Ciao bellezze,
per prima
cosa mi scuso immensamente per il ritardo!
Ma spero di
farmi perdonare con questo capitolo bello lungo che già dal titolo promettente …
(“non essere gentile”, "non andarci piano").
Per le
maggiorenni: qui
trovate il capitolo esteso e non censurato.
Ringrazio in particular modo la mia beta Barbara per il betaggio e red apple e Aleswan per le loro
divertenti congetture sullo spoiler bastardo che avevo lasciato nelle risposte
ai loro commenti!
______
Bad Girl
[Edward Cullen]
Cap. 53 - Do not go gentle
La direzione dei miei pensieri era inevitabilmente
proiettata verso lei, Isa. Lei che in
così poco tempo era riuscita a legarmi in un modo così indissolubile da farmi
dimenticare cosa fossi. Con Isa ero prima di tutto un uomo e poi un
vampiro.
Un qualche dio si stava divertendo con noi. Con
un grosso cubo di Rubik tra le mani controllava le
nostre vite. Forks
era stata quella mossa che aveva fatto coincidere i colori su tutte le facce
del dado. Io, Jasper e persino Emmett avevamo trovato in quel luogo la risposta
ai tanti perché che cercavamo. Dentro di noi, segretamente, iniziavamo a
domandarci infatti se mai avremmo avuto la fortuna di trovare qualcuno che ci
completasse, come era successo per Carlisle ed Esme. Nessuno di noi lo credeva
davvero possibile. Eppure era successo.
Tuttavia, nonostante ognuno di noi avesse
finalmente trovato la propria ragione di esistere, le cose non sembravano
comunque ancora volgere nel verso giusto. Come un affamato che deve cibarsi con
un contagocce.
« Quando credi di tornare? », domandai a mio
fratello.
« Non lo so ancora », dalla cornetta la voce di
Emmett mi arrivò cupa, quasi quanto i suoi pensieri.
Non era ancora pronto per tornare ma io non
l’avrei chiamato se non avessimo avuto bisogno di lui.
Alice era come una palla pazza. Un’incognita
incontrollabile e imprevedibile nel modo in cui poteva esserlo un qualsiasi
neonato, ed a complicare ulteriormente le cose, come se non bastasse, ci si
metteva pure un’amnesia che avrebbe potuto giocare a nostro netto sfavore. Auspicavamo
che presto avrebbe riacquistato i suoi ricordi perché, altrimenti, insieme a
quelli, avrebbe perso la sua umanità per sempre.
« Adesso devo lasciarti. Mi farò vivo », riattaccò
Emmett senza lasciarmi la possibilità di replicare.
Era passata una settimana esatta da quando Alice
si era risvegliata nella sua nuova condizione di vampira e, per il momento, dovevamo
ammettere che stava reagendo piuttosto bene. Certo, i suoi pensieri erano il
più delle volte orientati al desiderio di sangue e questo era un vero e proprio
tormento per me, costretto com’ero a passare la maggior parte del mio tempo di guardia
ma, per nostra fortuna, Alice era piuttosto mite per essere una novellina e non
c’era stato bisogno dell’utilizzo della forza.
In generale, il controllo sulla neonata si stava
rivelando abbastanza semplice, del resto, non avevo neppure bisogno di leggere
le sue mosse nei suoi pensieri considerato che, di riflesso, avevo acquisito il
dono addirittura di prevederle attraverso di lei. Avevo imparato a riconoscere
il momento immediatamente prima di una visione: i suoi occhi cremisi si
sbarravano e Alice prendeva tutte le sembianze di una statua di sale.
Paradossalmente quello che mi preoccupava era
Jasper. Nonostante si sforzasse di risultare calmo, i suoi pensieri tradivano
tutto il dolore e la rabbia per la perdita della memoria di Alice. Il fatto che
non si ricordasse di lui era stato un duro colpo difficile da digerire. Le
parlava a malapena, solo se strettamente necessario, e a volte sentivo che era
un vero e proprio martirio per Jasper vederla così, starle vicino. Solo io
potevo realmente sapere quanto desiderasse baciarla, stringerla come non aveva
mai potuto fare per paura di ferirla. Ma non l’avrebbe fatto, almeno finché lei
non avrebbe ricordato o non l’avesse voluto.
I ricordi di Alice riguardo tutti noi si
riducevano alle visioni che aveva e che aveva avuto durante la trasformazione. Quelli
che riguardavano Jasper erano diversi, contornati da uno strano alone, quasi si
trattasse di sogni più che di ricordi.
“Angelo
mio”, sospirava spesso guardandolo furtivamente. Poi, ricordandosi che io
potevo leggere nella sua mente, mi guardava imbarazzata e nei suoi occhi
leggevo la preghiera di mantenere il segreto. Era convinta che Jasper nutrisse
per lei una sorta d’indifferenza, quasi un’avversione. Avrei voluto poterle
dire che non era affatto così e quando ne avrei avuto l’occasione, e cioè
quando finalmente Jasper si sarebbe allontanato, l’avrei fatto.
Scandagliando continuamente i pensieri di Alice mi
ero sorpreso di sentire il nome di Isabella. Lei le aveva tenuto compagnia e
l’aveva confortata mentre stava soffrendo le pene dell’inferno. Ritenevo che
fosse possibile metterle in contatto. Non ero certo così stupido da rischiare
la vita della ragazza che amavo ma con le nuove tecnologie Alice e Isa
avrebbero potuto, almeno finché la neonata non fosse stata pronta, sentirsi
telefonicamente, chattare o addirittura vedersi tramite webcam. Isa ne sarebbe
stata felice e Alice avrebbe potuto trarre giovamento sia per riacquisire la
memoria sia per rimanere attaccata alla sua umanità.
Fatto stava che quegli impegni per l’intera
settimana mi avevano tenuto a distanza forzata dalla mia ragazza. Avevo avuto
pochissime occasioni di vederla e, anche quando questo accadeva, lei mi era
sembrata fredda, quasi distaccata. Non le era stato più permesso di venire a
trovarci e non mi aveva mai più chiesto di Alice dal suo risveglio. Anche se
non potevo ancora leggerle nel pensiero sapevo che stava soffrendo per ciò che
era successo alla sua amica. Volevo darle modo di liberarsi della sofferenza e
speravo di farlo dicendole che Alice aveva chiesto di lei e che avrebbe potuto
parlarci. Non vedevo l’ora di darle la notizia.
Avevo fatto in modo che sapesse che quel venerdì
avrei avuto finalmente il pomeriggio libero. Carlisle, che era riuscito a
spostare i suoi turni in ospedale, mi avrebbe sostituito. Probabilmente peccavo
di egoismo verso la mia famiglia ma sentivo il bisogno di staccare da tutto.
Dai pensieri sanguinari di Alice e dai tormenti amorosi di Jasper. Stare con
Isa era esattamente quello che mi ci voleva. Non potevo fare a meno di lei,
come la mia dose di eroina preferita.
La lontananza, come una bomba ad orologeria, non
aveva fatto altro che aumentare il mio desiderio di stringerla, baciarla, respirarla… possederla. Mi mancava oltre il lecito e
l’unico modo per lenire il mio tormento era quello di toccare la sua pelle, di
sentire il suono dei suoi gemiti. Mi ritrovai eccitato, come uno stupido, solo
al pensiero di lei svestita.
Cercai di calmarmi e le inviai un messaggio per
avvertirla che sarei presto arrivato a casa sua.
Abbottonai la camicia e saltai con un balzo
dalla finestra per attraversare di corsa il bosco.
Mentre correvo, fendendo l’aria intorno a me, il
segnale acustico del telefonino mi avvertì che era arrivato un messaggio.
Sorrisi tra me e me, carico di aspettative. Ma la delusione prese presto posto
all’euforia. Era Isa. Diceva di essere spiacente, ma aveva già detto ad Angie che avrebbe passato l’interno pomeriggio con lei,
oggi.
Sospirai frustrato e di nuovo, la coscienza di
essere essenzialmente una persona egoista si impadronì di me. Avrei voluto Isa
tutta per me senza considerare che Angela, che piangeva ancora la morte di
Alice, ne aveva più bisogno.
Deviai per la biblioteca, decidendo di prendermi
comunque un pomeriggio di riposo. Il luogo non era ancora molto frequentato e
la tranquillità che vi si respirava lo avevano promosso come posto prediletto,
dopo la radura.
Passai il dito sui tomi contrassegnati dalla
lettera “H”. Tra titoli più che familiari, prelevai un’opera di Hesse. Ma il
volume quasi non mi cadde dalle mani quando il mio sguardo si posò al di là
degli scaffali dedicati alla letteratura straniera.
« Ciao Edward », farfugliò dolcemente Angela accortasi
di me, venendomi incontro con una breve corsetta.
« Angela », la salutai a mia volta, sorridendole
senza mostrarle i denti. Evitai di chiederle di Isa perché era evidente che non
fosse con lei e che non avesse la minima idea di dove fosse.
« Isa? », mi domandò, infatti, innocentemente.
« Scusami », la superai eludendo la sua domanda
e lasciandole tra le mani “Siddharta”, « mi sono appena ricordato di una cosa… », la liquidai, dandole le spalle.
Mi guardò stranita per un momento prima di fare
spallucce.
Una volta fuori l’edificio, cercai inutilmente
di chiamare Isa al cellulare.
“ In
questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e forse sarete richiamati…”.
Riattaccai e quasi non mi feci sopraffare dalla
voglia di accartocciare il telefono in una mano.
A lunghe falcate raggiunsi il piccolo sentiero
dietro la struttura e, dopo essere stato sicuro che non ci fosse anima viva nei
paragi, mi lanciai in una folle corsa. Destinazione: casa Swan.
Avevo urgente bisogno di parlare con Isa anche
se la collera che mi scorreva nelle vene non prometteva nulla di buono.
Perché mi
aveva mentito? Cosa era successo? Avevo fatto qualcosa di sbagliato? L’avevo
ferita?
Gli scenari di mille possibili congetture mi
tormentarono durante tutto il tragitto e i propositi di calmarmi non si concretizzarono
affatto. Doveva centrare qualcosa con il suo strano comportamento. A qualche
decina di metri dalla meta, ordinai alle mie gambe di rallentare. Proseguii
camminando, cercando di darmi un contegno.
La finestra di Isabella era chiusa e dalla casa
non proveniva nessun rumore, segno che fosse deserta. Il pick-up non era
parcheggiato nel piazzale così come la volante della polizia.
Sentii il mio cuore senza vita nel mio petto
lacerarsi.
Doveva senz’altro esserle successo qualcosa,
magari mentre cercava di raggiungere Angela. Non era da lei mentirmi. Mi
ammonii solo per averlo pensato.
Ripescai il mio cellulare dalla tasca e provai a
telefonarle nuovamente. La sorpresa fu grande quando sentii la suoneria del suo
telefono provenire dalla sua stanza.
Strabuzzai gli occhi e balzai felino sul
davanzale della sua camera. Attraverso la tendina colorata non riuscii a vedere
all’interno della stanza. Il cellulare continuò a squillare finché la voce
registrata di Isa non interruppe la suoneria.
Forzai la finestra e riuscii ad entrare. La
facilità con cui mi ero introdotto in casa sua mi fece riflettere sul fatto che
lei non fosse mai del tutto al sicuro, se non con me.
Se da un lato fui più che sollevato da non
trovare il suo corpo privo di vita, dall’altro la mia mente continuava a
interrogarsi su cosa potesse esserle successo. Investigai ma in cucina non c’era
traccia di nessun biglietto e nemmeno in camera sua.
Paranoico oltre ogni limite e senza nessun’altra
possibilità, decisi di affidarmi al segugio che era in me anche se sapevo che
avrebbe significato abbandonarmi totalmente alla mia natura di vampiro.
Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla scia del
suo inconfondibile odore, impresso indelebilmente nella mia testa. Sentii le narici bruciare e i polmoni riempirsi del
suo dolce profumo. Ingoiai un fiotto di veleno e mi lanciai sulla pista che
avevo fiutato. Corsi costeggiando la strada principale scrutando
contemporaneamente nella mente di chiunque si trovasse nel raggio del mio
potere in cerca di informazioni utili.
La mia corsa terminò bruscamente. Frenai
puntando i piedi sul terriccio umido quando mi accorsi di stare per superare il
confine dei Quileute. Il loro fetore ne era una
chiara indicazione, segnalava una linea di demarcazione del loro territorio.
« Dannazione », ringhiai tra i denti.
Purtroppo secondo un accordo stretto coi natii
indiani d’America di L.A. Push
non mi era concesso oltrepassare quel confine.
In altra circostanza l’avrei fatto comunque,
rischiando persino di rompere quel patto lungo un secolo, ma dopo la recente
trasformazione di Alice che non avevano certo gradito, non potevo rischiare di
dare loro il pretesto che stavano tanto cercando per sfociare in una guerra. L’
incognita neonata e l’assenza di Emmett ci avrebbero nettamente sfavorito,
senza considerare l’ipotesi che forze più potenti avrebbero potuto scomodarsi
per ripristinare l’equilibrio e questo non sarebbe stato positivo per nessuno
di noi, compresa Isa.
Abbandonai un sommesso ringhio al vento come
avvertimento e in un attimo sparii.
Forse il fatto che fosse con il suo amico Jacob Black e che non fosse caduta vittima di chissà quale
disgrazia o calamità naturale, avrebbe dovuto tranquillizzarmi, in qualche
modo, ma non riuscii tuttavia a placare la collera che mi accecava. Non
riuscivo a saperla del tutto al sicuro con lui. In fin dei conti i mutaforma erano ben noti per il loro scarso autocontrollo.
E poi il fatto che Black e Isa condividessero
quell’amicizia così intima...
In sostanza mi rendeva le cose più difficili. Non
avrei potuto ucciderlo senza imbattermi nell’odio di Isa.
Tornai nella sua stanza, decidendo di aspettarla
lì, circondato dalle sue cose e dal suo odore.
[ Isabella Swan ]
Scostai i capelli umidi di sudore dalla fronte e
mi sporsi dal letto per vedere che ore fossero. Le cifre rosse lampeggianti
sulla radiosveglia indicavano che fossero da poco passate le tre di notte.
Sbarrai gli occhi e cercai di alzarmi dal letto ma la morsa del braccio
bollente e massiccio di Jay mi resero le cose un tantino difficili. Dopo
diversi tentativi, riuscii a scivolare sotto il suo arto e a divincolarmi dal
suo corpo.
Lo guardai nella penombra della stanza. La sua
figura occupava gran parte del letto perciò non mi stupii di aver dormito così
male. Era talmente grosso che i suoi piedi sconfinavano oltre il materasso.
Non era la prima volta che condividevano il
letto ma, osservandolo, mi resi conto di quanto il mio migliore amico fosse
cambiato. Il suo corpo, coperto solo dai pantaloncini, era quello di un uomo
adulto. Alto, muscoloso e possente. Sudato e peloso. Caldo ed accogliente.
Le mie guance s’imporporarono pensando a lui in quel modo, così differente da prima.
Portai la testa da un lato pensando a quando eravamo piccoli e a quanto anche i
nostri problemi lo fossero…
Recuperai le mie cose da terra e uscii dalla
stanza. Tentare di svegliarlo era del tutto inutile. Anche se me l’avrebbe
fatto pesare, ero in grado di tornare a casa da sola. Non c’era nulla
che poteva capitarmi, a parte imbattermi nel mio ragazzo vampiro, s’intendeva…
Aspirare l’aria di un palloncino e riempirlo dei
propri pensieri. Jacob aveva quest’effetto su di me. Con lui i miei problemi si
annullavano, come quando ero bambina. Peccato che al risveglio quest’ultimi
erano già tornati, più pressanti e dolorosi di prima, a bussare alle porte della
mia testa. Portai una mano alla fronte come per frenare l’emicrania che
mi stava martellando le tempie.
Durante il tragitto fui sollevata di non essermi
imbattuta in Edward che, a quanto pareva si era bevuto la storia di Angela.
Aprii la porta d’ingresso e, con le scarpe in
una mano, salii lentamente le scale per non svegliare Charlie. Ma non perché
temessi una ramanzina; affatto, ero certa che anche se fossi rincasata il
pomeriggio successivo non avrebbe battuto ciglio. Non sapevo per quale motivo,
ma nutriva per Jacob una sorta di ammirazione. Mi stupii di non sentirlo
russare, così mi ricordai che non era nemmeno in casa considerato che il
venerdì aveva il turno di notte.
Nella mia camera il letto era vuoto e
assolutamente intatto. Respirai quel silenzio, socchiudendo le palpebre pesati
e stanche. Quando le riaprii, il mio cuore quasi non si fermò. I miei occhi si
posarono su quelli di Edward, seduto nel buio sulla sedia a dondolo.
Perfettamente immobile mi guardava senza
lasciare trasparire alcuna emozione. Boccheggiai in cerca d’aria e, con la
scusa di posare le scarpe a terra, mi voltai per eliminare il contatto visivo
con lui.
Riempii i polmoni d’aria sentendo ancora il suo
sguardo trafiggermi la schiena.
« Senti, Edward… », mi
voltai nella sua direzione posando le mani sul viso, « tutto ciò di cui ho
bisogno adesso è una doccia calda e un po’ di riposo », portai le mani nei
capelli come a volerli raccogliere in una coda alta e terminai la frase,
sperando di posticipare quella che aveva tutta l’aria di diventare una furiosa
discussione.
Edward non parlò ancora, limitandosi a guardarmi
con i suoi occhi luminosi come fari. Mi morsi il labbro, aspettando
pazientemente che si muovesse. Temevo che se avessi fatto una qualsiasi mossa o
avessi anche solo aperto bocca, lui sarebbe esploso. Potevo sentire il mio
cuore risuonarmi nelle orecchie e mi domandai mentalmente se non fossi proprio
io quella a sgretolarsi sotto il suo sguardo.
Per una volta avrei voluto essere io quella a
leggere nella mente, per sapere i suoi pensieri in quel momento.
« Dove sei stata? », domandò rompendo il
silenzio e sentii le sue parole pesare sulla mia testa, come la lama di una
spada dietro la nuca.
« Ho dormito
da Jacob », risposi, sottolineando la parola “dormito”.
Osservai il suo volto contrarsi in una smorfia
di dolore e sentii le gambe cedermi.
« Hai addosso il suo odore! », sentenziò con una
furia ceca che mi ferì.
« Ti ha toccata? Rispondi! », sollevò la sedia a
dondolo e la scagliò contro il muro opposto, sbriciolando il legno in mille
pezzi. L’osservai spaesata e impaurita pensando di avere a che fare con un
estraneo. L’avevo visto nutrirsi e sapevo quanto fosse smisurata la sua forza,
eppure non l’avevo mai visto così… eroso dalla
gelosia. Non ebbi nemmeno il tempo di risentirmi sotto il peso della sua
accusa.
« Ti ha toccata? », domandò nuovamente. Le sue
labbra tremavano e i suoi occhi fiammeggiavano come fuochi in attesa di una
risposta.
« No! », gridai.
Solo allora mi resi conto di tremare. Per quel
lunghissimo momento temetti per il mio migliore amico. Avrei tanto voluto chiudere
gli occhi e non essere costretta a sopportare un attimo di più di vederlo in
quel modo. Distrutto.
In un attimo fu davanti a me. Indietreggiai fino
a cozzare contro il muro. Ma ovviamente Edward fu più veloce e mi afferrò i
polsi, bloccandomi nella sua morsa fredda, senza via d’uscita.
« Perché mi hai mentito? Hai idea di quanto
fossi preoccupato per te? Di quanto fossi stato vicino a venirti a
prendere? », la sua furia espose contro
di me. Non c’era più niente di calmo o misurato in quello che diceva, nella
forza con la quale tratteneva il mio corpo limitato tra lui e il muro dietro.
Ebbi come l’impressione che sarebbe stato più facile scappare scavando con le
unghie nella parete, piuttosto che superare lui.
Mi resi conto di stare piangendo solo quando le
lacrime calde bagnarono le mie labbra. Edward non sembrava farsi impietosire
nemmeno da quelle, per cui gli sputai la verità in faccia, riversandogli la mia
rabbia.
« Proprio tu parli di mentire? Quando pensavi di
dirmi che dovrete lasciare Forks? », sentii la sua
presa farsi più lieve a quelle parole e osservai i suoi occhi sbarrarsi per la
sorpresa di essere appena stato scoperto, « O forse pensavi di non dovermelo dire
affatto? Avresti lasciato la città senza dirmi nulla, come se non fossi mai esistito? », la voce mi si spezzò in gola
come se avessi appena ingoiato un pezzo di vetro.
Ammetterlo a voce alta aveva solo contribuito a
renderlo più reale e più amaro di quanto già non fosse. Avrei voluto urlargli
che lo odiavo ma quelle parole non sembravano volere uscire dalle mie labbra,
come se facendolo avessi bestemmiato. Detestavo il fatto di non riuscire
minimamente ad odiarlo, nonostante il male che mi stava facendo e che ero certa
non si sarebbe mai potuto rimarginare.
Volevo solo che tutto finisse il più velocemente
possibile. Non avrei potuto sopportare di respirare ancora il suo odore, un
attimo di più.
« Vattene via! Vattene. Ora », riuscii a dire
tra le lacrime.
Infondo gli stavo rendendo solo le cose più
semplici. Non aveva avuto il coraggio di farlo lui, così adesso lo stavo
lasciando io. Lo affermai con convinzione cercando di racimolare tutta la forza
per vederlo andare via dalla mia finestra per l’ultima volta, col mio cuore tra
le mani.
« Isa », mi chiamò. Il suo tono di voce si era
addolcito.
« No, no, no», urlai cercando di divincolarmi
dalla sua presa. Non volevo sentire nessuna scusa, nessun’altra bugia e non
volevo che usasse il suo potere ammaliante su di me.
« Isa, Isa, ti prego », disse sfiorando il
profilo della mia guancia bagnato dalle lacrime.
« Non toccarmi! », lo fulminai.
In tutta risposta mi bloccò nuovamente,
incollando il suo corpo contro il mio. « Non vado da nessuna parte, senza te »,
sibilò.
Mise una mano tra i miei capelli, facendomi
inclinare la testa all’indietro e costringendolo a guardalo negli occhi.
« Come puoi averlo anche solo pensato? », mi
domandò rabbioso, « Come puoi pensare che ti lascerei? ». Respirò sulla mie
labbra dicendo qualcosa che non riuscii a comprendere ma che somigliava tanto a
“sei la mia vita”.
« Come devo dirtelo che ti amo? », nei suoi
occhi leggevo la preghiera di credergli perché non c’era niente di più vero dei
sentimenti che provava per me.
« Ti amo », mugolai poiché la stretta nei miei
capelli si era fatta più forte e in tutta risposta incollò le sue labbra alle
mie, senza lasciarmi fiato. Il bacio fu, fin da subito, di un’urgenza mai
vista. Si cibava delle mie labbra, avido, desideroso di averne sempre di più.
Avrei voluto dirgli che ero solo sua,
sua e di nessun altro ma non mi permetteva di staccare le mie labbra dalle sue,
così non trovai altro modo di dimostrarglielo che cedere al suo tocco.
Ah, quanto mi erano mancati i suoi baci! Pregai
perché questo non finisse mai, anche se avrebbe significato non respirare più.
Le sue mani scesero sui miei fianchi e mi accarezzò
attraverso il vestito. La mia pelle al di sotto sembrava scottare. Inarcai la
schiena in modo da far combaciare i nostri bacini. Gemette dal desiderio e con
forza mi strappò il vestito di dosso. Non me ne importò, non m’importa di nulla
che non fosse lui in quel momento.
Scese a baciare la mia mandibola e poi, più giù
la cavità del mio collo facendomi boccheggiare dalla passione.
Senza che potessi rendermene conto, ridusse a
brandelli anche il mio intimo, lasciandomi nuda alla sua completa mercé.
Si staccò per osservarmi meglio e nei suoi occhi
lessi il puro desiderio di possedermi. Temevo, che non avrei resistito tanto a
lungo se avesse continuato a guardarmi in quel modo. Mi morsi un labbro,
pregustando il momento in cui questo sarebbe avvenuto.
Si liberò anche lui dei vestiti tanto
velocemente da non lasciarmi nemmeno il tempo di elaborare la cosa. Mi strinse
nuovamente tra le braccia. Sospirai di piacere e infilai le mie dita tra i suoi
capelli, attirandolo verso la mia bocca. Le nostre lingue si trovarono. Presi
la sua tra le labbra e la succhiai avidamente.
Volevo che mi prendesse in quel momento, lì,
contro il muro ma si limitò a baciarmi lasciandomi consumare nel fuoco
dell’eccitazione. Mi strisciai contro di lui. Un altro po’ e l’avrei
supplicato.
« Avevi detto che avevi bisogno di una doccia,
prima », disse e non mancai di notare il perverso sorrisetto impresso sulle sue
labbra, « Bèh, sono d’accordo », mosse il naso come se gli pizzicasse.
Mi scagliò sotto il getto dell’acqua della
doccia ancora fredda. Senza alcuna delicatezza strinse i palmi delle mani attorno
al mio sedere.
« Edward », lo pregai svergognatamente.
Mi accontentò subito. Prendendomi.
« Sei mia », ansimò mentre i nostri corpi
scivolosi si univano con urgenza, possesso, amore.
Mi aggrappai con le unghia alle sue spalle,
arcuando la schiena e accompagnando i suoi movimenti con il mio bacino. Ero
maledettamente vicina all’orgasmo più potente che avessi mai provato.
« Edward, ancora, di più! », gemetti
spudoratamente.
Uscì improvvisamente dal mio corpo, ancora
insoddisfatto, ma prima che potessi lamentarmi mi afferrò i fianchi e mi fece
girare su me stessa. Gli schizzi dell’acqua calda mi solleticarono la schiena.
Gemette e ringhiò come non l’avevo mai sentito
fare. Il solo fatto di sentirlo così, abbandonato al piacere, contribuivano ad
aumentare le sensazioni positive che stavo provando dentro di me.
Edward era dentro di me, dentro le mie vene,
dentro la mia anima.
Avvertii le sue mani dai miei fianchi scorrere
lentamente lungo la mia schiena, sfiorò il profilo dei miei seni e salì fino a
bloccare le mie mani tra le sue sopra la mia testa, sul vetro della doccia.
Il freddo del suo corpo in contrapposizione al
calore dell’acqua, mi fecero venire i brividi.
Le sue dita scivolarono lungo il mio ventre e
cominciò a stimolarmi. Edward mi stava donando un piacere senza confini.
Venni in quel modo, con Edward che mi stimolava
su due fronti, urlando di piacere.
Non mi sembrava più di ricordare nemmeno come mi
chiamassi. Ero più che convinta che fosse Edward a reggermi ancora in piedi.
Ripresi fiato tra le sue braccia, mentre l’acqua scivolava tra i nostri corpi
nudi e ansanti.
Il mio vampiro mi prese tra le braccia e mi
portò, ancora nuda e fradicia com’ero nella mia camera. Osservai tutto quello
sgocciolamento sul pavimento dietro le nostre spalle, sorridendo ancora
stordita. Mi convinsi che avrebbe pensato lui ad asciugarmi e a mettermi tra le
coperte. Mi depose infatti sul copripiumino e feci
appena in tempo ad osservarlo inarcare un sopracciglio bramoso. Si sistemò sul
letto ancora nudo ed eccitato e cominciò ad imprimere sul mio corpo una scia di
baci mentre io giocavo con i suoi capelli bagnati. Poi si inginocchiò
all’altezza del mio bacino e leccò con la punta della lingua la pelle
dell’interno coscia provocandomi i brividi.
Sbarrai gli occhi dalla sorpresa quando sentii
la sua lingua scivolare nel mio ventre, facendo risvegliare subito la mia
voglia di averlo. Mugolai indispettita e lui rise birichino. Forzai perché si
scostasse da lì ma la mia convinzione cedette immediatamente, conquistata dai
suoi movimenti. Non mi restò che abbandonarmi totalmente a lui.
« Mmm… », miagolai,
trattenendo le mie labbra dall’emettere altri gemiti. Strinsi i suoi capelli
nei miei pugni mentre mi portava pericolosamente vicino al limite.
Edward si tolse poco prima che potessi
raggiungere il secondo orgasmo della giornata.
Mi misi in ginocchio, guardandolo desiderosa
negli occhi. Mi condusse su di lui, ormai impaziente. Presi il suo viso tra le
mani e lo baciai ripetutamente sulle labbra mentre, con lentezza estenuante mi
sedevo su di lui. Mi piaceva condurre il gioco. Ringhiò sommessamente mentre lo
osservavo abbandonarsi al piacere più profondo.
Invertì le posizioni e ed entrò nuovamente in
me, sovrastandomi col suo corpo.
« Isabella », gemette chiamandomi col mio nome
per esteso mentre raggiungevamo insieme l’ orgasmo. Il mio corpo fu scosso da
una violenta onda di piacere e mi abbandonai tra le sue braccia.
Scostò i miei capelli dal viso, baciando
dolcemente le mie labbra.
« Sei bellissima », sussurrò sulle mie labbra.
Risi, consapevole di non essere nemmeno
paragonabile a lui.
« Sei pronta? », mi domandò, « non abbiamo
ancora finito… ».
______________________________
Eeehh, quanto
adoro i litigi che terminano in questo modo!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto alla nostra Isa. Era da
un po’ che non aggiornavo la versione hot della fic.
Direi
che ogni tanto ci vuole, no?
Spero
di non aver esagerato troppo. Lasciatemi il vostro parere, please!
_______________________________________________________________________________________
Come sempre un GRAZIE a chi ha inserito la ff tra le preferite/seguite e chi legge in silenzio.
Invito chi non l’avesse ancora fatto ad iscriversi.
_______________________________________________________________________________________
Statistiche:
172 preferiti
37 ricordata
278 seguiti
409 letture
642 commenti
128 persone mi hanno aggiunta tra gli autori preferiti.
______________________________________________________________________________________