiché secondo
gli insegnamenti di
quell’istituto, nessuno lo avrebbe mai amato veramente, la
sua famiglia lo
aveva abbandonato a quel destino crudele.
-Non è vero,
all’infuori di queste mura hanno una famiglia che li aspetta
e che li piange
ogni singolo giorno, non può inculcare nel cervello di
questi ragazzini simili
cattiverie!-
-Sembra che lei prenda
la cosa da un punto di vista strettamente personale signor
Elric… mi dica, ha
conosciuto suo fratello?-
-Si che l’ho
conosciuto, mi rifiuta con tutto se stesso-
-Prevedibile,
dopotutto cosa può aspettarsi signor Elric? Lei non
c’era quando era qui,
nessuno era al suo fianco quando si trovava a combattere tra la vita e
la
morte, nessuno lo rassicurava con parole dolci, se è vivo
non è di certo per
merito suo-
-Come può accusarmi di
qualcosa che io neanche sapevo?! Ho passato anni alla sua ricerca e se
avessi
saputo prima di questa condizione sarei accorso immediatamente, anche i
miei
genitori l’avrebbero fatto-
-Non avrete mai un
vero e proprio rapporto, si è trovato qui, solo, per sedici
anni, cresciuto
come tutti gli altri con il mio metodo, per lui non esiste nemmeno, la
sua
famiglia lo ha abbandonato in questo istituto crudele, come
può pensare che la
rispetterà mai o le vorrà addirittura bene?-
-Ma io ci sono adesso
e sto cercando di rimediare a quello che lei ha fatto- Sporgendosi
verso la
balconata osservò quei bambini lottare tra di loro con una
tale crudeltà da
spiazzarlo –Li guardi, non sono armi né tanto meno
i suoi giocattoli, sono dei
bambini, costretti a ferirsi vicendevolmente, gli state insegnando cose
sbagliate e nel corso degli anni si ritroveranno a non provare
sentimenti, a
non avere rapporti umani... anche colui o colei che
resisterà fino all’ultimo,
sarà morto, dentro- D’un tratto attirò
la sua attenzione un bambino, bassino
coi capelli biondi fino alle spalle e grandi occhi color nocciola, se
ne stava
isolato in un angolo dell’enorme camerata, non combatteva
contro nessuno e dal
suo sguardo spaurito s’intravedeva soltanto
un’immensa tristezza.
-Quello è il numero
20, prelevato il 0708 in un paesino del sud, suo fratello era
esattamente
identico, aveva la paura negli occhi liquidi di timore, era solo un
bambino
confuso e pieno di incertezze, piccolo ed indifeso…-
Stentava a credere a
quello che sentiva, suo fratello anni fa era come quel bambino? Eppure
a
vederlo adesso non si direbbe affatto, così freddo e
orgoglioso.
Come quell’ometto,
terrorizzato, con gli occhi pieni di lacrime alle quali impediva di
scendere
forse per paura di esprimere i propri sentimenti visto che
lì era considerata
una cosa sbagliata o per evitare di mostrarsi debole agli occhi dei
propri
compagni che intanto si scannavano tra loro.
-Come ha fatto a
ridurlo ciò che è adesso…?-
Si girò verso Tucker
che come un serpente gli sussurrava all’orecchio parole
malefiche.
-E’ stata un’unica
certezza, quella che nessuno mai l’avrebbe salvato, a nessuno
importava che lui
soffrisse o che fosse solo in mezzo alle tenebre, ha dovuto per forza
prendere
coscienza della propria condizione e lottare per se stesso, lei non era
qui
signor Elric, l’ha lasciato solo ed è per questo
che mai se la sentirà di
stringere un legame con lei, e la stessa cosa accadrà a quel
bambino, o
prenderà la situazione in mano e lotterà per la
sua vita o morirà-
No, quelle parole non avevano
alcun senso logico, non poteva credere a ciò che stava
sentendo, era lo stesso
trattamento che era stato riservato a suo fratello ed ora riusciva
finalmente a
capire cosa gli divorasse l’animo in quel modo: Non era forte
ed orgoglioso, ma
insicuro, debole ed indifeso, glielo si leggeva negli occhi ogni qual
volta
parlava di famiglia o si arrabbiava con lui, come il giorno prima nella
sua
stanza… aveva paura di stringere un rapporto, paura di
mostrarsi fragile
davanti a lui.
Edward Elric non era
fatto d’acciaio.
Bensì di cristallo.
-Mi dica signor Elric,
qualcuno verrà mai a salvare quel bambino? Qualcuno lo
porterà via da questo
istituto? Crescerà qui, secondo i miei metodi,
può darsi che abbia qualche
speranza di uscirne vivo… oppure morirà, ma
nessuno avrà pietà di lui-
-Lo sa signor Tucker…-
Il ghigno di quell’essere spregevole iniziava ad
infastidirlo, era lui la causa
di tutto, colui che aveva rovinato suo fratello e che gli aveva
inculcato tutte
quelle stronzate in testa da quando era nato, lo odiava, sentiva di
detestarlo
come mai aveva detestato qualcuno. –Lei è un
grandissimo bastardo- Non seppe
con quale forza riuscì a farlo ma gli mollò un
pugno sul naso, il più forte che
avesse mai dato a qualcuno, vide del sangue sgorgare a fiotti ma quella
fu la
prima volta che non se ne pentì –Questo
è per mio fratello e per quel bambino-
Tirò fuori le manette d’ordinanza che per fortuna
aveva portato con sé e
inchiodò quel perfido individuo alla ringhiera per prendere
tempo, con un salto
scese dalla balconata e si affrettò verso l’angolo
dove quel bambino aveva
alzato lo sguardo su di lui spaventato.
-Non preoccuparti, ti
porto via di qui-
Gli sorrise
rassicurandolo, lo prese in braccio e tornò indietro
scavalcando Tucker che
intanto cercava di liberarsi, gridava contro di lui e contro le guardie
che
impegnate nell’infliggere dolore chissà dove non
accorrevano in suo aiuto.
Fuggì e per la prima
volta si sentì vivo, non come quando combatteva contro suo
fratello ostinato a
dimostrargli qualcosa, ma come quando ci si leva un peso enorme dal
petto, un
senso di colpevolezza.
Una volta giunto al
cancello d’entrata le due guardie vedendolo con un bambino in
braccio provarono
a fermarlo ma schivando il loro attacco riuscì a respingerli
verso la rete
elettrica e dopo il contatto caddero atterra svenuti.
Montò in macchina
tranquillamente, facendo sedere il piccolo sul sedile accanto al suo
per poi
allacciargli bene la cintura.
…
Edward intanto si
trovava nei campi d’allenamento dell’agenzia,
cercava di schiarirsi le idee
correndo, tenendosi informa, facendo esercizio fisico duro ed
estenuante,
doveva riuscire ad ogni costo a cancellare quella petulante
matricoletta dal
suo cervello.
Da quando era arrivata
nella sua vita non aveva fatto altro che intromettersi e cercare la
parte più
umana di lui, era fin troppo ostinato, testardo e dannatamente
arrogante.
Non lo sopportava,
pensava forse che dopo tanti anni di sofferenza vissuta in solitudine
gli
sarebbe per caso caduto tra le braccia?
Era sempre stato da
solo nell’affrontare i pericoli e gli ostacoli che il mondo
gli metteva davanti
e non avrebbe mai permesso ad un novellino di cambiarlo, di manovrarlo
come un
burattino.
Non poteva imporsi
nella sua vita, non l’avrebbe mai accettato.
Il sudore gli
imperlava la fronte, incollandogli i capelli ai lati del viso, i suoi
occhi
bruciavano come fiamme vive e il battito del suo cuore non accennava a
diminuire mentre si faceva strada tra sterpaglie e terra continuando la
sua
corsa.
La coda di cavallo
sbatteva sulla schiena in un ritmo regolare, però si vide
costretto a fermarsi
dato che nella sua tasca il telefono aveva iniziato a vibrare.
Pensò subito a Roy,
quello scocciatore che tuttavia amava come mai aveva amato qualcuno
nella sua
vita, era strano ma lui era l’unica persona con cui si era
aperto parzialmente,
poiché nei suoi occhi mai leggeva rimprovero, ma sempre
tenero affetto e amore.
Però dovette
ricredersi, era un numero a lui sconosciuto…
-Pronto?-
Rispose con un leggero
affanno nella voce fermandosi sulla radice scoperta e alta di un grosso
albero.
-Salve numero 7, avrei
bisogno di te per una questione davvero importante, vedi mi trovo in
città per
rivendicare qualcosa che mi appartiene, se potresti rientrare in
agenzia te ne
sarei grato così ti illustro la situazione-
Nel sentire quella
voce ebbe un tremito e sentì freddo, brividi su tutto il
corpo che per poco lo
fecero vacillare.
-Signor Tucker… da
quanto tempo- Cercò di regolare il tono della voce per non
mostrare la propria
insicurezza –Non so se lei è stato informato nella
sua lontana posizione ma mi
sono trasferito ad un’altra agenzia-
Sentì delle risa dall’altra
parte –Oh lo so, sono fiero della tua indole ribelle ed
individualista, mi
trovo proprio nella tua attuale agenzia ora, nella tua stanza in
compagnia del
tuo compagno d’armi-
Per qualche secondo
non sentì più nulla poi però qualcun
altro prese a parlare.
-Ed, dice la verità,
si tratta di una cosa importante dovresti tornare-
Era Roy, si trovava
davvero nelle vicinanze allora.
-Sto arrivando,
qualche minuto e ci sono-
-Ti aspettiamo-
Riagganciò la
telefonata e sebbene le gambe sembravano essersi fatte molli, si fece
forza e
avanzò a passo deciso verso l’agenzia poco
distante dal campo d’addestramento,
con una bruttissima sensazione nelle viscere.