Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: chaplin    31/03/2012    2 recensioni
Il mio nome è John London.
Non come lo scrittore. Lui si chiamava Jack. Come il tipo del fagiolo.

[...] A dodici anni ero già un bel tipo alto un metro e ottantadue. Senza contare i sette millimetri. Sapete, non vorrei risultare pignolo. L'ho promesso a Reg. “Non sarò pignolo,” gli ho giurato. Dovevo avere dodici anni, quando gliel'ho detto, perché già mi pareva di superarlo di una spanna intera – che nel mio caso corrisponde a ventisei centimetri virgola tre, anche se in realtà dipende dalla mano; io sono un tipo dalle dita abbastanza lunghe, quindi non posso dire niente.
Reg, comunque, mi ha sempre raccomandato di non essere troppo pignolo, perché potrei offendere le persone. Mi sono sempre chiesto perché la pignoleria possa essere offensiva. In fondo, una cosa meglio è fatta e più la si apprezza. No?
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

Reg

 

Ho incontrato Reg tipo il 24 settembre del 1993, alle cinque e ventitre del pomeriggio.
Mancavano precisamente un mese e tre giorni al mio dodicesimo compleanno e avevo ufficialmente lasciato la scuola da quindici giorni. Ricordo anche le varie spiegazioni che mi hanno dato i miei genitori in quell'occasione, che erano perlopiù frasi tipo: “Troviamo che un differente metodo di apprendimento e un... certo cambiamento d'ambiente... possa esserti
molto più... di beneficio, non so se capisci cosa intendiamo”, “Lo stiamo facendo per il tuo bene, Francis. Non so se capisci cosa intendiamo” o anche “In fondo non ti piaceva andare a scuola... Non è vero, Francis? Non so se capisci cosa intendiamo” e tante altre cose di questo tipo che finivano per quattro volte su cinque con la frase “Non so se capisci cosa intendiamo”.
Non hanno fatto altro che chiamarmi “Francis”, quella volta.
Mi chiamano “Francis” quando sta per succedere qualcosa che potrebbe cambiare radicalmente le mie abitudini quotidiane (una cosa che mi dà assai fastidio, se devo esser sincero), oppure dopo aver avuto un colloquio con un insegnante. Poi mi chiamano “Johnny” quando devono dire qualcosa per lusingarmi – “Oh, Johnny, siamo davvero fieri di te!”. Invece, quando mi chiamano “John Francis Lancelot London”, lo fanno per sgridarmi. “John Francis Lancelot London, scendi
subito da quell'albero o ti faccio a pezzi!”. Mai che mi chiamino “Lancelot” e basta, però.
Comunque, avevo appena lasciato la scuola e mancavano tipo un mese e tre giorni al mio dodicesimo compleanno.
Quando i miei mi hanno chiamato, io stavo tipo giocando in giardino.
Reg stava seduto sul tavolo della cucina assieme a mio padre. Era un tipo dai capelli ricci e scuri che indossava un maglioncino di lana e portava al collo un lungo sciarpone colorato; teneva la guancia appoggiata al palmo della mano destra mentre guardava fuori dalla finestra, teneva le estremità della bocca lievemente alzate. In generale, somigliava molto al tipo con la sciarpa di Doctor Who, non so se avete presente. Il Dottore, intendo. Che tipo, il Dottore.
Non sembrava stesse prestando molta attenzione a quello che stava dicendo mio padre. Forse stava guardando qualcosa di divertente, come una carovana di mormoni alla ricerca della terra promessa o una corsa equestre.
“Ah, Francis!” ha esclamato mio padre, tipo voltandosi. “Questo è...”
“Reginald Cunningham, nato il due agosto millenovecentosessantanove a Tulsa, Oklahoma.”
Sia mio padre sia Reg mi hanno guardato a bocca aperta. Mi viene l'ansia quando qualcuno mi guarda così. E' come se ci fosse qualcosa che non va in me. Non è un bel tipo di sensazione.
Dopo tre secondi e mezzo, mio padre mi ha domandato qualcosa tipo “Prego?”. Nel frattempo, Reg si stava coprendo convulsamente la bocca con una mano, guardandomi di sottecchi. In seguito, mi ha spiegato che la ragione di questo suo gesto consisteva nel semplice fatto che stava tentando di trattenere una risata, poiché non è opportuno ridere in certe occasioni.
“C'è scritto qui, sir,” ho risposto, indicando col dito il foglio poggiato al centro del tavolo.
Le estremità della bocca di Reg si sono ulteriormente alzate, poi ha avvicinato la mano destra verso di me dicendo: “Sono davvero lieto di conoscerti, John. Era ora! I tuoi genitori mi hanno parlato di te per settimane, non vedevo l'ora di incontrarti dal vivo... Me l'avevano detto che eri alto, in effetti...”
“Un metro e ottantadue virgola sette millimetri, sir,” ho detto. “Non so se ci sia tipo un ulteriore mezzo millimetro. Sa, mi sono misurato per l'ultima volta sei giorni fa, alle tre e quarantadue, nell'ambulatorio che sta in centro. Essendo quindi passati tipo sei giorni e altrettante ore, non ricordo con precisione, sir.”
Reg è rimasto in silenzio per circa due secondi, la mano destra ancora sospesa in aria e la bocca tipo semichiusa.
Mio padre, nel frattempo, continuava a sussurrarmi “Stringigli la mano,
stringigli la mano!”, con le sopracciglia inarcate e a denti stretti. Ho corrugato la fronte e ho obbedito.
In seguito, Reg mi ha spiegato che due tipi si stringono le mani, quando si incontrano.
“Un metro e ottantadue, eh?” ha commentato allora Reg, tipo ridendo.
“E sette millimetri, sir.”
“E sette millimetri, va bene, va bene,” Reg ha abbassato gli occhi, scuotendo la testa. “Comunque sia, è un vero piacere, John. Ormai sai il mio nome, ma non c'è bisogno che tu mi chiami
sir, né tantomeno signor Cunningham o altre cose del genere, mi basta anche un semplice “Reginald”, oppure se ti va anche...”
“Reggie-baby, sir?” ho chiesto.
Reg ha rialzato gli occhi su di me. Poi, è tipo scoppiato a ridere.
“Tu ed io andremo molto d'accordo, John,” ha detto.
In effetti, io e Reg siamo sempre andati molto d'accordo, proprio come aveva previsto, però mi chiedo tuttora cosa c'entrasse quell'accurata intuizione in tale contesto.

 

Il Natale del '96, Reg è tipo tornato da noi.
Ho avuto tipo cinque o sei tutori differenti tra il novembre del '94 e i primi undici mesi (e ventiquattro giorni) del '96. Durante quel periodo, mia madre aveva preso la strana abitudine di subire un bizzarro attacco naturale di lacrimogeni almeno una volta ogni due giorni. Cioè, si accovacciava da qualche parte, diventava tipo rossa come un peperone e perdeva una grande quantità di lacrime dagli occhi. Non che fosse tanto carino da vedere.
“Non so cosa fare,” diceva. O urlava, a seconda dei casi.
In ogni caso, dopo tipo cinque o sei tutori differenti, i miei genitori hanno optato per far tornare Reg, anche perché era dal novembre del '94 che gli chiedevo cose tipo “E Reg quando torna?”. Quindi, il Natale del '96, Reg
è tipo comparso davanti all'ingresso con un pacchetto colorato sotto il braccio e la solita sciarpa colorata attorno al collo.
Ricordo che, in quell'occasione, Reg mi ha tipo scompigliato i capelli con la mano sinistra.
Le carezze mi hanno sempre dato un gran fastidio, sapete, ma in quel momento mi sono sentito addirittura lusingato nel ricevere quel gesto che, da quanto avevo appreso in quegli ultimi anni, simboleggiava un concreto affetto.
Nel pacchetto colorato, comunque, c'era tipo un libro per bambini dedicato al Far West. Un testo assai simpatico, anche se era tipo pieno di inaccuratezze e divagamenti poco necessari.

 

Al momento, sono un freshman in un istituto superiore situato nella zona compresa ai confini di Memphis, Tennessee.
In realtà sono in età da
sophomore, ma i miei genitori mi hanno spiegato che ricominciare da capo sarebbe stata una scelta migliore per me e altre cose simili. Anche in quest'occasione, non hanno fatto altro che chiamarmi in continuazione “Francis”. Mai che mi chiamino “Lancelot” e basta, però.
A scuola (ossia all'istituto superiore), comunque, ho incontrato Phyllis.
Non è molto alta, ha il viso ovale e porta un carrè color nocciola. Viene tipo da New York, il che conferma l'esistenza di quella città sulla superficie del pianeta. Ho sempre sempre avuto dei dubbi riguardo all'esistenza di New York, sapete. Quando le ho esposto i miei pensieri riguardo a New York e alla sua dubbia esistenza, ha riso per un paio di minuti – precisamente, tre e mezzo, riprendendo fiato mediamente ogni undici secondi virgola due. Passati cinque minuti, mi ha detto qualcosa tipo “Sei tenero”. E quando le ho chiesto cosa significava “tenero”, ha riso di nuovo. Tipo per altri tre minuti. Anzi, stavolta per due minuti precisi.
Che tipo, Phyllis.
Dice di aver vissuto in “millemila” posti diversi, metà dei quali inclusi nel territorio del Texas. Il che mi pare impossibile, visto che il Texas, pur essendo il secondo stato più grande degli Stati Uniti, non ha abbastanza spazio fisico per contenere addirittura cinquecentomila città (barra comuni) differenti – cinquecentomila poiché immagino che Phyllis, con “millemila”, intendesse dire
un miliardo, e un miliardo diviso due fa cinquecentomila. In ogni caso, in Texas ci sono stato pure io, quindi siamo andati tipo d'accordo fin dall'inizio, quando mi ha visto in giro per i corridoi del primo piano e mi ha aiutato a trovare l'aula di chimica (gran bella materia la chimica, nonostante gli scienziati tendessero a dare nomi fin troppo confusionari a ciascun elemento).
Phyllis, poi, mi ha presentato a sua volta un suo amico, di cui in realtà ero già a conoscenza.
Il suo amico si chiama Mike, viene da una località compresa tipo in Houston, Texas, ha tipo dieci mesi e tre giorni in meno di me e alle elementari ha frequentato la mia stessa scuola, a Dallas, sempre nel Texas, a due aule di distanza da me; ai tempi abitava pure nel mio stesso isolato.
Riguardo al tipo di rapporto che io e Mike avevamo alle elementari, ricordo che ad un certo punto, a due mesi e una settimana di distanza dalla prima volta che ci eravamo parlati, avevamo deciso di diventare “migliori amici”.
“Vuoi diventare il mio “migliore amico”?” gli avevo chiesto. “Bennie dice che i “migliori amici” sono quelli con cui giochi a palla in cortile almeno per più di dieci volte, e noi abbiamo giocato a palla in cortile per undici volte lungo l'arco di tempo compreso dal ventidue settembre fino al ventinove novembre, ossia oggi.”
Mike aveva alzato le spalle e aveva detto che gli andava bene.
Un'altra cosa che ricordo è che anche i nostri genitori erano tipo amici – anche se non “migliori amici”, non avendo mai giocato a palla in cortile.
Vedevo sempre i miei genitori e la madre di Mike ridere in salotto, parlando a voce molto alta. Mio padre diceva le sue freddure, mia madre rideva tipo tutto il tempo. E quando eravamo a tavola, dopo che la madre di Mike se n'era andata, mia madre diceva qualcosa tipo: “... e che s'affretti a sposarsi, diamine! Altrimenti...” tra una risata e l'altra, accompagnata a sua volta dalla risata di mio padre.
Ricordo inoltre che a volte Mike si fermava da me a giocare tipo ai Sioux. Io facevo lo schieramento delle trib
ù native, Mike faceva l'esercito statunitense.
Ai tempi ero del tutto convinto che i Sioux avessero ottenuto la vittoria nei grandi conflitti tra nativi e tipi europei che si sono scatenati tra il 1876 e il 1877, quindi nei nostri giochi vincevo sempre io. Poi solitamente era Mike a farmi vincere, visto che non sono mai stato un tipo bravo a correre.
In ogni caso, Phyllis e Mike sono i due tipi con cui passo la maggior parte del tempo quando sono nei corridoi e durante l'intervallo.
Mi piace stare con loro. Sono due tipi molto spassosi, nonostante il loro umorismo non sia particolarmente europeo.
Mike scrive tipo poesie e racconti.
L'ha sempre fatto fin dalle elementari, ma è bello sapere che ha continuato a farlo. Ci dice sempre cose tipo “Sto tipo scrivendo una cosa”, “Ho tipo quasi finito di scrivere una cosa”, “Niente da fare. Alla fine c'ho tipo rinunciato a finire quella cosa, non so se mi seguite” e tende a portare con sé un blocco note, una penna e un registratore portatile di cassette. Quando lo si vede fuori dall'edificio scolastico, suole a portarsi dietro la chitarra. La suona. Ho sempre trovato ganzi i tipi che sono capaci di suonare uno strumento.
Phyllis, invece, disegna.
Per lo più animali o paesaggi.
E' tipo brava forte. A chimica, la vedo sempre con la testa china sul margine del foglio, intenta a scarabocchiare fiorellini, gufi e scoiattoli. Adora disegnare le stelline, poi. Quelle le mette tipo dappertutto.
A volte, ci incontriamo tutti e tre fuori dall'istituto e
vvvvuuuummmm saliamo su un autobus che ci porta fino al centro della città, verso i posti più affollati di Memphis.
Non che Memphis sia tipo il massimo, però. E' un po' la solita squallida cittadina dall'aria esageratamente statunitense, per dire.
Qui a Memphis, non vedi altro che facce nere di tipi negri. Oltre il 60% della popolazione è composta da tipi negri.
I nativi restano in ogni caso una minoranza, però.

 

Quando gli ho parlato di Phyllis e Mike per la prima volta, Reg ha tipo alzato i lati della bocca come fa ogni volta che è “felice” (so che un tipo è “felice” quando ride, alza i lati della bocca e accelera il suo parlato. In quest'ultimo caso, il tipo può anche corrispondere agli aspetti che caratterizzano un tipo “eccitato”) e mi ha dato una pacca sulla parte alta della schiena, nella zona compresa tra le scapole, dicendomi che era davvero felice per me, appunto.
Reg, comunque, viene a scuola con me. Nel senso che seguo tipo un orario che hanno prescritto apposta per me in cui c'è annotato che, durante certe ore (precisamente la terza e la quarta ora ogni martedì, giovedì e sabato. Non per risultare pignolo, ovviamente), devo recarmi in un'aula dove tipo studio assieme a lui. Poi, i mercoledì, ho un'ora supplementare alla fine delle lezioni in cui mi devo recare da questo tipo molto frisco (un termine per denominare un tipo molto ammirevole, come detta il gergo degli autostoppisti galattici) che si chiama tipo Sandler. A Sandler parlo tipo delle mie giornate, di come mi sento a livello psicologico e di tutta quella roba l
à. E' divertente.
Reg, comunque, dice che sto facendo progressi. Non che abbia ben capito in che cosa, ma è piacevole sentirselo dire.

 

 

 

 


Prima di introdurre una qualsiasi spiegazione, vorrei ringraziare di cuore chi ha dedicato un po' del suo tempo nel leggere questa storia e nel commentarla.
Sono molto affezionata a questo personaggio, quindi mi ritrovo a provare una certa felicità nel vederlo apprezzato e, soprattutto, compreso, “ascoltato”. Lo stesso vale per questa storia in sé, che scrivo con un indubbio piacere e con molto impegno – ma è un mio frequente vizio di questi ultimi tempi, quello di metterci tutta me stessa in ogni sfida che mi viene/a cui vado incontro.
Ci sono delle persone realmente esistenti, in questa storia, ma per lo più sono delle licenze poetiche personificate: personaggi di un determinato contesto che sono stati obbligati ad affrontare un nuovo tipo di realtà, sicuramente estraneo al tipo di realtà a cui appartenevano in precedenza.
All'inizio, John non era un vero e proprio personaggio. Era solo una singolare comparsa in una storia che stavo scrivendo in precedenza, ma che lentamente ha iniziato a ribellarsi e a dire che voleva essere qualcuno. Non pensiate che John sia davvero quel gran modestone che vuole sembrare, in realtà muore dalla voglia di dirvi qualcosa di più su se stesso, di mostrarvi un altro po' della sua particolare realtà. Spero quindi che questo capitolo non sia poi così male come pare a me e ringrazio di cuore, per un'altra volta, le persone che hanno letto e commentato e apprezzato, rivolgendo allo stesso tempo un nuovo ringraziamento altrettanto caloroso a chiunque s'appresti a iniziare questo scritto.
Detto questo, un bacio.

 

(Un breve disclaimer: tutti i personaggi qui raffigurati mi appartengono, eccetto Mike Nesmith e Phyllis Ann Barbour.
Ringrazio il signor John Carl Kuehne per il nome che mi ha indirettamente suggerito.)

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: chaplin