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Autore: Kiasan    16/04/2012    0 recensioni
“I girasoli sono i figli del sole, lo seguono nel suo cammino, per questo sono in grado di indebolirci o, addirittura, ucciderci. Noi siamo invece gli schiavi della luna e, per tanto, dobbiamo obbedirla, se non desideriamo una maledizione peggiore di quella che già ci invade.”
Ciao a tutti, sono Jenny Murray e questa… beh, non è propriamente la mia storia, ma non vi dispiace se sarò io a narrarla, vero?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Friend, my friend

<< Finiscila di guardarlo! >> mi sussurrò Katrin durante l’ora di biologia. << D’accordo che è carino, ma ce ne sono tanti altri!! E poi lui non mi sembra il tipo che si rende disponibile >> continuò senza farsi vedere dal professor Hurry: un uomo robusto dotato di grigi capelli e un viso simpatico.
<< Smettila, non lo sto guardando! >> ribattei, ma la mia amica aveva ragione: non riuscivo a smettere di ammirare il ragazzo moro del grattacelo che, come il pomeriggio prima lui stesso mi aveva accennato, aveva cominciato il percorso scolastico.
“ Vi prego di essere ospitali con il vostro nuovo compagno di classe, Ian Hall. Il signor Hall si è da poco trasferito in questa scuola e se supererà gli esami d’ammissione, beh, ce lo porteremo fino all’ultimo anno “, aveva annunciato il professore, con un umorismo che nessuno nella classe era riuscito a cogliere; compresa la sottoscritta.
<< Come vuoi >> concluse svelta Katrin che, evidentemente, aveva trovato qualcosa più interessante di cui parlare. << Comunque, mi accompagni a prendere la collana da Swarosvki oggi? >> chiese infatti.
<< Mmm, negativo, mi viene a prendere Jack: passiamo la giornata insieme dato che è il suo compleanno, scusa >> sussurrai.
Avrei infatti passato la giornata fuori casa con il festeggiato e alcuni suoi amici; mi sentivo un po’ in colpa poiché avrei lasciato a casa da sola mia madre con i miei fratelli, ma lei mi aveva assicurato che sarebbe andata ad aiutarla una sua cara amica.
<< Ecco, Jack si che è un figaccione! Ed è pure grande, dovresti mirare a lui, non a Hall. Bè, se poi a me capitasse lui mi accontenterei, ma… >> continuò a blaterare mentre io ero tornata a fissare Ian: come faceva a dire che era solo carino? Per quanto riguarda la bellezza del mio migliore amico ero d’accordo con lei, ma era una specie di fratello per me e non sapevo se sarei riuscita a vederlo diversamente.
<< Vuoi condividere il tuo pensiero con la classe signorina Brown? >> chiese il professor Hurry, rivolto a Katrin.
<< Oppure lei, signorina Murray, dato che è dall’inizio dell’ora che chiacchiera animatamente con la sua compagna di banco >> continuò stizzito.
<< No, scusi >> rispondemmo all’unisono io e Katrin: era incredibile agli occhi di tutta la scuola la nostra uniformità.
Quella mattina io e Ian ci limitammo a timidi sorrisi quando i nostri sguardi si incrociavano; non sembrava affatto un ragazzo con problemi mentali che aveva più volte tentato il suicidio, al contrario appariva normalissimo e un po’ impacciato quando una cerchia di ragazze del secondo anno cercarono di fargli la corte.

All’uscita salutai Katrin e corsi da Jack che mi aspettava appoggiato al muro della scuola: << Ciao bellezza >> mi salutò.
<< Auguri!! >> urlai buttandogli le braccia al collo. << Mi fai paura… hai vent’anni ora >> sbottai appena mi lasciò.
<< Già, devo stare attento a girare con te, potrei essere preso per pedofilo >> scherzò, spingendomi verso la sua macchina.
<< Come è andata a scuola? >> chiese una volta salito al posto di guida.
<< Come al solito… ah, Katrin dice che sei un figaccione >> lo informai ridendo ridendo.
<< Finalmente qualcuno che nota la mia bellezza >> giocò, mentre i suoi occhi scuri incontravano i miei.
Improvvisamente mi accarezzò la guancia: un gesto che faceva spesso, ma questa volta era presente molta più intensità e intimità. All'istante mi tornarono in mente le parole della mia amica; e se fosse nato veramente qualcosa fra me e lui? No, impossibile, noi eravamo amici da sempre e tali saremmo restati.
Ok, magari è bene precisare un’altra cosuccia… mmm… ecco, non avevo ancora avuto un ragazzo.
<< Ehm… ti ho preso il regalo >>, dissi, scostandomi un poco, sia da lui che dai miei strani pensieri.
Lui sorrise, cogliendo l’imbarazzo nella mia voce e, tornando quello di sempre, spacchettò il dono. << Oh. Mio. Dio. >>, urlò, stringendomi in un abbraccio soffocante. Gli avevo regalato i CD con le liriche da lui più amate e un libro di canzoni con gli accordi per la chitarra, che lui amava suonare.
<< Non sai da quanto aspettavo questo libro!! >> continuò, liberandomi dall’abbraccio.

Il pomeriggio passò veloce e mi divertii molto con lui e i suoi amici; tuttavia, quando ormai sarei dovuta tornare a casa, un amico di Jack, Sam, ci annunciò: << Probabilmente fra poco viene un amico a prendermi, aspettate prima di andare che vuole conoscervi? >> chiese, con una punta di maliziosità nella voce che io non compresi.
Così, poco dopo, un ragazzo tarchiato con un berretto in testa e le braccia colme di tatuaggi, ci raggiunse nella piazza di Welley e, notandolo, Jack chiese: << Eccolo, è lui vero? >>.
Sam annuì, per poi proporre a quest’ultimo: << Perché tu e James non andate a prendere qualcosa da mangiare alla piadineria? >>. James era un timido ragazzo dai capelli color carota che non negava mai niente a qualcuno.
<< Io ci sto: ho una gran fame! >> intervenne pimpante il nuovo arrivato, senza preoccuparsi delle presentazioni.
<< Non so… Dovevo portare Jay a casa più o meno a quest’ora >> rispose Jack, guardandomi.
<< No, tranquilli! A casa sopravvivranno >> dissi: non volevo impedire a Jack di stare con i suoi amici, così avvisai svelta mia madre del cambio di programma: quello era il giorno dedicato al mio migliore amico e sapevo che desiderava mangiarsi un crescione in compagnia dei suoi amici.
Rimanemmo, così, solo Sam, il ragazzo tatuato (Taylor, come scopri in seguito si chiamasse) ed io, poiché la strada era lunga e sarebbe stato più facile portare i crescioni in due dalla piadineria alla piazza, dove vi erano comodi tavoli da pic-nic sui quali avremmo cenato, proprio come il festeggiato amava fare.
<< Allora >> cominciò Taylor avvicinandosi a me più del dovuto. << Ti chiami? >> mi chiese, prendendo una ciocca dei miei capelli fra le mani.
<< Ehm… Jenny >> dissi scostandomi.
<< Non essere scortese! E’ maleducazione spostarsi quando un ragazzo parla con te >> disse in tono beffardo Sam.
Ok, quel ragazzo non mi era mai piaciuto, ma non mi aveva mai causato paura.
<< Si, infatti Jenny, non ti spostare!! >> gli fece eco Taylor; il cuore cominciò a battermi velocemente. << Forse è meglio se vado ad aiutare i ragazzi >> provai, ma il giovane tarchiato mi afferrò per un braccio e cominciò a slacciarmi il cappotto.
<< Dai, lasciami >> provai, ma Taylor riuscì nella sua impresa, mentre Sam rideva divertito.
Cercai in fretta una soluzione, ma Jack era ormai troppo lontano: i due ragazzi avevano archiviato il piano al meglio.
<< Uh, quanti strati >> disse Taylor, notando il gilet lungo che portavo sopra una maglia aderente e nera. << Jack sarà qui fra poco >> sbottai, sebbene sapessi che non fosse così.
<< E chi è Jack? Il tuo ragazzo? >> chiese beffardo il ragazzo, alzandomi il gilet.
Mi guardai intorno, alquanto disperata: non c’era nessuno, ovviamente! A Welley nell’ora di pranzo e di cena non c’era quasi mai nessuno in centro. Ciò non era affatto strano, erano le regole di una piccola cittadina di montagna. Cominciai a divincolarmi, assestando un paio di calci sulle gambe del ragazzo, ma le sue mani mi stringevano in una morsa di ferro.
Proprio mentre stavo entrando nel panico più totale, un’ombra si scagliò contro il mio assalitore e lo allontanò da me.
<> rise Taylor nel vedere Ian, per niente spaventato da lui.
Ian! Il mio cuore accellerò maggiormente i battiti, sempre che fosse possibile: il ragazzo che avevo considerato pazzo e forse irreale solo qualche giorno prima, ora mi aveva salvata.
<< Lasciatela in pace >> sbottò il giovane moro, frapponendosi a me e ai due complici.
<< Uh, si… altrimenti? >> lo derise Sam.
<< Altrimenti >> cominciò Ian, alterandosi. Si avvicinò all’ultimo parlante, lo prese per il colletto e lo sbatté contro il tavolo da pic-nic: aveva una forza incredibile!
<< Potresti farti male >> detto questo si girò verso di me e mi fece cenno di seguirlo.
<< Ma Jack si aspetta di vedermi qui una volta tornato dalla piadineria! Non posso andarmene >> dissi dopo qualche attimo di silenzio, quando vidi che mi conduceva ad una macchina, la sua evidentemente.
<< Se vuoi ti riporto da quei tizi >> fece sarcastico.
<< No, scusa… io >> sospirai. << Grazie >>.
Si fermò davanti all’unico autoveicolo presente nella zona, una peugeot grigia, e si voltò verso di me: << Così siamo pari >> borbottò e tirò fuori dalla macchina una sciarpa blu di cotone: << Ecco, l’ho ricomprata uguale >> aveva ragione, era identica.
<< Oh, non ce n’era bisogno >> dissi, sorpresa da tanta gentilezza; ma dopotutto gli avevo salvato la vita, che lo avesse desiderato o meno.
Mi riassettai il gilet grigio e cominciai a tremare: avevo lasciato il giubbotto sul tavolo da pic-nic dove il mio assalitore me lo aveva tolto, ma ormai era lontano e c’erano ancora entrambi i ragazzi, quindi il tornare a prenderlo era assolutamente escluso.
<< Tieni >> disse Ian, posandomi sulle spalle il suo cappotto; aveva un buon profumo. << Se vuoi ti riporto a casa >> propose, leggermente incerto.
<< Bè, te ne sarei grata >>.
<< Come mai da queste parti? >> chiesi, una volta in viaggio.
<< Dovevo prendere un modulo per l’iscrizione a scuola da far firmare alla signora Patt: mi ha ospitato nella casa che vendeva in affitto accanto alla sua e, dato che sono minorenne e non ho parenti in questa città, lei è una specie di tutore per me >> spiegò, ma io, com’era normale in una città piccola come la mia, sapevo molte cose sulla signora Patt.
Il resto del viaggio fu silenzioso, eccezion fatta per le indicazioni da me fornite che ci avrebbero condotto a casa mia. Una volta sopraggiunti a destinazione (mi lasciò all’inizio del vialetto di casa per non destare sospetti in mia madre), si riprese il cappotto nero e, nel farlo, sfiorò le mie braccia: questo suscitò in me una strana emozione, ma probabilmente ero solo stanca.
<< Grazie per il passaggio >> dissi, ma prima di scendere chiesi: << Non ti ho immaginato vero, quella sera, quando ti sei buttato dal grattacelo? >>.
Un lampo di incertezza attraversò il suo viso, ma subito dopo rispose con un semplice: << No >>. << E come fai ad essere ancora vivo? >> chiesi, ostinata.
<< Perché il secondo piano non è abbastanza alto >> mi sorrise, facendo spallucce.
<< No >> dissi, irritata da tanta testardaggine. << Ti sei buttato dall’ultimo! E anche se ti fossi lanciato dal secondo piano, è alquanto improbabile che tu ne sia uscito illeso… e poi perchè l’hai fatto? >> sbottai.
<< Non sarebbero affari tuoi >> cominciò, distogliendo lo sguardo. << Ma quando perdi il fratello e non vivi con i tuoi genitori, non è facile andare avanti. E comunque non era l’ultimo piano >>.
Improvvisamente capii che quel ragazzo aveva veramente bisogno di aiuto, di qualcuno accanto come Jack faceva con me. Mi sentii subito una stupida: forse mi ero veramente immaginata gran parte dell’accaduto di qualche sera prima a causa della paura.
<< Scusa la mia insistenza. Se hai bisogno di qualcosa, ci sono >> mormorai, sebbene queste parole non lo rassicurarono affatto.
Lui annuì: << Buona serata >>.
Usci dalla macchina: dovevo spiegare in qualche modo a mia mamma il perché fossi a casa prima di cena e non potevo dirle di Sam e Taylor, si sarebbe spaventata troppo! Avrei anche dovuto parlare con Jack, che si sarebbe sentito in colpa per quello che mi era successo, ma era il suo compleanno e non mi sarei mai permessa di rovinargli la giornata.

Dopo cena mi decisi a chiamare Jack per dirgli quello che veramente era successo, poiché inizialmente mi ero limitata a liquidarlo con semplici messaggi.
<< Cos’è che ti hanno fatto?? >> tuonò, quando gli ebbi raccontato tutto.
<< Vengo a casa tua >> aggiunse determinato.
<< Sto bene, Jack! Veramente, non è stato nulla di che >> provai in tutti i modi a persuaderlo, anche perché non avevo idea di come spiegare a mia madre la sua comparsa: lei sapeva che il festeggiato aveva avuto un contrattempo, così avevamo rimandato la cena.
<< Arrivo >> mormorò ignorandomi apertamente e riattaccò. Possibile che dovesse essere sempre così possessivo e iper protettivo? Sospirai e, uscendo da camera mia annunciai: << Mamma, Jack passa di qui >> cercai di essere disinvolta. << Oggi abbiamo faticato a stare insieme, inoltre vuole cogliere l’occasione per salutarvi, è da un po’ che non viene >>.
<< Lui non da mai fastidio >> rispose sorridente mia madre, che teneva in braccio Aurora.
<< Mamma, Jack è il ragazzo di Jenny? >> chiese curioso Nicolas, che stava giocando con le costruzioni. Mia madre scoppiò a ridere e rispose: << Non è a me che devi chiederlo >> ah, perfetto! Ora ci si metteva anche lei.
<< No, Nico, siamo solo amici >> quasi lo gridai, nonostante la cosa non mi avesse infastidito più del dovuto.
Gemma scoppiò a ridere. << E tu stai buona >> sbottai, per poi sorridere, vedendola incupirsi. Poco dopo arrivò Jack, il quale dovette trattenersi per non corrermi in contro e controllare che non fossi ferita; lo sapevo, glielo leggevo negli occhi.
<< Ciao Clare >> salutò lui, rivolto a mia madre.
<< Ciao caro, buon compleanno >>.
<< Grazie >> rispose sorridente l’interessato. << Ehi campione! >> disse poi rivolto a Nicolas, che sfoggiò il suo più grande sorriso: amava Jack.
<< E’ un problema se te la rubo un secondo? Poi posso aiutarti anch’io a portare a letto i bambini >> chiese dopo poco Jack, rivolto ora a mia madre.
<< Nessun problema, oggi è il tuo compleanno >> e così uscimmo nel nero della sera (io mi ero messa il cappotto di mia madre, senza darlo troppo a vedere).
Quando ci allontanammo da casa, mi squadrò e poi mi strinse forte, i nostri corpi si toccarono. << Ehi, davvero, sto bene >> gli dissi, ma lui non mi lasciò.
<< E’ tutta colpa mia >> mugugnò.
Gli lanciai un leggero pugno sul petto: << Smettila! L’unica cosa che mi preoccupa è che ho lasciato al tavolo da pic-nic il mio cappotto >> dissi.
<< Strano, non c’era quando sono tornato dalla piadineria >>.
<< Se lo sarà preso qualcuno, ma non c’è problema: ne ho un altro in soffitta >>.
Lui annuì, sebbene non fosse d’accordo con la mia affermazione: come ho già detto, a Welley c’è veramente poco traffico all’ora dei pasti. << Sono felice che sia andato tutto bene >> aggiunse poco dopo.
<< Non si sarebbero spinti tanto oltre >> dissi, per poi alzarmi in punta di piedi e baciargli la guancia. Scorsi una smorfia sul suo volto, ma non contraddisse la mia affermazione.
<< Un’ultima cosa >>, disse, invece. << Chi ti ha portato a casa e ti ha tolto dai pasticci? >>.
<< Ah… mmh… beh, Ian, quello nuovo >> risposi imbarazzata.
<< E ti conosce? >> chiese quasi gelosamente.
Beh, tecnicamente ci eravamo già incontrati, ma preferii tacere quei fatti e dissi semplicemente, con una nota teatrale alla Katrin: << Aveva visto una fanciulla in pericolo e si è sentito in dovere di aiutarla >>.
<< Tu, piuttosto >> dissi, dopo quasi dieci minuti di cammino silenzioso nel viottolo di casa con il suo braccio sulle spalle. << Che ti hanno detto Sam e Taylor sulla mia sparizione? >>.
<< Che te n’eri andata perché a casa avevano bisogno di te >> rispose semplicemente.
<< Poco astuto da parte loro, dato che casa tua è piuttosto lontana dalla piazza e tu >> continuò in tono d’accusa. << Non hai ancora voluto prendere la patente >>.
Sospirai, non lo biasimavo: nonostante avessi da poco superato sedici anni, avrei già dovuto avere la patente; tuttavia la tensione in famiglia e, nelle ultime settimane, la perdita (perché per quanto mi riguardava poteva anche essere moro) di mio padre, mi avevano impedito di cimentarmi anche in questo ambito. Inoltre, in una città piccola come Welley, si poteva arrivare ovunque in mountain bike.
<< Ehi >> disse Jack, vedendo il mio viso incupirsi, sopraffatto dal pensiero di mio padre. << Scherzavo >>.
<< Si, lo so… ma forse mi sto comportando veramente da debole. Insomma, capita ormai a tutti di vedere i propri genitori divorziare >> crudele, ma vera realtà.
<< Jay! >> mi rimproverò, con sguardo severo ma comprensivo. << Devi smetterla di esser così cattiva con te stessa: tuo padre vi ha lasciato, questo no che non capita a tutti >>.
Mi morsi le labbra, mentre un grosso nodo mi si formava alla gola.
Jack mi strinse forte, capendo come sempre il mio stato d’animo: << Ti voglio bene >> ammise, regalandomi tutto ciò di cui avevo bisogno; proprio così, all’udire quelle tre parole il mio cuore si alleggeriva, sempre lo faceva e sempre lo avrebbe fatto.
<< Cavolo se te ne voglio, io! >> dissi, cominciando a ridere istericamente e a stringendolo ancor più forte a me.

SPAZIO AUTRICE: Hola! Eccomi con il secondo capito :)
Come avrete potuto notare ho deciso di postare il lunedì di ogni due settimane, dato che la scuola mi sta letteralmente uccidendo in questo periodo xD Beh, buona lettura!!

  
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