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Autore: Eli87    27/03/2012    3 recensioni
Dimenticatevi la solita timida Isabella Swan. Isa è una ragazza irriverente e sfacciata che se ne frega del giudizio degli altri ma incontrerà un misterioso ragazzo che le darà molto filo da torcere…seguire per credere.
< avete presente Brad Pitt? Ecco uniteci un pizzico di Johnny Depp e di Chad Michael Murray e mischiate il tutto > pendevano dalle mie labbra < poi aggiungete ancora un pizzico dell’ingrediente “bellezza” e il gioco è fatto! > dissi ripensando al suo viso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Bad Girl

Ciao bellezze,

per prima cosa mi scuso immensamente per il ritardo!

Ma spero di farmi perdonare con questo capitolo bello lungo che già dal titolo promettente … (“non essere gentile”, "non andarci piano").

Per le maggiorenni: qui trovate il capitolo esteso e non censurato.

 

Ringrazio in particular modo la mia beta Barbara per il betaggio e red apple e Aleswan per le loro divertenti congetture sullo spoiler bastardo che avevo lasciato nelle risposte ai loro commenti!

 

 

______

 

Bad Girl

[Edward Cullen]

 

Cap. 53 - Do not go gentle

 

 

 

La direzione dei miei pensieri era inevitabilmente proiettata verso lei, Isa. Lei che in così poco tempo era riuscita a legarmi in un modo così indissolubile da farmi dimenticare cosa fossi. Con Isa ero prima di tutto un uomo e poi un vampiro.

Un qualche dio si stava divertendo con noi. Con un grosso cubo di Rubik tra le mani controllava le nostre vite. Forks era stata quella mossa che aveva fatto coincidere i colori su tutte le facce del dado. Io, Jasper e persino Emmett avevamo trovato in quel luogo la risposta ai tanti perché che cercavamo. Dentro di noi, segretamente, iniziavamo a domandarci infatti se mai avremmo avuto la fortuna di trovare qualcuno che ci completasse, come era successo per Carlisle ed Esme. Nessuno di noi lo credeva davvero possibile. Eppure era successo.

Tuttavia, nonostante ognuno di noi avesse finalmente trovato la propria ragione di esistere, le cose non sembravano comunque ancora volgere nel verso giusto. Come un affamato che deve cibarsi con un contagocce.

« Quando credi di tornare? », domandai a mio fratello.

« Non lo so ancora », dalla cornetta la voce di Emmett mi arrivò cupa, quasi quanto i suoi pensieri.

Non era ancora pronto per tornare ma io non l’avrei chiamato se non avessimo avuto bisogno di lui.

Alice era come una palla pazza. Un’incognita incontrollabile e imprevedibile nel modo in cui poteva esserlo un qualsiasi neonato, ed a complicare ulteriormente le cose, come se non bastasse, ci si metteva pure un’amnesia che avrebbe potuto giocare a nostro netto sfavore. Auspicavamo che presto avrebbe riacquistato i suoi ricordi perché, altrimenti, insieme a quelli, avrebbe perso la sua umanità per sempre.

« Adesso devo lasciarti. Mi farò vivo », riattaccò Emmett senza lasciarmi la possibilità di replicare.

Era passata una settimana esatta da quando Alice si era risvegliata nella sua nuova condizione di vampira e, per il momento, dovevamo ammettere che stava reagendo piuttosto bene. Certo, i suoi pensieri erano il più delle volte orientati al desiderio di sangue e questo era un vero e proprio tormento per me, costretto com’ero a passare la maggior parte del mio tempo di guardia ma, per nostra fortuna, Alice era piuttosto mite per essere una novellina e non c’era stato bisogno dell’utilizzo della forza.

In generale, il controllo sulla neonata si stava rivelando abbastanza semplice, del resto, non avevo neppure bisogno di leggere le sue mosse nei suoi pensieri considerato che, di riflesso, avevo acquisito il dono addirittura di prevederle attraverso di lei. Avevo imparato a riconoscere il momento immediatamente prima di una visione: i suoi occhi cremisi si sbarravano e Alice prendeva tutte le sembianze di una statua di sale.

Paradossalmente quello che mi preoccupava era Jasper. Nonostante si sforzasse di risultare calmo, i suoi pensieri tradivano tutto il dolore e la rabbia per la perdita della memoria di Alice. Il fatto che non si ricordasse di lui era stato un duro colpo difficile da digerire. Le parlava a malapena, solo se strettamente necessario, e a volte sentivo che era un vero e proprio martirio per Jasper vederla così, starle vicino. Solo io potevo realmente sapere quanto desiderasse baciarla, stringerla come non aveva mai potuto fare per paura di ferirla. Ma non l’avrebbe fatto, almeno finché lei non avrebbe ricordato o non l’avesse voluto.

I ricordi di Alice riguardo tutti noi si riducevano alle visioni che aveva e che aveva avuto durante la trasformazione. Quelli che riguardavano Jasper erano diversi, contornati da uno strano alone, quasi si trattasse di sogni più che di ricordi.

Angelo mio”, sospirava spesso guardandolo furtivamente. Poi, ricordandosi che io potevo leggere nella sua mente, mi guardava imbarazzata e nei suoi occhi leggevo la preghiera di mantenere il segreto. Era convinta che Jasper nutrisse per lei una sorta d’indifferenza, quasi un’avversione. Avrei voluto poterle dire che non era affatto così e quando ne avrei avuto l’occasione, e cioè quando finalmente Jasper si sarebbe allontanato, l’avrei fatto.

Scandagliando continuamente i pensieri di Alice mi ero sorpreso di sentire il nome di Isabella. Lei le aveva tenuto compagnia e l’aveva confortata mentre stava soffrendo le pene dell’inferno. Ritenevo che fosse possibile metterle in contatto. Non ero certo così stupido da rischiare la vita della ragazza che amavo ma con le nuove tecnologie Alice e Isa avrebbero potuto, almeno finché la neonata non fosse stata pronta, sentirsi telefonicamente, chattare o addirittura vedersi tramite webcam. Isa ne sarebbe stata felice e Alice avrebbe potuto trarre giovamento sia per riacquisire la memoria sia per rimanere attaccata alla sua umanità.

Fatto stava che quegli impegni per l’intera settimana mi avevano tenuto a distanza forzata dalla mia ragazza. Avevo avuto pochissime occasioni di vederla e, anche quando questo accadeva, lei mi era sembrata fredda, quasi distaccata. Non le era stato più permesso di venire a trovarci e non mi aveva mai più chiesto di Alice dal suo risveglio. Anche se non potevo ancora leggerle nel pensiero sapevo che stava soffrendo per ciò che era successo alla sua amica. Volevo darle modo di liberarsi della sofferenza e speravo di farlo dicendole che Alice aveva chiesto di lei e che avrebbe potuto parlarci. Non vedevo l’ora di darle la notizia.

Avevo fatto in modo che sapesse che quel venerdì avrei avuto finalmente il pomeriggio libero. Carlisle, che era riuscito a spostare i suoi turni in ospedale, mi avrebbe sostituito. Probabilmente peccavo di egoismo verso la mia famiglia ma sentivo il bisogno di staccare da tutto. Dai pensieri sanguinari di Alice e dai tormenti amorosi di Jasper. Stare con Isa era esattamente quello che mi ci voleva. Non potevo fare a meno di lei, come la mia dose di eroina preferita.

La lontananza, come una bomba ad orologeria, non aveva fatto altro che aumentare il mio desiderio di stringerla, baciarla, respirarla… possederla. Mi mancava oltre il lecito e l’unico modo per lenire il mio tormento era quello di toccare la sua pelle, di sentire il suono dei suoi gemiti. Mi ritrovai eccitato, come uno stupido, solo al pensiero di lei svestita.

Cercai di calmarmi e le inviai un messaggio per avvertirla che sarei presto arrivato a casa sua.

Abbottonai la camicia e saltai con un balzo dalla finestra per attraversare di corsa il bosco.

Mentre correvo, fendendo l’aria intorno a me, il segnale acustico del telefonino mi avvertì che era arrivato un messaggio. Sorrisi tra me e me, carico di aspettative. Ma la delusione prese presto posto all’euforia. Era Isa. Diceva di essere spiacente, ma aveva già detto ad Angie che avrebbe passato l’interno pomeriggio con lei, oggi.

Sospirai frustrato e di nuovo, la coscienza di essere essenzialmente una persona egoista si impadronì di me. Avrei voluto Isa tutta per me senza considerare che Angela, che piangeva ancora la morte di Alice, ne aveva più bisogno.

Deviai per la biblioteca, decidendo di prendermi comunque un pomeriggio di riposo. Il luogo non era ancora molto frequentato e la tranquillità che vi si respirava lo avevano promosso come posto prediletto, dopo la radura.

Passai il dito sui tomi contrassegnati dalla lettera “H”. Tra titoli più che familiari, prelevai un’opera di Hesse. Ma il volume quasi non mi cadde dalle mani quando il mio sguardo si posò al di là degli scaffali dedicati alla letteratura straniera.

« Ciao Edward », farfugliò dolcemente Angela accortasi di me, venendomi incontro con una breve corsetta.

« Angela », la salutai a mia volta, sorridendole senza mostrarle i denti. Evitai di chiederle di Isa perché era evidente che non fosse con lei e che non avesse la minima idea di dove fosse.

« Isa? », mi domandò, infatti, innocentemente.

« Scusami », la superai eludendo la sua domanda e lasciandole tra le mani “Siddharta”, « mi sono appena ricordato di una cosa… », la liquidai, dandole le spalle.

Mi guardò stranita per un momento prima di fare spallucce.

Una volta fuori l’edificio, cercai inutilmente di chiamare Isa al cellulare.

“ In questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e forse sarete richiamati…”.

Riattaccai e quasi non mi feci sopraffare dalla voglia di accartocciare il telefono in una mano.

A lunghe falcate raggiunsi il piccolo sentiero dietro la struttura e, dopo essere stato sicuro che non ci fosse anima viva nei paragi, mi lanciai in una folle corsa. Destinazione: casa Swan.

Avevo urgente bisogno di parlare con Isa anche se la collera che mi scorreva nelle vene non prometteva nulla di buono.

Perché mi aveva mentito? Cosa era successo? Avevo fatto qualcosa di sbagliato? L’avevo ferita? 

Gli scenari di mille possibili congetture mi tormentarono durante tutto il tragitto e i propositi di calmarmi non si concretizzarono affatto. Doveva centrare qualcosa con il suo strano comportamento. A qualche decina di metri dalla meta, ordinai alle mie gambe di rallentare. Proseguii camminando, cercando di darmi un contegno.

La finestra di Isabella era chiusa e dalla casa non proveniva nessun rumore, segno che fosse deserta. Il pick-up non era parcheggiato nel piazzale così come la volante della polizia.

Sentii il mio cuore senza vita nel mio petto lacerarsi.

Doveva senz’altro esserle successo qualcosa, magari mentre cercava di raggiungere Angela. Non era da lei mentirmi. Mi ammonii solo per averlo pensato.

Ripescai il mio cellulare dalla tasca e provai a telefonarle nuovamente. La sorpresa fu grande quando sentii la suoneria del suo telefono provenire dalla sua stanza.

Strabuzzai gli occhi e balzai felino sul davanzale della sua camera. Attraverso la tendina colorata non riuscii a vedere all’interno della stanza. Il cellulare continuò a squillare finché la voce registrata di Isa non interruppe la suoneria.

Forzai la finestra e riuscii ad entrare. La facilità con cui mi ero introdotto in casa sua mi fece riflettere sul fatto che lei non fosse mai del tutto al sicuro, se non con me.

Se da un lato fui più che sollevato da non trovare il suo corpo privo di vita, dall’altro la mia mente continuava a interrogarsi su cosa potesse esserle successo. Investigai ma in cucina non c’era traccia di nessun biglietto e nemmeno in camera sua.

Paranoico oltre ogni limite e senza nessun’altra possibilità, decisi di affidarmi al segugio che era in me anche se sapevo che avrebbe significato abbandonarmi totalmente alla mia natura di vampiro.

Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla scia del suo inconfondibile odore, impresso indelebilmente nella mia testa. Sentii le narici bruciare e i polmoni riempirsi del suo dolce profumo. Ingoiai un fiotto di veleno e mi lanciai sulla pista che avevo fiutato. Corsi costeggiando la strada principale scrutando contemporaneamente nella mente di chiunque si trovasse nel raggio del mio potere in cerca di informazioni utili.

La mia corsa terminò bruscamente. Frenai puntando i piedi sul terriccio umido quando mi accorsi di stare per superare il confine dei Quileute. Il loro fetore ne era una chiara indicazione, segnalava una linea di demarcazione del loro territorio.

« Dannazione », ringhiai tra i denti.

Purtroppo secondo un accordo stretto coi natii indiani d’America di L.A. Push non mi era concesso oltrepassare quel confine.

In altra circostanza l’avrei fatto comunque, rischiando persino di rompere quel patto lungo un secolo, ma dopo la recente trasformazione di Alice che non avevano certo gradito, non potevo rischiare di dare loro il pretesto che stavano tanto cercando per sfociare in una guerra. L’ incognita neonata e l’assenza di Emmett ci avrebbero nettamente sfavorito, senza considerare l’ipotesi che forze più potenti avrebbero potuto scomodarsi per ripristinare l’equilibrio e questo non sarebbe stato positivo per nessuno di noi, compresa Isa.

Abbandonai un sommesso ringhio al vento come avvertimento e in un attimo sparii.

Forse il fatto che fosse con il suo amico Jacob Black e che non fosse caduta vittima di chissà quale disgrazia o calamità naturale, avrebbe dovuto tranquillizzarmi, in qualche modo, ma non riuscii tuttavia a placare la collera che mi accecava. Non riuscivo a saperla del tutto al sicuro con lui. In fin dei conti i mutaforma erano ben noti per il loro scarso autocontrollo. E poi il fatto che Black e Isa condividessero quell’amicizia così intima...

In sostanza mi rendeva le cose più difficili. Non avrei potuto ucciderlo senza imbattermi nell’odio di Isa.

Tornai nella sua stanza, decidendo di aspettarla lì, circondato dalle sue cose e dal suo odore.

 

 

[ Isabella Swan ]

 

Scostai i capelli umidi di sudore dalla fronte e mi sporsi dal letto per vedere che ore fossero. Le cifre rosse lampeggianti sulla radiosveglia indicavano che fossero da poco passate le tre di notte. Sbarrai gli occhi e cercai di alzarmi dal letto ma la morsa del braccio bollente e massiccio di Jay mi resero le cose un tantino difficili. Dopo diversi tentativi, riuscii a scivolare sotto il suo arto e a divincolarmi dal suo corpo.

Lo guardai nella penombra della stanza. La sua figura occupava gran parte del letto perciò non mi stupii di aver dormito così male. Era talmente grosso che i suoi piedi sconfinavano oltre il materasso.

Non era la prima volta che condividevano il letto ma, osservandolo, mi resi conto di quanto il mio migliore amico fosse cambiato. Il suo corpo, coperto solo dai pantaloncini, era quello di un uomo adulto. Alto, muscoloso e possente. Sudato e peloso. Caldo ed accogliente.

Le mie guance s’imporporarono pensando a lui in quel modo, così differente da prima. Portai la testa da un lato pensando a quando eravamo piccoli e a quanto anche i nostri problemi lo fossero…

Recuperai le mie cose da terra e uscii dalla stanza. Tentare di svegliarlo era del tutto inutile. Anche se me l’avrebbe fatto pesare, ero in grado di tornare a casa da sola. Non c’era nulla che poteva capitarmi, a parte imbattermi nel mio ragazzo vampiro, s’intendeva…

 

Aspirare l’aria di un palloncino e riempirlo dei propri pensieri. Jacob aveva quest’effetto su di me. Con lui i miei problemi si annullavano, come quando ero bambina. Peccato che al risveglio quest’ultimi erano già tornati, più pressanti e dolorosi di prima, a bussare alle porte della mia testa. Portai una mano alla fronte come per frenare l’emicrania che mi stava martellando le tempie.

Durante il tragitto fui sollevata di non essermi imbattuta in Edward che, a quanto pareva si era bevuto la storia di Angela.

Aprii la porta d’ingresso e, con le scarpe in una mano, salii lentamente le scale per non svegliare Charlie. Ma non perché temessi una ramanzina; affatto, ero certa che anche se fossi rincasata il pomeriggio successivo non avrebbe battuto ciglio. Non sapevo per quale motivo, ma nutriva per Jacob una sorta di ammirazione. Mi stupii di non sentirlo russare, così mi ricordai che non era nemmeno in casa considerato che il venerdì aveva il turno di notte.

Nella mia camera il letto era vuoto e assolutamente intatto. Respirai quel silenzio, socchiudendo le palpebre pesati e stanche. Quando le riaprii, il mio cuore quasi non si fermò. I miei occhi si posarono su quelli di Edward, seduto nel buio sulla sedia a dondolo.

Perfettamente immobile mi guardava senza lasciare trasparire alcuna emozione. Boccheggiai in cerca d’aria e, con la scusa di posare le scarpe a terra, mi voltai per eliminare il contatto visivo con lui.

Riempii i polmoni d’aria sentendo ancora il suo sguardo trafiggermi la schiena.

« Senti, Edward… », mi voltai nella sua direzione posando le mani sul viso, « tutto ciò di cui ho bisogno adesso è una doccia calda e un po’ di riposo », portai le mani nei capelli come a volerli raccogliere in una coda alta e terminai la frase, sperando di posticipare quella che aveva tutta l’aria di diventare una furiosa discussione.

Edward non parlò ancora, limitandosi a guardarmi con i suoi occhi luminosi come fari. Mi morsi il labbro, aspettando pazientemente che si muovesse. Temevo che se avessi fatto una qualsiasi mossa o avessi anche solo aperto bocca, lui sarebbe esploso. Potevo sentire il mio cuore risuonarmi nelle orecchie e mi domandai mentalmente se non fossi proprio io quella a sgretolarsi sotto il suo sguardo.

Per una volta avrei voluto essere io quella a leggere nella mente, per sapere i suoi pensieri in quel momento.

« Dove sei stata? », domandò rompendo il silenzio e sentii le sue parole pesare sulla mia testa, come la lama di una spada dietro la nuca.

« Ho dormito da Jacob », risposi, sottolineando la parola “dormito”.

Osservai il suo volto contrarsi in una smorfia di dolore e sentii le gambe cedermi.  

« Hai addosso il suo odore! », sentenziò con una furia ceca che mi ferì.

« Ti ha toccata? Rispondi! », sollevò la sedia a dondolo e la scagliò contro il muro opposto, sbriciolando il legno in mille pezzi. L’osservai spaesata e impaurita pensando di avere a che fare con un estraneo. L’avevo visto nutrirsi e sapevo quanto fosse smisurata la sua forza, eppure non l’avevo mai visto così… eroso dalla gelosia. Non ebbi nemmeno il tempo di risentirmi sotto il peso della sua accusa.

« Ti ha toccata? », domandò nuovamente. Le sue labbra tremavano e i suoi occhi fiammeggiavano come fuochi in attesa di una risposta.

« No! », gridai.

Solo allora mi resi conto di tremare. Per quel lunghissimo momento temetti per il mio migliore amico. Avrei tanto voluto chiudere gli occhi e non essere costretta a sopportare un attimo di più di vederlo in quel modo. Distrutto.

In un attimo fu davanti a me. Indietreggiai fino a cozzare contro il muro. Ma ovviamente Edward fu più veloce e mi afferrò i polsi, bloccandomi nella sua morsa fredda, senza via d’uscita.

« Perché mi hai mentito? Hai idea di quanto fossi preoccupato per te? Di quanto fossi stato vicino a venirti a prendere?  », la sua furia espose contro di me. Non c’era più niente di calmo o misurato in quello che diceva, nella forza con la quale tratteneva il mio corpo limitato tra lui e il muro dietro. Ebbi come l’impressione che sarebbe stato più facile scappare scavando con le unghie nella parete, piuttosto che superare lui.

Mi resi conto di stare piangendo solo quando le lacrime calde bagnarono le mie labbra. Edward non sembrava farsi impietosire nemmeno da quelle, per cui gli sputai la verità in faccia, riversandogli la mia rabbia.

« Proprio tu parli di mentire? Quando pensavi di dirmi che dovrete lasciare Forks? », sentii la sua presa farsi più lieve a quelle parole e osservai i suoi occhi sbarrarsi per la sorpresa di essere appena stato scoperto, « O forse pensavi di non dovermelo dire affatto? Avresti lasciato la città senza dirmi nulla, come se non fossi mai esistito? », la voce mi si spezzò in gola come se avessi appena ingoiato un pezzo di vetro.

Ammetterlo a voce alta aveva solo contribuito a renderlo più reale e più amaro di quanto già non fosse. Avrei voluto urlargli che lo odiavo ma quelle parole non sembravano volere uscire dalle mie labbra, come se facendolo avessi bestemmiato. Detestavo il fatto di non riuscire minimamente ad odiarlo, nonostante il male che mi stava facendo e che ero certa non si sarebbe mai potuto rimarginare.

Volevo solo che tutto finisse il più velocemente possibile. Non avrei potuto sopportare di respirare ancora il suo odore, un attimo di più.

« Vattene via! Vattene. Ora », riuscii a dire tra le lacrime.

Infondo gli stavo rendendo solo le cose più semplici. Non aveva avuto il coraggio di farlo lui, così adesso lo stavo lasciando io. Lo affermai con convinzione cercando di racimolare tutta la forza per vederlo andare via dalla mia finestra per l’ultima volta, col mio cuore tra le mani.

« Isa », mi chiamò. Il suo tono di voce si era addolcito.

« No, no, no», urlai cercando di divincolarmi dalla sua presa. Non volevo sentire nessuna scusa, nessun’altra bugia e non volevo che usasse il suo potere ammaliante su di me.

« Isa, Isa, ti prego », disse sfiorando il profilo della mia guancia bagnato dalle lacrime.

« Non toccarmi! », lo fulminai.

In tutta risposta mi bloccò nuovamente, incollando il suo corpo contro il mio. « Non vado da nessuna parte, senza te », sibilò.

Mise una mano tra i miei capelli, facendomi inclinare la testa all’indietro e costringendolo a guardalo negli occhi.

« Come puoi averlo anche solo pensato? », mi domandò rabbioso, « Come puoi pensare che ti lascerei? ». Respirò sulla mie labbra dicendo qualcosa che non riuscii a comprendere ma che somigliava tanto a “sei la mia vita”.

« Come devo dirtelo che ti amo? », nei suoi occhi leggevo la preghiera di credergli perché non c’era niente di più vero dei sentimenti che provava per me.

« Ti amo », mugolai poiché la stretta nei miei capelli si era fatta più forte e in tutta risposta incollò le sue labbra alle mie, senza lasciarmi fiato. Il bacio fu, fin da subito, di un’urgenza mai vista. Si cibava delle mie labbra, avido, desideroso di averne sempre di più. Avrei voluto dirgli  che ero solo sua, sua e di nessun altro ma non mi permetteva di staccare le mie labbra dalle sue, così non trovai altro modo di dimostrarglielo che cedere al suo tocco.

Ah, quanto mi erano mancati i suoi baci! Pregai perché questo non finisse mai, anche se avrebbe significato non respirare più.

Le sue mani scesero sui miei fianchi e mi accarezzò attraverso il vestito. La mia pelle al di sotto sembrava scottare. Inarcai la schiena in modo da far combaciare i nostri bacini. Gemette dal desiderio e con forza mi strappò il vestito di dosso. Non me ne importò, non m’importa di nulla che non fosse lui in quel momento.

Scese a baciare la mia mandibola e poi, più giù la cavità del mio collo facendomi boccheggiare dalla passione.

Senza che potessi rendermene conto, ridusse a brandelli anche il mio intimo, lasciandomi nuda alla sua completa mercé.

Si staccò per osservarmi meglio e nei suoi occhi lessi il puro desiderio di possedermi. Temevo, che non avrei resistito tanto a lungo se avesse continuato a guardarmi in quel modo. Mi morsi un labbro, pregustando il momento in cui questo sarebbe avvenuto.

Si liberò anche lui dei vestiti tanto velocemente da non lasciarmi nemmeno il tempo di elaborare la cosa. Mi strinse nuovamente tra le braccia. Sospirai di piacere e infilai le mie dita tra i suoi capelli, attirandolo verso la mia bocca. Le nostre lingue si trovarono. Presi la sua tra le labbra e la succhiai avidamente.

Volevo che mi prendesse in quel momento, lì, contro il muro ma si limitò a baciarmi lasciandomi consumare nel fuoco dell’eccitazione. Mi strisciai contro di lui. Un altro po’ e l’avrei supplicato.

« Avevi detto che avevi bisogno di una doccia, prima », disse e non mancai di notare il perverso sorrisetto impresso sulle sue labbra, « Bèh, sono d’accordo », mosse il naso come se gli pizzicasse.

 

Mi scagliò sotto il getto dell’acqua della doccia ancora fredda. Senza alcuna delicatezza strinse i palmi delle mani attorno al mio sedere.

« Edward », lo pregai svergognatamente.

Mi accontentò subito. Prendendomi.

« Sei mia », ansimò mentre i nostri corpi scivolosi si univano con urgenza, possesso, amore.

Mi aggrappai con le unghia alle sue spalle, arcuando la schiena e accompagnando i suoi movimenti con il mio bacino. Ero maledettamente vicina all’orgasmo più potente che avessi mai provato.   

« Edward, ancora, di più! », gemetti spudoratamente.

Uscì improvvisamente dal mio corpo, ancora insoddisfatto, ma prima che potessi lamentarmi mi afferrò i fianchi e mi fece girare su me stessa. Gli schizzi dell’acqua calda mi solleticarono la schiena.

Gemette e ringhiò come non l’avevo mai sentito fare. Il solo fatto di sentirlo così, abbandonato al piacere, contribuivano ad aumentare le sensazioni positive che stavo provando dentro di me.

Edward era dentro di me, dentro le mie vene, dentro la mia anima.

Avvertii le sue mani dai miei fianchi scorrere lentamente lungo la mia schiena, sfiorò il profilo dei miei seni e salì fino a bloccare le mie mani tra le sue sopra la mia testa, sul vetro della doccia.

Il freddo del suo corpo in contrapposizione al calore dell’acqua, mi fecero venire i brividi.

Le sue dita scivolarono lungo il mio ventre e cominciò a stimolarmi. Edward mi stava donando un piacere senza confini.

Venni in quel modo, con Edward che mi stimolava su due fronti, urlando di piacere.

Non mi sembrava più di ricordare nemmeno come mi chiamassi. Ero più che convinta che fosse Edward a reggermi ancora in piedi. Ripresi fiato tra le sue braccia, mentre l’acqua scivolava tra i nostri corpi nudi e ansanti.

Il mio vampiro mi prese tra le braccia e mi portò, ancora nuda e fradicia com’ero nella mia camera. Osservai tutto quello sgocciolamento sul pavimento dietro le nostre spalle, sorridendo ancora stordita. Mi convinsi che avrebbe pensato lui ad asciugarmi e a mettermi tra le coperte. Mi depose infatti sul copripiumino e feci appena in tempo ad osservarlo inarcare un sopracciglio bramoso. Si sistemò sul letto ancora nudo ed eccitato e cominciò ad imprimere sul mio corpo una scia di baci mentre io giocavo con i suoi capelli bagnati. Poi si inginocchiò all’altezza del mio bacino e leccò con la punta della lingua la pelle dell’interno coscia provocandomi i brividi.

Sbarrai gli occhi dalla sorpresa quando sentii la sua lingua scivolare nel mio ventre, facendo risvegliare subito la mia voglia di averlo. Mugolai indispettita e lui rise birichino. Forzai perché si scostasse da lì ma la mia convinzione cedette immediatamente, conquistata dai suoi movimenti. Non mi restò che abbandonarmi totalmente a lui.

« Mmm… », miagolai, trattenendo le mie labbra dall’emettere altri gemiti. Strinsi i suoi capelli nei miei pugni mentre mi portava pericolosamente vicino al limite.

Edward si tolse poco prima che potessi raggiungere il secondo orgasmo della giornata.

Mi misi in ginocchio, guardandolo desiderosa negli occhi. Mi condusse su di lui, ormai impaziente. Presi il suo viso tra le mani e lo baciai ripetutamente sulle labbra mentre, con lentezza estenuante mi sedevo su di lui. Mi piaceva condurre il gioco. Ringhiò sommessamente mentre lo osservavo abbandonarsi al piacere più profondo. 

Invertì le posizioni e ed entrò nuovamente in me, sovrastandomi col suo corpo.

« Isabella », gemette chiamandomi col mio nome per esteso mentre raggiungevamo insieme l’ orgasmo. Il mio corpo fu scosso da una violenta onda di piacere e mi abbandonai tra le sue braccia.

Scostò i miei capelli dal viso, baciando dolcemente le mie labbra.

« Sei bellissima », sussurrò sulle mie labbra.

Risi, consapevole di non essere nemmeno paragonabile a lui.

« Sei pronta? », mi domandò, « non abbiamo ancora finito… ».

 

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Eeehh, quanto adoro i litigi che terminano in questo modo!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto alla nostra Isa. Era da un po’ che non aggiornavo la versione hot della fic.

Direi che ogni tanto ci vuole, no?

Spero di non aver esagerato troppo. Lasciatemi il vostro parere, please!

 

 

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Come sempre un GRAZIE a chi ha inserito la ff tra le preferite/seguite e chi legge in silenzio.

Invito chi non l’avesse ancora fatto ad iscriversi.

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