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Autore: Il_Bardo    27/03/2012    0 recensioni
Quercea, terra vasta e fertile, idilliaci paesaggi, amene colline e bianche pianure.
I regni di Quercea ospitavano fin dai tempi antichi la civiltà delle Driadi, che vivevano nel silenzio della natura assieme alle civiltà umane, in numerosi villaggi e corti disseminati su tutta la penisola. Shyawdra, una ragazza umana fin da piccola abituata alla polvere sul viso e al duro lavoro di servitrice, scoprirà come la sua vita e il suo destino saranno indissolubilmente legati a quello dei regni di Quercea, minacciati dal timore e l'odio che l'umanità ha per il diverso può partorire...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La primavera tardava il suo arrivo.
Le ramaglie di ogni genere di alberi, dai più sottili, esili e giovani arbusti, alle secolari quercie, si intrecciavano in una trama che bramava di risalire al cielo sfregiato del grigiore di fine inverno.
Le gemme su quei sottili rami erano avvolte più volte su se stesse, pronte a ricevere il tepore del sole primaverile per aprirsi, ma la brezza fredda le rendeva marmoree.
Uno strano vento freddo soffiava lieve sulle valli di Ederia, collegate fra loro. Incuteva disagio a qualsiasi essere avesse avuto la sfortuna di accarezzarne le pungenti sferze. Sembrava vivo, e voleva acquietare quelle valli, voleva acquietare la vita che ritardava il suo risveglio.
Il frumento aveva oramai preso il posto dei campi spogli di cavoli, era stato piantato da settimane.
La luna brillò quindici notti sulla gemma consegnata a Shyawdra da una driade sconosciuta.
Con il passare dei giorni notava la rosa accrescersi, e aggrovigliarsi su se stessa, formando un groviglio verde e scintillante, che risaltava su quella roccia cupa sotto di esso.
Non aveva mai avuto il coraggio di toccarlo, tanta perfezione non andava oltraggiata, avrebbe aspettato qualche giorno in più prima di tentare di esaminare il risvolto di quel monile.
Quei cinque giorni furono uno, li passò tutti nei campi, coperta da una giacca leggera di povero tessuto, il massimo che poteva permettersi la sua famiglia.
Sarchiava il terreno dei campi dei nobili di Eedra, eliminando le erbacce che intrepide cercavano di affiorare e sopraffare i teneri germogli di grano.
Provava compassione per quei piccoli garbugli verdi, che come un istinto primordiale emergevano, desiderose anche loro di vivere la propria vita.
Le sfilava delicatamente preservando la radice che a volte di alcune se ne spezzava qualche piccola parte, poco importava, avrebbero sicuramente ricacciato dopo il trapianto nel piccolo pezzo d'orticello accanto casa sua.
Perchè lo faceva, a dire il vero nemmeno lei ne era conscia, sentiva un bisogno in se stessa di prendersi cura di altre anime più deboli di lei, quelle malerbe.
Il sesto giorno, mentre Shyawdra riattraversò il boschetto per tornarsene a casa a pranzo, notò un trambusto nelle vicinanze della piazzola del villaggio.
Al centro della piazzola era sistemato da decenni un Faggio forte e ogni anno sempre più rigoglioso, avvolto totalmente dall'edera con cui sembrava riuscire a convivere. Un faggio, e un'edera aggrovigliata come in un abbraccio su di esso, sembravano un marito ed una moglie felici di stare assieme, venne chiamato secondo la tradizione dei dintorni "Il Faggio degli amanti".
Nonostante con il tempo quel gioiello della natura veniva sempre di più onorato e protetto come fosse un simbolo di prosperità, quel pomeriggio notò sul suo tronco rugoso un fogliaccio svolazzante al vento.
Era inchiodato al ramo, nessuno aveva fatto nulla o toccato niente, sapevano che le guardie dei nobili che lo avevano affitto avrebbero fatto pagare loro qualsiasi gesto che fosse contro il volere dei sovrani di quel regno, al centro di Quercea.
Con caratteri perfettamente scritti da una mano colta con inchiostro nero e opaco, il foglio intimava gli abitanti a recarsi nelle loro case subito dopo il tramonto quella sera. Il coprifuoco sarebbe iniziato subito dopo che l'ultimo raggio del sole serale fosse scomparso nel lontano orizzonte. Un gruppo di Equinauti selezionato avrebbe setacciato il villaggio.
Shyawdra lesse anch'essa ciò che vi era scritto sul foglio, capendo a mala pena alcune parole, vista la scarsa istruzione ricevuta. Un'anziana saggia del luogo l'aiuto a leggere ciò che il foglio narrava.
Si soffermò all'ultimo pezzo del messaggio, "Spie" avevano avuto la stoltezza di chiamare le Driadi che altro non volevano proteggere e aiutare gli umani, che ben presto si sarebbero rivoltati scioccamente contro di esse. Quella sera volevano ispezionare il villaggio per trovare tracce di esse o del loro passaggio, o addirittura arrestare e giustiziare chi le aveva ospitate o aiutate.
La stoltezza legava perfettamente con la stupidità umana, Shyawdra questo lo sapeva, e sapeva anche che ciò sarebbe stato solamente il primo passo verso il baratro che stava inghiottendo con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni, Quercea.
Finì di leggere l'ultima sillaba dell'editto, mentre la prima goccia di linfa scivolava lenta e morente sulla carta, impregnandola.
Corse a passi veloci e rapidi a casa, chiudendo la porta, mentre sua madre stava cucinando la cena.
Salì uno dopo l'altro gli scalini della scala che portava nella mansarda, la sua camera, scostando il cuscino di piume sotto al quale vi era la pietra.
Sembrava aver radicato nel legno del pavimento, senza alcun problema o danno a perforarlo con delle radici nodose e intrecciate caoticamente fra loro.
Prese la pietra con entrambe le mani tirandola verso l'altro, ma sembrava aver fatto presa con il pavimento in maniera tale che era impossibile staccare le radici.
Non poteva rimuoverla da lì, ma se le guardie avessero visto quell'affare in casa sua, avrebbero sicuramente ghigliottinato i suoi genitori e a lei avrebbero tagliato le mani.
Non poteva certo coprirla con un banale cuscino, il bagliore che emanava era visibile anche con un'ammasso di piume sopra.
Corse subito di sotto, nel mentre di scendere uno scalino, inciampò improvvisamente, cadendo a terra.
Sua madre la soccorse lasciando il pentolone a bollire, « E'tutto apposto piccola mia?!.. »
Lei si rialzò debole e assalita dalle fitte di dolore, « Nemmeno un osso rotto, te lo giuro... ora però devo andare di fuori, è urgente.. »
Scostò le braccia della madre e rialzandosi prese mano al pomello uscendo senza tergiversare.
Il sole iniziava a scomparire, e i raggi che coronavano quel globo luminoso interrompevano il loro flusso quando incontravano le montagne.
Il crepuscolo era purtroppo sceso, e la spedizione di ispezionatori di equinauti era visibile a mezz'aria in lontananza, proveniente dal maniero.
Le torce che avevano in una mano, li rendevano vere e proprie comete che portavano con esse disagi e preoccupazione per la ragazza che iniziava a disperarsi.
Non sapeva cosa fare, correva da una parte all'altra del recinto di casa sua, cercando la soluzione per occultare il dono della creatura dei boschi che aveva incontrato.
Nonostante il panico mentre il gruppo di cavalieri in sella a cavalli alati si avvicinava, rispettava quelle minuscole  malerbe che aveva trapiantato in orto, senza mai calpestarle sotto i piedi che zompettavano il terreno.
Si fermò di scatto, mentre davanti a lei si ergeva il profilo oscurato di un cavaliere con in mano una torcia che rischiarava la sua figura.
Era un equinauta, con la mano libera che stringeva la cima della fodera in cui vi era inserita la sua rapier.
Capì da lì che un altro gruppo di ispezioni di equinauti era già arrivato e aveva già settacciato una parte delle case del villaggio e stava ora passando alla sua.
« Calmati, vogliamo solo ispezionare le vostre abitazioni per motivi di sicurezza del nostro regno. se non avete nulla da nascondere, allora non avete nemmeno nulla da tenere. », disse con aria autoritaria.
Lei rimase impietrita, rompendo la posizione quando si girò di scatto per vedere
Gli zoccoli dei cavalli alati del gruppo di Equinauti in volo che toccarono terra.
Le torce si radunarono, soppraggiungendo nel cortile di casa sua, riunendosi alla guardia che li aveva preceduti.
Uno di loro si fece avanti, avendo le stesse identiche armature era impossibile distinguerli uno dall'altro.
D'altronde, l'idiozia delle mentalità militari che prendevano piede nelle accademie d'addestramento, faceva credere alle reclute di Equinauti che solo avendo le stesse armature, senza distinguersi l'uno dall'altro, potevano eseguire gli ordini perfettamente, visto che non avrebbero dovuto più pensare come singolo, ma come intero esercito.
"Stupidi, nella loro autorità" pensò Shyawdra con il volto immusonito e astioso. Tratteneva la tensione e la rabbia e aprì il pomello facendoli entrare tutti, che erano più o meno un numero pari a 5.
« Se volete prima controllare il piano terra... » Disse shyawdra per prendere tempo e riflettere, mentre i genitori impassibili aspettavano la fine dell'ispezione.
Prima sollevarono delicatamente qualche sopramobile, poi senza pensarci due volte, continuarono l'ispezione, ma rivoltando tutto ciò che era sistemato nelle stanze.
Rivoltarono i mobili, gli arnesi, ribaltarono sedie e tavoli con sopra tutte le varie posate e bicchieri che si frantumarono a terra.
La madre urlò per istinto ma il marito l'abbracciò e con una mano le chiuse delicatamente la bocca. Niente sgarri o avrebbero perso un dito come minimo, conoscevano la filosofia delle guardie e dei relativi nobili del casato dei Eedra che li avevano mandati.
Distrussero tutto ciò che era frangibile, ruppero tutto ciò che era in grado di rompersi, lasciando cadere a terra ciò che resisteva ai colpi e alle manate.
Sfilarono le rapiere, i genitori e la ragazza si fecero da parte vicino al focolare ancora integro con il pentolone che ribolliva, cui bollore faceva da sottofondo a quel deplorevole scenario.
Gli equinauti erano riconosciuti come guardie valorose che mai torcevano un capello anche al più povero e umile.. eppure con gli anni e con le nuove mentalità diventavano sempre più le mani con cui i nobili incapaci manipolavano le loro genti, e impassibili eseguivano gli ordini.
Infatti nel silenzio, con solo il rimbombo del ribollore della zuppa, continuavano lo scatafascio di tutto ciò che si trovava al piano terra.
Su un tavolo presero una borsa con qualche moneta che serviva alla famiglia per mantenersi con le spese, e se le intascarono, risuonando con l'oro delle placcature della loro armatura. La loro ricchezza non gli bastava, rubavano per il gusto corrotto di possedere... e di togliere agli altri.
Si avvicinarono a loro con le spade affilate e sottili sguainate,
poi in tre presero il pentolone e lo rivoltarono a terra, facendo fuoriuscire il contenuto, la cena di quella famiglia.
Rialzarono il capo, e li fissarono con un ghigno, « C'è altro di sopra?! dove sono le scale?!» esclamò il capo di loro, e Shyawdra con un coraggio non suo disse sottovoce indicando le scalinate « Per di là.. »
Subito si diressero agli scalini, salendo in soffitta, profanando la camera della fanciulla.
Sentì un'impulso di svenimento sulla schiena che passò anche per gli occhi annerendo la vista per qualche attimo,
si accasciò a terra, mentre le forze l'abbandonavano al sapere che avrebbero scovato ciò che cercavano in soffitta.
Le prime piume svolazzarono di sotto, i muscoli della fanciulla ripresero vigore, scattando verso le scale.
Le percorse fino a ritrovarsi in mansarda, dove quei soldati con le spalle abbassate per via del tetto sforavano tutti i cuscini e laceravano le poche e leggere coperte bianche che aveva.
Fece una breve corsa, avvolgendo con il suo corpo la pietra prima che potessero vederla.
Si chiuse a riccio su di essa, non curante dei calci che stava subendo.
« Togliti di lì, facci vedere di cosa si tratta o tra qualche momento ti taglieremo di netto la testa! » Sbraitò lo stesso di loro che parlò prima.
Lei non cambiò atteggiamento, le lacrime rigarono il viso appoggiandosi sui fusti del groviglio di quelle rose che sotto di lei pian piano le si avvolgevano al corpo.
Vide un bagliore verdastro, e anche le guardie lo videro.
Quel bagliore era l'aura che circondava quel groviglio di rose che come serpenti si intrecciava e diramava per tutto il suo corpo.
Lei non sentì stringere più nulla fra le sue mani, si rialzò dunque girandosi verso di loro, spaventata.
Erano anch'essi fermi, rimuginavano sul da farsi.
Videro però che delle scie verdastre si intersecavano qua e là le braccia della ragazza, quelle scie che erano i fusti diramati di quelle rose verdi si diramavano luminose sul suo corpo, avvolgendolo per proteggerlo come una vera e propria armatura.
Più che un'armatura sembrava un corsetto, un abito,
un abito di rose che perse il bagliore, rivelando la sua concretezza e tangibilità, era assolutamente reale, non un'illusione.
Quella era una stregoneria di una Driade, lampò loro in mente,
sul loro viso si dipinse uno sguardo di minaccia e aggressivo, avventandosi su di loro, sbattendo i piedi per incuterle timore evitando qualsiasi reazione.
Lei, li fissava e in quei pochi attimi, capì tutto di loro, di ciò che le era successo, di ciò che stava per compiere...
Era diventata una Driade.
Non più una semplice umana, una driade, spirito dei boschi, madre di ogni pianta.
Le rose sul suo corpo non erano abiti, era la sua pelle ora mutata direttamente a contatto con la natura, che le aveva donato una nuova pelle, la sua corteccia avvolta da rovi, spine e rose, che l'avrebbe protetta.
I Suoi capelli marroni invece, man mano si assottigliavano, diramando fogliame verde e candido.
Una driade, che tese un braccio in avanti.
Sembravano schegge di diamanti, la miriade di foglie che si sparsero per tutta la stanza, apparse come dal nulla, apparse invece dalla sferzata di un vento rapido tagliente come lame di spade, scagliato da Shyawdra ora capace di utilizzare tutto ciò che la natura aveva messo lei a disposizione.
Non appena le foglie raggiunsero il pavimento, la polvere che si era alzata si dissipò, mostrando la stanza con un enorme frattura sul muro dell'altro lato della camera.
Si avvicinò in silenzio a loro, le sue gambe affusolate costellate di intrecci d'edera e foglie toccavano dolcemente il legno con una leggiadria innaturale.
Il legno sotto di lei non scricchiolava come suo solito, non fece un singolo rumore fino all'arrivo della giovane driade dai guardiani praticamente scagliati e inermi al di fuori del muro, la frattura ne era la prova.
Si sporse all'infuori della parete, cercando di capire dove fossero finiti. Dunque si chinò, fece presa con la mano destra. Dalla trave spuntarono piccoli viticci legnosi che avvolsero la mano, assicurandola ulteriormente.
Scese pian piano e impacciata dal muro, mentre nello stesso tempo i viticci si allungavano e si contorcevano per agevolarle la discesa di qualche piede.
Toccò terra, nelle tenebre della notte fu facile per quelle guardie fondersi con esse e tendere un agguato.
La quiete del villaggio quella sera si interruppe non appena la ragazza ebbe l'idea di girarsi:
Si trovò circondata da quei cinque uomini ogniuno di essi almeno il doppio più grossi di lei.
In mente sua si annuvolò il panico, che a stento riuscì a trattenere.
Lì fissò ferma e impassibile, fin quando uno dopo l'altro sfilarono le spade sottili dalle loro fodere.
Il suono tintinnante dell'acciaio la fece rabbrividire.
A passo netto si stavano avvicinando, lei ancora ferma rifletteva su cosa fare, nonostante gran parte della sua mente fosse offuscata dal terrore.
"mi decapiteranno non appena riusciranno ad arrestarmi.."
Frasi del genere iniziarono ad affiorarle nella testa,
"ah.. non riuscirò a vedere l'alba di domani..."
"sono circondata da gente che vuole uccidermi.. ma se li uccido prima io..."
Queste ultime parole rimbombarono diversamente dalle altre, furono proprio tali a permetterle di reagire in quella situazione.
Erano a pochi passi da lei, le saltarono tutti contro con un rapido scatto accompagnato da una smorfia facciale sadica, non appena notarono che stava per muoversi.
Lei fece qualche passo indietro, andando a sbattere inevitabilmente con il muro della sua casa.
Si accasciò a terra, le lacrime già erano pronte a scorrere sui suoi zigomi verdastri, con una mano si coprì la faccia sperando stupidamente di non essere lì, l'altra la puntò avanti a se con l'istinto di darsi una protezione.
Gli equinauti cadderò da soli, da un attimo all'altro, niente li aveva spinti o colpiti, il mondo sembrava essere scomparso sotto i loro piedi.
Erano a terra di nuovo inermi, il tanto onore e gloria che cercavano di dimostrare come cavalieri reali era sparito in loro da almeno un bel pezzo.
Erano rimasti cinque patetici umani, privi di forza di volontà per fare qualcuno dei loro "gesti eroici" per i quali ricevevano tributi pagati dagli umili contadini.
In realtà, ciò di cui avevano paura erano degli strani esseri, privi di occhi bocca e naso, addirittura del volto stesso ; erano degli umanoidi dal corpo affusolato, completamente composti di legno su cui strati e strati di folto fogliame crescevano assomigliando ad una vera e propria armatura.
Non avevano volto, ma avevano sul capo folte foglie che a Shyawdra furono familiari.
Guardò il terreno nel punto da cui sembravano usciti, ed era lo stesso in cui aveva piantato le malerbe trovate in quel campo di grano.
Sembravano voler rendere grazie del suo gesto, e l'avrebbero difesa contro quegli ignobili soldatini privi di qualsiasi cosa.
Strana fu la sensazione che provò Shyawdra, vista la corruzione che dilagava nella società umana di quei regni, motivata dall'imminente rappresaglia contro le driadi, ora nessuno conosceva più il vero Valore.
In confronto al volto privo di lineamenti di quegli umanoidi nati da piante, capiva che erano vuote le facce di quegli Equinauti, rispetto alle loro.
Quelle creature non persero tempo a correre contro di loro, con dei movimenti indubbiamente anormali, si distorcevano e si snodavano come fossero dei serpenti, non appena erano ad una discreta vicinanza si lanciarono letteralmente, bloccandoli con una stretta di braccia.
Una volta che gli furono addosso, dai loro corpi nodosi fuoriuscirono innumerevoli rampicanti che avvolserò completamente i corpi degli uomini, lasciando al fogliame che si sviluppo in pochi momenti per coprirli del tutto. quei laggi vegetali li avvolgevano sempre più, annodandosi a loro più e più volte, le foglie  li ricoprivano come un'onda rinfrancava la battigia,
Gli uomini non si mossero più una volta interamente coperti, parevano quasi sicuramente morti di soffocamento.
Di loro, altro non restava che un piccolo gruppetto di corpi umani, affogati nel legno e nel verde delle foglie spesse, quei corpi che mostravano faccie digrignate che si intravedevano sotto lo spesso strato di folto verde.
Mummie verdi,
mummificate dalla terra stessa che li aveva generati.
Shyawdra per tutto quel tempo rimase in silenzio impietrita, ma tra se e se riconobbe di non mostrare pietà o compassione per loro, ma di se stessa.
Per i giorni successivi avrebbe avuto di che pensare,
Aveva sequestrato guardie reali, non appena se ne sarebbero accorti a corte avrebbero mandato tante altre guardie a verificare che fine avessero fatto, lei sapeva che prima o poi sarebbe stata certamente scoperta e ghigliottinata, anche se aveva qualcosa di ben più importante da preoccuparsi...
Nonostante fosse una Driade, baluardo della maestosità della natura stessa,
Li aveva uccisi.
  
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