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Autore: Ray Wings    28/03/2012    9 recensioni
Sophie era una ragazza come molte ma con una particolarità: era appassionata dei libri di Tolkien... in particolare "il signore degli anelli". Oltretutto si era talmente immedesimata nel libro che aveva cominciato a provare un certo interesse sentimentale verso uno dei personaggi. Un giorno il caso (o forse no? ;) ) la trascinò sulla terra tanto amata e sognata. Sophie in un primo momento si sentì dispersa e impaurita ma poi comprese di avere un compito e di non essere stata mandata lì per caso. Inizia così un’avventura difficoltosa che le porterà tanti pericoli, ma la sua determinazione e il suo amore saranno tali da aiutarla a trovare sempre la forza di alzare la testa e andare avanti fino alla fine. (N.B. Questa ff è una "riscrittura". Ovvero avevo già scritto questa storia in precedenza ma dato che ero alle prime armi non ne era uscita una cosa molto carina dal punto di vista linguistico. Ora, con la maturazione di oggi, spero di averla resa più interessante)
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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<< E’ questa la tua scelta? >> chiese una voce cupa e profonda, roca e ruggente. Da dove provenisse non saprei dirlo, mi ritrovavo in un immenso nulla. Ero così leggera e rilassata. Non vedevo niente intorno a me, avevo gli occhi chiusi, era come essere immersi in una vasca piena d’acqua calda. Sentivo l’incessante desiderio di rimanere lì per sempre, non c’era niente che potesse scalfirmi, lo sapevo. Mi sentivo al sicuro, come un bambino nel ventre materno.
<< Apri gli occhi Sophia. E’ questo ciò che tu stai abbandonando. >>  Ancora non capivo da dove provenisse la voce, ma non potei rifiutare il suo invito e lentamente aprii gli occhi. Con mia grande meraviglia non mi trovavo immersa nel nulla, come invece immaginavo. Ma intorno a me c’erano alberi, piante ed echi lontani, voci indistinte dall’animo allegro. Mi raddrizzai senza che io facessi niente, ero come mossa da una mano invisibile, e poggiai i piedi sulla dolce erba. Non riuscivo a capire dove mi trovassi ma sentivo che c’era qualcuno in quel luogo, dietro una siepe. Mi avvicinai e spostai le piante davanti a me. Mi trovai in cima a una montagna, il vento smuoveva i miei capelli ma non lo percepivo sulla pelle. Mi voltai lentamente e mi trovai in mezzo a un accampamento improvvisato su quel cucuzzolo, in compagnia di volti che conoscevo fin troppo bene. Anche la scena a cui stavo assistendo mi era ben nota. Boromir insegnava a Merry e Pipino a usare la spada, Aragorn guardava sorridendo e dando alcuni buoni consigli, Legolas guardava il panorama tenendo d’occhio la situazione intorno a loro, Gandalf pensava tra sé e sé mentre Gimli si lamentava che nessuno desse ascolto ai suoi consigli. Le loro voci giungevano alle mie orecchie così sfumate, così lontani. Non mi sentivo appartenente a quel mondo.
Gli uccelli che ci avevano costretti a nasconderci comparvero e mi voltai, spostando lo sguardo da Boromir e dagli hobbit a dietro di me, dove credevo di vedere arrivare le spie di Saruman. E invece mi ritrovai faccia a faccia con il Balrog a Moria, sul ponte di Kazadum, dove Gandalf era impegnato a combatterlo e impedirgli di raggiungere i miei compagni. Ancora una volta non mi sentii appartenere a quel mondo, mi sentivo un fantasma che guardava da esterno ciò che succedeva. Una luce abbagliante mi costrinse a chiudere gli occhi nel momento in cui Gandalf puntò il suo bastone al suolo, facendo crollare il ponte. Quando gli riaprii mi ritrovai in piedi, in mezzo alla foresta. Un lamento giungeva alle mie orecchie. Guardai attraverso le fronde e lì vidi una macchia scura, una sagoma indecifrabile che piangeva sul corpo morto di un uomo. Sul corpo morto di Boromir. Avevo visto così tante volte quella scena e sempre aveva su di me un grande effetto emotivo, ma non quella volta. Non riuscivo a provare dolore, solo…malinconia. Una figura scura passò davanti a me, un orco mi impedì di vedere ancora quella triste scena, e quando si fu allontanato di fronte a me c’era una vasta prateria. Merry e Pipino sopra una roccia che parlavano mentre una voce sofferente cantava. La melodia finì subito e da dietro una roccia poco distante dai due hobbit comparve di nuovo la stessa macchia scura, dal volto coperto dall’ombra.
Capii dove mi trovavo.
Stavo vagando senza meta nei miei ricordi, osservando alcune delle scene più significative della mia vita. Barbalbero arrivò dalla mia destra e mi voltai a guardarlo. La prateria si trasformò improvvisamente in una vallata invasa dall’acqua. Di fronte a me una grande torre nera, ai piedi di essa dei cavalli con dei cavalieri. La solita figura oscura comparve dal balcone della torre e cadde giù nel vuoto, afferrata appena in tempo dall’Ent. Delle risa vennero dalle mie spalle e mi voltai per vedere da dove provenissero. Mi trovai in una stanza illuminata da qualche candela e invasa da uomini ubriachi che cantavano e ballavano. La maggior parte di loro era attorno a un tavolo e stavano facendo un gioco che conoscevo bene. I calici si alzarono. Urla  e risa. Una voce femminile che rideva divertita. Nell’angolo Boromir osservava la scena con la compassione e la gioia negli occhi. Mi concentrai su di lui e ancora una volta l’ambiente cambiò trasformandosi in una foresta. L’uomo si trovava sotto una rete, ai piedi di alcuni cadaveri di orchi. Si avvicinò con il solito sorriso compassionevole e tagliò le corde della rete, afferrando al volo la figura nera e confusa che gli atterrò tra le braccia piangente. Il mondo intorno a me cominciò a vorticare così velocemente da rendere tutto confuso, un insieme di macchie e colori di cui l’unica cosa distinta erano le due figure al centro, rimaste ferme per tutto il tempo, con gli occhi fissi l’uno sull’altra. Riuscii a cogliere in quegli occhi cose che prima mai avevo visto: amore.
Le due figure si annerirono pian piano, cadendo nell’ombra, mentre tutto intorno a me continuava a girare e uno ad uno comparvero altre sagome a me ben note.
Prima Gimli che severo si avvicinava alla solita sagoma nera, che ormai avevo ben capito essere io, gridargli parole che avevo già sentito “
Molto incosciente per essere una Signora della preveggenza!”.
Gimli si eclissò nella risata della figura nera e al suo posto comparve Legolas con un sorriso amichevole in volto che sussurrava alla solita figura nera “Hai la mia parola, non rivelerò a nessuno il tuo segreto”. Ancora oscuramento.
Sam fece la sua comparsa nella confusione di colori e macchie, seduto su una roccia, piangente. La figura scura si avvicinò a lui e posandogli una mano sulla spalla gli sussurrò qualcosa che non riuscii a sentire. Lo sguardo di Sam si alzò verso la figura di fronte a lui e annuì.
Oscuramento.
Frodo che guardava spaventato la figura nera che gli porgeva il suo anello, perduto lungo la via sulle montagne innevate, dopo una sua scivolata, e che gli diceva qualcosa che ancora una volta non riuscii a percepire.
Annebbiamento, ancora.
Due hobbit simpatici e giocherelloni quali Merry e Pipino comparvero dal nulla e corsero verso la solita figura, ricorrente in tutte le visioni, per abbracciarla gioiosi di rivederla.
Ancora oscuramento.
Fu il turno di un Gandalf che agitato si dirigeva verso la macchiolina nera urlandogli contro divertito “Fin dall’entrata a Moria sapevo che c’era qualcosa di strano in te!”. Una risata echeggiò nell’aria, la riconoscevo: era la mia.
Gandalf scomparve lasciando spazio all’ultimo dei miei tanti amici, uno dei più importanti, un punto di riferimento che sempre avevo sentito legato a me. Aragorn.
Sorrideva verso la macchiolina nera e quasi con tono supplichevole gli sussurrò “Continua a vegliare su di noi come hai fatto fin’ora”.
L’emozione che fino a quel momento non sentivo più appartenermi tornò impetuosa dentro me, travolgendomi come un’onda, sovrastandomi. Sentii gli occhi bruciare e le lacrime cominciare a sgorgare. Il mondo intorno a me girò così forte da diventare quasi nero, poi all’improvviso si dissolse lasciando spazio a un campo di battaglia. Aveva un altro aspetto ora che potevo osservarlo da uno spazio sicuro. Sentii una voce urlare “Pipino!”  e mi voltai in tempo per vedere la figura nera, che ora appariva decisamente meno oscurata, anche se sempre un po’ appannata, correre verso Pipino che piangeva su un corpo a terra. La figura era ferita in più punti, si reggeva in piedi a stento, era ricoperta di sangue e polvere , ma nonostante tutto riuscì a raggiungere Pipino in fretta e a spingerlo via appena in tempo, salvandogli la vita. La stessa sorte però non toccò a lei che fu presa in pieno dalla clava del troll e scaraventata lontano, verso una roccia, contro il quale sbatté la testa e lì rimase, giacendo in una pozza di sangue.
Per la prima volta mi mossi e corsi verso questa figura piangendo e disperandomi. Sapevo ciò che stavano cercando di dirmi quelle immagini.
Si dice che un attimo prima della morte ti passi davanti agli occhi tutta la tua vita.
A me era appena successo.
<< No!! >> urlai tentando di raggiungere la figura. Non volevo morire! Non volevo lasciarli tutti! Volevo continuare a vivere insieme a loro, insieme ai miei amici.
Ma non ebbi modo di raggiungere il mio corpo che giaceva a terra. Un baratro si aprì sotto i miei piedi facendomi cadere nella più completa oscurità.
Quando tornai a vedere mi ritrovavo inginocchiata nella più assoluta oscurità, circondata dal nulla, che piangevo le ultime lacrime che mi erano concesse. Mi guardai attorno. Ormai ero persa. Ormai era giunta la fine. Mi rannicchiai e singhiozzando canticchiai amaramente << Dove ho sbagliato? Ho perso un amico da qualche parte lungo un amaro sentiero. E sarei rimasta in piedi con te tutta la notte, se avessi saputo come salvare una vita. >>
Le mie parole riecheggiavano in quel posto sconosciuto, ritornando alle mie orecchie, quasi a voler ribadire il concetto.
“Dove ho sbagliato?”
Pensavo di avere tutto sotto controllo, ho sempre pensato di essere stata una specie di messia, di essere immortale ed essere potente abbastanza da salvare e garantire la felicità a tutti i miei amici. Invece non avevo mai tenuto in considerazione il fatto che tra tutti io ero quella che sarebbe morta con più facilità. Non ero affatto potente come credevo, solo tanto fortunata.
“Ho perso un amico.”
No, non erano solo amici quelli che avevo perso. Loro erano la mia famiglia, erano la mia vita. Per anni ho rincorso quei sogni così fantasiosi, per anni ho pregato di incontrarli e conoscerli. Mi era stata concessa la grazia e avevo scoperto un affetto che mai avrei immaginato. Tutta l’ammirazione provata fino a quel momento nei loro confronti si era dissolta trasformandosi in implacabile e incontenibile affetto. Erano tutti parte di me. Perché doveva finire in questa maniera?
“Da qualche parte lungo un amaro sentiero”.
La mia morte era stata così rapida e in discesa che nemmeno me n’ero resa conto. Avevo sentito la stanchezza e la pesantezza schiacciare le mie membra, ma non avrei mai immaginato di morire in quel modo. Avevo sempre visto la morte come una cosa estranea a me, certo dicevo “morirò”, ma non ero mai veramente consapevole. Per me era sempre stato un dolce e saporito sogno la cui morte rappresentava il risveglio. Ma la cosa più terribile credo sia stato il gioco che Lei aveva fatto con me prima della fine. Mi aveva mostrato i suoi lati peggiori prima di prendermi con sé, come a volermi dimostrare la sua crudeltà.
“se avessi saputo come salvare una vita.”
Se solo avessi saputo come salvare la MIA vita. Che strano scherzo quello del destino: mi aveva permesso di salvare più vite di chiunque altro. Prima Boromir, poi Faramir e infine Pipino. Li avevo salvati tutti, senza fermarmi un attimo. Ma quando mi sono trovata di fronte alla MIA morte non sono riuscita a muovere un passo.
E poi la chiamano Ironia della sorte.
E ora? Mi sarei dovuta fermare per sempre in quell’oblio, persa nel nulla, sola con me stessa fino all’esaurimento.
<< La morte non ha un sapore così dolce, Sophia. >> la voce roca di prima riapparve. Presa com’ero dagli eventi che mi erano appena successi non avevo ancora dato la giusta importanza a quella voce che fin da quando ero in vita, nei miei ultimi minuti, mi aveva accompagnato.
<< Chi sei? >> chiesi alzandomi in piedi. Chissà chi avrebbe giudicato le mie azioni: Dio? Satana? O magari i Valar?
<< Tu conosci fin troppo bene la mia identità! >> un bagliore apparve dall’oscurità che quasi mi accecò e improvvisamente vidi l’occhio di Sauron dritto puntato su di me. Rimasi quasi senza fiato, con gli occhi spalancati a guardarlo incredula.
<< Non dirmi che non riconosci colui che hai abbattuto! >> quasi brontolò. C’era dell’ira nella sua voce, ma sentivo che si stava trattenendo.
Io avevo fatto cosa?
<< Sophia. >> la voce ora proveniva dalla mia destra. Mi voltai e mi vidi venir incontro una figura nera, coperta da una spessa armatura che ormai avevo imparato a riconoscere.
<< Sauron? >> mormorai terrorizzata e al contempo emozionata di trovarmi di fronte a lui. Era come un mito. Un pericoloso mito.
<< Tu hai rifiutato di collaborare con me! Hai mandato in frantumi l’accordo con Saruman e ora guarda: per me è la fine, Frodo ha gettato l’anello nel Monte Fato. >> un guizzo di gioia si impossessò di me, ce l’avevano fatta! Tutto era andato come doveva andare! Ero riuscita in una delle mie più grandi e pericolose missioni, non ero una fallita. Quella meravigliosa terra era salva.
Ma ben presto tornai alla triste realtà << Ma dimmi, tu cosa ci hai guadagnato? >>
<< Che cosa vuoi da me? Ormai è finita! >> risposi con astio, che diavolo ci faceva lì? Ormai eravamo morti entrambi, cosa voleva da me?
<< No che non lo è! Per te, almeno. Ho dato io a Saruman i poteri necessari a portarti qui e in altrettanto modo posso rispedirti a casa. Esatto, Sophia. Non sei ANCORA morta. Avresti benissimo potuto esserlo: nessuno avrebbe resistito a un colpo del genere, eppure sei bloccata qui, in questo frangente di passaggio, né viva né morta. >> La mia confusione aveva raggiunto apici mai visti prima, non ero morta? Com’era possibile? Ma allora dove mi trovavo?
<< La morte sarebbe stata troppo dolce per te! Meriti qualcosa di più per punirti del tuo affronto! Io, usando gli ultimi guizzi di potere che avevo, ti ho salvato la vita. Ma non tornerai mai più da loro! Tornerai a casa tua, lontana da tutto ciò che ti è caro così da tormentarti, giorno dopo giorno, ricordo dopo ricordo! >> il suo tono era diventato minaccioso e tuonava in quello spazio vuoto quasi schiacciandomi sotto il suo peso.
<< Tu impertinente, arrogante e sciocca ragazzina quale risultati credevi di raggiungere costruendo il tuo sentiero verso la mia distruzione? Ti ho offerto tutta la felicità a cui ambivi, ma tu hai osato rifiutare! E per questo ti pentirai. Porterai su di te i segni del tuo percorso e ogni notte rivivrai i tuoi ricordi, come hai potuto fare poco fa, ma mai più potrai raggiungerli. Marcirai nella tua arroganza, schiacciata dai tuoi sciocchi sentimenti! >> e proclamando la sua sentenza Sauron sfoderò la sua spada e mi trafisse in pieno cuore sprigionando un lampo di luce. Sentii il dolore percorrermi tutto il corpo, mi lasciai cadere al suolo. Stavo bruciando viva ma ancora più terribile era l’idea del mio destino. Mai più li avrei potuti vedere se non attraverso una scatola meccanica, mai più avrei potuto sentire le loro parole se non nei miei ricordi. Mi portai una mano al petto trafitto e lanciai un urlo di disperazione. Cercai con lo sguardo Sauron, cercando disperatamente nella mia mente un modo per contrastarlo, ma la paura mi attanagliava e Sauron era sparito nell’oscurità che mi circondava. Una luce comparve in lontananza, un bagliore che si fece sempre più intenso e si diresse verso di me, pronto a inghiottirmi. Capii che quel bagliore mi avrebbe riportato a casa, lontano dalla mia reale vita. Cercai di alzarmi per allontanarmi, ma non avevo idea di dove andare a rifugiarmi. Non avevo più speranze, non avevo più armi per contrastare il destino.
Una lacrima cadde dai miei occhi, seguita da un ulteriore urlo di disperazione, e toccò il suolo ai miei piedi. Il rumore della lacrima caduta echeggiò amplificata dal vuoto intorno a me. Poi una voce.
<< Sophia >>.
Mi stava chiamando. La voce di un uomo mi chiamava colmo di disperazione.
<< Sophia! >> Altre voci si sovrastavano, anche loro supplichevoli e disperate.
<< Ho fatto tutto il possibile >> disse un’altra voce << Mi dispiace >> aggiunse.
Come potevano giungere a me? Potevo ben riconoscerli! Erano Merry, Pipino, Boromir e Gandalf quelli che parlavano! Come potevo sentirli? Aprii gli occhi e vidi nel punto in cui si era riversata la mia lacrima una piccola luce azzurra. Era come se la lacrima avesse aperto un foro nel telo nero in cui ero immersa. Con le mani tremanti provai a toccarlo: sì era proprio un foro! E le voci provenivano da lì! Tentai di infilarci il dito per poterlo allargare, per poter aprirlo di più, ma non riuscivo: era troppo piccolo.
<< Dai! Dai! >> dissi tra me e me attaccandomi alla forza della disperazione, come ultimamente avevo fatto più volte. Alzai lo sguardo: il bagliore di luce che mi avrebbe riportato a casa era quasi giunto a me, era come un sole che sorgeva piano su una vallata. Mi avrebbe dato un po’ di tempo, ma non abbastanza.
<< Boromir!! >> gridai disperata. Mi bagnai il dito con le lacrime che avevo sul viso e tentai di bagnare con queste il telo nero su cui ero stesa. Se una lacrima aveva aperto il foro forse così sarei riuscita ad allargarlo. Ma non funzionava.
<< Aiutatemi! >> gridai ancora cominciai a sbattere i pugni al suolo.
<< Ha parlato!! Gandalf, sono sicuro! Ha detto qualcosa! >> la voce lontana come un eco sembrò emozionarsi all’eventualità. Non avevo idea di cosa stesse succedendo dall’altra parte, ma sentivo che stavano tentando di aiutarmi. Lo sapevo, non mi avrebbero mai lasciato lì.
Il bagliore di luce era quasi arrivato a me, mancavano solo un paio di metri.
<< Aiutatemi! Tiratemi fuori di qui! >> continuai a sbattere i pugni al suolo ma non riuscii a fare niente che allargasse quel maledetto buco. Il bagliore di luce era distante da me meno di 40 cm. Non sarei mai riuscita a salvarmi. Ormai era troppo tardi. Mi lasciai cadere a terra, poggiando la fronte al pavimento, disperata e urlai un’ultima volta, sommersa dalle lacrime << Aiuto!! >>
Il mio urlo fu subito seguito da un coro di voci composto da 3 o 4 persone che disperate quanto me urlavano  << Sophia!! >>.
Improvvisamente sentii il terreno tremare sotto i miei piedi e il buco si spalancò improvvisamente inghiottendomi, nello stesso istante in cui il bagliore era giunto a me, toccandomi e bruciandomi. Mi sentii come invasata: mi girava la testa, mi faceva male, mi sentivo leggera. Il vuoto sotto di me. Mi sentivo cadere verso un infinito baratro. Dov’ero diretta?
 

Mi sentii tornare alla vita. Le dita intorpidite toccavano un morbido lenzuolo, la testa dolorante era immersa in un soffice cuscino e sul mio corpo pieno di dolori di ogni tipo sentivo solo il peso delle coperte.
Poi realizzai.
Aprii gli occhi improvvisamente guardandomi attorno. Intorno a me era tutto buio, non riuscivo a vedere dove mi trovavo ma se ero messa in un letto….probabilmente ero tornata a casa. Non ero riuscita ad allargare il buco in tempo, il bagliore mi doveva aver colto prima del tempo e io dovevo essere stata trasportata a casa. Mi alzai a sedere e mi resi conto dell’enorme fatica che facevo: ero ricoperta di dolori di ogni tipo. Mi sentivo reduce di una caduta lungo una scogliera infinita. Mi lamentai appena per il dolore fisico, quello più grande era quello che provavo nel cuore. Ero a casa. Lontano da tutto ciò che aveva fatto parte di me per così tanto tempo. Mi rannicchiai stringendo le gambe al busto e affondando il volto tra le ginocchia.
<< No >> sussurrai mentre sentivo la gola riprendere a bruciare. Ero pronta per cadere di nuovo nella disperazione. << No >> mugolai ancora cominciando a singhiozzare come avevo previsto che avrei fatto.
<< Dove sono  il cavallo e il cavaliere? Dov’è il corno che suonava? >> cominciai a recitare interrompendo le parole ogni 3 secondi, colta da un pianto logoro e profondo. Ma non volevo fermarmi, era come se recitare quelle parole mi aiutasse a sentire meno lontani quei giorni ormai distanti << Sono passati come la pioggia sulle montagne. Come il vento… come il vento nei prati. >> non riuscii a continuare, la voce mi morì in gola e lasciai spazio solo al pianto disperato. Tutto quello per cui avevo lottato fino a quel momento, tutto quello per cui mi ero sacrificata, tutto quello che avevo amato senza confine ora era sparito, lasciando solo un immenso vuoto dentro me.
Mi stesi nuovamente nel letto continuando a piangere e abbandonandomi alla tristezza. Fuori sentivo la pioggia scorrere sulla strade, accarezzando i vetri della mia stanza. Ripensai a ciò che avevo detto a Boromir il pomeriggio prima, quando insieme eravamo nel piazzare dei giardini, a guardare la pioggia accarezzare le piante di Minas Tirith.  “Ascolta la pioggia”. Tentai nuovamente di farlo, tentai di ascoltare la pioggia per cercare in quei lamenti un briciolo di conforto, magari tra i segreti che aveva da rivelarmi ce n’era uno che mi avrebbe suggerito come tornare sulla Terra di Mezzo.
Ma non udii niente. La pioggia non aveva nessun segreto da rivelarmi, eppure ascoltavo!
“ Non stai ascolando! Tu stai sentendo, non stai ascoltando” disse la voce nella mia testa e forse aveva ragione. Forse non mi stavo concentrando abbastanza: stavo sentendo, non stavo ascoltando. Chiusi gli occhi concentrandomi più che potevo sulla pioggia.
Poi lo udii.
Il segreto più bello che avessi mai sentito, il sussurro più scaldante che la pioggia avesse mai potuto suggerirmi: un rumore di zoccoli su una strada acciottolata. Spalancai gli occhi. Cavalli. C’erano cavalli fuori dalla mia stanza e la strada dal rumore pareva proprio acciottolata. Il buio intorno a me improvvisamente non parve più così buio. Udii delle voci provenire da fuori la stanza, tentai di concentrarmi per capire se erano voci che conoscevo. Una di quelle no, non l’avevo mai udita prima, ma l’altra….
<< Aragorn! >> dissi entusiasta. Mi tirai su a sedere sul letto, ignorando i cigolii delle mie ossa, ignorando i dolori che mi impedivano i movimenti fluidi. Mi tolsi le coperte da sopra le gambe e posai i piedi sulla fredda roccia del pavimento. “Camera mia ha il Parquet non la roccia! Sono a Minas Tiritrh!” pensai entusiasta e tentai di tirarmi in piedi per poter correre verso la porta e uscire ad abbracciare i miei amici.
Ovunque si trovasse la porta.
Ma non ebbi nemmeno modo di scoprirlo che le mie gambe cedettero e caddi a terra come una pera cotta. Per un attimo mi sembrò di tornare al mio primo arrivo sulla Terra di Mezzo, ero ridotta forse un po’ meglio, ma anche in quell’occasione non riuscivo a stare in piedi. Con la differenza però che almeno quel giorno ci vedevo! Nel cadere allargai le braccia a caso, alla ricerca di un qualsiasi appiglio nell’oscurità che potesse impedirmi di sbattere la faccia dritta a terra. Trovai qualcosa ma non mi aiutò a stare dritta in piedi: un braccio andò a sbattere contro il comodino, vicino al letto e, oltre a farmi un male della miseria, fece un gran fracasso perché nel cadere giù si trascinò tutto ciò che era posato lì sopra. Qualcosa di molto fragile doveva essere perché nel cadere il rumore provocato mi ricordava tanto i piatti che tempo addietro avevo rotto a casa mia.
<< Ohi!! >> Mi lamentai dolorante, ma non mi arresi! Avevo ritrovato la determinazione che avevo avuto il primo giorno nella Terra di Mezzo quando avevo percorso GranBurrone a saltelli. Cominiai a gattonare nel buio, in cerca di un qualsiasi cosa testimoniasse una porta e un’uscita. O anche una lampada. Ma ovviamente non trovai niente di tutto ciò, solo un grosso mobile di legno contro il quale sbattei violentemente la testa, che oltretutto già mi faceva male. Nel sbatterci inoltre avevo fatto cadere da sopra questo qualcosa di duro che contribuì al mal di testa.
<< Ahi!!! >> gridai ancora più forte innervosita e presi a calci quel qualcosa che mi aveva appena colpito.
Improvvisamente….luce fu! Un bagliore quasi mi accecò e mi guardai attorno: la stanza era tutta in pietra e il mobile contro il quale avevo sbattuto era probabilmente un qualcosa con le stesse funzioni di un comò, in quanto aveva la sua stessa forma. La cosa contro cui me l’ero presa era finita sotto al letto, un grosso letto a due piazze che a vederlo sembrava tanto morbido e accogliente.
<< Sophia! Che stai facendo? >> mi chiese una voce preoccupata dalle mie spalle. Mi voltai e guardai dritto negli occhi Aragorn, all’interno dei quali potevo benissimo scorgere la paura e la preoccupazione. Chissà cosa aveva pensato nel sentire tutto questo fracasso.
<< Stavo tastando le mie capacità di cane da tartufo impegnandomi nella ricerca della porta. >> guardai dove mi trovavo rispetto alla porta: dall’altra parte della stanza, con le spalle rivolta ad essa. << C’ero quasi arrivata! Hai rovinato tutto, non dovevi accendere la luce! Dovevo farcela da sola. >>  dissi sempre ferma nella mia posizione a gattoni, abbaiandogli contro.
Aragorn scoppiò a ridere come mai l’avevo sentito fare prima, l’avevo davvero fatto ridere così tanto? Eppure non avevo detto niente di divertente. Mi venne incontro e mi sollevò da terra con la grazia di un rinoceronte infuriato, facendomi lamentare dal dolore.
<< Sei tornata normale! Che bello rivederti! >> disse e mi diede una leggera pacca sulla schiena. E giù un altro lamento.
<< Papà Castoro mi fai male!!! >> gli urlai contro puntandogli gli occhi severi contro e stringendo i pugni. Aragorn mi ignorò di nuovo e mi tirò a sé stringendomi forte. << Ci hai fatti tutti morire di paura, credevamo tu fossi morta. >>
E per una volta ignorai le ossa che ancora cigolavano tormentate dal dolore e, colta da un’improvvisa emozione, circondai con le braccia il corpo dell’uomo e lo strinsi forte, affondando il volto nel suo petto. Ero scampata alla morte, ero riuscita a sopravvivere grazie a un inspiegabile miracolo ed ero tornata. Ero di nuovo lì, insieme a lui. Insieme a tutti loro. Le mani tramarono e le lacrime ripresero a sgorgare dai miei occhi, ma non erano più le lacrime pesanti e colme di dolore come qualche minuto prima, erano lacrime di gioia. Una gioia mai provata prima. Il ricordo di quel terribile momento in cui credevo di averli persi tormentava ancora il mio cuore, ed era un sollievo riuscire a placare le sue schegge con la gioia di essere tornata.
<< Gandalf ha usato tutta la magia di cui disponeva per riuscire a riportarti tra noi. Ne è uscito sfinito, ma i suoi sforzi non sono stati vani. >>
Mi spiegò Aragorn. Io non avevo idea di cosa dire, la felicità mi aveva ammutolita, riuscivo solo a dire ripetutamente << Grazie >>.
Mi allontanai dall’uomo, mi asciugai le lacrime con un braccio e prima che potesse dire o fare altro cominciai a camminare zoppicante verso l’uscita.
<< Dove vai? Devi riposare! >>
<< Sei pazzo? Ho giocato a carte con la morte per non so quanto tempo e non vedo l’ora di andare a dimostrare a tutti quanti che ho vinto! >> dissi seria mentre mi avviavo dolorante verso l’uscita della stanza. Non avevo idea di quanta strada avessi potuto fare in quelle condizioni, probabilmente mi sarei sbriciolata da un momento a un altro, ma non avevo proprio voglia di rimettermi a letto! Volevo vederli tutti, volevo riabbracciarli e ringraziarli.
<< Mettiti a letto, ti vado a chiamare io gli altri. >>
<< No, ce la faccio! >> dissi e nello stesso istante una gamba mi cedette e caddi a terra lamentandomi con un sonoro << Ahu!! >>. Aragorn si avvicinò a me e mi prese di peso riportandomi a letto mentre io mi dimenavo che volevo uscire. Non volevo rimanere in quella stupida stanza! << Mettimi giù! Maleducato che non sei altro, toglimi le mani di dosso!! Ti denuncio per violenze sui minori! >> dissi prendendomela ingiustamente con lui. Aragorn mi posò a letto e io incrociai le braccia al petto offesa, mettendo il muso e voltandomi dall’altra parte per non guardarlo.
<< Farò in un lampo. Aspettami qui. >> sorrise lui divertito e uscì dalla stanza.
Io rimasi immobile nella mia posizione per un po’, poi, una volta constatato che veramente ero sola in quella stanza, cominciai a osservarmi. Mi guardai le mani, le braccia e tutto il resto del corpo. Ero curiosa di sapere quanti e quali danni avevo riportato. Dal dolore che provavo sentivo di essere tutta, completamente rotta, dalla testa ai piedi. Però mi muovevo, quindi qualcosa si era salvato. Le ferite non potevo vederle veramente in quando erano tutte fasciate, ma potevo per l’appunto contare le fasciature. Ne avevo una intorno alla caviglia destra, intorno alla coscia sinistra, intorno alla testa, al gomito e al polso destro. Queste erano le più grandi, poi ne avevo altre anche sull’altro braccio e sulle gambe, ma di minor entità, forse a voler chiudere solo qualche piccolo graffio. Mi ricordai improvvisamente dello zoccolo di cavallo sul fianco, della spada conficcata nello stesso punto e del terribile colpo preso in pieno stomaco dalla clava del troll. Mi toccai il ventre, si effettivamente sentivo di essere un po’ “ristretta”. Qualcosa mi stringeva. Alzai il vestito che mi faceva da camicia da notte e notai un’immensa fasciatura che mi copriva tutto il busto, senza lasciarne uno spazio libero.
<< Dio Mio, sono un catorcio! >> dissi risistemandomi e ammorbidendomi sul letto. Ero ridotta davvero male, sembrava avessi fatto a botte con un bufalo. Però avevo avuto la meglio io! Ero viva, per Diana! Era questo quello che contava.
Come sia possibile poi non saprei proprio dirlo, chiunque sarebbe morto in quelle condizioni.
 La porta si spalancò all’improvviso e due piccoli hobbit fecero irruzione nella mia stanza tuffandosi sul mio letto per venirmi ad abbracciare.
<< Ahi!! Piano! >> mi lamentai vedendo le stelle mentre ricambiavo l’abbraccio di Merry e Pipino, vedendo con gioia che quest’ultimo era tutto intero. Ero riuscita a salvarlo!
<< Sei viva! >> gridavano i due saltando sul letto, lanciando sguardi a me e poi fra di loro.
<< Sì, ma così mi uccidete voi! >> mi lamentai. Diavolo mi stavano saltando addosso! Erano matti?
Un bastone bianco arrivò in mia difesa colpendoli entrambi in testa e riuscendo a placare il loro entusiasmo assassino.
<< Gandalf!! >> urlai felice di vederlo. << Mio salvatore!! Mio angelo custode, vieni qui fatti abbracciare! >> e allungai le braccia cercando di afferrare la sua veste per poterlo trascinare vicino a me. Lui mi aiutò evitando che mi lanciassi, rischiando così di morire definitivamente, e mi si avvicinò. Gli cinsi il collo con le braccia e lo stritolai tanto che mi feci male pure io << Ti devo la vita! >>
<< Noi tutti dobbiamo la vita a te. >> intervenne Aragorn seguito da Gimli e Legolas. Avevo la stanza affollata di gente, tutti a visitare me come mi capitava quando prendevo l’influenza da bambina. Mi aveva sempre fatto piacere stare al centro dell’attenzione e anche quella volta non era da meno.
<< Sophia mi dispiace tanto. E’ tutta colpa mia, avrei dovuto fare più attenzione. >> si giustificò Pipino abbassando la testa, sentendosi in colpa per ciò che era successo. Gli sorrisi amichevolmente e gli scompigliai i capelli. Che tenero che era! Non avevo mai pensato niente del genere, mai avevo dato a lui la colpa della mia quasi morte, non doveva affatto scusarsi.
All’improvviso mi venne in mente che Pipino non era l’unico ad aver rischiato la vita la sera della battaglia.
<< Frodo come sta? E Sam? >>  temevo che Gandalf non fosse andati a prenderli! Non ero stata sveglia per assicurarmi che lo avesse fatto, non l’avevo neanche avvertito e se qualcosa fosse andato storto? Se magari concentrati com’erano su di me non fossero andati a prenderli? Mi voltai verso Gandalf guardandolo supplichevole, avevo il terrore nelle vene. Il non aver avuto sotto controllo qualcosa, anche se solo per così poco, mi dava il tormento. Se avessi sbagliato qualcosa?
<< Stanno entrambi bene. Stanno riposando, adesso, reduci da grandi fatiche e pesanti dolori. >> Rispose Gandalf rizzandosi orgoglioso. Sospirai confortata dalla notizia e ora non desideravo altro che andare a vedere anche loro. Chissà com’erano ridotti i due poveretti.
<< Meno male. >>
<< Siete stati tutti e tre miracolati. >> intervenne Legolas guardandomi con i suoi soliti occhi amichevoli, sapevo che per quanto potesse non sembrare tra noi due c’era un grosso legame. Risposi al suo sorriso più che alla sua affermazione, era come se avesse cercato qualcosa da dire solo per poter attirare la mia attenzione e potermi sorridere, in segno di affetto.
<< Quelle ferite avrebbero ucciso un nano! >> intervenne Gimli con la sua voce roca avvicinandosi e dandomi una pesante pacca su una spalla, al che io risposi con un mugolio pieno di dolore. << E un nano sta tentando di uccidermi attraverso le mie ferite. >> dissi istintivamente rigirando le parole della sua frase, il che sembrò divertire molto Gongolo.
<< E’ bello vedervi di nuovo tutti quanti. Ho temuto di non riuscire più a tornare >> confessai abbattendomi un po’. Alzai lo sguardo e guardai uno ad uno tutti i miei compagni. Sapevo ora cosa ci aspettava, la parte più dolorosa: l’addio. Ci sarebbe stata a breve l’incoronazione di Aragorn dopodiché ognuno sarebbe tornato a casa propria, lontano da tutti gli altri. Chissà se avremo mai avuto modo di vederci. Sapevo che Gandalf e Frodo sarebbero partiti verso le terre immortali insieme agli elfi, sapevo che Gimli e Legolas avrebbero ripreso a viaggiare insieme, sapevo che gli altri 3 hobbit sarebbero tornati alla Contea e allora chi avrebbe potuto prevedere un nostro futuro ritrovo?
Saltai addosso a Merry, che in quel momento era quello più vicino a me, e stringendolo mi lanciai praticamente su di lui << Promettete che rimarremo amici per sempre! >> dissi come una bambina delle elementari mentre il povero hobbit si lamentava sotto il mio “leggiadro” peso. Pipino divertito dalla scena decise di volerne prendere parte e si lanciò su di me molto aggraziatamente. Lanciai un urlo di dolore << Le costole!! >> gridai dolorante. Pipino si alzò immediatamente, tanto da non controllare i movimenti, impigliarsi nelle lenzuola e cadere giù dal letto. E mentre sentivo l’imponente voce di Aragorn e di Gandalf alzarsi in una fragorosa risata, mi voltai a guardare Gimli che aiutava il poveretto a rialzarsi da terra. << Scusa! >> dissi mettendomi a sedere sul bordo del letto, a gambe incrociate e grattandomi la nuca in un evidente gesto di imbarazzo.
<< Scusami tu, ho dimenticato per un attimo i tuoi problemi. >> Già, i miei problemi. Mi venne in mente una domanda che volevo porre al maghetto curatore << Che tipo di ferite ho riportato? Qualcosa di grave? >> chiesi guardandolo ma la risposta non giunse dalla sua voce.
<< Due costole incrinate, una perforazione in un fianco che per fortuna non ha toccato punti vitali, una grossa ferita sulla nuca, una caviglia rotta, una slogatura al polso e una al gomito. >> A rispondere era stato Boromir comparso in quel istante alla porta. Avevo già notato la sua assenza ma mi ero sforzata di non pensarci, mi ero detta “probabilmente sta riposando, meglio lasciarlo stare”. E invece ora era lì, con le spalle poggiate allo stipite della porta e uno sguardo compassionevole, un po’ preoccupato, stanco e affaticato, ma perso in una gioia indescrivibile. Il mio cuore si riempì a vederlo. Ora che tutto era finito, ora che tutto era risolto e più niente minacciava la nostra tranquillità potevo guardarlo come sempre avevo desiderato farlo: concentrandomi solo esclusivamente su di lui. Non era più il valoroso guerriero da proteggere e da cui farmi proteggere. Ora era Boromir, l’uomo di cui ero innamorata. E potevo dimostrarlo senza troppi intoppi, non avevo più pensieri per la testa che potessero oscurare anche solo per un momento la sua immagine. Mi sentii improvvisamente leggera, avvertii le farfalline allo stomaco e una gioia sulla pelle tale da rilassare ogni mio nervo, rendendomi tranquilla e in pace col mondo più di quanto avessi mai fatto.
<< Niente che Gandalf e Elrond non potessero curare. Sei stata molto fortunata. E molto molto molto incosciente, saresti potuta morire! >> disse assumendo un tono severo e lanciando fulmini e saette dagli occhi. E come mi era già capitato in passato non vidi niente di brutto in quel gesto, ma solo tanta preoccupazione a dimostrazione del fatto che a me ci teneva. Avvertii come un brivido lungo la schiena mentre la gioia mi esplodeva in petto: era incredibile ma ero lì! Niente più pericoli mortali, niente più pensieri invadenti nella testa, solo io a Minas Tirith con le persone più meravigliose al mondo.
Ignorai le ferite che mi logoravano, saltai giù dal letto rimanendo in piedi per miracolo e mi avvicinai velocemente a Boromir, che mi venne incontro a sua volta anche se penso che lui lo facesse per potermi prendere al volo qualora cadessi giù a sacco di patate. Mi lanciai letteralmente tra le sue braccia, aggrappandomi a lui per evitare di sforzare ancora le gambe (non avrebbero resistito ancora) e lo strinsi forte come mai avevo fatto prima. Affondai il volto nell’incavo del suo collo e lì rimasi. Lì sarei voluta rimanere per sempre. Mi sentivo tremare di emozione, finalmente la felicità tanto ambita stava riposando tra le mie mani e più sarebbe fuggita via. Sentii le braccia di Boromir, che fino a quel momento mi avevano stretta delicatamente probabilmente per paura di farmi male, stringere un po’ di più, come a voler scaricare i nervi tesi su quel disperato abbraccio. A lungo le nostre mani si erano protese l’uno verso l’altro, ma nel buio che si era formato in quel piccolo mondo non erano mai riuscite a trovarsi veramente, più volte si erano sfiorate, ma mai toccate veramente. Ora luce era stata fatta, ora potevamo stringerci e più ci saremo lasciati. Così a lungo ci eravamo cercati anche prima di incontrarci, così a lungo occhi avevano vagato in un immensa anonima vallata, attirati dalle ombre, in cerca di un qualcosa. Chissà cosa.
Ma ora tutto era chiaro. Non più ombre. Non più oscurità. Non più posti sconosciuti agli occhi.  
Finalmente le nostre anime potevano vedersi chiaramente senza più la paura di un ostacolo o di un annebbiamento. Ora eravamo insieme e insieme esprimemmo in un sussurro ciò che per mesi il nostro cuore aveva celato con cura e premura, tesoro inestimabile. 


<< Ti amo. >>

Et Eärello Endorenna utúlien.
Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-metta.
[Giungo dal Grande Mare nella Terra di mezzo.
Sarà questa la mia dimora, e quella dei miei eredi,
 sino alla fine del mondo.]
   
 
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