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Autore: hikarufly    01/04/2012    4 recensioni
Post "The Reichenbach Falls", Sherlock Holmes è scomparso e il dottor John Watson ha dovuto voltare pagina... eppure ci sono ancora misteri da risolvere e un nuovo capitolo della propria storia da affrontare: un incontro casuale diventa uno dei momenti più importanti della sua vita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock Holmes stava in piedi, lisciandosi il completo nero Spencer Hart che portava sempre, stropicciatosi dati i maglioncini di lana e la sciarpa che aveva usato per cammuffarsi da Josh, lo stagista impiccione. Il vero Josh, in realtà, dormiva sonni tranquilli tra le braccia di una studentessa ucraina. Mary stava a qualche metro di distanza, con la schiena contro la carta da parati a righe verticali bianche e verde chiaro, incapace quasi di pensare. John sentiva la stanza girargli tutto intorno: si sedette sulla poltroncina e per poco non perse i sensi per la sorpresa e per lo spavento. Era morto, l'aveva visto cadere, fracassarsi la testa sul marciapiede del St Bart's, sul cemento... come era possibile? Come?

Quanto aveva desiderato che quel momento arrivasse, in quei tre lunghi e vuoti anni: che spuntasse fuori dal nulla, come aveva fatto ora, e con un suo solito sorriso sornione che gli dicesse che era tutto un trucco, che aveva dovuto farlo per qualche suo motivo, utile o futile che fosse. Era quello che faceva, Sherlock: si metteva in mostra. Gliel'aveva detto, di fronte al povero Henry Knight, lontano nel tempo ma vicino nei suoi ricordi.

Sherlock, sul momento, mostrò della preoccupazione, dato che John era sbiancato e si era accasciato sulla poltrona. Mary avrebbe voluto correre dal suo ragazzo, per evitare che perdesse conoscenza, ma era paralizzata. Conosceva abbastanza Holmes per sapere che non doveva intervenire. Oltretutto, era terrorizzata dal fatto che non l'avesse interpellata su quanto stava succedendo, e che si fosse presentato così, senza darle la possibilità di far capire a John... senza darle la possibilità di spiegarsi e di non farsi odiare da lui.

Quell'ombra di apprensione sparì dal volto di Sherlock per trasformasi in un sorriso nel momento in cui John aprì gli occhi. Il medico se lo ritrovò a pochi passi, sempre in piedi, intento a giocare con i propri polsini e a lanciare uno sguardo veloce a Mary come se studiasse ogni poro della pelle del suo viso.

«Sei...?» iniziò a dire John, ma venne prontamente interrotto, come c'era da aspettarsi.

«Vivo? Sì, John, non sono parte della tua immaginazione» si spiegò subito Sherlock, con la sua voce precisa, veloce e baritonale. Il suo sorriso si tinse di ironia, però, quando riprese a parlare «Sono l'unico consulente investigativo al mondo, no? Non posso certo sparire quando c'è del lavoro da fare. E sono contento di essere tornato»

«Ma... dove sei stato?» incalzò John, in un misto di paura, sollievo e frenesia, senza rendersi conto di avere una specie di sorriso di sollievo in volto «Che cosa hai fatto in questi anni? E come sei sopravvissuto alla caduta? Ti ho visto... ti ho visto morto, Sherlock» concluse, trasformando la sua espressione in un volto dubbioso e confuso, dimentico ormai di Mary che era fuori dal suo campo visivo, intenta a cercare di mantenere la calma. Sherlock la osservò di nuovo, per un istante, per poi passare a fissare il suo amico negli occhi, procurandogli un brivido di paura.

«Moriarty è caduto dalla sua ragnatela, ma i suoi fili sono rimasti intatti e per spezzarne ogni angolo ho dovuto morire, o far credere al mondo che io fossi morto» spiegò, più lentamente che poté. Era tornato, era qui: che bisogno c'era di essere così... reticente? Era impaziente, rivoleva la sua vita, rivoleva John nella sua vita, ma non era in grado di dirlo con chiarezza, e lo sapeva.

«Ma come diavolo sei sopravvissuto, Sherlock?» esclamò il dottore, questa volta più brusco e con il respiro che accelerava per l'impazienza. Mary sobbalzò per la sua reazione.

«Solo Mycroft lo sa. Non posso farne menzione neppure con te: potrei averne bisogno, di nuovo» sentenziò, serio, senza guardarlo.

John rimase in silenzio per qualche istante, per poi tornare a parlare.

«E tu pretendi di tornare qui, come se nulla fosse, senza degnarti di spiegarmi come mi hai ingannato e gettato in un limbo di sconforto e rabbia per tre lunghi anni...» disse, in tono deciso ma anche con un misto tra sarcastico e confuso, e Sherlock, come sempre, non si lasciò pregare per una replica.

«Manca un unico nodo della rete, un solo uomo, e questo incubo sarà finito. Dobbiamo fermalo, John, ho bisogno di te per farlo» disse, risoluto come John lo ricordava, anche se c'era una nota più calda nella sua voce. Se fosse stato meno spaventato, arrabbiato e frustrato, avrebbe notato la ruga di impazienza e quasi di dubbio sulla fronte di Sherlock: l'eredità di quel tempo infinitamente lungo e lento passato con Mary... e quei diciotto mesi con lui al 221b di Baker street prima che Moriarty mandasse tutto in pezzi.

«Immagino sia facile per te. Hai passato tre anni a girovagare per il mondo, con le spalle coperte dal tuo irritante e manieroso fratello, mentre io ero qui, Sherlock, solo e disperato. Ti aspetti che ora sia felice di ributtarmi nella vita che ho perso?» gridò John, infuriato.

«Non è ciò che vuoi?» chiese Sherlock, come se gli avesse fatto una domanda troppo stupida per essere commentata «Non eri più solo di me, in questi anni. Non l'ho permesso. C'era sempre qualcuno a vegliare di te, su Mrs Hudson, persino su Lestrade!»

«Oh certo...» ribatté subito John, ancora una volta con un sorriso sarcastico «immagino sia ancora opera di Mycroft... lo stesso che si rifiutava di parlarmi anche solo per avere un ricordo, solo per sapere che fine aveva fatto il tuo...» disse John, per poi sentire un gelo impossessarsi del suo petto, come se il suo cuore si stesse piano piano congelando e il ghiaccio stesse scorrendo per le sue vene e arterie. Si voltò lentamente verso Mary, che aveva ormai le lacrime agli occhi e iniziava a scuotere nervosamente la testa.

«Il tuo cappotto...» sussurrò, incapace di formulare delle parole o dei pensieri di senso compiuto. Non l'aveva lasciato solo, l'aveva fatto osservare, l'aveva... fatto seguire, certo. Dopo qualche istante di silenzio, Sherlock avanzò di qualche passo in loro direzione, e Mary voltò la testa verso di lui come se fosse un animale ingabbiato che guarda il padrone che lo picchia, sera dopo sera.

«Se tu non ti senti in grado o in umore...» sospirò Sherlock, deluso dalla sua reazione, reagendo nel modo in cui era solito fare, e allungò una mano verso Mary come se fosse un gentiluomo d'altri tempi e dovesse invitarla a ballare «Mary, vieni»

L'espressione di John passò dallo sconcerto alla furia, per poi terminare nella delusione più grigia quando i suoi occhi caddero sulla donna che aveva creduto essere sincera. La ragazza osservò ogni millisecondo di mutamento sul viso dell'uomo che amava, sentendo avvizzire dentro di sé la propria innocenza. Mary osservò Sherlock, l'intruso in casa sua, crudele e rabbiosa. John ebbe l'improvviso ricordo di mesi e mesi prima, quando l'aveva vista, in sogno, strappare il cappotto al cadavere del suo amico.

«Fuori da casa mia. Fuori! Vattene fuori di qui!» gridò, con tutta la furia, l'angoscia, e la disperazione che le permeavano i polmoni e il cuore. Si scagliò su di lui, spintonandolo fuori e chiudendogli la porta alle spalle, incurante di singhiozzare come una bambina di pochi mesi. Si accasciò sulla porta, prima in ginocchio e poi in posizione fetale. John assistette alla scena al rallentatore, sentendo un centinaio di emozioni che, mescolandosi, si annullarono completamente tra loro. Come un soldato addestrato e attento, osservò la ragazza che ora gli chiedeva pietà, di restare, di ascoltare, e uscì dalla porta sul retro, cercando di scoprire come il mondo era potuto rimanere lo stesso, dopo quel che era appena successo.

   
 
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