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Autore: Mangetsu chan    01/04/2012    2 recensioni
Questo insieme di capitoli avrà l'unico scopo di chiarire i diversi dubbi che Tsuki, personaggio della saga Promises. The beginning of a dream porta con sé. Vi auguro una buona lettura!
Dal secondo capitolo:
Era, come al solito, una giornata grigia e piovosa quando i bambini, riparati dalla tettoia del grande casolare, giocavano in allegria con bambole di pezza e cavalli di legno. Da quando la piccola era arrivata era passato circa un anno, qualche mese in più forse. Il suo vero nome, lo aveva lasciato scritto la madre sulla coperta da cui era avvolta, Tsuki, il semplice sostantivo con cui veniva chiamata la Luna.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Konbanwa!
Rieccomi qui, ancora in orario. Purtroppo, vi anticipo che la prossima settimana non potrò aggiornare: durante le vacanze di Pasqua, invece di avere più tempo libero, sarò veramente impegnata. Spero di riuscire a postare il capitolo di Fairy Tail, dato che ho saltato già una settimana. Quindi gomen, abbiate pazienza ma il tempo è tiranno.
Ringrazio hinata 92 per le recensioni ricevute e tutti quelli che hanno speso parte del loro tempo a leggere questa stroria!
Detto questo, buona lettura!

Capitolo nove
Un'immagine

Soundtrack: Tegami bachi


La priorità era scoprire qualcosa in più sul suo frutto del diavolo.

Il problema principale era stato che, durante la fuga di pochi giorni prima, non aveva, stupidamente, pensato a fare rifornimenti di provviste. Per prima cosa, quasi inconsciamente, mandò giù quell'immangiabile frutto che si era portata dietro. Inizialmente, non era cambiato nulla: no riusciva a capire cosa, in lei, era mutato. Non le succedeva nulla.
Per provare l'efficacia effettiva di ciò che aveva ingerito cercò più volte di nuotare, tenendosi alla barca, senza grandi risultati: dopo essersi immersa si sentiva debole ed era costretta a tornare sulla piccola imbarcazione, per evitare di perdere i sensi. Il primo potere che scoprì fu l'evocazione delle catene con un semplice gesto: involontariamente, mentre era ancora in viaggio, allungò il braccio sano verso la sua borsa, in cerca di un qualche svago, e una striscia metallica, composta da anelli stretti fra loro, la precedette, finendo poi a terra e divedendo evanescente. Inizialmente Tsuki non capì a pieno le potenzialità di quella grande capacità e si limitò ad usarla per la pesca, procurandosi quel po' di pesce che le avrebbe riempito lo stomaco.
Fu anche grazie a questo che non diede di matto: pescare in quel modo un po' strano la divertiva e passava così la maggior parte del tempo. Fortunatamente, riusciva spesso ad accendere un piccolo fuoco grazie ad alcune pietre focaie: quando si trovava nell'isola di Foosha, Ace le aveva insegnato come cucinare della carne cruda e, per quegli animali marini non cambiava poi così tanto. Più di una volta, però, rischiò di dare fuoco alla barca: aveva pian piano affinato la sua tecnica, posizionando delle catene sopra alcuni panni che fungevano da combustibile. Questo metodo le procurò del buon pesce per qualche tempo, finché i pochi panni che aveva con sé non finirono, divenendo cenere.
Rimase un'intera giornata ad osservare il mare ed il cielo su di esso riflesso: purtroppo, la barchetta non aveva né remi né vela questa volta. Definirla zattera un po' crudele forse, ma ci assomigliava molto se non fosse stato per i quattro pezzi di legno umido che la contornavano, dandole una forma simile a quello di un 'guscio di noce'. Ed era proprio questi lastroni lignei che fungevano da schienale alla bambina, mentre il suo sguardo volava sul pelo dell'acqua. Si era spesso sentita sola da quando era andata via, fuggendo da Ace, ma aveva capito che, in qualche modo, se la sarebbe cavata ugualmente.

Mentre si trovava sola e sperduta cercava soltanto di fuggire dal passato. Le sarebbe piaciuto, arrivata nuovamente sulla terra ferma, riuscire a scoprire qualcosa sulla natura del frutto del diavolo e, una volta compreso a pieno il suo potere, avrebbe voluto vivere semplicemente in qualche paese sperduto, dove nessuno l'avesse cercata. Immaginandosi adulta, la rossa si addormentò in quella scomoda posizione, mentre un fulmine illuminò il cielo all'orizzonte.

Il giorno seguente, Tsuki fu svegliata dal sole che iniziava a salire lentamente nel cielo. Si stropicciò gli occhi mentre cercava di abituarli alla luce mattutina. La prima cosa che le venne in mente, appena riprese coscienza di sé, fu uno strano presentimento: qualcosa, dentro di lei, sembrava le stesse parlando. Pian piano, alcune immagini iniziarono ad ammassarsi una davanti all'altra nella sua testa: un lupo, incatenato, le chiedeva aiuto. Ma non stava parlando, le enormi fauci erano serrate in una smorfia di dolore ma non si muovevano. La stava, però, guardando, dritta degli occhi: le iridi arrossate dell'animale incontravano direttamente quelle chiare della bambina che, spaventata, urlò e, inconsciamente, portò le mania alle orecchie, come per evitare di ascoltare le parole di quell'essere.
Con quel gesto, tornò il silenzio. Lentamente, la piccola si guardò intorno mentre la braccia si abbassavano: non vi era proprio nessuno nel raggio di diversi chilometri. Chi era stato o cosa era stato a provocare quella confusione? Inizialmente, Tsuki pensò di aver sognato. Era la spiegazione più plausibile che le venne in mente e, in realtà, nemmeno lei sapeva dire se era cosciente quando era successo. L'unica cosa di cui era certa è che, ora, qualcosa, nel suo profondo, si stava muovendo.
Rimase senza spiaccicare parola per tutto il giorno, standosene seduta a giocherellare con le catene, inquieta a causa di ciò che aveva visto. Quando ormai la sera era calata e la luna era alta in cielo, la rossa, quasi senza accorgersene, arrivò sulla terra ferma: il 'guscio di noce' si fermò con dolcezza, arenandosi sulla sabbia di una spiaggia deserta. Con i brividi lungo la schiena, la piccola scese dall'imbarcazione con la borsa in una mano e le scarpe nell'altra. I piedi toccarono l'acqua ma, con un veloce balzo, Tsuki riuscì ad arrivare sulla sabbia, cadendo rovinosamente su di essa. Era felice di essere arrivata da qualche parte, finalmente, e di poter rincominciare ancora una volta. Si distese, osservando il cielo con sguardo sognate: la sua mente, senza che lei potesse farci nulla, corse nel tempo, arrivando ad osservare il percorso della sua vita.

Era, però, una mera illusione.

Il muso scuro di quell'animale, visto la mattina stessa, riapparve chiaro fra le costellazioni presenti nel cielo. Tsuki, vedendolo, ebbe la stessa sensazione di poche ore prima: chiuse gli occhi e portò le mani alle orecchie, ignorando qualunque altra cosa. Ma la voce, ora più forte, non si fermò per così poco:
« Vieni », continuava a ripeterle. Era inspiegabilmente insistente e la rossa, più spaventata che altro, pensò solamente di ignorarla.
In un attimo, il piccolo corpo della bambina mutò in quello di un grande lupo, il Fenrir. La lotta interiore ebbe inizio in quell'attimo: quegli occhi e quella strana voce cercavano di portarle via il suo corpo, chiamandola insistentemente ad andare lontano. Tsuki, non comprendendo la situazione, si oppose a priori, conscia della pericolosità di ciò che aveva causato. Voleva una nuova vita e quello era soltanto l'inizio. Voleva lottare con tutta sé stessa, voleva vincere questa battaglia con le sue sole forze.

Erano passati troppi mesi da quando la piccola Tsuki era sbarcata in quell'isola sperduta: l'aveva perlustrata interamente ma non vi era anima viva, soltanto un villaggio abbandonato che si estendeva per una fascia di terreno piuttosto ridotta. Era solita vivere all'interno della foresta anche se alcuni utensili li aveva 'presi in prestito' dalle case disabitate: aveva trovato alcuni vestiti comodi, in modo da potersi cambiare quando lavava i suoi al fiume; un'accetta, per ricavare un po' di legna per accendere il fuoco; un grande panno e della paglia, con cui si era costuita un comodo giaciglio dove riposare. Era, in quel lungo tempo, riuscita anche ad edificare un rifugio ligneo, ai piedi di un albero piuttosto alto. All'interno, oltre all'erba secca coperta dal telo, vi era la borsa della ragazzina, appeso ad un gancio di legno; una mensola zeppa di libri trovati nel tempo e una piccola finestrella, che dava sulla parte esterna della foresta.
La rossa, oramai, era una signorina: otto anni per un metro e uno sputo, indipendente e selvaggia. I capelli, una volta corti ed ordinati, ormai erano lunghi e spesso raccolti in una coda. Viveva così, mangiando quel che le capitava e non facendo complimenti per la carne che, pian piano, iniziò a procurarsi da sola. Non era felice, ma era in pace con sé stessa.

Era in pace con sé stessa e con il mostro che, ormai, viveva con lei da parecchio tempo.

  
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