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Autore: xstylesmike    01/04/2012    17 recensioni
Tutto quello che lei vedeva era una ragazza obesa che affogava i suoi dispiacere nel cibo.
Si chiese cosa potesse farla stare meglio in quel momento, ‘un menù completo da Nando’s’, si disse, poi cacciò subito il pensiero ed iniziò ad odiarsi per aver pensato solo al cibo, come sempre.
Sentì il gusto dei pancakes mangiati a colazione ancora sulle labbra, e le sfiorò la mente l’idea di... No, non poteva farlo, non l’avrebbe mai fatto, odiava anche solo l’idea del vomito.
Ci ripensò. Fu quasi orgogliosa di sé stessa per aver avuto quell’idea. Avrebbe potuto mangiare ciò che voleva, poi bastava mettere due dita in bocca.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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‘Just a few more hours,
and I’ll be right home to you,
I think I hear them calling,
oh, Beth, what can I do?’

Chapter 3 

 

Charlie era tutto quello che una ragazza avrebbe desiderato essere: era bella, intelligente, di talento. Eppure mancava qualcosa nella sua vita. Aveva sedici anni e di ragazzi non ne aveva nemmeno vista l’ombra, c’era qualcosa in lei che non andava? C’era un ragazzo che le piaceva, ma forse dire che le piaceva è un eufemismo. Quei capelli sempre perfettamente in ordine, gli occhi color miele, il fisico così ben scolpito. Non riusciva a pensare ad altro che a Zayn Malik, ed erano amici, più o meno, ma non lei non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi avanti. Se non che un giorno si chiese, ‘Cosa posso perderci?’, e non riuscì a trovare una risposta che la convincesse. Forse avrebbe perso un minimo di dignità, ma non era poi così importante.

Passò una di quelle fredde serate autunnali inglesi a leggere una serie di vecchi e squallidi articoli sul primo bacio, sul primo appuntamento, sulla prima volta, e le salì l’ansia: forse non era pronta per tutto quello, ma valeva la pena provare.

La mattina arrivata a scuola prese un lungo sospiro, salutò Beth con un gesto quasi impercettibile della testa e camminò velocemente verso una destinazione precisa, Zayn Jawaad Malik.

«Charlie!» la salutò lui appena si accorse della sua presenza.

Lei rimase immobile, era letteralmente paralizzata. Quelle labbra così ben delineate e quell’accecante sorriso la stavano facendo impazzire. Perché era andata da lui? Non se lo ricordava nemmeno più.

Presa dal panico cercò di ricordare il contenuto di quei giornalini che si trovavano ancora ai piedi del suo letto dalla sera prima. Passò in rassegna nella mente tutte le riviste ‘Ragazzo...Panico...Bacio’. Doveva aver letto che un bacio poteva risolvere una situazione di quel genere, ma lei nemmeno sapeva come si baciasse un ragazzo. Sapeva che ci doveva essere uno strano gioco di lingue, ma non è che avrebbe rischiato solo di soffocarlo, prendendolo così alla sprovvista?

«Charlie?» insistette Zayn, notando che la ragazza era in completa stasi.

‘Ora o mai più’, si disse lei.

Prese le guance caffè latte del ragazzo nelle sue minute mani rosee e premette le labbra le une contro le altre. Niente lingua o altri trucchetti strani che nemmeno conosceva, solo uno di quei baci a stampo che più spesso si davano da piccoli ai genitori.

Notò l’espressione stupita di Zayn e pensò di aver fatto una gran cazzata. Si portò le mani verso il volto per coprirlo e facendo oscillare delicatamente il capo balbettò delle scuse.

«Non devi scusarti - disse lui con tono comprensivo - ora... Devo andare a lezione».

«Sì, certo» rispose, quasi delusa, Charlotte.

«Ci vediamo oggi pomeriggio a musical, comunque» aggiunse lui sorridendole, per poi darle una leggera pacca sulla spalla e andarsene lasciandola sola a rimuginare su quello che aveva appena fatto. C0me avrebbe fatto ad affrontarlo di nuovo, dopo quell’orribile figuraccia? E perché lui si era iscritto a quel corso?

 

***

 

«Cristo - sussurrò Harry portandosi una mano sulla fronte - crede davvero che io reciterò in uno spettacolo da gay? Grease? Andiamo!»

«Styles, moderi i termini» il professor Lloyd era un tipo piuttosto pacato, e Harry ne era completamente affascinato. Non aveva mai avuto insegnanti così: lui era giovane, intraprendente, amichevole il giusto e aveva passione per ciò che faceva.

«Senta, io non posso mettere la brillantina sui capelli, le sembro il tipo?»

Mr Lloyd alzò le spalle ad indicare che non ci vedeva nulla di male «Nessuno lo obbliga a frequentare il corso, se lo desidera posso strappare la sua domanda sul momento e...»

Harry lo interruppe «No, voglio farlo.»

Ci fu un momento in cui i due si scrutarono in completo silenzio, gli unici suoni percepibili erano i loro respiri.

«Cosa la spinge a fare musical?» chiese l’insegnante, sporgendosi verso il ragazzo oltre la scrivania.

Il riccio sbuffò «La noia, immagino», rispose alzando le spalle.

«Fingerò di crederti, Styles, ma so che non sei esattamente la persona che tutti credono».

«Sono ciò che vede» quasi gridò Harry. Era stanco di tutte quelle persone che tentavano di analizzarlo come se fossero degli strizza cervelli, era stufo di sentirsi dire che era diverso. Nessuno sapeva cosa fosse veramente la sua vita, e nessuno poteva tentare di capirlo, forse perché nemmeno lui ne era così certo.

«Credo sia ora di chiudere questa conversazione, ci vediamo fra un paio d’ore nell’aula 17» esordì il professore notando l’espressione turbata dello studente.

 

Harold lasciò quell’ufficio perplesso. Perché aveva deciso di frequentare quel corso? Voleva un nuovo hobby, ma cantare e recitare non faceva proprio al caso suo, sebbene ricordasse quanto amava mettere in scena quei piccoli spettacoli con sua sorella nei primi Natali della sua infanzia.

Nell’ultimo periodo i ricordi di suo padre si erano fatti spazio nella sua mente più nitidi che mai. Era convinto di averli riposti in un angolo da cui non sarebbero più usciti, pensava che tutto quel dolore sarebbe scomparso per sempre e che quell’uomo sarebbe diventato quasi uno sconosciuto per lui, ma in quel periodo si sentiva vulnerabile e soffriva più che mai a quei pensieri riaffiorati prepotentemente. Forse quella piccola distrazione in stile Broadway lo avrebbe aiutato a dimenticare una volta per tutte.

Passò le due ore in attesa di teatro in un angolo buio della biblioteca, il libro di algebra aperto sulle ginocchia. Quello era un altro dei suoi piccoli segreti: nessuno sapeva della passione di Harry per la matematica, tantomeno della sua media scolastica che superava notevolmente quella di tutti gli altri studenti. Essere etichettato come ‘secchione’ non era sicuramente uno dei suoi obiettivi e per questo si era sempre impegnato a tener nascosti i suoi risultati scolastici.

«Harry?» un certo accento irlandese lo sorprese mentre era immerso nel risolvere una serie di sistemi algebrici.

«Niall! - chiuse il libro con una certa nonchalance - Perché sei qui?»

Il biondino fece spallucce «Gli allenamenti di calcio sono fra poco, intanto faccio un po’ di compiti».

«Ah, già... Oggi io non ci sono agli allenamenti perché...»

«Musical, Zayn me l’ha detto» lo interruppe comprensivo l’amico.

Erano entrambi in imbarazzo, nessuno dei due avrebbe mai immaginato la versione da topo di biblioteca dell’altro.

Fu Harry a rompere il silenzio «Meglio che vada ora, a domani Horan», disse sorridendo.

L’altro lo salutò con un cenno della mano, per poi chinarsi su un libro di storia dalle dimensioni poco confortanti.

 

«Cazzo, Harry! Che fine avevi fatto? Stavo aspettando te per entrare, sono già tutti dentro!» lo ammonì Zayn appena lo vide arrivare di corsa.

«Scusa, un impegno urgente» si limitò a dire, non riuscendo a pensare ad una scusa migliore.

Entrarono insieme, scatenando una serie di chiacchiericci ed eccitazione nei loro nuovi compagni.

Il professor Lloyd sorrise lievemente vedendoli, ormai aveva perso le speranze nel fatto che si sarebbero presentati. «Ragazzi, loro sono i vostri nuovi compagni, Zayn Malik ed Harry Styles», disse infine rivolto alla classe.

I due salutarono con un gesto teatrale le circa dieci persone davanti a loro. Harry si stupì di come certi di quei ragazzi fossero a lui completamente sconosciuti, nonostante frequentassero la sua stessa scuola. C’era un tizio che si toglieva residui di cibo dall’apparecchio, uno che strimpellava la chitarra in modo ridicolo, poi c’erano Bethany, Charlotte, Louis e Liam, che effettivamente erano gli unici che conoscesse.

L’espressione di Louis non era delle migliori, non c’era probabilmente persona che lo sopportasse meno di lui, e Harry fu quasi divertito all’idea di poterlo torturare anche nel suo territorio. Payne pareva un statua, come sempre d’altronde, e pensò che non aveva mai conosciuto un ragazzo più passivo di lui.

Passò tutti in rassegna finché non notò che Bethany si teneva avvolta in cappotto di lana color kaki, sebbene ci fossero circa venti gradi fuori. Non importava che fosse autunno, gli inglesi solitamente con venti gradi giravano in costume, gli venne quindi spontanea la battuta poco delicata.

«Se ne sono accorti tutti che sei anoressica o non so cos’altro, Adams, coprirti con un cappotto non serve a nascondere quelle stecche che hai al posto delle gambe».

Nessuno rise e Harry si sentì per la prima volta in vita sua quasi inopportuno, soprattutto quando la ragazza se ne andò, quasi in lacrime, al bagno.

L’insegnante scosse la testa in segno di disapprovazione.

«L’anno inizia bene, vedo - disse con tono ironico - lasciamo che Beth si riprenda e torni quando vuole, noi iniziamo con qualche esercizio intanto e, - si rivolse verso Harry - Styles, smettila immediatamente o ti caccio dal corso».

Charlie e Louis si scambiarono uno sguardo colpevole. Possibile che quello che aveva appena detto fosse vero? Possibile che Beth non stesse facendo una semplice dieta? E perché, loro, che erano i suoi migliori amici, non avevano preso in considerazione l’idea?

 

Harry passò le due ore di recitazione in completa agitazione, sperando di veder apparire da dietro la porta Bethany da un momento all’altro, ma non accadde. Sentì il bisogno di scusarsi per la prima volta in vita sua, forse perché in fondo ci teneva alla ragazza, erano stati amici un tempo, com’era arrivato a comportarsi così con lei?

‘Cazzate’, si disse. L’unica persona verso cui si sentiva veramente in colpa era sua mare, lei che aveva dato l’anima per crescerlo al meglio, sarebbe rimasta così delusa da lui se avesse scoperto la persona che era in realtà.

Fu questo che lo spinse a bussare alla porta del bagno delle ragazze quando si accorse che Beth era ancora lì dentro a piangere.

«E’ permesso?» chiese con dolcezza falsata.

Lei non rispose, non era neanche sicuro che lo avesse sentito, ma entrò comunque.

Le toccò delicatamente la spalla, e solo in quel momento lei capì chi aveva dietro. Nascose il viso fra le mani, per evitare che lui vedesse che quello era ricoperto dal trucco nero colato e di un color rosso fragola.

«Vattene» sussurrò con aria di supplica.

Il riccio si sentiva tremendamente a disagio. Dunque era così che si sentivano tutte le sue “vittime”?

«Adams, parliamone, dai... - si interruppe grattandosi la testa con veemenza, nel tentativo di riuscire a dire qualcosa di intelligente - sono un coglione, lo sai».

Lei stava lì rannicchiata ad ascoltarlo. Lo sapeva perfettamente che era un coglione. Sapeva anche che era uno stronzo, infame, narcisista, e avrebbe voluto dirgliene tante, ma per qualche strano motivo non ci riusciva. La sua presenza la rendeva debole.

«Ti prego, vattene» ripeté.

Harry alzò le mani in segno di resa. «Come preferisci», disse, poi se ne andò, lasciando la fragile ragazza chinata sul pavimento di quel sudicio bagno.

Mentre tornava a casa, turbato per la scena che aveva appena vissuto, sentì il cellulare vibrare nella tasca posteriore dei pantaloni.

‘Allora? Ti sto aspettando a casa mia x’, recitava il messaggio, inviato da una certa Macy. Cercò focalizzare, per capire chi fosse quella Macy e verso che casa dovesse dirigersi per raggiungerla, magari lo avrebbe distratto un po’. Doveva essere la ricciolina che lo aveva adescato dopo gli allenamenti di calcio qualche giorno prima, abitava nel suo stesso quartiere e sarebbe arrivato a casa sua nel giro di un paio di minuti.

‘Sono dietro l’angolo’, rispose, anche se inutilmente, perché aveva già raggiunto la casa e suonato al campanello.

La ragazza gli aprì munita solo di una sottoveste di seta. Subito lo baciò, e lui ricambio senza alcuna emozione.

«Andiamo di sopra?» sussurrò lei tenendosi avvinghiata ai suoi fianchi ben scolpiti, ancora sulla porta d’ingresso.

Lui rispose di sì con un cenno del capo, senza sforzarsi di mostrare un’espressione entusiasta.

Le loro lingue lavorarono a lungo, per un periodo di tempo che a Harry sembrò infinito, finché la ragazza non infilò la mano nei suoi jeans, dimostrandosi piuttosto audace, per stimolarlo. Lui restò impassibile, lasciando fare quella riccia ostinata.

«Devo andare» sentenziò poi lui, ponendo fine al momento.

La ragazza lo guardò delusa, contraendo le labbra nel tentativo di imitare un’espressione da cucciolo.

«Non vuoi divertiti ancora un po’?» chiese maliziosa scuotendo i seni sotto al suo naso.

«Mi dispiace, il calcio chiama» mentì lui, in realtà aveva solo una gran voglia di andare a casa e dormire.

Alzò la lampo dei jeans, riprese la cartella dal pavimento e uscì velocemente da quella casa poco accogliente, senza lasciare alla riccia il tempo di chiedergli se si sarebbero rivisti, perché la risposta sarebbe stata ovviamente un no.

Era così che finiva ogni suo pomeriggio con una ragazza, non aveva ancora trovato quella con cui valeva la pena fare l’amore. Forse era un’idea un po’ troppo romantica ma pensava che la prima volta dovesse essere speciale, per questo se ne andava prima che succedesse qualcosa con tutte quelle ragazze molto oche che frequentava. Era un’altra delle sue ennesime bugie, un altro dei suoi innumerevoli segreti. Qualsiasi persona nella scuola pensava che Harry Styles fosse il più esperto in materia di sesso, poiché ogni ragazza con cui lui non andava pensava di essere l’unica ad essere stata rifiutata, e per non sentirsi una completa sfigata raccontava alle amiche che aveva passato un magnifico pomeriggio di puro sesso, e lui non si preoccupava di smentire le voci, cosa che agli occhi delle povere ragazze appariva come un gesto di pura compassione.

Harry ripensò a Beth, sulla via di casa, e si rese conto che si sentiva davvero in colpa nei suoi confronti, forse perché lei non era come le altre ragazze. Certo, sapeva che anche lei aveva una cotta per lui, ma questo non la portava a comportarsi da poco di buono. Forse doveva aiutarla. Se era vero che soffriva di disturbi alimentari avrebbe potuto davvero aiutarla, magari lei sarebbe stata il modo di dimenticare suo padre.



Tadannn, finalmente ce l'ho fatta a pubblicare dopo 14 giorni! Scusate immensamente per l'iper ritardo, ma sono stata piuttosto impegnata e non avevo mai tempo di ricopiare questo capitolo al computer çwç per farmi perdonare, avrete notato che questo capitolo è lungo tipo 238645762 volte più degli altri (dovevano essere due capitoli in effetti ma okay lol), l'ho fatto più lungo anche perché una certa mia amica rompipalle, non faccio nomi (Sofia lolol), dice che i miei capitoli sono troppo corti D:
Detto questo, ringrazio come al solito chi ha recensito lo scorso capitolo, le 63 persone che seguono la storia e le 22 che l'hanno messa nelle preferite. C'è, io vi amo asjhdvhgasvghdas <3
Vi ricordo sempre che se non siete muniti di account efp sarò lieta di aggiornarvi io stessa quando pubblico su twitter, basta che mi contattate, sono @xstylesmike :)
Vi saluto, per non diventare logorroica D:
Vi prego solo di recensire, per dirmi qualsiasi cosa pensate di positivo o negativo sulla storia, mi farebbe tanto tanto piacere!
Ciao,
Leti

  
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