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Autore: Kiasan    02/04/2012    1 recensioni
“I girasoli sono i figli del sole, lo seguono nel suo cammino, per questo sono in grado di indebolirci o, addirittura, ucciderci. Noi siamo invece gli schiavi della luna e, per tanto, dobbiamo obbedirla, se non desideriamo una maledizione peggiore di quella che già ci invade.”
Ciao a tutti, sono Jenny Murray e questa… beh, non è propriamente la mia storia, ma non vi dispiace se sarò io a narrarla, vero?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Half Moon


1. Out of the question



Quella sera, Novembre si faceva sentire più che mai: il vento soffiava leggero, ma freddo e l'indomani, ne ero certa, il terreno sarebbe stato ghiacciato. Entrai nel parco della nostra modesta cittadina e mi incamminai verso il chiosco di caramelle, dove lavorava il mio migliore amico.
<< Sei in ritardo, Jenny!! >> mi ammonì lui, una volta giunta a destinazione. << Sono le diciannove e quindici e avrei dovuto chiudere un quarto d’ora fa! >>.
<< Ciao anche a te Jack >> dissi ironica buttandogli le braccia al collo.
<< Non sono corrompibile Jey, le caramelle le paghi comunque >> commentò facendomi il solletico per farmi staccare da lui.
<< Come vuoi >> risposi fingendomi offesa. << Sai già cosa prendo >> aggiunsi incrociando le braccia. Mi recavo spesso da lui per comprare svariati generi di caramelle per i miei fratelli, tutti addottati.
<< Scherzi a parte >> cominciò Jack, introducendo all'interno di un sacchetto di carta candida molteplici caramelle d'orzo; << Novità su tuo padre? >>.
Presi un profondo respiro, cercando di allontanare quella morsa di ferro che mi avvolgeva il cuore: al tempo del mio concepimento, diciassette anni fa, i miei genitori erano una coppia perfetta, sebbene uno fosse il sole e l'altra la pioggia. Tuttavia con il passare degli anni, il loro rapporto si colmò di disaccordi e litigi; i più frequenti riguardavano l'argomento "figli".
Mia madre aveva sempre sognato una famiglia numerosa, ma mio padre fu molto cinico: non voleva altri figli, io ero abbastanza. Sfiorando però il discorso "affido", si trovarono d'accordo (mi fu sempre ignoto il perché mio padre avesse accettato un bambino in affido e non un suo figlio); così decisero di prendere un neonato.
L'anno successivo però, gli assistenti sociali ci comunicarono che i genitori di Nicolas avevano seri problemi psicologici e quindi dovevano trovargli una famiglia fissa; questo argomento fu causa di ulteriori litigi, ma alla fine adottammo Nicolas; che attualmente ha otto anni.
Il piccolo cuore del bambino riportò quella luce e quel vigore che da tempo non sfioravano le mura di casa nostra e così, quando gli assistenti sociali ci comunicarono che due gemelle, Sophia e Gemma, ora di quattro anni, aveva bisogno di una casa poiché entrambi i genitori si erano dati la morte, mia madre non esitò a rispondere affermativamente e, seppur con smorfie, anche mio padre acconsentì.
Quando un anno fa, tuttavia, una bambina di dodici mesi aveva estremo bisogno di una famiglia, fu la goccia che fece traboccare il vaso: mio padre non voleva altri bambini in casa, mentre mia madre non ne volle sapere: se quella creatura aveva bisogno, lei non avrebbe fatto finta di niente e così fu.
Da quell’anno tra mio padre e mia madre era in atto una vera e propria guerra fredda, ma la causa non era Aurora: il loro rapporto non era più come una volta, punto.
Tutto ciò è testimoniato dal fatto che, una settimana fa, mio padre se n’è andato fingendo di avere problemi con il lavoro, ma ancora non abbiamo sue notizie.
<< Jay? >> il ragazzo mi riportò alla realtà, così risposi: << Ancora niente... E' difficile tirare su quattro bambini e due adulti solo con mille euro al mese ed io non posso fare niente: d'inverno nessuno assume diciassettenni. Mio padre è stato un tale egoista! Era lui che con il suo lavoro sostentava la nostra famiglia ed ora mia madre, con il lavoro che fa, beh…>> mormorai.
<< Non fingere di essere più preoccupata per la vostra situazione economica che per quella familiare >> mi interruppe, porgendomi le caramelle, gratis come sempre.
Io le presi e mi morsi il labbro: << E' mio padre... come ha potuto farmi questo? Come ha potuto farlo a lei, mia madre?? >> quasi urlai.
<< Ehi, calmati >> il ragazzo mi baciò la testa. << Vedrai che andrà tutto bene >>.
<< Se lo dici tu, mi fido >> mormorai riprendendo a sorridere.
<< Fai bene, ascolta i consigli dei più anziani! >> ammiccò.
<< Smettila di vantarti solo perché hai due anni più di me! >> sbottai. << Comunque, mi accompagni a casa? >> aggiunsi speranzosa: non che non mi piacesse camminare, ma dopo una giornata di allenamenti ginnici a scuola, l'unica cosa che desideravo era un letto e, dato che lui sarebbe tornato a casa in macchina, scroccare un passaggio divenne un' idea assai allettante.
<< No, scusa! Devo fare delle commissioni per un amico dall'altra parte del parco >> rispose.
<< Ok, fa niente >> dissi, nascondendo il dispiacere.
<< Ti voglio bene, Jay >> mormorò stringendomi.
<< Anche io >> detto ciò ci incamminammo in direzioni opposte.
Ormai all'uscita del parco, scrutai un'ombra salire sul grattacelo che affiancava quest'ultimo.
Aguzzai la vista poiché, credetemi, l’oscurità non aiutava affatto, e scoprì che l’ombra, con un’agilità straordinaria, stava raggiungendo la cima del palazzo arrampicandosi di terrazzo in terrazzo; di sporgenza in sporgenza e, ancor prima che io riuscissi a realizzare quello che stava accadendo, essa si lanciò.
Gli arti mi si immobilizzarono e non riuscii a fare altro che guardare quell’indistinta figura cadere nel vuoto. Giù, giù…
Cercai un modo per salvarla, ma neanche se fossi riuscita a muovermi avrei potuto afferrarla. Solo quando la figura fu a pochi metri da terra, cominciai a correre per coprire la distanza che mi divideva dall’uscita del parco, cercando disperatamente il cellulare nella borsa. Non fui sicura di cosa fosse scattato in me, ma sapevo di dover fare qualcosa, così una volta giunta davanti al ragazzo, che si era appena schiantato al suolo e appariva inerme, digitai l’unico numero che sarebbe potuto essermi utile in quel momento: il 118.
Sapevo che per quel ragazzo, che sembrava avere pressappoco la mia età, non c’era più nulla da fare: era caduto, o meglio si era lanciato in un tentato suicidio, dal grattacelo più alto di Welley, la nostra città, dotato di cinquanta piani ed era impossibile sopravvivere all’impatto con il terreno ad una tale quota.
In una città piccola come la mia, ci conoscevamo tutti o, perlomeno, eravamo al corrente dei volti di chi la abitava, tuttavia non avevo mai visto quel ragazzo moro e… beh, così bello! In quel momento, però, la sua bellezza era ben poco ragguardevole, quindi mi scossi e spinsi il tasto “chiama”. Ma nel momento in cui avvicinai all’orecchio il cellulare, il ragazzo aprì gli occhi.
.

Il cellulare mi cadde a terra, si aprì e la batteria volò via. (Si, lo ammetto, non era molto resistente).
Il cuore quasi mi si fermò: era tecnicamente impossibile che il ragazzo fosse sopravvissuto. IMPOSSIBILE. Eppure quegli occhi cobalto mi fissavano in un misto di terrore e confusione ed io non reagii; semplicemente me ne stetti li, immobile.
Dopo quella che mi sembrò un’eternità il mio respiro tornò regolare e le mie mani in preda al tremolio iniziarono a stabilizzarsi.
Presi un profondo respiro e provai a parlare: << S-sei vivo…?>> il mio tono era più sconvolto del previsto.
Il ragazzo si sedette senza rispondere: riusciva a muovere perfettamente tutti gli arti e non vi era segno di alcuna lesione nonostante, mentre correvo verso di lui pochi secondi prima, mi era sembrato di intravedere uno squarcio lungo la schiena. Mi sporsi per controllare meglio, ma l’unica imperfezione erano la camicia, che possedeva una spaccatura lungo il dorso dove poco prima pensavo vi fosse una fenditura e dove non vi era traccia di sangue, ed i capelli, selvaggiamente disordinati.
Non aveva ossa rotte… era incolume!! Assolutamente ILLESO, contro ogni logica!
Tutto attorno a me divenne, allora, nebuloso e privo di senso; punti neri cominciarono a ballarmi davanti agli occhi e non ci volle molto perché io perdessi i sensi.
.

Quando mi risvegliai dovetti fare appello a tutte le mie forze per ricordare ciò che era successo, ma poi serbai memoria e mi rammendai di tutto. Cercando a tastoni il cellulare, lo trovai inaspettatamente aggiustato: non era più aperto sul retro sebbene ero sicura che, cadendo, persino la batteria era stata scaraventata lontano. Lo accesi e scoprì di essere stata priva di sensi per dieci minuti! Presi un profondo respiro e arrivai a pensare (o più che altro a sperare) di essermi immaginata tutto in una specie di illusione pre-svenimento; tuttavia i ricordi erano troppo vividi! Decisi di respirare profondamente e di incamminarmi verso casa, accompagnata da uno strano presentimento.
Mentre camminavo diedi uno sguardo più attendo al cellulare e mi ritrovai con due chiamate perse provenienti da mia mamma, così le mandai un breve messaggio: “Non mi sono sentita bene, così ho preferito sedermi su una panchina e aspettare che il giramento di testa finisse, sto tornando a casa ora”. Controllando fra le altre chiamate perse, mi ritrovai improvvisamente a sorridere: Jack mi aveva chiamato sette volte! Ritardavo da casa solo cinque minuti e lui mi tempestava di chiamate, manco fosse mia madre!
“Iper protettivo mi dicono! Sto tornando a casa ora e sono viva, mi sono solo fermata su una panchina a causa di un giramento di testa… ti chiamo ‘sta sera! Ti voglio un mondo di bene”, scrissi il messaggio anche per Jack e provai ad ironizzarlo un poco, sebbene la testa mi doleva e non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che il ragazzo moro non era morto nonostante si fosse lanciato da un grattacielo. Era meno che non morto, cavolo, era stra-vivo! Semplicemente inconcepibile!!
Una volta a casa le gemelle mi abbracciarono ed io baciai i loro mossi capelli neri: << Scusate il ritardo >> dissi prendendo Sophia in braccio: lei era stata l’ultima a nascere, ci avevano detto gli assistenti sociali, e il parto era stato veramente traumatico, così spesso faticava a camminare.
<< Forza, finalmente Jenny è arrivata, tutti a tavola! >> esordì mia madre. I suoi capelli rossi e ricci, a differenza dei miei che invece erano leggermente mossi ma della sua stessa tonalità di colore, erano bellissimi, ma il volto aveva una perenne smorfia di dolore, nonostante tentasse in tutti i modi di nasconderlo ai bambini.
Dopo cena addormentai Aurora, la più piccola, e raggiunsi mia mamma in cucina: << Sai qualcosa di papà? >> le chiesi.
<< No… sai cosa significa questo, Jenny? >> mi disse sconsolata.
<< Mamma se è per i soldi… beh, troverò in qualche modo un lavoro! >>.
<< Il fatto che io e tuo padre sicuramente ci lasceremo ci impedirà, agli occhi degli assistenti sociali, di garantire una buona salvaguardia dei bambini, seppur tutti in adozione… e poi si, hai ragione, i soldi! Ma non ti permetterò di lavorare a diciassette anni, non ti rovinerò l’adolescenza >>.
Dopo pochi secondi di silenzio aggiunse: << Non ce li lasceranno mai >> sembrava veramente entrata nel panico.
<< Mamma, andrà tutto bene, non ci porteranno via nessuno! Ci conoscono e poi, beh, anche le gemelle ormai ti chiamano mamma >> questo la commosse e fui felice di non aver infierito sulla separazione: non pensavo fossimo già arrivati a questo punto ma, d’altro canto, sia io che mia madre sapevamo che prima o poi la disgiunzione sarebbe giunta: era inevitabile.
.

La sera, nel letto, riuscii finalmente a rilassarmi un poco e a distrarmi dal pensiero ormai fisso del “ragazzo sopravvissuto alla caduta”.
<< Jack >> dissi, dopo ormai un’ora che ero al telefono con lui.
<< Si, è il mio nome! >> scherzò.
<< Scemo! Comunque… i miei si separano >> gliela buttai veramente alla selvaggia.
<< Piccola, mi dispiace >> la sua voce, più roca del solito, metteva in evidenza il suo dispiacere.
<< Mia mamma pensa che ci possano portare via i bambini per questo “disastro” famigliare… e anche perché facciamo fatica ad arrivare a fine mese >>.
<< Ma tua nonna? Non vi dava una percentuale al mese da un anno ormai? >> chiese.
<< Si, infatti, ma anche lei è alle strette e dopo Dicembre non riuscirà più ad aiutarci >> mormorai.
<< Vorrei fare qualcosa per aiutarvi, fidati piccola >>.
<< Jack, tu fai tanto così, standomi vicino. E poi è mia madre che ha bisogno di aiuto >> in quel momento fui tentata di raccontargli ciò che era successo all’uscita del parco, ma poi mi trattenni per evitare di finire chiusa in una camera con le pareti imbottite.
Perché io non mi ero immaginata nulla e non avevo bisogno di nessuna camera con nessuna parete imbottita… vero?
.

<< Addirittura la separazione? Non potevano aspettare che si calmassero un attimo le acque? >> sbottò la mia migliore amica.
<< Non vogliono più avere nulla a che fare l’uno con l’altra; lo sparire di mio padre ne è stata la prova e, magari, ora è alle Hawaii a godersi il sole con tanto di un drink >> lo ammetto: sfogarmi con lei mi aiutava molto.
<< Oh mio Dio! Guarda Jenny! >> Katrin mi prese il braccio e mi trascinò davanti alla vetrina di Swarosvki, indicandomi una favolosa collana argentata.
<< Quella sarà mia >> decise, scostandosi teatralmente i capelli biondi dal viso perfetto; tutti i pomeriggi per tornare a casa da scuola passavamo davanti a quel negozio, ed ogni volta ne restava incantata. Purtroppo però, non si interessava più di tanto ai miei problemi: era la ragazza più bella e popolare della scuola, a volte presuntuosa e poco altruista, ma era mia amica: per questo ero pronta a chiudere un occhio sul suo poco interesse riguardo ai miei “dilemmi” famigliari.
Circa a metà strada ci separammo ed io decisi di tornare a casa attraverso il parco: più animali da vedere, più verde, più tranquillità e più vento, amavo il vento.
Ormai a metà tragitto scrutai un bagliore in lontananza, sembrava fuoco, ma nel parco era severamente vietato appiccarne uno. Temevo ad avvicinarmi troppo, ma decisi di avanzare sperando che fosse un piccolo incendio causato da un mozzicone di sigaretta e facilmente estinguibile; tuttavia più mi avvicinavo, più riconoscevo la sagoma di una persona... una persona divorata dalle fiamme rosse e fameliche. Ok, fosse stato per me avrei girato i tacchi e me la sarei squagliata, ma così facendo, mi sussurrava la mia coscienza, avrei contribuito alla morte di un innocente, magari un ragazzino; così, spinta da quel pensiero, corsi verso la sagoma in fiamme. Una volta giunta a destinazione, mi tolsi la sciarpa di cotone e cominciai a soffocare le fiamme che invadevano il corpo di un ragazzo.
Un ragazzo moro, alto e bello… il ragazzo del grattacielo!? Mi si fermò il cuore quando capì che era lui, ma mi scossi immediatamente e, con mani tremanti, afferrai la bottiglia d’acqua che avevo nello zaino e la svuotai sul corpo del ragazzo. Per un breve momento sembrò privo di sensi, ma poi riaprì gli occhi cobalto e li fermò nei miei.
Dopo quella che mi sembrò un’eternità mi scostai e digitai il numero dei carabinieri: era già la seconda volta che lo sorprendevo nel tentativo di un suicidio e, per la seconda volta, ne era uscito illeso; la pelle infatti non possedeva bruciature, nonostante la maglia fosse colma di buchi. << No, ferma! >> posò bruscamente la sua mano affusolata sulla mia. Era la prima volta che udivo la sua voce: era… non trovai, ne trovo tutt’ora, parole per descriverla, avevo cognizione solamente di quanto fosse bella. Cercai di regolare il mio respiro affannoso e, invece di chiederli come mai stesse cercando in tutti i modi di uccidersi, mormorai: << Perché sei ancora vivo? >>.
Per un attimo restò a guardarmi, ma poi si allontanò da me con un semplice: << Hai soffocato il fuoco, ovvio che sono ancora vivo! >>.
Non sapevo nemmeno io cosa mi era preso, ma il suo comportamento mi infastidiva quanto mi attraeva: lui non moriva, punto! E questo non era logicamente possibile!
<< Dal grattacelo idiota!* >> ribattei. << Come hai fatto a sopravvivere?! >>.
<< Senti, senza offesa, ma non sembri nel pieno delle tue forze mentali >>.
<< Io. Non. Sono. Pazza. >> ringhiai.
<< Hai… visto, mmm, un’anziana signora andarsene? >> chiese tentennante, ignorando completamente la mia affermazione.
<< L’ho salvata, ecco perché ero pieno di fiamme! >> continuò, vedendo il mio viso confuso. << Pro-probabilmente era la cuoca della casa di riposo e qualcosa nella cucina è andato storto, l’ho portata fuori dall’edificio e sembrava non stare troppo male, ma poi le fiamme hanno cominciato a divorarmi e non l’ho più vista >> continuò indicando l’edificio dietro di noi.
Effettivamente quest’ultimo conteneva la cucina ove volontari preparavano il cibo per asportare alla casa di riposo non troppo lontano dal parco, ma una signora anziana non sarebbe mai potuta andare troppo lontano dopo essere quasi morta a causa di un incendio… non credevo neanche un po’ alle sue spiegazioni!
<< Mi vuoi far credere che la cuoca sia riuscita ad andarsene con il corpo per metà carbonizzato? >> domandai contrariata.
<< Senti, fai come ti pare, ma non chiamare i carabinieri! >>.
<< Guarda che lo facevo per te, ma se vuoi ucciderti fa pure, la vita è tua >> sbottai irritata.
Lui sospirò, lo sguardo triste, profondo: sembrava molto più saggio di me. Improvvisamente mi sentii ridicola: stavo litigando con qualcuno che neanche conoscevo e che magari aveva problemi molto più grandi dei mie!
<< Sei nuovo di qui >> affermai poco dopo, addolcendo un po’ la voce.
<< Si, mi sono trasferito dopo la morte di mio fratello: domani comincerò la scuola e recupererò con degli esami i mesi persi >>.
<< Oh, bhe, mi dispiace per tuo fratello… di hai tuoi genitori che avranno sicuramente un’adeguata cerimonia di benvenuto dai vicini >> da noi era così: i nuovi cittadini erano sempre stati importanti.
<< Non vivo con loro >> tagliò corto mentre si alzava, per poi congedarsi con un cenno della mano
.

SPAZIO AUTRICE: Ciao a tutti, eccomi qua con questa nuova fic! Ringrazio subito la mia beta (massi, cominciamo con i ringraziamenti che portano bene xD) poiché mi suggerisce sempre nuove battute divertenti e originali!! Senza perdermi troppo in chiacchere inutili, vi lascio alla lettura del capitolo, fatemi sapere che impressione vi ha dato :)
  
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