<<
E’ questa la tua scelta? >> chiese
una voce cupa e profonda, roca e ruggente. Da dove provenisse non
saprei dirlo,
mi ritrovavo in un immenso nulla. Ero così leggera e
rilassata. Non vedevo
niente intorno a me, avevo gli occhi chiusi, era come essere immersi in
una
vasca piena d’acqua calda. Sentivo l’incessante
desiderio di rimanere lì per
sempre, non c’era niente che potesse scalfirmi, lo sapevo. Mi
sentivo al sicuro,
come un bambino nel ventre materno.
<< Apri gli occhi Sophia. E’ questo
ciò che
tu stai abbandonando. >>
Ancora
non capivo da dove provenisse la voce, ma non potei rifiutare il suo
invito e
lentamente aprii gli occhi. Con mia grande meraviglia non mi trovavo
immersa nel
nulla, come invece immaginavo. Ma intorno a me c’erano
alberi, piante ed echi
lontani, voci indistinte dall’animo allegro. Mi raddrizzai
senza che io facessi
niente, ero come mossa da una mano invisibile, e poggiai i piedi sulla
dolce
erba. Non riuscivo a capire dove mi trovassi ma sentivo che
c’era qualcuno in
quel luogo, dietro una siepe. Mi avvicinai e spostai le piante davanti
a me. Mi
trovai in cima a una montagna, il vento smuoveva i miei capelli ma non
lo
percepivo sulla pelle. Mi voltai lentamente e mi trovai in mezzo a un
accampamento improvvisato su quel cucuzzolo, in compagnia di volti che
conoscevo fin troppo bene. Anche la scena a cui stavo assistendo mi era
ben
nota. Boromir insegnava a Merry e Pipino a usare la spada, Aragorn
guardava
sorridendo e dando alcuni buoni consigli, Legolas guardava il panorama
tenendo
d’occhio la situazione intorno a loro, Gandalf pensava tra
sé e sé mentre Gimli
si lamentava che nessuno desse ascolto ai suoi consigli. Le loro voci
giungevano alle mie orecchie così sfumate, così
lontani. Non mi sentivo
appartenente a quel mondo.
Gli uccelli che ci avevano costretti a
nasconderci comparvero e mi voltai, spostando lo sguardo da Boromir e
dagli
hobbit a dietro di me, dove credevo di vedere arrivare le spie di
Saruman. E
invece mi ritrovai faccia a faccia con il Balrog a Moria, sul ponte di
Kazadum,
dove Gandalf era impegnato a combatterlo e impedirgli di raggiungere i
miei
compagni. Ancora una volta non mi sentii appartenere a quel mondo, mi
sentivo
un fantasma che guardava da esterno ciò che succedeva. Una
luce abbagliante mi
costrinse a chiudere gli occhi nel momento in cui Gandalf
puntò il suo bastone
al suolo, facendo crollare il ponte. Quando gli riaprii mi ritrovai in
piedi,
in mezzo alla foresta. Un lamento giungeva alle mie orecchie. Guardai
attraverso le fronde e lì vidi una macchia scura, una sagoma
indecifrabile che
piangeva sul corpo morto di un uomo. Sul corpo morto di Boromir. Avevo
visto
così tante volte quella scena e sempre aveva su di me un
grande effetto
emotivo, ma non quella volta. Non riuscivo a provare dolore,
solo…malinconia.
Una figura scura passò davanti a me, un orco mi
impedì di vedere ancora quella
triste scena, e quando si fu allontanato di fronte a me c’era
una vasta
prateria. Merry e Pipino sopra una roccia che parlavano mentre una voce
sofferente cantava. La melodia finì subito e da dietro una
roccia poco distante
dai due hobbit comparve di nuovo la stessa macchia scura, dal volto
coperto
dall’ombra.
Capii dove mi trovavo.
Stavo vagando senza meta nei miei ricordi,
osservando alcune delle scene più significative della mia
vita. Barbalbero
arrivò dalla mia destra e mi voltai a guardarlo. La prateria
si trasformò
improvvisamente in una vallata invasa dall’acqua. Di fronte a
me una grande
torre nera, ai piedi di essa dei cavalli con dei cavalieri. La solita
figura
oscura comparve dal balcone della torre e cadde giù nel
vuoto, afferrata appena
in tempo dall’Ent. Delle risa vennero dalle mie spalle e mi
voltai per vedere
da dove provenissero. Mi trovai in una stanza illuminata da qualche
candela e
invasa da uomini ubriachi che cantavano e ballavano. La maggior parte
di loro
era attorno a un tavolo e stavano facendo un gioco che conoscevo bene.
I calici
si alzarono. Urla e
risa. Una voce
femminile che rideva divertita. Nell’angolo Boromir osservava
la scena con la
compassione e la gioia negli occhi. Mi concentrai su di lui e ancora
una volta
l’ambiente cambiò trasformandosi in una foresta.
L’uomo si trovava sotto una
rete, ai piedi di alcuni cadaveri di orchi. Si avvicinò con
il solito sorriso
compassionevole e tagliò le corde della rete, afferrando al
volo la figura nera
e confusa che gli atterrò tra le braccia piangente. Il mondo
intorno a me
cominciò a vorticare così velocemente da rendere
tutto confuso, un insieme di macchie
e colori di cui l’unica cosa distinta erano le due figure al
centro, rimaste
ferme per tutto il tempo, con gli occhi fissi l’uno
sull’altra. Riuscii a
cogliere in quegli occhi cose che prima mai avevo visto: amore.
Le due figure si annerirono pian piano, cadendo
nell’ombra, mentre tutto intorno a me continuava a girare e
uno ad uno
comparvero altre sagome a me ben note.
Prima Gimli che severo si avvicinava alla solita
sagoma nera, che ormai avevo ben capito essere io, gridargli parole che
avevo
già sentito “Molto
incosciente
per essere una Signora della preveggenza!”.
Gimli si eclissò nella risata della
figura nera e al suo posto comparve Legolas con un sorriso amichevole
in volto
che sussurrava alla solita figura nera “Hai la mia parola,
non rivelerò a
nessuno il tuo segreto”. Ancora oscuramento.
Sam fece la sua comparsa nella confusione
di colori e macchie, seduto su una roccia, piangente. La figura scura
si
avvicinò a lui e posandogli una mano sulla spalla gli
sussurrò qualcosa che non
riuscii a sentire. Lo sguardo di Sam si alzò verso la figura
di fronte a lui e
annuì.
Oscuramento.
Frodo che guardava spaventato la figura
nera che gli porgeva il suo anello, perduto lungo la via sulle montagne
innevate, dopo una sua scivolata, e che gli diceva qualcosa che ancora
una
volta non riuscii a percepire.
Annebbiamento, ancora.
Due hobbit simpatici e giocherelloni
quali Merry e Pipino comparvero dal nulla e corsero verso la solita
figura,
ricorrente in tutte le visioni, per abbracciarla gioiosi di rivederla.
Ancora oscuramento.
Fu il turno di un Gandalf che agitato si
dirigeva verso la macchiolina nera urlandogli contro divertito
“Fin
dall’entrata a Moria sapevo che c’era qualcosa di
strano in te!”. Una risata
echeggiò nell’aria, la riconoscevo: era la mia.
Gandalf scomparve lasciando spazio
all’ultimo dei miei tanti amici, uno dei più
importanti, un punto di
riferimento che sempre avevo sentito legato a me. Aragorn.
Sorrideva verso la macchiolina nera e
quasi con tono supplichevole gli sussurrò
“Continua a vegliare su di noi come
hai fatto fin’ora”.
L’emozione che fino a quel momento non
sentivo più appartenermi tornò impetuosa dentro
me, travolgendomi come un’onda,
sovrastandomi. Sentii gli occhi bruciare e le lacrime cominciare a
sgorgare. Il
mondo intorno a me girò così forte da diventare
quasi nero, poi all’improvviso
si dissolse lasciando spazio a un campo di battaglia. Aveva un altro
aspetto
ora che potevo osservarlo da uno spazio sicuro. Sentii una voce urlare
“Pipino!” e
mi voltai in tempo per vedere
la figura nera, che ora appariva decisamente meno oscurata, anche se
sempre un
po’ appannata, correre verso Pipino che piangeva su un corpo
a terra. La figura
era ferita in più punti, si reggeva in piedi a stento, era
ricoperta di sangue
e polvere , ma nonostante tutto riuscì a raggiungere Pipino
in fretta e a
spingerlo via appena in tempo, salvandogli la vita. La stessa sorte
però non
toccò a lei che fu presa in pieno dalla clava del troll e
scaraventata lontano,
verso una roccia, contro il quale sbatté la testa e
lì rimase, giacendo in una
pozza di sangue.
Per la prima volta mi mossi e corsi verso
questa figura piangendo e disperandomi. Sapevo ciò che
stavano cercando di
dirmi quelle immagini.
Si dice che un attimo prima della morte
ti passi davanti agli occhi tutta la tua vita.
A me era appena successo.
<< No!! >> urlai tentando di
raggiungere la figura. Non volevo morire! Non volevo lasciarli tutti!
Volevo
continuare a vivere insieme a loro, insieme ai miei amici.
Ma non ebbi modo di raggiungere il mio
corpo che giaceva a terra. Un baratro si aprì sotto i miei
piedi facendomi
cadere nella più completa oscurità.
Quando tornai a vedere mi ritrovavo
inginocchiata nella più assoluta oscurità,
circondata dal nulla, che piangevo
le ultime lacrime che mi erano concesse. Mi guardai attorno. Ormai ero
persa.
Ormai era giunta la fine. Mi rannicchiai e singhiozzando canticchiai
amaramente
<< Dove ho sbagliato? Ho perso un amico da qualche parte
lungo un amaro
sentiero. E sarei rimasta in piedi con te tutta la notte, se avessi
saputo come
salvare una vita. >>
Le mie parole riecheggiavano in quel
posto sconosciuto, ritornando alle mie orecchie, quasi a voler ribadire
il
concetto.
“Dove ho sbagliato?”
Pensavo di avere tutto sotto controllo,
ho sempre pensato di essere stata una specie di messia, di essere
immortale ed
essere potente abbastanza da salvare e garantire la felicità
a tutti i miei
amici. Invece non avevo mai tenuto in considerazione il fatto che tra
tutti io
ero quella che sarebbe morta con più facilità.
Non ero affatto potente come
credevo, solo tanto fortunata.
“Ho perso un amico.”
No, non erano solo amici quelli che avevo
perso. Loro erano la mia famiglia, erano la mia vita. Per anni ho
rincorso quei
sogni così fantasiosi, per anni ho pregato di incontrarli e
conoscerli. Mi era
stata concessa la grazia e avevo scoperto un affetto che mai avrei
immaginato.
Tutta l’ammirazione provata fino a quel momento nei loro
confronti si era
dissolta trasformandosi in implacabile e incontenibile affetto. Erano
tutti parte
di me. Perché doveva finire in questa maniera?
“Da qualche parte lungo un amaro sentiero”.
La mia morte era stata così rapida e in
discesa che nemmeno me n’ero resa conto. Avevo sentito la
stanchezza e la
pesantezza schiacciare le mie membra, ma non avrei mai immaginato di
morire in
quel modo. Avevo sempre visto la morte come una cosa estranea a me,
certo
dicevo “morirò”, ma non ero mai
veramente consapevole. Per me era sempre stato
un dolce e saporito sogno la cui morte rappresentava il risveglio. Ma
la cosa
più terribile credo sia stato il gioco che Lei aveva fatto
con me prima della
fine. Mi aveva mostrato i suoi lati peggiori prima di prendermi con
sé, come a
volermi dimostrare la sua crudeltà.
“se avessi saputo come salvare una vita.”
Se solo avessi saputo come salvare la MIA
vita. Che strano scherzo quello del destino: mi aveva permesso di
salvare più
vite di chiunque altro. Prima Boromir, poi Faramir e infine Pipino. Li
avevo
salvati tutti, senza fermarmi un attimo. Ma quando mi sono trovata di
fronte
alla MIA morte non sono riuscita a muovere un passo.
E poi la chiamano Ironia della sorte.
E ora? Mi sarei dovuta fermare per sempre
in quell’oblio, persa nel nulla, sola con me stessa fino
all’esaurimento.
<< La morte non ha un sapore così
dolce, Sophia. >> la voce roca di prima riapparve. Presa
com’ero dagli
eventi che mi erano appena successi non avevo ancora dato la giusta
importanza
a quella voce che fin da quando ero in vita, nei miei ultimi minuti, mi
aveva
accompagnato.
<< Chi sei? >> chiesi
alzandomi in piedi. Chissà chi avrebbe giudicato le mie
azioni: Dio? Satana? O
magari i Valar?
<< Tu conosci fin troppo bene la
mia identità! >> un bagliore apparve
dall’oscurità che quasi mi accecò e
improvvisamente vidi l’occhio di Sauron dritto puntato su di
me. Rimasi quasi
senza fiato, con gli occhi spalancati a guardarlo incredula.
<< Non dirmi che non riconosci
colui che hai abbattuto! >> quasi brontolò.
C’era dell’ira nella sua
voce, ma sentivo che si stava trattenendo.
Io avevo fatto cosa?
<< Sophia. >> la voce ora
proveniva dalla mia destra. Mi voltai e mi vidi venir incontro una
figura nera,
coperta da una spessa armatura che ormai avevo imparato a riconoscere.
<< Sauron? >> mormorai
terrorizzata e al contempo emozionata di trovarmi di fronte a lui. Era
come un
mito. Un pericoloso mito.
<< Tu hai rifiutato di collaborare
con me! Hai mandato in frantumi l’accordo con Saruman e ora
guarda: per me è la
fine, Frodo ha gettato l’anello nel Monte Fato.
>> un guizzo di gioia si
impossessò di me, ce l’avevano fatta! Tutto era
andato come doveva andare! Ero
riuscita in una delle mie più grandi e pericolose missioni,
non ero una fallita.
Quella meravigliosa terra era salva.
Ma ben presto tornai alla triste realtà
<< Ma dimmi, tu cosa ci hai guadagnato? >>
<< Che cosa vuoi da me? Ormai è
finita! >> risposi con astio, che diavolo ci faceva
lì? Ormai eravamo
morti entrambi, cosa voleva da me?
<< No che non lo è! Per te, almeno.
Ho dato io a Saruman i poteri necessari a portarti qui e in altrettanto
modo
posso rispedirti a casa. Esatto, Sophia. Non sei ANCORA morta. Avresti
benissimo potuto esserlo: nessuno avrebbe resistito a un colpo del
genere,
eppure sei bloccata qui, in questo frangente di passaggio,
né viva né morta.
>> La mia confusione aveva raggiunto apici mai visti
prima, non ero
morta? Com’era possibile? Ma allora dove mi trovavo?
<< La morte sarebbe stata troppo
dolce per te! Meriti qualcosa di più per punirti del tuo
affronto! Io, usando
gli ultimi guizzi di potere che avevo, ti ho salvato la vita. Ma non
tornerai
mai più da loro! Tornerai a casa tua, lontana da tutto
ciò che ti è caro così
da tormentarti, giorno dopo giorno, ricordo dopo ricordo!
>> il suo tono
era diventato minaccioso e tuonava in quello spazio vuoto quasi
schiacciandomi
sotto il suo peso.
<< Tu impertinente, arrogante e
sciocca ragazzina quale risultati credevi di raggiungere costruendo il
tuo
sentiero verso la mia distruzione? Ti ho offerto tutta la
felicità a cui ambivi,
ma tu hai osato rifiutare! E per questo ti pentirai. Porterai su di te
i segni
del tuo percorso e ogni notte rivivrai i tuoi ricordi, come hai potuto
fare
poco fa, ma mai più potrai raggiungerli. Marcirai nella tua
arroganza,
schiacciata dai tuoi sciocchi sentimenti! >> e
proclamando la sua
sentenza Sauron sfoderò la sua spada e mi trafisse in pieno
cuore sprigionando
un lampo di luce. Sentii il dolore percorrermi tutto il corpo, mi
lasciai
cadere al suolo. Stavo bruciando viva ma ancora più
terribile era l’idea del
mio destino. Mai più li avrei potuti vedere se non
attraverso una scatola
meccanica, mai più avrei potuto sentire le loro parole se
non nei miei ricordi.
Mi portai una mano al petto trafitto e lanciai un urlo di disperazione.
Cercai
con lo sguardo Sauron, cercando disperatamente nella mia mente un modo
per
contrastarlo, ma la paura mi attanagliava e Sauron era sparito
nell’oscurità
che mi circondava. Una luce comparve in lontananza, un bagliore che si
fece
sempre più intenso e si diresse verso di me, pronto a
inghiottirmi. Capii che
quel bagliore mi avrebbe riportato a casa, lontano dalla mia reale
vita. Cercai
di alzarmi per allontanarmi, ma non avevo idea di dove andare a
rifugiarmi. Non
avevo più speranze, non avevo più armi per
contrastare il destino.
Una lacrima cadde dai miei occhi, seguita
da un ulteriore urlo di disperazione, e toccò il suolo ai
miei piedi. Il rumore
della lacrima caduta echeggiò amplificata dal vuoto intorno
a me. Poi una voce.
<< Sophia >>.
Mi stava chiamando. La voce di un uomo mi
chiamava colmo di disperazione.
<< Sophia! >> Altre voci si
sovrastavano, anche loro supplichevoli e disperate.
<< Ho fatto tutto il possibile
>> disse un’altra voce << Mi
dispiace >> aggiunse.
Come potevano giungere a me? Potevo ben
riconoscerli! Erano Merry, Pipino, Boromir e Gandalf quelli che
parlavano! Come
potevo sentirli? Aprii gli occhi e vidi nel punto in cui si era
riversata la
mia lacrima una piccola luce azzurra. Era come se la lacrima avesse
aperto un
foro nel telo nero in cui ero immersa. Con le mani tremanti provai a
toccarlo:
sì era proprio un foro! E le voci provenivano da
lì! Tentai di infilarci il
dito per poterlo allargare, per poter aprirlo di più, ma non
riuscivo: era
troppo piccolo.
<< Dai! Dai! >> dissi tra me
e me attaccandomi alla forza della disperazione, come ultimamente avevo
fatto
più volte. Alzai lo sguardo: il bagliore di luce che mi
avrebbe riportato a casa
era quasi giunto a me, era come un sole che sorgeva piano su una
vallata. Mi
avrebbe dato un po’ di tempo, ma non abbastanza.
<< Boromir!! >> gridai
disperata. Mi bagnai il dito con le lacrime che avevo sul viso e tentai
di
bagnare con queste il telo nero su cui ero stesa. Se una lacrima aveva
aperto
il foro forse così sarei riuscita ad allargarlo. Ma non
funzionava.
<< Aiutatemi! >> gridai
ancora cominciai a sbattere i pugni al suolo.
<< Ha parlato!! Gandalf, sono
sicuro! Ha detto qualcosa! >> la voce lontana come un eco
sembrò
emozionarsi all’eventualità. Non avevo idea di
cosa stesse succedendo
dall’altra parte, ma sentivo che stavano tentando di
aiutarmi. Lo sapevo, non
mi avrebbero mai lasciato lì.
Il bagliore di luce era quasi arrivato a
me, mancavano solo un paio di metri.
<< Aiutatemi! Tiratemi fuori di
qui! >> continuai a sbattere i pugni al suolo ma non
riuscii a fare
niente che allargasse quel maledetto buco. Il bagliore di luce era
distante da
me meno di 40 cm. Non sarei mai riuscita a salvarmi. Ormai era troppo
tardi. Mi
lasciai cadere a terra, poggiando la fronte al pavimento, disperata e
urlai
un’ultima volta, sommersa dalle lacrime <<
Aiuto!! >>
Il mio urlo fu subito seguito da un coro
di voci composto da 3 o 4 persone che disperate quanto me urlavano << Sophia!!
>>.
Improvvisamente sentii il terreno tremare
sotto i miei piedi e il buco si spalancò improvvisamente
inghiottendomi, nello
stesso istante in cui il bagliore era giunto a me, toccandomi e
bruciandomi. Mi
sentii come invasata: mi girava la testa, mi faceva male, mi sentivo
leggera.
Il vuoto sotto di me. Mi sentivo cadere verso un infinito baratro.
Dov’ero
diretta?
Mi sentii
tornare alla vita. Le dita
intorpidite toccavano un morbido lenzuolo, la testa dolorante era
immersa in un
soffice cuscino e sul mio corpo pieno di dolori di ogni tipo sentivo
solo il
peso delle coperte.
Poi realizzai.
Aprii gli occhi improvvisamente
guardandomi attorno. Intorno a me era tutto buio, non riuscivo a vedere
dove mi
trovavo ma se ero messa in un letto….probabilmente ero
tornata a casa. Non ero
riuscita ad allargare il buco in tempo, il bagliore mi doveva aver
colto prima
del tempo e io dovevo essere stata trasportata a casa. Mi alzai a
sedere e mi
resi conto dell’enorme fatica che facevo: ero ricoperta di
dolori di ogni tipo.
Mi sentivo reduce di una caduta lungo una scogliera infinita. Mi
lamentai
appena per il dolore fisico, quello più grande era quello
che provavo nel
cuore. Ero a casa. Lontano da tutto ciò che aveva fatto
parte di me per così
tanto tempo. Mi rannicchiai stringendo le gambe al busto e affondando
il volto
tra le ginocchia.
<< No >> sussurrai mentre
sentivo la gola riprendere a bruciare. Ero pronta per cadere di nuovo
nella
disperazione. << No >> mugolai ancora
cominciando a singhiozzare
come avevo previsto che avrei fatto.
<< Dove sono il
cavallo e il cavaliere? Dov’è il corno che
suonava? >> cominciai a recitare interrompendo le parole
ogni 3 secondi,
colta da un pianto logoro e profondo. Ma non volevo fermarmi, era come
se recitare
quelle parole mi aiutasse a sentire meno lontani quei giorni ormai
distanti
<< Sono passati come la pioggia sulle montagne. Come il
vento… come il
vento nei prati. >> non riuscii a continuare, la voce mi
morì in gola e
lasciai spazio solo al pianto disperato. Tutto quello per cui avevo
lottato
fino a quel momento, tutto quello per cui mi ero sacrificata, tutto
quello che
avevo amato senza confine ora era sparito, lasciando solo un immenso
vuoto
dentro me.
Mi stesi nuovamente nel letto continuando
a piangere e abbandonandomi alla tristezza. Fuori sentivo la pioggia
scorrere
sulla strade, accarezzando i vetri della mia stanza. Ripensai a
ciò che avevo
detto a Boromir il pomeriggio prima, quando insieme eravamo nel
piazzare dei
giardini, a guardare la pioggia accarezzare le piante di Minas Tirith. “Ascolta la
pioggia”. Tentai nuovamente di
farlo, tentai di ascoltare la pioggia per cercare in quei lamenti un
briciolo
di conforto, magari tra i segreti che aveva da rivelarmi ce
n’era uno che mi
avrebbe suggerito come tornare sulla Terra di Mezzo.
Ma non udii niente. La pioggia non aveva
nessun segreto da rivelarmi, eppure ascoltavo!
“ Non stai ascolando! Tu stai sentendo,
non stai ascoltando” disse la voce nella mia testa e forse
aveva ragione. Forse
non mi stavo concentrando abbastanza: stavo sentendo, non stavo
ascoltando.
Chiusi gli occhi concentrandomi più che potevo sulla pioggia.
Poi lo udii.
Il segreto più bello che avessi mai
sentito, il sussurro più scaldante che la pioggia avesse mai
potuto suggerirmi:
un rumore di zoccoli su una strada acciottolata. Spalancai gli occhi.
Cavalli.
C’erano cavalli fuori dalla mia stanza e la strada dal rumore
pareva proprio
acciottolata. Il buio intorno a me improvvisamente non parve
più così buio.
Udii delle voci provenire da fuori la stanza, tentai di concentrarmi
per capire
se erano voci che conoscevo. Una di quelle no, non l’avevo
mai udita prima, ma
l’altra….
<< Aragorn! >> dissi
entusiasta. Mi tirai su a sedere sul letto, ignorando i cigolii delle
mie ossa,
ignorando i dolori che mi impedivano i movimenti fluidi. Mi tolsi le
coperte da
sopra le gambe e posai i piedi sulla fredda roccia del pavimento.
“Camera mia
ha il Parquet non la roccia! Sono a Minas Tiritrh!” pensai
entusiasta e tentai
di tirarmi in piedi per poter correre verso la porta e uscire ad
abbracciare i
miei amici.
Ovunque si trovasse la porta.
Ma non ebbi nemmeno modo di scoprirlo che
le mie gambe cedettero e caddi a terra come una pera cotta. Per un
attimo mi
sembrò di tornare al mio primo arrivo sulla Terra di Mezzo,
ero ridotta forse
un po’ meglio, ma anche in quell’occasione non
riuscivo a stare in piedi. Con
la differenza però che almeno quel giorno ci vedevo! Nel
cadere allargai le
braccia a caso, alla ricerca di un qualsiasi appiglio
nell’oscurità che potesse
impedirmi di sbattere la faccia dritta a terra. Trovai qualcosa ma non
mi aiutò
a stare dritta in piedi: un braccio andò a sbattere contro
il comodino, vicino
al letto e, oltre a farmi un male della miseria, fece un gran fracasso
perché
nel cadere giù si trascinò tutto ciò
che era posato lì sopra. Qualcosa di molto
fragile doveva essere perché nel cadere il rumore provocato
mi ricordava tanto
i piatti che tempo addietro avevo rotto a casa mia.
<< Ohi!! >> Mi lamentai
dolorante, ma non mi arresi! Avevo ritrovato la determinazione che
avevo avuto
il primo giorno nella Terra di Mezzo quando avevo percorso GranBurrone
a
saltelli. Cominiai a gattonare nel buio, in cerca di un qualsiasi cosa
testimoniasse una porta e un’uscita. O anche una lampada. Ma
ovviamente non
trovai niente di tutto ciò, solo un grosso mobile di legno
contro il quale
sbattei violentemente la testa, che oltretutto già mi faceva
male. Nel
sbatterci inoltre avevo fatto cadere da sopra questo qualcosa di duro
che
contribuì al mal di testa.
<< Ahi!!! >> gridai ancora
più forte innervosita e presi a calci quel qualcosa che mi
aveva appena
colpito.
Improvvisamente….luce fu! Un bagliore
quasi mi accecò e mi guardai attorno: la stanza era tutta in
pietra e il mobile
contro il quale avevo sbattuto era probabilmente un qualcosa con le
stesse
funzioni di un comò, in quanto aveva la sua stessa forma. La
cosa contro cui me
l’ero presa era finita sotto al letto, un grosso letto a due
piazze che a
vederlo sembrava tanto morbido e accogliente.
<< Sophia! Che stai facendo?
>> mi chiese una voce preoccupata dalle mie spalle. Mi
voltai e guardai
dritto negli occhi Aragorn, all’interno dei quali potevo
benissimo scorgere la
paura e la preoccupazione. Chissà cosa aveva pensato nel
sentire tutto questo
fracasso.
<< Stavo tastando le mie capacità
di cane da tartufo impegnandomi nella ricerca della porta.
>> guardai
dove mi trovavo rispetto alla porta: dall’altra parte della
stanza, con le
spalle rivolta ad essa. << C’ero quasi
arrivata! Hai rovinato tutto, non
dovevi accendere la luce! Dovevo farcela da sola. >> dissi sempre ferma nella mia
posizione a
gattoni, abbaiandogli contro.
Aragorn scoppiò a ridere come mai l’avevo
sentito fare prima, l’avevo davvero fatto ridere
così tanto? Eppure non avevo
detto niente di divertente. Mi venne incontro e mi sollevò
da terra con la
grazia di un rinoceronte infuriato, facendomi lamentare dal dolore.
<< Sei tornata normale! Che bello
rivederti! >> disse e mi diede una leggera pacca sulla
schiena. E giù un
altro lamento.
<< Papà Castoro mi fai male!!!
>> gli urlai contro puntandogli gli occhi severi contro e
stringendo i
pugni. Aragorn mi ignorò di nuovo e mi tirò a
sé stringendomi forte. <<
Ci hai fatti tutti morire di paura, credevamo tu fossi morta.
>>
E per una volta ignorai le ossa che
ancora cigolavano tormentate dal dolore e, colta da
un’improvvisa emozione,
circondai con le braccia il corpo dell’uomo e lo strinsi
forte, affondando il
volto nel suo petto. Ero scampata alla morte, ero riuscita a
sopravvivere
grazie a un inspiegabile miracolo ed ero tornata. Ero di nuovo
lì, insieme a
lui. Insieme a tutti loro. Le mani tramarono e le lacrime ripresero a
sgorgare
dai miei occhi, ma non erano più le lacrime pesanti e colme
di dolore come
qualche minuto prima, erano lacrime di gioia. Una gioia mai provata
prima. Il
ricordo di quel terribile momento in cui credevo di averli persi
tormentava
ancora il mio cuore, ed era un sollievo riuscire a placare le sue
schegge con
la gioia di essere tornata.
<< Gandalf ha usato tutta la magia
di cui disponeva per riuscire a riportarti tra noi. Ne è
uscito sfinito, ma i
suoi sforzi non sono stati vani. >>
Mi spiegò Aragorn. Io non avevo idea di
cosa dire, la felicità mi aveva ammutolita, riuscivo solo a
dire ripetutamente
<< Grazie >>.
Mi allontanai dall’uomo, mi asciugai le
lacrime con un braccio e prima che potesse dire o fare altro cominciai
a
camminare zoppicante verso l’uscita.
<< Dove vai? Devi riposare!
>>
<< Sei pazzo? Ho giocato a carte
con la morte per non so quanto tempo e non vedo l’ora di
andare a dimostrare a
tutti quanti che ho vinto! >> dissi seria mentre mi
avviavo dolorante
verso l’uscita della stanza. Non avevo idea di quanta strada
avessi potuto fare
in quelle condizioni, probabilmente mi sarei sbriciolata da un momento
a un
altro, ma non avevo proprio voglia di rimettermi a letto! Volevo
vederli tutti,
volevo riabbracciarli e ringraziarli.
<< Mettiti a letto, ti vado a
chiamare io gli altri. >>
<< No, ce la faccio! >> dissi
e nello stesso istante una gamba mi cedette e caddi a terra
lamentandomi con un
sonoro << Ahu!! >>. Aragorn si
avvicinò a me e mi prese di peso
riportandomi a letto mentre io mi dimenavo che volevo uscire. Non
volevo
rimanere in quella stupida stanza! << Mettimi
giù! Maleducato che non sei
altro, toglimi le mani di dosso!! Ti denuncio per violenze sui minori!
>>
dissi prendendomela ingiustamente con lui. Aragorn mi posò a
letto e io
incrociai le braccia al petto offesa, mettendo il muso e voltandomi
dall’altra
parte per non guardarlo.
<< Farò in un lampo. Aspettami qui.
>> sorrise lui divertito e uscì dalla stanza.
Io rimasi immobile nella mia posizione
per un po’, poi, una volta constatato che veramente ero sola
in quella stanza,
cominciai a osservarmi. Mi guardai le mani, le braccia e tutto il resto
del
corpo. Ero curiosa di sapere quanti e quali danni avevo riportato. Dal
dolore
che provavo sentivo di essere tutta, completamente rotta, dalla testa
ai piedi.
Però mi muovevo, quindi qualcosa si era salvato. Le ferite
non potevo vederle
veramente in quando erano tutte fasciate, ma potevo per
l’appunto contare le
fasciature. Ne avevo una intorno alla caviglia destra, intorno alla
coscia
sinistra, intorno alla testa, al gomito e al polso destro. Queste erano
le più
grandi, poi ne avevo altre anche sull’altro braccio e sulle
gambe, ma di minor
entità, forse a voler chiudere solo qualche piccolo graffio.
Mi ricordai
improvvisamente dello zoccolo di cavallo sul fianco, della spada
conficcata
nello stesso punto e del terribile colpo preso in pieno stomaco dalla
clava del
troll. Mi toccai il ventre, si effettivamente sentivo di essere un
po’
“ristretta”. Qualcosa mi stringeva. Alzai il
vestito che mi faceva da camicia
da notte e notai un’immensa fasciatura che mi copriva tutto
il busto, senza
lasciarne uno spazio libero.
<< Dio Mio, sono un catorcio!
>> dissi risistemandomi e ammorbidendomi sul letto. Ero
ridotta davvero
male, sembrava avessi fatto a botte con un bufalo. Però
avevo avuto la meglio
io! Ero viva, per Diana! Era questo quello che contava.
Come sia possibile poi non saprei proprio
dirlo, chiunque sarebbe morto in quelle condizioni.
La
porta si spalancò all’improvviso e due piccoli
hobbit fecero irruzione nella
mia stanza tuffandosi sul mio letto per venirmi ad abbracciare.
<< Ahi!! Piano! >> mi
lamentai vedendo le stelle mentre ricambiavo l’abbraccio di
Merry e Pipino,
vedendo con gioia che quest’ultimo era tutto intero. Ero
riuscita a salvarlo!
<< Sei viva! >> gridavano i
due saltando sul letto, lanciando sguardi a me e poi fra di loro.
<< Sì, ma così mi uccidete voi!
>> mi lamentai. Diavolo mi stavano saltando addosso!
Erano matti?
Un bastone bianco arrivò in mia difesa
colpendoli entrambi in testa e riuscendo a placare il loro entusiasmo
assassino.
<< Gandalf!! >> urlai felice
di vederlo. << Mio salvatore!! Mio angelo custode, vieni
qui fatti
abbracciare! >> e allungai le braccia cercando di
afferrare la sua veste
per poterlo trascinare vicino a me. Lui mi aiutò evitando
che mi lanciassi,
rischiando così di morire definitivamente, e mi si
avvicinò. Gli cinsi il collo
con le braccia e lo stritolai tanto che mi feci male pure io
<< Ti devo
la vita! >>
<< Noi tutti dobbiamo la vita a te.
>> intervenne Aragorn seguito da Gimli e Legolas. Avevo
la stanza
affollata di gente, tutti a visitare me come mi capitava quando
prendevo
l’influenza da bambina. Mi aveva sempre fatto piacere stare
al centro
dell’attenzione e anche quella volta non era da meno.
<< Sophia mi dispiace tanto. E’
tutta colpa mia, avrei dovuto fare più attenzione.
>> si giustificò
Pipino abbassando la testa, sentendosi in colpa per ciò che
era successo. Gli
sorrisi amichevolmente e gli scompigliai i capelli. Che tenero che era!
Non
avevo mai pensato niente del genere, mai avevo dato a lui la colpa
della mia
quasi morte, non doveva affatto scusarsi.
All’improvviso mi venne in mente che
Pipino non era l’unico ad aver rischiato la vita la sera
della battaglia.
<< Frodo come sta? E Sam?
>> temevo
che Gandalf non fosse
andati a prenderli! Non ero stata sveglia per assicurarmi che lo avesse
fatto,
non l’avevo neanche avvertito e se qualcosa fosse andato
storto? Se magari
concentrati com’erano su di me non fossero andati a
prenderli? Mi voltai verso
Gandalf guardandolo supplichevole, avevo il terrore nelle vene. Il non
aver
avuto sotto controllo qualcosa, anche se solo per così poco,
mi dava il
tormento. Se avessi sbagliato qualcosa?
<< Stanno entrambi bene. Stanno
riposando, adesso, reduci da grandi fatiche e pesanti dolori.
>> Rispose
Gandalf rizzandosi orgoglioso. Sospirai confortata dalla notizia e ora
non
desideravo altro che andare a vedere anche loro. Chissà
com’erano ridotti i due
poveretti.
<< Meno male. >>
<< Siete stati tutti e tre
miracolati. >> intervenne Legolas guardandomi con i suoi
soliti occhi
amichevoli, sapevo che per quanto potesse non sembrare tra noi due
c’era un
grosso legame. Risposi al suo sorriso più che alla sua
affermazione, era come
se avesse cercato qualcosa da dire solo per poter attirare la mia
attenzione e
potermi sorridere, in segno di affetto.
<< Quelle ferite avrebbero ucciso
un nano! >> intervenne Gimli con la sua voce roca
avvicinandosi e dandomi
una pesante pacca su una spalla, al che io risposi con un mugolio pieno
di
dolore. << E un nano sta tentando di uccidermi attraverso
le mie ferite.
>> dissi istintivamente rigirando le parole della sua
frase, il che
sembrò divertire molto Gongolo.
<< E’ bello vedervi di nuovo tutti
quanti. Ho temuto di non riuscire più a tornare
>> confessai abbattendomi
un po’. Alzai lo sguardo e guardai uno ad uno tutti i miei
compagni. Sapevo ora
cosa ci aspettava, la parte più dolorosa: l’addio.
Ci sarebbe stata a breve
l’incoronazione di Aragorn dopodiché ognuno
sarebbe tornato a casa propria,
lontano da tutti gli altri. Chissà se avremo mai avuto modo
di vederci. Sapevo
che Gandalf e Frodo sarebbero partiti verso le terre immortali insieme
agli
elfi, sapevo che Gimli e Legolas avrebbero ripreso a viaggiare insieme,
sapevo
che gli altri 3 hobbit sarebbero tornati alla Contea e allora chi
avrebbe
potuto prevedere un nostro futuro ritrovo?
Saltai addosso a Merry, che in quel
momento era quello più vicino a me, e stringendolo mi
lanciai praticamente su
di lui << Promettete che rimarremo amici per sempre!
>> dissi come
una bambina delle elementari mentre il povero hobbit si lamentava sotto
il mio
“leggiadro” peso. Pipino divertito dalla scena
decise di volerne prendere parte
e si lanciò su di me molto aggraziatamente. Lanciai un urlo
di dolore <<
Le costole!! >> gridai dolorante. Pipino si
alzò immediatamente, tanto da
non controllare i movimenti, impigliarsi nelle lenzuola e cadere
giù dal letto.
E mentre sentivo l’imponente voce di Aragorn e di Gandalf
alzarsi in una
fragorosa risata, mi voltai a guardare Gimli che aiutava il poveretto a
rialzarsi da terra. << Scusa! >> dissi
mettendomi a sedere sul
bordo del letto, a gambe incrociate e grattandomi la nuca in un
evidente gesto
di imbarazzo.
<< Scusami tu, ho dimenticato per
un attimo i tuoi problemi. >> Già, i miei
problemi. Mi venne in mente una
domanda che volevo porre al maghetto curatore << Che tipo
di ferite ho
riportato? Qualcosa di grave? >> chiesi guardandolo ma la
risposta non
giunse dalla sua voce.
<< Due costole incrinate, una
perforazione in un fianco che per fortuna non ha toccato punti vitali,
una
grossa ferita sulla nuca, una caviglia rotta, una slogatura al polso e
una al
gomito. >> A rispondere era stato Boromir comparso in
quel istante alla
porta. Avevo già notato la sua assenza ma mi ero sforzata di
non pensarci, mi
ero detta “probabilmente sta riposando, meglio lasciarlo
stare”. E invece ora
era lì, con le spalle poggiate allo stipite della porta e
uno sguardo
compassionevole, un po’ preoccupato, stanco e affaticato, ma
perso in una gioia
indescrivibile. Il mio cuore si riempì a vederlo. Ora che
tutto era finito, ora
che tutto era risolto e più niente minacciava la nostra
tranquillità potevo guardarlo
come sempre avevo desiderato farlo: concentrandomi solo esclusivamente
su di
lui. Non era più il valoroso guerriero da proteggere e da
cui farmi proteggere.
Ora era Boromir, l’uomo di cui ero innamorata. E potevo
dimostrarlo senza
troppi intoppi, non avevo più pensieri per la testa che
potessero oscurare
anche solo per un momento la sua immagine. Mi sentii improvvisamente
leggera,
avvertii le farfalline allo stomaco e una gioia sulla pelle tale da
rilassare
ogni mio nervo, rendendomi tranquilla e in pace col mondo
più di quanto avessi
mai fatto.
<< Niente che Gandalf e Elrond non
potessero curare. Sei stata molto fortunata. E molto molto molto
incosciente,
saresti potuta morire! >> disse assumendo un tono severo
e lanciando
fulmini e saette dagli occhi. E come mi era già capitato in
passato non vidi
niente di brutto in quel gesto, ma solo tanta preoccupazione a
dimostrazione
del fatto che a me ci teneva. Avvertii come un brivido lungo la schiena
mentre
la gioia mi esplodeva in petto: era incredibile ma ero lì!
Niente più pericoli
mortali, niente più pensieri invadenti nella testa, solo io
a Minas Tirith con
le persone più meravigliose al mondo.
Ignorai le ferite che mi logoravano,
saltai giù dal letto rimanendo in piedi per miracolo e mi
avvicinai velocemente
a Boromir, che mi venne incontro a sua volta anche se penso che lui lo
facesse
per potermi prendere al volo qualora cadessi giù a sacco di
patate. Mi lanciai
letteralmente tra le sue braccia, aggrappandomi a lui per evitare di
sforzare
ancora le gambe (non avrebbero resistito ancora) e lo strinsi forte
come mai
avevo fatto prima. Affondai il volto nell’incavo del suo
collo e lì rimasi. Lì
sarei voluta rimanere per sempre. Mi sentivo tremare di emozione,
finalmente la
felicità tanto ambita stava riposando tra le mie mani e
più sarebbe fuggita
via. Sentii le braccia di Boromir, che fino a quel momento mi avevano
stretta
delicatamente probabilmente per paura di farmi male, stringere un
po’ di più,
come a voler scaricare i nervi tesi su quel disperato abbraccio. A
lungo le
nostre mani si erano protese l’uno verso l’altro,
ma nel buio che si era
formato in quel piccolo mondo non erano mai riuscite a trovarsi
veramente, più
volte si erano sfiorate, ma mai toccate veramente. Ora luce era stata
fatta,
ora potevamo stringerci e più ci saremo lasciati.
Così a lungo ci eravamo
cercati anche prima di incontrarci, così a lungo occhi
avevano vagato in un
immensa anonima vallata, attirati dalle ombre, in cerca di un qualcosa.
Chissà
cosa.
Ma ora tutto era chiaro. Non più ombre.
Non più oscurità. Non più posti
sconosciuti agli occhi.
Finalmente le nostre anime potevano
vedersi chiaramente senza più la paura di un ostacolo o di
un annebbiamento.
Ora eravamo insieme e insieme esprimemmo in un sussurro ciò
che per mesi il
nostro cuore aveva celato con cura e premura, tesoro
inestimabile.
<< Ti amo. >>
Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-metta.
[Giungo dal Grande Mare nella Terra di mezzo.
Sarà questa la mia dimora, e quella dei miei eredi,
sino alla fine del mondo.]