Cap. 2
I vessilli nemici
si ergevano sulle brune colline.
Montségur, un
tempo capitale di cultura, economia, scambi e ottimi rapporti politici, era ora
isolata e emarginata come il peggiore dei mali.
-Ormai siete alle strette,
anche il vostro adorato Re lo sa… ed ora che il Santo Pontefice mi ha dato
questa opportunità, non me la farò di certo sfuggire, vi sgominerò, annienterò
e brucerò. Fino all’ultima donna, bambino o vecchio che sia.-
Questo era il filo
dei pensieri del Generale Guzmàn.
Ora era arrivato
il suo momento, perfino il Pontefice aveva capito che era inutile aspettare.
Bisognava agire.
Con lo sguardo il
Generale seguì il messaggero che si stava dirigendo alla roccaforte.
-È tempo di una
nuova era… in cui solo il Cristianesimo regnerà sovrano…- concluse i suoi
pensieri Guzmàn.
Dalla terrazza del
palazzo si poteva vedere ampiamente l’accampamento nemico.
Numerose le
bandiere, tante e tutte rosse.
Rosse del sangue
che avevano sparso in tutta
I ragazzini catari
venivano spaventati appunto da questa leggenda… cioè che il Generale avesse
imposto ad ogni componente della sua armata di partire con almeno un fazzoletto
bianco, che sarebbe poi stato intinto nel sangue dei loro nemici…gli eretici.
Se solo fosse solo
una leggenda…molte lacrime non sarebbero state sparse. Ma questo non era il
loro destino. L’ira del Generale non si era ancora abbattuta sulla loro
civiltà.
Inwee non poteva
comprendere tutta quella magnanimità da parte del Generale Guzmàn, uno spietato
carnefice, che aveva rivoltato le terre da cui era passato, lasciando solo
polvere di morte e desolazione.
Perché a loro non
veniva riservato lo stesso trattamento? Cosa o chi lo tratteneva?
Ormai il 14 Marzo
era vicino, quella era l’unica speranza di sopravvivenza del loro popolo, una
speranza dettata da leggende e superstizioni.
Non che lei ci
credesse veramente, ma cosa poteva fare? Non poteva di certo ribellarsi alla
volontà del padre, che vedeva in lei una colonna di luce, nel tetro periodo che
stava correndo.
Avrebbe volentieri
aspettato lì la sua fine, sulla sua terrazza, nella sua roccaforte, in mezzo al
suo popolo.
Ma un destino
differente le era riservato, avrebbe dovuto versare molte altre lacrime prima
di esalare l’ultimo respiro.
“Signore…” disse
pacatamente un servitore, non avrebbe dovuto disturbare il suo signore, ma ciò
che doveva dirgli era di vitale importanza.
“Dimmi Aigitras.”
Rispose il re dei catari.
“Il fuoco fatuo ha
parlato. Sono stati decisi i maestri.”
“Sai bene cosa ci
sta accadendo, Aigitras?” chiese seriamente il re.
“Cosa intendete,
mio signore?”
Tutti i servitori
si erano accorti che da tempo il re era strano e distaccato nei loro confronti,
ma solo con loro. Non con i consiglieri, non con i soldati.. né tantomeno i
vari sacerdoti e officianti.
Chiedersi cosa
passava per la testa del loro re era inutile, da quando era morta la moglie,
era incomprensibile e enigmatico.
“
Si allontanò
velocemente dalla sala del trono. Doveva dirigersi al più presto al tempio.
“Sire….
La voce del
servitore riecheggiava ancora nella sala.
Poi un sibilo,
veloce e secco.
“Mi dispiace, ma
serve sangue fresco per
“Erano giorni che desideravo
incontrarvi, Sua Eminenza…” disse, prostrandosi davanti alla figura del
pontefice, uno dei tanti cavalieri presenti al convegno indetto.
Ma non era un
semplice cavaliere. Era uno dei “Segugi Papali”. Cioè uno dei cavalieri al
servizio del pontefice, uno dei più vicini.
Il Vicario di
Cristo lo guardò con occhi stanchi, la voglia di sentire una manica di svitati
parlargli di guerra, era veramente poca.
Ma purtroppo non
poteva sottrarsi a quello che era uno dei suoi doveri.
L’aveva comandata
lui quella crociata, e ora doveva scontarne tutte le conseguenze, cioè il
dovere di ascoltare quei noiosi resoconti di altrettanto noiosi cavalieri.
Chissà poi dove
voleva arrivare Trèmont, chiedere soldi? Armi? Altri soldati?
Sbuffò con
indignazione, preparandosi a sorbire un seccante fiume di parole.
“Come le avevo già
comunicato, i nostri soldati si sono inoltrati nella terra Catara. Senza non
poche difficoltà, ma sono riusciti nella missione. Rivelandosi prodi cavalieri.
Che gentilmente Sua Santità….”
“Trèmont, vuole
arrivare al dunque. Noi non crediamo che sia il caso di utilizzare troppo tempo
per cose così futili. Quindi vada al dunque.” Disse inarcando un sopracciglio
il Santo Padre.
“Si, vostra
Eminenza. Abbiamo riportato alla luce le fondamenta del Tempio della Luna
Rossa.” Rispose tutto d’un fiato Trèmont; non sopportava l’impazienza del
Pontefice, ma sapeva che la notizia appena data era tutto, fuorché noiosa o
poco importante.
“Cosa? Siete
riusciti a trovare il Tempio? In che condizioni è?” chiese allarmato il
pontefice, si alzò spostando non solo il peso ma anche tutta la sua attenzione
verso l’interlocutore.
Sapeva molto bene
cosa sarebbe accaduto se la notizia fosse trapelata verso le alte cariche di Roma, solo una
stretta cerchia di persone sapeva bene cosa fosse il tempio e quale mistero si
celasse dietro alle sue mura muschiate.
Sarebbe stata una
vera e propria gara a chi arrivava per primo al tempio, o meglio a quello che
vi era custodito.
“Il tempio è quasi
completamente distrutto, ma l’altare sacrificale è pressoché integro, a parte
le iscrizioni. Quelle sono andate perdute.” Disse Trèmont prendendosi una
piccola rivincita, ora il Papa l’avrebbe ascoltato.