PREMETTENDO CHE IL PRIMO CAPITOLO DI QUESTA FANFICTION E’ NATO COME ONESHOT E IO CONTINUO A CONSIDERARLO TALE…
…I VOSTRI INCITAMENTI A SCRIVERNE UN SEGUITO MI HANNO REGALATO DIVERSE “ILLUMINAZIONI”, E ADESSO MI E’ VENUTA VOGLIA DI CONTINUARE CON QUESTA STORIA! (ANCHE SE NON SO ANCORA DOVE MI PORTERA’, GULP!)
UN GRAZIE A CHI HA COMMENTATO QUELLO CHE ORMAI E’ DIVENTATO IL PROLOGO!! SPERO DI NON DELUDERE NESSUNO, E NON LO DICO PER IMPIETOSIRVI, MA DAVVERO NON SO MAI VALUTARE SE LE FIC TRISTI CHE SCRIVO (POCHE E rigorosamente D/He) SONO PENOSE OPPURE NO. IO SONO PIU’ PER LE COMMEDIE! A QUESTO PUNTO PERO’ RECENSITE!
*** ***
Ma questo, lui
non poteva saperlo – proseguo
1 - The show must go on.
Hermione tirò il freno a
mano e un sospiro enorme contemporaneamente. Non poteva essere successo, non
era giusto. Aveva faticato così tanto a ritrovare un equilibrio, a cacciarsi
alle spalle il passato e guardare avanti, e adesso che c’era riuscita le era
successo questo.
No, in realtà non era
successo proprio un bel niente.
Doveva far finta di nulla
e continuare per la sua strada, come se niente fosse. Non lo aveva mai
incontrato. Perché lui era morto. Morto.
Sì, morto. Palle!
Ma era come se lo fosse,
giusto?
Scese dall’auto e si avviò
verso casa. Adesso viveva in un quartiere ad altissima concentrazione di
babbani, e nonostante col suo lavoro facesse ancora parte della comunità
magica, la sua vita era molto “normale”. Il suo concetto di voltare pagina
aveva incluso anche quello.
Meno legami col passato
hai, meglio è per te.
Suonò alla porta.
“Hermione! Sei arrivata.
Stavo per telefonarti…”
“Scusa, ho trovato un
traffico enorme” mentì. “Mi spiace di aver creato disturbo…”
Carol era la sua vicina di
casa, una donna sui quarantacinque anni. Andava a prendere all’asilo sua figlia
e gliela teneva finché Hermione tornava da lavoro.
“Macché disturbo, cara”
rispose la donna. “Lo sai che vado matta per Rebecca. E poi, ora che mio figlio
è andato via da stare, questa bimba mi fa compagnia… ma che hai? Ti vedo
strana. Stai male?”
“Io? Ah, no sono solo
stanca…” disse, entrando nel salotto della sua vicina. “Allora, peste!
Andiamo?”
Da dietro la spalliera del
divano fece capolino una testolina biondo cenere. Aveva i capelli lunghi fino
alle spalle, con la frangetta raccolta su un lato da un fermaglio e due
occhietti castani particolarmente vispi. Si alzò in piedi sul divano.
“Dov’eri mamma?” la
rimproverò, se così si può dire.
“Ma tu guarda chi è che mi
sgrida…” rispose sorridente Hermione. “Su, forza, ti metto le scarpe e andiamo
a casa!”
“No me le metto io, sono
capace!” protestò la bambina. Hermione fece roteare gli occhi e osservò la
figlia armeggiare con una scarpina da ginnastica.
“Rebecca, non ho intenzione
di stare qua fino a domattina. E poi hai sbagliato piede, quella è la
destra!” rise. E così dicendo aiutò la
piccola a vestirsi.
“Uffi, ma io lo sapevo!”
Dopodiché le stampò un
bacio su una guancia e si incamminarono verso l’uscita.
“Ancora scusa per il
ritardo, Carol” ripeté.
“Ma di che? Hai una figlia
deliziosa…”
“Sì, forse quando dorme.”
“Ma và! E comunque
vivacità e intelligenza vanno di pari passo, nei bambini, non lo sapevi?”
Hermione si voltò
verso la figlia. “Allora siamo davanti
a un genio!” rise sbalordita.
“Guarda che sono brava,
io! Vero Carol?” disse Rebecca.
“Certo, piccola!” le
rispose la donna carezzandole la testa. La madre non poté fare a meno di notare
quella faccetta impertinente.
Ruffiana, sei tutta tuo…
Quindi uscirono di casa.
Aveva caldo quella notte,
non riusciva a prendere sonno. Si alzò da letto e andò in cucina a bere. Poi,
prima di tornare in camera sua, passò a controllare Rebecca: dormiva pacifica a
pancia in su stringendo il suo orsetto, il lenzuolo era scivolato un po’ di
lato.
Era la cosa più preziosa
che Hermione avesse al mondo, era arrivata e le aveva salvato vita,
letteralmente.
Ancora non si capacitava
di come a suo tempo, colta dalla paura e dallo stupore per quella notizia
inaspettata, avesse preso in considerazione l’idea di non tenerla, anche se
solo per un attimo.
Le scostò leggermente una
ciocca di capelli dagli occhi e le si sedette accanto. Nel complesso madre e
figlia si assomigliavano molto, lo stesso naso, gli stessi lineamenti del viso.
Ma gli occhi, seppur
castani, avevano qualcosa di diverso, forse il taglio; e i capelli… Meno
male che i capelli non li hai presi da me, Becky, ti sei risparmiata notevoli
complessi adolescenziali.
E poi c’era
quell’espressione. Quel broncetto impertinente e irresistibile che solo lei era
in grado di scolpirsi in volto.
Lei e suo padre.
Ma Rebecca non ce l’aveva,
un padre. Fino ad adesso le sue spiegazioni a riguardo erano state esaurienti,
ma Hermione sapeva che ben presto sarebbero arrivate altre domande a cui avrebbe
dovuto dare altre risposte, perché cresceva in fretta.
Nessun padre; in fondo era
come se Malfoy fosse davvero morto. “Non fa molta differenza”. Parole
sue.
Non è cambiato nulla. Lui ha scelto di andarsene di nuovo. E poi io e lei ce la caviamo benissimo.
Diede un leggero bacio
sulla fronte alla bambina, che mormorò qualcosa nel sonno rigirandosi, poi si
rialzò lentamente per tornare a dormire. Il giorno seguente avrebbe continuato
con la sua vita, come se non fosse successo nulla.
Perché non era successo
proprio nulla.
~
Parcheggiò l’auto nei
pressi dell’asilo e fece scendere la figlia.
“Allora, mi prometti che
non combini pasticci, oggi?” le disse mettendole lo zainetto sulla spalle.
“Ma mamma non è colpa mia,
è che Adam mi fa sempre arrabbiare…” si giustificò la piccola.
“Beh, se Adam ti fa ancora
arrabbiare non tenerti tutto dentro, capito? Piangi, fagli un dispetto, chiama
la meastra, ma non tenerti tutto dentro. O vuoi che scoprano il nostro
segreto?” spiegò Hermione facendole un occhiolino. Il fatto era che Rebecca
cominciava a manifestare i primi segni di magia, e le ci mancava solo
l’insegnante a dirle di tenerla d’occhio per via di alcuni episodi ‘strani’ che
la coinvolgevano… in fondo era una piccola strega, il suo mondo era un altro.
“Ma io non voglio che lui
mi vede piangere, uffi! Mi fa una rabbia…” mugugnò imbronciandosi. Hermione
sorrise, aveva una bambina orgogliosa e testona già a tre anni e mezzo. Ottimo!
Si incamminarono verso il portone.
“Mamma?”
“Dimmi cucciola.”
“Perché non ho il papà
come gli altri?”
Hermione si sentì gelare
dentro. Ma c’era da aspettarselo che entrando in contatto con altri bambini
sarebbe andata a finire così. “Tesoro, lo sai… purtroppo capita che a volte
qualche bimbo non possa conoscerlo, il suo papà, ma non è colpa di nessuno. Non
sei contenta con me?”
“Sì che lo sono!” sorrise,
e Hermione la abbracciò.
“Dai, entra che è tardi.”
Le aggiustò la coda, la salutò con un bacio e la vide correre incontro a una
sua amichetta. Ne avrebbero riparlato, ma non in quel momento, non cinque
minuti prima di andare a lavoro, diamine!
Quell’episodio però la
fece pensare: anche quella debole probabilità che Malfoy fosse davvero morto
era crollata. Con che faccia in futuro avrebbe guardato sua figlia mentendole
su una cosa del genere?
Tu ce l’hai il papà, piccolina.
E la colpa, ancora una
volta, era sua. Bastardo.
Perché l’aveva fermata, il
giorno prima? Perché scombussolarle la vita in quel modo? Lui lo sapeva benissimo
che si trattava semplicemente di un secondo addio. Maledizione, se ne fosse
stato in disparte senza chiamarla!
Era troppo distratta per
lavorare. Improvvisando una scusa, si prese un pomeriggio libero per pensare.
Sarebbe andata a prendere Rebecca prima del tempo e avrebbe passato il resto
della giornata con lei.
Ferma ad un semaforo, non
poté fare a meno di notare che si trovava proprio nel punto in cui lo aveva
rivisto, il giorno precedente. Istintivamente, si voltò a guardare in quella
direzione e fu allora che lo scorse, una figura pallida appoggiata a una
finestra. Sentì l’adrenalina entrarle immediatamente in circolo.
Doveva vederlo.
Accostò appena possibile,
non aveva intenzione di perdere altro tempo.
Provò a concentrarsi per
materializzarsi direttamente in casa sua, ma niente da fare. Era prevedibile
che avesse generato uno schermo protettivo nell’appartamento.
Ok, avrebbe fatto all’antica.
La finestra era al secondo piano, ma l’interno, quale poteva essere? Entrando nel
portone vide una ragazza, all’apparenza furibonda, che usciva di fretta. La
fermò.
“Scusa, posso chiederti
un’informazione?”
“Sì?”
“In questo palazzo abita
un ragazzo, si chiama Draco Malfoy, è alto, capelli biondo chiaro, un po’
altezzoso… lo conosci?”
“Mi spiace, non conosco
nessuno con quel nome. Al massimo conosco quello stronzo di Derek… e se cerchi
un biondo arrogante, è lui.” Sentenziò acida l’altra.
“Derek?” replicò Hermione.
“Interno nove. Ma se fossi
in te girerei alla larga da quel bastardo.”
“G-Grazie…”
“Figurati.” E se ne andò
scocciata.
Era possibile che si
trattasse di lui? L’appartamento nove stava al secondo piano, ed era anche
plausibile che Draco avesse cambiato nome. Draco, Derek… si fece coraggio e
salì le scale.
Appartamento numero nove,
eccolo.
Bussò.
Sentì dei passi e qualcuno
che blaterava qualcosa al di là della porta.
“Vorrei proprio saper chi
diav…” Ma le parole gli morirono in gola non appena aprì la porta.
Era lui. Il cuore di
Hermione perse qualche colpo.
“Non credevi che ti avrei mai trovato, vero Malfoy?”