Fanfic su attori > Logan Lerman
Segui la storia  |       
Autore: Just another Ghost    01/04/2012    3 recensioni
Logan Lerman
I nostri respiri si rincorrevano, i gemiti, i sospiri.
"Solo attrazione fisica" sussurrai sul suo collo.
"Non potrebbe essere altrimenti" mi rispose, baciandomi un’ultima volta, dolcemente, e accasciandosi al mio fianco.
Quella frase mi aveva lasciato l'amaro in bocca.
Lui amava Anna.
Lo avrebbe sempre fatto.

Non sottovalutate questa fanfiction, non è una storia d'amore fatta di zucchero e cannella.
Qui c'è fin troppo dolore. Perdite. Tradimenti. Sensi di colpa. Bugie. Musica.
Già, la musica.
Non fatemene una colpa se in ogni capitolo troverete una canzone.
Io campo di questo.
La musica è il mio veleno e
la mia
medicina.
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The Sun si breaking in your eyes.



2. My Heart is yours...


Con il mattino, arrivò anche una nuova prospettiva nel vedere le cose.
La figura esile di Anna non sembrava così spettrale alla luce del sole di New York e il ritmo frenetico dell’ospedale, attivo già all’alba, rappresentava una distrazione.
Avevamo dormito tutti lì, sistemati alla meglio, dopo feroci lotte con i medici che ci intimavano di andar via visti gli inesistenti legami di parentela.
Chissà, forse a fare cambiare loro idea erano state le lacrime di Reb, oppure la mano di Gab poggiata al vetro che lo separava da Anna, o ancora la mia esclamazione sibilata.
Lei è mia sorella!
Comunque sia, avevamo passato una nottata d’inferno.
Mi svegliai a causa dell’imprecazione decisamente troppo alta di un’infermiera.
Sospettai che lo avesse fatto a posta, poiché per il resto della mattinata era stata in religioso silenzio, e solo ogni volta che mi passava davanti sorrideva gongolante.
Subito dopo di me, anche Gab aprì gli occhi e decidemmo di prendere una boccata d’aria in cortile.
«Dormito bene?» mi chiese per spezzare il silenzio, calpestando una foglia secca grande quanto la sua mano.
Alzai un sopracciglio. «Mi prendi in giro?»
Rise senza entusiasmo, una risata dura e breve. «Non sai quanto vorrei che fosse così»
Gli passai un braccio intorno alla schiena e lui mi strinse per le spalle. «Mi dispiace così tanto…» gli sussurrai, abbassando la testa.
Lui alzò le spalle. «A volte cerco di convincermi che se non fossi così innamorato di lei, probabilmente sarebbe più facile. Ma poi mi rendo conto dell’assurdità dei miei pensieri, perché so che starei tanto male quanto adesso» spiegò con voce colma di tristezza e rammarico.
Lo strinsi forte, e lui riprese.
Fu un bene, perché sinceramente ero a corto di parole.
«Sono stato così idiota a non averglielo mai detto. Un coglione di dimensioni colossali. Se solo avessi provato a… a… tenerla con me, a starle vicino. Non avrei mai potuto impedirle di frequentare quella scuola, ma magari… magari l’avrei seguita io e a quel punto forse tutto questo non sarebbe successo. Forse a quest’ora staremmo insieme, ad abbracciarci tra una lezione e l’altra…» si agitò, coprendosi il viso con le mani.
«Ehi, ehi. Ssst. Gabriele, non devi minimamente pensare che sia colpa tua. Non puoi. Le cose accadono, e purtroppo non abbiamo una macchina del tempo per cambiarle. Non sai quanto la vorrei anch’io in questo momento. Ma non c’è. E tu non puoi rovinarti la vita con i se e con i ma. Non puoi ritenerti responsabile» gli ordinai perentoria, scoprendogli il viso e fissandolo dritto negli occhi castani.
Il suo labbro inferiore tremò senza controllo e a quel gesto non potei che abbracciarlo di slancio e stringerlo fortissimo.
«Grazie» mormorò tra i miei capelli.
«Non dirlo»
Si staccò da me, fissandomi a sua volta. «Non devi farlo neanche tu. Sentirti in colpa, intendo. So cosa stai pensando, cosa ti passa per quella testolina. Tu hai meno colpe di me per ciò che è successo. L’unica colpa è quella di volerle troppo bene»
Annuii e rientrammo in silenzio, stretti l’uno all’altra, nel tentativo disperato di ritrovare un minimo di forza.
 
 
«Oh, eccovi» disse con voce roca Reb, venendoci incontro. «Lucia dice che se volete potete entrare in camera, ma adesso c’è già qualcuno, non ho idea di chi sia o per quanto rimarrà lì»
Gab annuì e senza degnare di uno sguardo la vetrata trasparente si diresse alla finestra più lontana, affacciandosi.
«Come stai, tesoro?» mi chiese Rebecca, stringendomi una spalla.
Le presi la mano e la baciai, fingendo un sorriso sereno.
Non gliela diedi a bere.
S’incupì. «Già» disse solamente, abbracciandomi per qualche secondo e tornando a sedersi accanto a Lucia con un sospiro.
Continuavano a risuonarmi in testa le note di My Heart, la versione al pianoforte che avevo sentito un po’ di tempo prima.
 
Stay with me, this is what I need, please.
 
Sing us a song and we'll sing it back to you
We could sing our own but what would it be without you?

 
This heart, it beats, beats for only you
My heart is yours



Canticchiai a bassa voce il motivetto, ma sembrava il Requiem di Mozart.
Già, come sarà senza di te, Anna?
Attesi pazientemente che il visitatore andasse via, lasciandomi libera di vedere la mia piccola Anna, seduta accanto a Lucia e Reb.
Quanto tempo passò, non saprei dirlo.
Quando Marco tornò, dopo aver sistemato tutto in albergo, erano già le undici e mezza.
Feci mente locale.
Erano quasi tre ore che stava lì dentro, lo sconosciuto.
«Ehi, Lucia. Chi c’è dentro con Anna?» chiesi in un sussurro.
Lei sembrò pensarci su, poi, con un sorriso tenero, disse semplicemente «Logan».
Non mi era molto d’aiuto.
«E’ un compagno d’università?» domandai ancora.
Lucia annuì. «Le vuole molto bene. Stanno insieme da tre mesi»
Fitta al cuore.
Pugnalata alle spalle.
Gab. Cristo Santo, Gab! In quale triangolo sei finito?
«E… come si sono conosciuti, lo sai?» balbettai sotto shock.
Annuì ancora, sempre sorridendo. «Era la sua guida quando è arrivata qui. Sai, cose che fanno all’università. È stato un colpo di fulmine. Lei è proprio cotta, nonostante la differenza di età. Sai, lui ha ventidue anni»
Trovai incredibilmente toccante il fatto che Lucia ne parlasse ancora al presente, e inoltre mi diede una speranza in più, per quanto minima.
Eppure non riuscivo a non pensare a Gabriele, ai suoi sentimenti per Anna, al suo amore non ricambiato.
Gli era stato concesso il beneficio del dubbio, ma adesso?
Ne sarebbe uscito distrutto, nulla gli avrebbe impedito di conoscere lo sconosciuto che aveva preso inconsapevolmente il suo posto.
Il corridoio di un ospedale non è esattamente il luogo adatto per sfuggire dalla cruda realtà.
Proprio mentre cercavo di ricordare il nome del ragazzo, questo aprì la porta, mostrandosi al pubblico lì presente.
Provai una sorta di déjà-vu non appena incontrai il suo sguardo color del cielo.
Azzurro.
Era lui, il ragazzo incontrato al check in che mi aveva appena sfiorata con lo sguardo e che tuttavia non ero riuscita a non fissare.
Cazzo se aveva gusto Anna.
Scossi la testa, non era il momento di pensare a quello.
I capelli scuri erano tenuti a bada da un berretto grigio e solo pochi ciuffi facevano capolino sulla fronte pallida.
Aveva gli occhi azzurri stanchi ma attenti, brillavano di desiderio e di qualcos’altro che tuttavia non riuscii a riconoscere subito.
Affetto? Amore?
Indossava gli stessi vestiti che gli avevo visto all’aeroporto, probabilmente nemmeno lui se l’era sentita di farla aspettare.
Anche stavolta, i suoi occhi mi sfiorarono per caso, ma si soffermarono più della volta precedente.
Probabilmente si stava chiedendo dove mi avesse vista.
Lucia, al mio fianco, si alzò e quasi gli corse incontro, incatenata dal debole ed esausto sorriso che – Logan! Ecco come si chiamava! – Logan le rivolgeva.
«Salve, Lucia» la salutò in italiano.
Sorrisi sentendo il suo buffo accento.
«Logan, tesoro! Sono contenta che tu sia qui» esclamò questa, abbracciandolo come se fosse suo figlio.
Non sapevo che fare, se alzarmi, se presentarmi, se raggiungere Gab che fissava l’ultimo arrivato con astio evidente o se restare dov’ero.
Non potevo certo continuare a fissare la scenetta commovente, tenendomi una mano sul viso per evitare di scoppiare a piangere.
Parlottarono tra loro per un po’, poi, non appena lo sguardo del ragazzo si posò nuovamente su di me, Lucia sembrò improvvisamente ricordarsi di fare le presentazioni.
Si voltò e mi sorrise, incitandomi ad avvicinarmi.
Cercai di ricambiare, imbarazzata e li raggiunsi.
«Logan, lei è Emma, la migliore amica di Anna. Sono come sorelle» spiegò in italiano, e sbirciai l’espressione di Occhi Azzurri per assicurarmi che capisse tutto.
«Noi siamo sorelle» corressi gentilmente, tendendo una mano verso Logan e sorridendogli lievemente.
«Piacere di conoscerti» dissi in inglese, temendo che non riuscisse a comprendere ogni singolo vocabolo italiano.
Ricambiò il sorriso con il mio stesso entusiasmo, pari a zero viste le tragiche circostanze – non potevo certo biasimarlo – e mi strinse la mano.
Sembrò apprezzare il mio tentativo di parlare la sua lingua, perciò tentai di impegnarmi nel farlo al meglio.
«Hanno affrontato un lungo viaggio fin dall’Italia, con così poco preavviso per di più. Ti ringrazio davvero tantissimo, cara. Perché non vai in albergo a rinfrescarti?» mi domandò Lucia, facendomi arrossire.
Ero vestita assolutamente come una barbona, con un paio di pantaloncini a jeans strappati e una felpa troppo larga, prestatami da Gab.
Evidentemente anche Logan si accorse del cambiamento di colore sul mio viso, perché sorrise divertito.
Non sei messo molto meglio, tu, pensai, guardandolo.
«Voglio vedere Anna, prima» mi impuntai.
Ed era vero, in parte.
In realtà, la cosa che più mi preoccupava era immaginare Logan, Gab e Lucia, da soli, nel corridoio solitario del reparto chirurgia, a discutere riguardo il primo appuntamento tra Anna e Occhi Azzurri.
Scossi la testa impercettibilmente, inorridita.
Assolutamente no. Non dovevo permetterlo.
Lucia non mi contraddisse e annuì con un sorriso.
Mi voltai verso Logan. «E’ stato un piacere, Logan» dissi a mezza voce, sforzandomi di sorridergli, e mi allontanai verso Gab, che aveva sicuramente assistito alla scena, nonostante sembrasse preso dalla figura di Anna al di là della vetrata.
«Ehi» sussurrai, stringendogli una spalla. «Entriamo, dai»
Prese un respiro profondo e spinse la porta, entrando per primo.
Io restai indietro, sbirciando con la coda nell’occhio Logan, che analizzava la scena con attenzione.
Fissava Gab, il suo modo di fare, di restare al capezzale di Anna, di abbassare la testa per nascondere le lacrime che inevitabilmente uscivano.
Fissava me, la mia mascella serrata, le lacrime che non facevo scappare, non qui, non davanti a lui.
Avrei giurato che riuscisse addirittura a palpare il mio fastidio per quanto riguardava la sua presenza lì.
Gab, è sempre stato Gab, anche se Anna non se ne rendeva conto.
Erano l’uno la parte migliore dell’altro.
Mi costrinsi ad entrare, senza però avvicinarmi troppo.
Avevo il terrore spaventoso di non ritrovare più il mio piccolo raggio di sole sotto le bende e le cicatrici.
«Quel pazzo con l’Audi le ha aperto il ventre in due, l’operazione è oggi pomeriggio» disse Gab con una voce tombale che mi fece rizzare i capelli sulla nuca.
«Quanto durerà?»
Scosse la testa. «Lucia non ne sa nulla. Non ha voluto sapere altro. Ha detto ai medici “voglio solo che stia bene, non mi interessa il come o il quando. Portatemi indietro la mia bambina”» riportò le parole della donna con voce tremante, asciugandosi qualche lacrima sfuggita al suo ferreo controllo.
«E’ sempre lei» mi sussurrò poi con una voce totalmente diversa.
Spostai immediatamente lo sguardo sul suo viso, trovandolo sorridente.
«Gab…» tentai, ma mi bloccò con un gesto.
«Guardala!» ordinò quasi ridendo «è sempre lei, sotto questa mascherina per l’ossigeno, sotto le ferite, i tagli, il sangue ancora fresco. È ancora la mia Anna!» rise di gusto, una risata che mi fece salire le lacrime agli occhi.
Dopo cinque minuti buoni passati così, tra le sue risate agonizzanti e i miei silenzi, sentii un cambiamento.
Le risa divennero più forti e non mi ci volle molto per capire che stava singhiozzando.
«Oh, Dio, Gab» sospirai, avvicinandomi a lui e stringendolo forte, mentre affondava la faccia nella mia spalla e piangeva come un bambino.
«E’ ancora lei. È ancora lei» ripeteva come una nenia, cercando, forse, di convincere sé stesso.
Dopo un po’ di tempo passato in silenzio, non appena la sua crisi cessò, si alzò dalla sedia, diretto fuori.
«Dove vai?» chiesi, aggrottando le sopracciglia.
Era passato a malapena un quarto d’ora.
«Devo prendere una cosa»
Tornò dopo pochi minuti con in mano una custodia nera.
Mi sorrise e non potei che ricambiare, intuendo le sue intenzioni.
«Ti sentivo cantare My Heart prima. E allora mi è venuta l’idea di suonarle qualcosa. Giusto per non starcene qui a piangerci addosso. Te la senti, Em?»
Annuii decisa.
Non potevo essere più d’accordo.
Lanciai uno sguardo fuori dalla vetrata e aggrottai le sopracciglia non appena mi accorsi dello sguardo incuriosito di Logan fisso su di noi.
Mi accorsi di Lucia che sorrideva e gli parlava a bassa voce, probabilmente della band.
Tornai a guardare Anna e, non appena Gab ebbe accordato la chitarra, mi sedetti dal lato opposto del letto rispetto a lui e cominciai a cantare.
Sentivo gli occhi azzurri di Logan e quelli verde smeraldo di Lucia fissi su di me.
Le lacrime premevano per uscire, ma stavolta avrei vinto io.
Cantavo per Anna, per Lucia, per Gab e per me stessa, cantavo con il sorriso sulle labbra perché sapevo quanto quella canzone piacesse alla mia migliore amica.
«This heart it beats, beats for only you, my heart is yours, my heart is…» terminai la canzone e sorrisi a Gab, restando ancora un po’ a guardare Anna.
Mi tornò in mente l’episodio ricorrente che si verificava ogni singola volta che dormivo a casa sua.
Io sapevo essere pigra, ma lei mi batteva alla grande.
E così, quando la mattina mio padre doveva venirmi a prendere a casa sua e lei dormiva ancora, rimanevo a fissarla e a torturarla con il solletico o facendo più rumore possibile.
Inutile dire che, nonostante i miei sforzi, non si svegliasse mai.
Cominciavo a pensare che lo facesse di proposito.
Controllai l’orologio e mi accorsi che era quasi ora di pranzo, così dissi a Gab che sarei andata in hotel per cambiarmi e mangiare qualcosa.
Lui decise di rimanere ancora un po’.
Salutai con un sorriso Lucia, Marco e Reb che stavano piluccando delle insalate, offerte dalla struttura ospedaliera.
Rebecca mi rivolse una smorfia disgustata e scoppiai a ridere, per la prima volta in quei due giorni infernali.
La musica era davvero l’unica medicina efficace.
Uscii dall’ospedale, diretta all’hotel che grazie a Dio era solo qualche traversa più avanti.
Salii in camera, una stanza sobria e con due letti gemelli dalle trapunte blu notte.
L’avrei divisa con Gab, meglio lasciare a Reb e Marco la loro intimità, anche perché non avevo alcun problema a dormire con il mio migliore amico.
Raggiunsi la mia valigia e tirai fuori i primi vestiti che trovai, per poi dirigermi verso il bagno e fare una doccia veloce.
L’acqua calda servì a sciogliere i miei nervi tesi e, in più, mi ricordava casa.
Per qualche minuto, fu tutto come se non fosse mai accaduto nulla.
Ero nel bagno della mia vecchia casa in Sicilia – con il rubinetto del lavandino aperto perché altrimenti l’acqua calda te la potevi sognare – e la musica che suonava dall’ipod.
Tutti i casini, l’università di Anna, l’incidente, Logan che prendeva il posto di Gab, non erano mai successi.
Era tutto come prima.
Era casa.
 
 
Una volta indossati un paio di jeans, una canotta nera e un cardigan lungo, asciugai i capelli umidi e uscii, diretta nuovamente in ospedale.
Quasi dimenticai il pranzo, ma il brontolio insistente del mio stomaco era troppo fastidioso per essere ignorato.
Comprai un panino al bar sotto il St. George e salii al reparto chirurgia.
L’ascensore, come al solito, era stracolmo.
Mi voltai, decisa a prendere le scale, ma per mia sfortuna lo feci troppo in fretta, così travolsi mezza dozzina di persone.
Borbottai alcuni I’m sorry e sgusciai via, ma una mano bianca e affusolata mi afferrò il polso.
Guardai verso il proprietario di quella stretta delicata e non mi sorpresi di trovare Logan.
«Vuoi parlare?» mi chiese nel suo americano perfetto e terribilmente melodioso.
Avevo sempre amato quella lingua, facevo di tutto per guardare i programmi alla tv in lingua originale.
«Riguardo a…?» chiesi acida, senza però riuscire a scrollarmi di dosso la sua mano.
Mi faceva uno strano effetto sentire la sua pelle contro la mia.
Fece un sorrisino divertito.
Be’, almeno aveva senso dell’umorismo, il ragazzo.
Ma ero sicura che Anna non se ne fosse invaghita solo per quella faccia da premio oscar e quella voce sexy e roca.
Tornò serio dopo un momento. «Anna» mormorò con voce incrinata.
Dovetti impiegare un secondo in più per capire di chi stesse parlando.
L’accento storpiava incredibilmente il suo nome.
Mi incupii. «Vorrei davvero riuscire a parlare di lei adesso, ma ho bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare la cosa. Mi dispiace» dissi secca, scrollando il braccio e salendo quasi di corsa le scale, diretta al reparto chirurgia.
Ma cosa diavolo voleva da me, adesso?
Mi stava già sui coglioni per essere una delle cause della sofferenza di Gab, ci mancava solo il voler essere amici.
Che parlasse pure con Lucia, di certo sarebbe stata più disponibile.
«Emma» mi sentii chiamare e fu solo per miracolo che non sferrai un cazzotto al proprietario di quella voce.
E fu un bene, perché altri non era che Marco.
Sospirai di sollievo. «Ehi, Marco. Pensavo fossi… lascia perdere. Dimmi»
«Nulla, volevo dirti che tra poco io e Reb stacchiamo, vorrei distrarla un po’… ti dispiace se io e lei stiamo un po’ per conto nostro? Non vorrei che pensassi che trascuriamo Anna e tutto il resto…» spiegò fissandomi con quegli occhioni grigi sinceri.
Come si poteva dire di no a quella specie di panda dolcissimo?
Era un tesoro, ed ero contentissima che trattasse con i guanti la mia Rebby.
Gli sorrisi. «Grazie per esserti preoccupato di dirmelo, ma per me non c’è alcun problema. Anzi… vorrei che la tenessi fuori il più a lungo possibile… Non vive molto bene questa situazione» considerai, lanciando uno sguardo alla sua figura inginocchiata accanto ad Anna.
Lui annuì e mi abbracciò, lasciandomi un po’ infastidita, ma contenta che cominciasse ad esternare i suoi sentimenti con noi della band.
Avevo scritto in fronte “orso abbraccia tutti” per caso?!
Dopo pochi minuti entrambi stavano uscendo mano nella mano.
Il resto del pomeriggio passò lento e pigro, tra via vai di medici, infermieri e visitatori.
Si era fatta davvero un sacco di amici all’Università, ma d’altronde non avevo alcun dubbio.
Anna era ammaliante, affascinante e sapeva stregare chiunque, esempio lampante era Logan.
Da adolescente paragonavo spesso la mia persona alla sua, trovandomi mille difetti in confronto a lei.
Lei era bella, alta, con gli occhi verdi e i capelli biondi.
Io arrivavo al metro e sessanta per chissà quale grazia divina, e avevo i tipici tratti mediterranei, occhi cioccolato e capelli castani.
Avevo provato a tingerli di rosso, ma mia madre mi aveva scoperta e ogni mio tentativo era stato stroncato sul nascere.
Non ero arrivata neppure ad aprire il tubetto di tinta!
Ma con il tempo ero riuscita ad apprezzarmi per quello che ero, una semplice ragazza che nella musica trovava la sua identità e che stava bene anche da sola, senza bisogno di trovarsi un ragazzo ogni mese.
Avevo appena deciso di riprendere la lettura de La Metamorfosi di Kafka, un libro che mi aveva appassionata sin dalla prima pagina.
Amavo l’introspezione, il realismo magico dell’autore e i risvolti psicologici che abitavano ogni suo scritto.
Ma purtroppo la mia vita era fatta quasi interamente da imprevisti, quindi non appena vidi due figure familiari appartarsi e parlare tra loro, fui costretta ad abbandonare la lettura.
Gab aveva chiamato da parte Logan e adesso parlavano in italiano a bassa voce, vicino alla finestra, lanciandosi occhiate astiose.
Mi alzai, terrorizzata e li raggiunsi, cercando una scusa.
«Ehm, Gab! Scusami, potresti accompagnarmi un attimo a comprare qualcosa da bere?» gli domandai con gli occhi sbarrati dall’ansia.
Non mi guardò neanche. «Dopo, Em»
«Ma Marco e Reb ci hanno chiesto di raggiungerli e…ah, cazzo» sospirai, battendomi una mano sulla fronte e facendo una smorfia rassegnata.
Ero una frana.
Sentii una risatina soffocata provenire da Logan e mi trattenni a stento dal fulminarlo.
L’unica cosa da fare era allearsi con il nemico.
Gli feci un gesto complicato che voleva significare “vattene via” e accentuai il tutto con delle espressioni facciali che dovevano essere esilaranti perché non smise un attimo di ridacchiare.
Ma la cosa importante fu che capì e lasciò me e Gab da soli.
«Ma che cazzo vuoi fare, eh?!» lo accusai puntandogli un dito contro.
Guardò altrove, le braccia incrociate al petto.
«Vuoi che faccia il monologo? E va bene. Non hai capito forse che qui siamo in un ospedale, che siamo qui per Anna, non per una guerra a chi ha più testosterone, né per battaglie medievali per la mano di una fanciulla. Ti è chiaro? Siamo. Qui. Per. Anna. E basta. Tutto il resto può aspettare. Ti prego, c’è anche Lucia…» lo implorai, lanciando un’occhiata nervosa alla donna che stava assistendo alla scena con la coda nell’occhio, mentre mescolava il suo caffè da tre quarti d’ora nel tentativo di non farsi scoprire.
Strinse i pugni per un attimo, poi, con un sospiro, sembrò calmarsi e mi sorrise senza molta convinzione.
Continuai a fissarlo, dubbiosa, ma lui voltò il viso e tornò alla vetrata a vegliare sulla sua Anna.
Okay, stavo dalla sua parte, lo ero sempre stata, ma non poteva comportarsi come un bambino nel bel mezzo di una tragedia.
Anna si era fatta una vita lì a New York, non poteva biasimarla.
Aveva trovato qualcuno che la sapesse amare abbastanza da renderla felice – nonostante non tanto quanto Gab avrebbe potuto fare – e l’unica cosa che il mio amico doveva fare era accettarlo.
Mi strofinai stancamente gli occhi, tornando al mio libro e lanciando di tanto in tanto delle occhiate verso Gabriele, Logan e Lucia, preoccupandomi di tenere a debita distanza i primi due.
Ma risultava davvero difficile concentrarsi sulle parole mentre di lì a poco Anna sarebbe stata operata nel tentativo di salvare la sua spina dorsale.
Rischiava di non camminare più, ma sempre meglio invalida che morta.
Il mio era solo egoismo, lo sapevo, ma non potevo fare a meno di desiderare quella ragazza accanto, così come non potevano fare altro Gab, Lucia, Logan e gli altri.
Era talmente ingiusto!
Dopo qualche manciata di minuti, un paio di medici i camice turchese e con le mascherine entrarono nella stanza per prendere Anna e portarla in sala operatoria, sotto gli occhi ansiosi e piangenti della madre, sotto il volto pietrificato di Gab, che stava indietro, in disparte, i pugni stretti lungo i fianchi, sotto gli occhi intensi di Logan, resi ancora più turchesi dalle lacrime che non voleva far uscire, sotto i miei, di occhi, che erano troppo deboli per non seguire la sottile figura di Anna allontanarsi, troppo masochisti per non infliggersi l’ennesima pugnalata, troppo deboli e fragili, fragili come vetro.
Nessuno parlava, nessuno respirava, c’era solo l’inquietante cigolio delle ruote del lettino che si allontanava.
Mi ritornò in mente una vecchia lezione di scienze delle superiori riguardante i fusi orari.
Mi affascinava l’idea che, se avessi percorso il tragitto da Roma a New York, ad esempio, in sei ore esatte, o anche meno, sarebbe stato come se il tempo non fosse mai trascorso e sarei arrivata in America alla stessa ora alla quale ero partita.
Era un pensiero immaturo, stupido, eppure in quel momento, mentre Anna spariva, non riuscivo a smettere di pensare che, forse, avrei potuto cambiare le cose, avrei potuto fermare il tempo.
Oppure, ancora, attraversando la linea del cambiamento di data, sarei riuscita a rivivere il tragico giorno, come una sorta di macchina del tempo improvvisata.
Feci una risata secca e auto denigratoria, richiamando l’attenzione di Logan, che mi lanciò un’occhiata infastidita ma anche un po’ curiosa.
Probabilmente pensava che fossi pazza.
Lo ignorai, avvicinandomi a Lucia e circondandole le spalle con un braccio, mentre affondava i singhiozzi nella mia maglietta.
Provai un moto di fastidio.
Per una volta, mi sarebbe piaciuto essere consolata, invece di consolare.
Ma quello non era assolutamente il momento di dare sfogo al proprio egoismo.
«Andiamo, Lucia, ti accompagno a prendere un caffè» propose Gab, sciogliendo l’abbraccio e sostituendosi a me.
Gli lanciai un’occhiata riconoscente, che contraccambiò con un occhiolino.
Tornai a sedermi, senza però riflettere sul fatto che mi trovavo da sola, in corridoio, con Logan.
Lo vidi grattarsi distrattamente la nuca, in imbarazzo almeno quanto me.
Chiusi nuovamente il libro, alzando gli occhi al cielo.
Mi era impossibile leggere con lui che mi fissava.
«Allora…» cominciai, cercando di trovare un argomento.
Mi morsi nervosamente il labbro inferiore, sfregandomi una tempia.
Era una specie di tic, credo.
Mi fissò con uno sguardo che si sforzava di essere gentile, ma che lasciava trasparire solo tristezza.
«Tu… così, tu e Anna stava… state insieme?» mi corressi velocemente, dandomi dell’idiota per la domanda più che ovvia.
Lui annuì con un sorriso malinconico.
Deglutii, ingoiando un amaro boccone.
Sentirselo dire dal diretto interessato era tutta un’altra cosa.
«E… vi conoscete da molto?» chiesi ancora con voce tremante.
«Dall’inizio dell’estate, quando è venuta all’Università per l’orientamento. Seguiamo lo stesso corso di Scrittura Creativa, solo che lei è una matricola e io mi laureo tra qualche anno» spiegò, anche lui in imbarazzo, arrossendo.
Un ragazzo timido.
Questo mi diede una spinta in più.
«Mi piacerebbe poterti dire che mi ha parlato di te, ma non la sento da… una vita» sospirai, tirando le somme.
Abbassai lo sguardo sulla punta delle mie converse semi distrutte, aspettando una sua risposta.
Che non arrivò.
Risollevai gli occhi verso il suo viso ed incontrai quei fari azzurri che nonostante i metri che ci separavano riuscivano a brillare.
Come la prima volta che lo vidi, in aeroporto, mi sembrò di averlo già incontrato.
Il modo in cui incurvava le labbra in un timido sorriso, gli occhi che mi scrutavano in cerca di qualcosa a me sconosciuto, mi causavano una sensazione di familiarità.
Nessuno dei due distolse lo sguardo.
«Il tuo amico…» cominciò a dire dopo qualche minuto, lasciandomi finalmente libera da quell’azzurro e facendo vagare gli occhi un po’ ovunque, l’accenno di un rossore sugli zigomi.
«Gab» lo informai automaticamente, senza pensarci.
«Gab» ripeté, guardandomi per mezzo secondo e tornando a fissare le sue mani intrecciate in grembo. «Lui ha… avuto una storia con Anna?»
Scossi piano la testa. «Forse non dovrei dirlo proprio a te, che ne sei coinvolto più di tutti» spiegai cercando, chissà per quale oscuro motivo, il suo sguardo.
Lo trovai e lui si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e congiungendo le mani, in attesa.
«Ma… ma mi sembri una brava persona» ammisi con un sospiro scocciato, che lo fece sorridere.
Ricambiai, mio malgrado. «Quindi, sarò sincera. Ma tu acqua in bocca con lui!»
Annuì deciso, con gli occhi spalancati, provocandomi una risatina. «Gab è innamorato di Anna da circa tre secoli e mezzo. Non ha mai smesso di guardarla da lontano, facendosi un male della madonna, proteggendola ed essendole amico, nonostante il dolore nel non poterla avere. E adesso che lei sta… rischiando grosso, è distrutto. E poi ci sei tu» feci una pausa, fissandolo in modo eloquente. «Tu sei come un cucciolo indesiderato che ha assorbito tutte le attenzioni della padrona, le quali Gab sperava potesse dedicare a lui Anna, un giorno. Non te ne faccio una colpa, ma… ma io e Gab siamo come legati da un filo invisibile, tutto ciò che lui prova, lo provo anch’io, e viceversa. Non nego di averti detestato per qualche intensa ora. Mi dava un fastidio tremendo vedere lo sguardo sognante di Lucia mentre parlava di te ed Anna, quando Gab la guardava attraverso il vetro, sperando che si risvegliasse improvvisamente» mi asciugai con rabbia una lacrima che era sfuggita al ferreo autocontrollo delle mie palpebre.
«Anch’io amo Anna» sussurrò semplicemente Logan, con enfasi.
Sorrisi amaramente. «Ma non quanto lui» sibilai.
«Chi te lo dice?» protestò acido, con una smorfia.
Lo incenerii. «Gab ha aspettato sette anni. L’ha aspettata per sette anni. E la ama ancora più di prima. Io non so cosa sia l’amore, cosa vuol dire amare una persona, né ne ho mai avuto la prova. Ma Gab… posso assicurarti che il sentimento che prova, qualsiasi cosa sia, è più forte anche di questa enorme cazzata che sta succedendo ad Anna» stavo quasi urlando e lui si era ritirato sulla sedia, fissandomi mentre mi alzavo dolorante e lo fronteggiavo.
«Lui non merita tutto questo» ringhiai.
«Ed io invece sì?!» rispose con lo stesso tono, alzandosi e arrivando a qualche palmo da me.
Arricciai il naso, stizzita. «Tu non hai aspettato un solo secondo, lei ti è praticamente caduta addosso»
«Cavoli, e io che pensavo che l’amore si misurasse per l’intensità del sentimento e non per il tempo che si è passati nell’aspettarlo. Grazie per la delucidazione» esclamò acido, grondante sarcasmo.
Feci per ribattere, ma più di una volta richiusi la bocca, senza parole.
Mi aveva ammutolita e un sorrisino vittorioso ma amaro svettava sulle sue labbra.
Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi.
Era assurdo litigare per una cosa del genere.
Anche Anna aveva fatto le sue scelte, Logan non aveva tutte le colpe.
Lo sentii sospirare e allontanarsi di poco.
«Ricominciamo daccapo» propose con la voce decisamente più controllata.
Aprii gli occhi di scatto, alzando un sopracciglio e fissandolo scettica.
Allungò una mano verso di me. «Io sono Logan. E tu sei…?» chiese cercando di non scoppiare a ridere.
Strinsi le labbra, per evitare di ridergli in faccia. «Emma, la migliore amica di Anna. Mi ha parlato tanto di te» feci con una voce frivola che lo fece ridere.
Afferrai la sua mano, e il sorriso scomparve dalle labbra di entrambi.
Niente scintille, scottature, elettricità tra i nostri corpi a poca distanza.
Nulla di tutto ciò.
Soltanto quella tiepida e avvolgente sensazione di familiarità.
Era qualcosa che andava al di là di un semplice incrocio di sguardi al check in.
«Ci siamo già…» fece per chiedere, ma dei passi provenienti dall’inizio del corridoio ci fecero scattare e ritornare ai nostri posti, lontani.
Cercai di non fissarlo e lo stesso faceva lui, continuando a grattarsi il collo bianco lasciato scoperto dalla tshirt.
Feci finta di riprendere la lettura del mio romanzo, attendendo l’entrata di Gab e Lucia, i quali non si fecero aspettare.
Lucia prese posto accanto a me, stringendomi un ginocchio fasciato dai jeans e sorridendomi stancamente.
Ricambiai, posando per un secondo la mia mano sulla sua e continuando a spiare con la coda nell’occhio Logan, che ci fissava a sua volta.
Chissà se si rendeva conto dell’effetto che faceva trovarsi i suoi occhi turchesi addosso, così belli e indiscreti, nonostante il velo di timidezza che li avvolgeva.
Avevo sempre desiderato un paio di iridi verdi, grigie o azzurre, ma purtroppo non avevo mai potuto far nulla per cambiare il marrone del mio sguardo.
Di lenti a contatto colorate non se ne parlava proprio.
Non avrei assolutamente potuto sopportare ulteriori maschere a nascondere la mia vera identità, per non parlare del fastidio che mi davano addirittura quelle trasparenti.
Preferivo di gran lunga i miei bizzarri occhiali dalla montatura spessa e grande a quei cerchietti colmi di liquido irritante.
Gab tentava di non fulminare Logan che, a sua volta, si sforzava di fare gravitare lo sguardo verso gli oggetti inanimati.
Probabilmente Lucia si accorse dell’imbarazzo che regnava sovrano e tentò più volte di metter radici per una conversazione, senza risultati.
«Emma, perché tu e Gab non ci suonate la canzone che avete cantato ad Anna? Non riuscivamo a sentire con le pareti insonorizzate» propose a un certo punto la donna al mio fianco, guardandomi colma di aspettative.
Amava la musica, proprio come sua figlia, e amava sentirci fare ciò che più adoravamo.
Suonare.
Gab si agitava, spostando il peso da una gamba all’altra, per nulla entusiasta all’idea di suonare davanti al suo rivale.
Io, dal canto mio, non riuscivo a spiccicare parola.
Avrei voluto cento volte rispondere di no.
Gli occhi intensi di Logan mi avrebbero scrutata e giudicata per tutto il tempo, non avrei saputo reggerli.
Ma il sorriso incoraggiante di Lucia accanto a me, il suo sguardo stanco eppure così speranzoso e colmo di vita, mi bloccavano.
No.
No.
No.
«D’accordo» acconsentii con un sospiro.
Gab fece un verso strozzato e intuii che avrebbe volentieri strozzato me.
Alzai le spalle, guardandolo e avvicinandomi a lui.
«Ti sei bevuta il cervello, Emma?» mi sibilò, accordando nervosamente la chitarra che aveva appena liberato della custodia.
«Lo faccio per Lucia» dissi semplicemente, con un tono che non ammetteva repliche.
Lui annuì distrattamente, poi cominciò a suonare.
Dopo un lungo intro, che durò quasi due minuti, finalmente mi fece segno di cantare.
A quell’ora le visite erano vietate, i medici si trovavano in gran parte in pausa e le infermiere sonnecchiavano un po’ ovunque.
Potevamo suonare liberamente.
« I am finding out that maybe I was wrong
That I've fallen down and I can't do this alone» cantai i primi versi a voce bassa, rossa in viso a causa delle due paia d’occhi addosso a me.
Ma il significato della canzone mi travolse presto e, incurante degli spettatori, mi lasciai andare.
Non posso andare avanti da sola, Anna.
Lo hai sempre saputo.
«Stay with me, this is what I need, please? Sing us a song and we'll sing it back to you
We could sing our own but what would it be without you?» il ritornello era ciò che meglio esprimeva il mio stato d’animo in quel momento.
Era già dura non poterla più vedere tutti i giorni, non averla più nella band…
Non era più lo stesso senza lei, inutile negarlo.
«I am nothing now and it's been so long
Since I've heard the sound, the sound of my only hope.
This time I will be listening».
Ascolterò, Anna, ma non so fino a che punto tutto questo servirà.
Chi la sente la voce di una piccoletta che canta in ospedale?
«This heart, it beats, beats for only you. My heart is yours. My heart is… yours» conclusi la canzone con voce incrinata, forse troppo presa dal significato e cercai ansiosa gli occhi di Lucia.
Erano velati di lacrime e con un fazzolettino di stoffa cercava di asciugare le poche gocce sfuggite.
Poi, quasi di riflesso, il mio sguardo trovò quello di Logan, fisso su di me.
Gli occhi erano leggermente socchiusi, come stesse mettendo a fuoco qualcosa, ma capii subito che era un tentativo di nascondere le lacrime.
Abbassò immediatamente la testa, non appena si accorse della compassione nel mio sguardo e mi sentii avvampare per essere stata così idiota.
Chi può volere la pietà di qualcuno?
Raccolsi le gambe, dapprima incrociate sopra la sedia a mo’ di indiana, al petto e mi dondolai nervosamente, lo sguardo fisso sulle scarpe.
«Gab, sei veramente un tesoro di ragazzo» disse dolcemente Lucia, sorridendo al mio amico.
«E tu, Emma, hai un talento impressionante. Non sentirti in colpa per queste» accennò una risatina, indicando il fazzolettino bagnato «la canzone è meravigliosa, ma la tua voce è riuscita a farmi commuovere. Hai una dote da non sottovalutare. Arrivi al cuore della gente, tesoro» e si alzò per abbracciarmi.
Affondai il viso nella sua maglietta e piansi.
Piansi per Anna, per Gab, per Lucia.
Piansi perché la causa di quelle lacrime non era certo la mia voce.


Note della pseudo autrice Just another Ghost:
Tadààà, non ve l’aspettavate il nostro Logan fidanzato, e con Anna per di più…
Bene, questo coso lungo dodici pagine di word è stato un parto, un vero e proprio parto.
Ma, eccolo qua.
Godetevelo, perché il terzo arriverà un po’ in ritardo, e ci sarà un colpo di scena che farà cambiare idea su alcuni personaggi.
Ma non anticipo nulla :P
Non c’è molto da dire, anche questo è un po’ un capitolo “di mezzo”, pieno di scoperte, giusto per chiarire i caratteri essenziali di Gab, Emma, Logan, Anna e gli altri…
Non mi dilungo oltre, ringrazio chi recensirà e chi leggerà in silenzio.
Non vi critico, ragazzi, sono io stessa una lettrice silenziosa, l’importante è che voi ci siete. In un modo o nell’altro.
Un bacio!
G.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Logan Lerman / Vai alla pagina dell'autore: Just another Ghost