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Autore: Fusterya    31/03/2012    5 recensioni
E’ successo davvero? John si sveglia e ricorda che sì, ieri è successo qualcosa. L’amore fisico, quello mai cercato veramente, vuoi per pudore, vuoi per paura di perdersi nella complessità di un universo sconosciuto come quello, soprattutto dopo il suo sconvolgente ritorno. E adesso tutto questo lo angoscia. Ma John è solo. Lui dov’è andato, adesso?
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Sono passati 4 mesi da quel mercoledì*

Sono in bagno e mi sto lavando i denti quando sento lo spostamento d'aria della porta che energicamente si apre. Porta che per UNA volta ho dimenticato di chiudere a chiave.
Mi giro con lo spazzolino in bocca e tutta la schiuma sul mento.
"Dormi da me?" mi chiede a bruciapelo mentre si sporge dalla soglia: ha la mano destra sul pomello della porta, l'aria un po' scarmigliata e sta masticando.... cos'è? Un Mars?
"Oh..." tergiverso.
Le sue sopracciglia si inarcano nel tipico sguardo "non oserai..."
"...Ok".
Ecco che arriva il sorriso da videocitofono, quello con cui si fa aprire tutte le porte quando andiamo in giro per palazzi di sconosciuti, assassini o vittime che siano.
"Bene" replica soddisfatto, e sparisce così come è arrivato, lasciando la porta aperta.
Sollevo gli occhi al cielo e vado a chiuderla. A chiave. 
Quando finisco tutte le mie faccende ed esco in pigiama, mi rendo conto che è tardissimo e io sono stanchissimo.
Stamattina non mi sono fatto mancare un inseguimento pedonale a perdifiato, a cui è seguita la specialità olimpica nota come il salto del pranzo, di cui ormai siamo campioni europei, e, quando il tizio che rincorrevamo è finito sotto un autobus, ho avuto tutto il tempo di andare a coprire anche il turno del pomeriggio all'ambulatorio.
Sono... come dire... un po' provato.
Passo dal soggiorno, da cui proviene un bagliore celestino, e lui è in piedi ma chinato sul laptop e ci sta digitando sopra velocemente.  
"Sherlock"
Solleva un dito e mi fa cenno di aspettare. Mi avvio verso la camera da letto scuotendo la testa.
A che serve replicare?
Quando mi infilo nel suo letto e mi sistemo sotto le coperte, sento le forze che mi abbandonano.
Oh, santo cielo, che bello.
Voglio dormire, dormire, dormire.
Mentre mi sto lasciando vincere da questo rapimento di sensi, letterale, entra nella stanza galoppando con la delicatezza di un cavallo.
Apro gli occhi e vedo che si toglie la vestaglia e si infila la giacca scura, si liscia i capelli ribelli con le mani.
"Dove vai?"
"Spiacente, John, Molly ha appena terminato quell'autopsia e c'è una cosa che devo osservare nelle prossime due ore, o sarà persa." sorrisetto da videocitofono "Vuoi venire?"
"Santo Iddio, no!"  
Mi sistemo a pancia in giù sul materasso, abbraccio il cuscino, sbadiglio con enorme soddisfazione.
"Non fare troppo rumore quando torni, e spegni la luce, per favore..."
"Potresti venire anche tu, sarebbe divertente: e invece dormi..." lo sento borbottare mentre si infila il cappotto.
"Lascio a te tutto il divertimento. Divertiti anche per me. E adesso spegni la luce, ciao"
Sento i suoi passi allontanarsi, l’interruttore fa click e la stanza cade nel buio.
Finalmente!
Riesco solo vagamente a seguire il filo di qualche pensiero/ricordo confusionario mentre scivolo nel sonno... Sherlock che legge sdraiato sul divano, Sarah che mi ha invitato a pranzo domani per farmi conoscere questa specie di nuovo fidanzato, la signora anziana per cui sono preoccupato e che domani tornerà in ambulatorio e mi porterà quelle analisi da guardare... la bellezza rasserenante della quotidianità, delle cose lente e da persone normali, quelle che ogni tanto riescono a penetrare anche nella mia assurda vita... sì... sto andando... è meraviglioso....
e poi ecco di nuovo nella stanza quello scalpiccìo prepotente, fastidioso.... il materasso che molleggia sotto un peso improvviso, lo stesso che cala a tradimento sulla mia schiena.
Non riesco nemmeno a sollevare la testa perché mi sta baciando la nuca, mi tiene giù come se dovesse soffocarmi.
“Diciamo che ho due ore di tempo per quella osservazione” mi dice sotto l’orecchio destro, mentre allunga le braccia e mi afferra le mani.

Quando, più tardi, crollo su di lui con la bocca sulla sua, esausto, mentre il calore più intenso fluisce via dal mio basso ventre, penso che non sopravvivrò a lungo in queste condizioni.
“Quello che non è riuscito a fare il proiettile di Moriarty lo farai tu...” ansimo mentre mi bacia, baci ancora affamati, umidi, esigenti.
“Ti porterò dei fiori sulla lapide, come tu hai fatto con me” cerca di scherzare, ma ha l’affanno, non sembra averne mai abbastanza. Mi tiene forte per il busto e con un colpo di anche mi fa rotolare di sotto.
Rotolo giù ridendo, ride anche lui.
E morde, cazzo. Gliel’ho detto tante volte che non deve mordere, che mi lascia i segni, ma sembra un bambino felice di ripetere senza sosta un bellissimo gioco scoperto da poco.
Io mi lascio sopraffare senza repliche.
Come per il cibo, cosa dovrei mai replicare?
Questa è per me l’estasi assoluta nonostante il sonno, i muscoli che dolgono, la schiena che è un  campo di battaglia... dormirò di più domani mattina, lo prometto a me stesso, ma adesso devo dedicarmi all’unica persona che mi fa sentire un essere umano, che amplifica tutta la mia visione del mondo.  
L’unica cosa che mi fa sentire perfetto, e che non mi fa desiderare di essere da nessun’altra parte, mai.

Tutto questo è successo la prima volta mesi fa.
Ormai c’è una routine ben collaudata che io non cambierei per niente al mondo.
Una sola cosa mi disturba, ed è la luce del giorno: sotto quella, ci comportiamo come quando eravamo coinquilini e basta.
Non ne abbiamo mai veramente parlato, tranne una volta in cui fece il ridicolo tentativo di intavolare con me una conversazione diciamo... “di coppia” mentre facevamo colazione.
Se ci ripenso mi viene da ridere ancora adesso.
Ma per il resto, poi, basta.
Facciamo tutto insieme, ma durante la normale giornata non ci sfioriamo mai con un gesto di spontaneo affetto, non ci diciamo mai nulla che sia ricollegabile a questo, a noi.
Oh, certo, c’è tutta l’intesa... sottintesa. Ormai anche i più idioti sanno di noi: non ne hanno la palese conferma, ma ormai lo suppongono ben più di quanto facessero prima.
Sarà per come ci guardiamo. Per come uno finisce le frasi dell’altro.
Ma questa cosa era lì anche prima. Forse sono io che la vedo così evidente, adesso.
E non so perché il non usare le parole mi dia così fastidio.
Fatto sta che stamattina ci sto pensando.
Lui ovviamente ieri sera è corso via, dopo. Non l’ho sentito rientrare, credo di essere andato in coma più che dormire.
E stamattina è già sparito, come l’alieno che è. Come vuoi definire uno che a malapena dorme e mangia qualche schifezza qua e là durante la giornata?
Sono un medico, dovrei costringerlo a fare di meglio, ma ogni volta lascio perdere ancora prima di cominciare.

Sono vestito e pronto per il turno, ma posso uscire con calma, ho ancora mezz’ora abbondante.
Quel famoso fastidio mi gratta nel profondo. Mi fa sentire a disagio.
Io credo fermamente da un po’ che dovremmo passare a un livello superiore, ma mi imbarazzo anche solo a pensarci. E perché, poi?
Perché in fondo ci conosciamo così bene che potremmo evitare?
No, questo potrebbe essere un pensiero suo, non mio. E’ lui il quasi autistico, tra noi due. E’ lui quello che deve essere guidato in queste cose.
Sono seduto in poltrona e mi rigiro il cellulare tra le mani.
Ho un’idea ma ho un po’ di timore nel metterla in pratica. E se lo spaventassi?
Se gli sembrassi un... idiota?
Inspiro per farmi coraggio e comincio a digitare: il pensiero di sembrargli idiota non mi deve spaventare, dato che già succede quelle 5-6 volte al giorno di media.
Ma ho bisogno di farlo. Sono uno metodico, preciso, o per lo meno cerco di esserlo.
Le cose devono stare al loro posto.
Scrivo velocemente, quasi maledicendo l’evoluto programmino di scrittura dello smartphone che mi fa azzeccare le parole al primo colpo, impedendomi di riflettere. 
Ma se rifletto non lo farò.
Rileggo velocemente, imponendomi di non tornare indietro, e poi invio.
Resto col telefono dolcemente stretto tra i palmi e un’ansia crescente nello sterno, un’ansia sottile e affilata, che però mi fa sentire vivo, ricettivo, che mi acutizza i sensi e mi fa entrare aria fresca nei polmoni.
Cosa ci può essere di più prezioso per un uomo?
Il doppio suono della ricezione di un messaggio mi fa sobbalzare, il telefono vibra per un attimo fra le mie mani e quasi lo faccio cadere malamente.
Così veloce? Non deve aver avuto molto da dire.
Guardo il display, leggo il suo nome e mi sento un po’ perduto. Poi tocco l’icona che apre i messaggi.
"Avrei voluto trovarti qui stamattina, mi manchi. Ti amo. J. "- gli ho scritto.
"Finalmente, idiota. Ti amo. SH" - è la risposta.
Sprofondo di schiena nella poltrona.
Il modo per dirmi che sono un idiota lo trova sempre.
Mi metto a ridere da solo, guardando fisso il display e quel “Finalmente”.
Era tutto qui, allora.
Un finalmente.
 Avrei dovuto immaginarlo che non avrebbe saputo nemmeno da dove cominciare, anche io ho dovuto educarmi in tal senso.
Sono felice.
Più che felice.
Vorrei correre giù da Mrs Hudson e farle leggere il messaggio, e poi ballare con lei.
Ho 39 anni, spesi per lo più in solitudine e guerra, e me ne sento 4 a causa di Sherlock Holmes, il coinquilino che mi ha fatto diventare un investigatore privato, che mi ha messo in pericolo di vita due o tre volte, che è morto e risorto come gesù, e che adesso è la persona che amo più di ogni cosa al mondo.
Io non l’avevo mai ancora detto a nessuno. Nessun ti amo, mai.
Non so perché adesso, con lui, dopo tutto quello che ci è successo, sento che le parole sono importanti, che non le dobbiamo lasciar scivolare via, dimenticare, anche quando è evidente che potremmo farne a meno.
Chi ha mai dubitato di noi fin dalla prima sera che io ho messo piede qui dentro?
Nessuno l’ha mai fatto, noi eravamo gli unici a non vedere chiaramente, a non dire mai quello che davvero stavamo pensando, e questo ci ha quasi uccisi.
Il non detto ci ha quasi uccisi.
Se glielo avessi gridato quel giorno, se avesse saputo allora cosa era per me, forse non si sarebbe lanciato giù, forse avrebbe trovato un altro modo.
O forse no.  
Ma cosa importa più adesso?
Se siamo quello che siamo, abbiamo il dovere di viverlo.
Finché ci sarà.
Sento gli scalini scricchiolare solo adesso. Mi giro e mi sporgo dalla poltrona, per niente sorpreso: ancora un minuto e avrei dovuto farlo a voce, e questo mi fa sentire sollevato.
Pensavo di dovermi sentire impacciato, e invece no.
Sono sicuro di me come non lo sono mai stato.
Quando compare sulla soglia, nero e alto come un moderno vampiro, si ferma e mi guarda dritto, da lontano.
Mi viene da sorridere.
“Allora, sono un idiota?”
Si muove e viene verso di me sfilandosi i guanti, senza mai distogliere gli occhi dai miei.
“Il migliore di tutti, John.”
Quando mi arriva vicino sta sorridendo a labbra chiuse anche lui.
Mi porge semplicemente la mano, e io, semplicemente, allungo la mia e gliela stringo, mettendo insieme tutti i pezzi mancanti, quadrando un cerchio che ci ha tenuti per troppo tempo prigionieri della confusione, delle mezze verità, degli eventi fuori controllo.
Adesso siamo io e te, davvero. Sul serio.
Finalmente.

 








  
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