Don’t
C’era ancora quel piccolo sentiero,
proprio dietro le serre di Erbologia.
Quasi
non si riusciva a scorgerlo. Per riuscirci, bisognava avvicinarsi moltissimo
all’intricato groviglio di edera e cespugli che occupava lo spazio tra la serra
numero tre e le mura esterne del castello; e nessuno aveva motivo di
farlo.
Se Ginny Weasley lo scoprì, fu solo
perché aveva bisogno di correre via, e correva, e non le importava dove stesse
andando; fu così che senza neanche accorgersene si avvicinò alle serre, girò a
destra, corse verso il viluppo di foglie e rami
senza neanche vederli, e, quando notò uno spiraglio nel mezzo semplicemente lo
districò quel tanto che le bastava per passarci e lo
sorpassò.
In
quel luogo era sempre come se il tempo si fosse fermato. I muri che circondavano
il sentiero erano completamente ricoperti di fogliame, o germogli, o ramoscelli
spogli; a volte qualche fiore, ma pochi: gli
alberi che crescevano ai lati impedivano al sole di penetrare all’interno,
creando una grande cupola verde.
Ginny si era lasciata scivolare sulla
terra nuda contro un tronco, come se la stanchezza l’avesse assalita in
un’ondata violenta nel preciso istante in cui i suoi occhi si erano posati sulla
bellezza bagnata di luce verde che si ritrovava davanti, e aveva
pianto.
Da quando l’aveva scoperto, era
tornata più volte. Non c’era mai nessuno: stava da sola, il tempo sembrava non
esistere e ogni volta che scostava la tenda d’edera che nascondeva il sentiero
apriva la porta di un mondo diverso, parallelo. Piangeva, oppure solamente
pensava, oppure voleva semplicemente un momento per starsene sola. Poi si
alzava, spolverava la gonna, attraversava i rami ed eccola di nuovo al suo
posto. Hogwarts, Scozia, Regno Unito, mondo. E Ginny Weasley tornava ad essere
alunna, sorella, fidanzata, abbandonava le paure ai piedi di quel muro di pietra
– non quelle paure piccole, stupide, quelle poteva tenersele; ma quelle più
grandi e assurdamente vicine che preferiva dimenticare e nascondere, fino al
momento in cui non riusciva più a trattenerle e risalivano a galla, le sentiva
montare dentro in un punto imprecisato del petto, e allora correva verso le
serre, girava a destra, scostava l’edera e la
attraversava.
Accadde proprio durante il quinto
anno. Era primavera e la sera passata aveva lasciato cadere una pioggia fresca e
leggera; la terra era ancora scura e umida. Aveva diviso in due la cascata di
foglie che ricopriva l’entrata del sentiero e fu davvero come scoprire un mondo
nuovo, questa volta, mai esplorato. Dapprima non lo vide e neanche lo riconobbe,
o magari l’aveva fatto ma solo inconsciamente, perché le sembrava semplicemente
assurdo che Draco Malfoy fosse seduto di fronte a lei, un po’ distante, contro
il vetro della serra e stesse piangendo con il viso tra le mani.
Difatti la prima cosa che recepì fu semplicemente “Perché Draco Malfoy è qui davanti
a me e si sta reggendo la faccia?”. Il che era di per sé già un pensiero
abbastanza illogico; poi lui aveva alzato la testa, gli occhi spalancati sul
viso aguzzo umido di lacrime, l’aveva vista e tutto era diventato più che altro
surreale.
Per un istante infinito si erano
fissati, sorpresi allo stesso modo.
Poi lui si era alzato di scatto e
velocissimo si era passato le mani sul viso.
«Non
stavo piangendo,» le aveva detto con un tono strano, la schiena ancora attaccata
al muro.
«Ah,»
era riuscita a rispondere Ginny debolmente, troppo colpita dalla situazione per
proferire altro.
Draco si era avviato verso l’edera,
squadrandola. «Non stavo piangendo,» ripeté, la voce un po’ più decisa. Poi,
scoccandole un’altra occhiata, era andato via.
*
Era passato un mese, o forse due,
quando Ginny tornò. Non se lo ricordava esattamente; comunque quando arrivò, Malfoy era di nuovo lì. Questa volta aveva
la testa appoggiata sulle ginocchia, e Ginny non fu più colpita come la prima
volta che l’aveva visto.
«Non
stai piangendo neanche stavolta?».
Lui
aveva alzato la testa di scatto; inizialmente l’aveva fissata nello stesso
identico modo sorpreso della volta prima, poi la sua espressione era mutata, ma
Ginny non era riuscita a decifrarla.
«No, ovvio.» aveva detto, a dispetto
degli occhi rossi che si ritrovava. «Tu, neanche?» aveva chiesto poi, un piccolo
ghigno. Ginny si era passata la mano su una guancia, e quasi si stupì nel
ritrovarsela bagnata di lacrime.
«No, ovvio.» lo
copiò.
Lui non si mosse. Rimasero così
qualche istante, poi Ginny presa da un impulso strano si sedette accanto a lui –
non sapeva se fosse la cosa giusta da fare, ma in fondo non le importava e
neanche ci stava a pensare troppo; lì dentro le cose che prima sembravano giuste
o sbagliate in quel momento sembrarono dissolversi, e se ne crearono altre. Per
lei, in quel momento era giusto sedersi là. Lo fece, senza minimamente
preoccuparsi della reazione di Malfoy, che – con suo leggero stupore – non fece
una piega.
Due
minuti.
«Che ci vieni a fare qua?» Ginny non
riuscì a trattenersi dal chiederglielo.
Lui si sistemò meglio contro il muro,
poi le scoccò un’occhiata penetrante. Lei sapeva che stava decidendo se
risponderle, ignorarla o semplicemente mandarla a quel paese e andarsene – o
cacciarla.
«Penso» rispose alla fine,
stringendosi nelle spalle.
Ginny si cinse le ginocchia con le
braccia. «A che cosa?».
«Un po’ di cose. Così. Niente di
particolare.» disse, con voce leggera.
Tre
minuti.
«Che t’importa?» chiese lui di punto
in bianco, umettandosi le labbra. Lei inclinò la testa, girandosi verso di lui
prima di rispondergli.
«Il vederti non piangere mi ha
stupito così tanto da chiedermi cosa ti spingesse a non
farlo».
Lui sorrise
impercettibilmente.
«Ah».
Quasi quattro minuti.
«Tutto questo non è normale,» lo aveva
sentito dire a bassa voce, come se stesse parlando a sé stesso e non a
lei.
«Che?» chiese comunque, ben sapendo la
risposta.
«Io e te. Questa conversazione non sta
avvenendo realmente. Non può.» continuò lui, e ancora una volta lei non capì se
le stesse rispondendo o cosa.
«Non mi pare si possa propriamente
chiamare conversazione,» disse comunque. Malfoy si strinse nelle spalle di nuovo
e scosse la testa, quindi capì che stava ascoltando. «Non è normale in ogni
caso» concluse semplicemente.
«Qui non è niente
normale.»
Cinque minuti.
«Ho pensato la stessa cosa,
comunque.»
«Riguardo a..?» stava iniziando a
chiedersi perché Malfoy non le dicesse direttamente quel che pensava invece di
costringerla a porgli sempre delle domande; suppose fosse per il fatto che era
un bastardo in cerca di attenzioni. Ma si ritrovò a pensare che in ogni modo non
la infastidiva il fatto di doverlo fare.
«Al fatto che in questo posto non è
niente normale... sembra tutto... diverso. Chissà
perché».
Lei sorrise. «Penso si chiami
“magia”».
Sette
minuti.
«Ehi,» aveva chiesto all’improvviso
Ginny, «mi dici una cosa?».
«Mmh.» aveva mugugnato lui poco
convinto.
«Perché stavi facendo quel che non
stavi facendo?».
Lui si era girato a guardarla, la
fronte aggrottata.
«Weasley,» aveva detto, calcando sul
suo cognome. Ginny si era sentita in qualche modo... messa al suo posto. Non si
erano ancora chiamati per nome, e adesso che lui l’aveva fatto... non sapeva
come dirlo. Le sembrava che si fossero resi conto tutti e due cosa stesse
succedendo.
Sul viso di Malfoy si disegnò
uno strano sorriso sottile.
«Adesso, non
allarghiamoci».
Dieci
minuti.
Silenzio. La sua veste che struscia
sull’erba ancora umida.
«Vado» aveva detto, stranamente
impacciato. Ginny aveva risposto con un cenno della testa, poi Malfoy era scomparso oltre la coltre di
ramoscelli e non era riuscita più a scorgerlo.
*
Seduta sull’erba, sorrise leggermente
vedendo filtrare la luce bianca attraverso l’intrico di piante che vieniva
scostato. Sentì i suoi passi sul terreno, e non alzò la testa, anzi, la portò
giù giù quasi attaccata al petto. Non voleva che vedesse che stava
sorridendo.
«Venuta a frignare un po’?» lo
sentì chiedere mentre le si sedeva
vicino. Ginny sorrise ancora di più, decisamente
divertita.
«E tu?» rigirò la
domanda.
Malfoy sbuffò leggermente, senza
risponderle. Finalmente Ginny alzò la testa e si girò verso di lui con aria di
sfida, senza neanche sapere il perché. Si stava sistemando meglio con la schiena
contro il muro, ma sentendo il suo sguardo addosso si voltò a
guardarla.
«Cosa?» chiese, subito sulla
difensiva. Ginny scosse la testa e tornò a guardare davanti a sé, e con la coda
dell’occhio lo vide stringersi nelle spalle.
«Sapevo che saresti venuto» disse,
prima di riuscire a fermarsi. La sua voce divertita la
raggiunse.
«Avrei pensato che questo fosse esattamente il motivo per cui non saresti dovuta
venire».
«Non smetterò di venire qui solo
perché ci vieni anche tu!» ribatté, improvvisamente
acida.
«Bè, vale anche per me!» rispose lui
con lo stesso tono, e Ginny venne colpita dalla consapevolezza che sembravano
tali e quali a due bambini di nove anni, in quel
momento.
Cioè. In realtà, vista in
quest’ottica, lo sembravano sempre.
Cercò di recuperare, perché non era lì
per litigare.
«Ma... tuttavia, penso di essere stata
abbastanza bene. L’altra volta. E non me lo sarei neanche aspettato, a dire la
verità». E le sarebbe piaciuto che succedesse anche in quel
momento.
Malfoy strabuzzò gli occhi, e Ginny si
sentì improvvisamente avvampare, ripetendosi a raffica quanto fosse stata
un’idea idiota.
«Oh» sussurrò, a corto di parole. «Era
tutto... strano. Diverso... anche da ora.» continuò dopo un attimo di silenzio,
di nuovo con quel modo di fare, come se non stesse parlando realmente con lei.
Lei si strinse le ginocchia al petto, i capelli che le coprivano il
viso.
Poi si voltò, come per dire qualcosa,
e lui fece lo stesso nello stesso attimo, le loro facce erano a pochi millimetri
di distanza. E si fermarono di botto in quella
posizione.
Occhi su
viso.
Ginny trattenne il
respiro.
Occhi su
labbra.
Poteva sentire il suo cuore battere
all’impazzata.
Labbra su
labbra.
Quando esattamente il suo stomaco
aveva cominciato a riempirsi di farfalle?
Lingua contro
lingua.
Forse quando l’aveva visto pian --
fare quello che non stava facendo la prima volta, oppure la seconda, oppure
quando la sua bocca si era posata sulla sua e non si era resa conto neanche se era lui che si era avvicinato
o lei?
Erano troppo
vicini.
Si stavano
baciando.
Baciando.
Le sue mani erano sopra il suo corpo
adesso, vagavano sopra la sua divisa e improvvisamente le sue salirono tra i
suoi capelli e lo strinsero forte, lo avvicinarono a sé quasi autonomamente, e
quelle di lui salirono al suo collo e alla sua nuca, la sorressero, e scesero
ancora sulle sue spalle, lasciando scivolare la tunica senza rendersi conto
veramente di averlo fatto, e ancora quelle di lei si insinuarono sotto la sua,
verso la sua schiena coperta dalla camicia, ed era tutto così
improvviso.
Le mani di Draco – quelle di
Ginny.
Nello stesso modo, improvvisamente, si
staccarono. Le labbra gonfie, le guance rosse, le mani dell’una
sull’altro...
«Non succederà più» disse lui, la voce
flebile.
«No,» non riusciva a staccargli le
mani di dosso. Non riusciva a staccare gli occhi dai suoi
occhi.
Draco emise un piccolo sbuffo, poi
calò su di lei di nuovo, lentamente.
Di
nuovo.
«Non ti sto
baciando».
«Va
bene».
«Non lo sto
facendo».
«No».
Posò la sua fronte sulla
sua.
«Draco».
«Mmh».
«Puoi non farlo
ancora?».
Quando le sue labbra coprirono ancora
le sue – ne era certa - stava sorridendo.
Fine.
(Prompt
numero 59, Sentiero.)
N.d.A.: Vi
starete chiedendo cos’è questa cosa. Non domandatemelo, non lo so. È...
bho XD. Non so
neanche come dire, ma mi da’ una sensazione strana mentre leggo; più lo faccio,
più mi dico che è assolutamente improbabile.
Oh, sono troppo abituata a scrivere in canon!
XD
Ringrazio la Ari (<3) in
primo luogo, lo sai che ti voglio troppissimo bene ed è tutta dedicata a te. E
poi un altro grazie enorme alla Vals, che mi ha aiutata. E a chiunque commenterà
questa cosa.
Un bacione!
Lollo, che dopo anni di Verdana ha cambiato font.