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Autore: Beatrix Bonnie    03/04/2012    1 recensioni
Filosofo mi chiamavano, teologo, profondo conoscitore dei misteri del creato. Io, in realtà, non sapevo bene chi ero. Non capivo dove mi stesse conducendo la mia insaziabile sete di conoscenza e vagabondavo senza meta, stanco di ogni cosa, ma instancabile nella ricerca di qualcosa di meglio. Ero uno spirito inquieto, che non riusciva a trovare la sua collocazione nel mondo.
Dublino, 1185
Al giovane intellettuale sir Gregory è stata affidata dal suo signore una delicata missione da compiere alla corte di re Gilbert del Leinster. Certo, sir Gregory non si immagina che qualcosa verrà a turbare la sua affaticata esistenza: una ragazza, la pace di un vecchio podere di campagna e il profumo di una lontana leggenda.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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Liber XII






Da quando re Ruaidri ci aveva mostrato la pietra magica, io e Cormac non ci eravamo più scambiati parola. Sapevo che stava meditando su quanto aveva detto il re del Connacht a proposito di re Diarmaid e pensai che fosse più saggio lasciargli il tempo di rielaborare le informazioni.
Dopotutto, nemmeno io avevo mai analizzato la situazione dal punto di vista di re Ruaidri: agli occhi di tutta l'Irlanda, re Diarmaid doveva apparire come un traditore che aveva permesso agli stranieri di infiltrarsi nella loro amata patria per prenderne il possesso. Certo, non era la vita di mio padre ad essere in gioco, ma io non me la sentivo di condannare re Ruaidri per l'atroce gesto che aveva commesso. In fin dei conti, aveva ragione, erano in guerra.
Finalmente, dopo un paio di giorni, fratello Cormac si alzò dalla posizione genuflessa in cui aveva recitato la sua preghiera serale e mi chiese: «Avete voglia di parlare?»
Io gli rivolsi un sorriso sincero. «Certo, Cormac».
Lui allora si sedette sul letto al mio fianco, rigirandosi tra le mani la croce d'argento che portava al collo. «Non sono mai riuscito ad odiarlo davvero, re Ruaidri» cominciò a dire. «Mio padre sapeva a che cosa andava incontro, quando si schierò a fianco di re Diarmaid. Sapete, lui era un uomo rigido, che preferiva essere temuto piuttosto che amato. Un tiranno per i propri sudditi, odiato dagli stranieri; la sua mano era contro chiunque e la mano di chiunque era contro di lui. Eppure mio padre era un suo vassallo e non si tirò indietro quando gli fu chiesto di mettere la sua spada al servizio della riconquista del Leinster» fece una piccola pausa, in cui vidi un amaro sorriso balenare sulle sue labbra.
Forse riteneva che tutti quei giochi di potere fossero assurdi e io non potevo che condividere quell'idea.
«Re Ruaidri, alla fine, fece una scelta che avrebbe preso chiunque al posto suo. Re Diarmaid, quando morì suo figlio Conchobhair, sembrò abbandonare ogni volontà di combattere e cedette il regno a Richard de Clare. Penso che non fosse sua intenzione quella di condurre gli Inglesi in Inghilterra, ma sta di fatto che la sua smania di potere lo rese cieco».
«Fratello Cormac» sussurrai, posandogli una mano sulla spalla. «Lasciamo che il passato sia passato. Non ha senso angosciarsi per esso, quando abbiamo un futuro da vivere» tentai di rincuorarlo. Almeno, non erano parole vuote: chi meglio di me poteva sapere che cosa significava lasciarsi il passato alle spalle?
Finalmente il volto di Cormac ritornò sorridente e i suoi occhi ripresero la loro consueta luminosità innocente. «Avete ragione, sir Gregory. Andiamo a rubare questa pietra e liberiamo Feamair. Ora come ora, è tutto quello che conta».

Entrai nella bettola senza troppe esitazioni, nonostante il puzzo che ne usciva, mentre Cormac restava immobile fuori dalla porta, a metà tra il disgustato e lo spaventato. Lo vidi entrare solo alla fine, calandosi il cappuccio del mantello sul volto per non essere riconosciuto.
Io nel frattempo mi ero seduto al bancone con in mano una sacchetta di monete. Fissai dritto in faccia l'oste con i miei penetranti occhi azzurri. «Io entrerò questa sera con un uomo e ti ordinerò dell'ippocrasso*: tu dovrai servire all'uomo l'ippocrasso mentre a me servirai solo boccali di acqua, tutto chiaro?» gli sussurrai, facendo tintinnare sul bancone lercio qualche moneta.
L'oste osservò per un attimo i soldi, poi li raccolse e fece un cenno di assenso.
Solo quando mi fui allontanato, lo sentii commentare malevolo con la donna corpulenta al suo fianco: «Che scemo quell'uomo! Mi paga per servigli boccali d'acqua al prezzo dell'ippocrasso!»
Il piano che io e Cormac avevamo ideato non era per nulla perfetto e, anzi, era pieno di imprecisioni, ma non eravamo riusciti ad elaborare nulla di meglio. Avevamo prestato particolare attenzione ai turni delle guardie che vedevamo infilarsi nella botola e avevamo individuato il tipo che poteva fare al caso nostro, un ragazzone grande e grosso che passava le sue ore libere alla locanda.
Quella sera entrai nel pub con un'aria baldanzosa e, nel vedere il soldato seduto ad un tavolo, esclamai: «Ehi, ma guarda chi si vede!»
L'uomo mi rivolse un'occhiata interrogativa, ma io sapevo come recitare la mia parte in modo convincente.
«Come? Non ti ricordi di me?» gli chiesi, sedendomi al tavolo con lui. «Lascia che ti offra da bere, così magari ti tornerà la memoria».
La prospettiva di scolarsi una pinta di ippocrasso senza sborsare un centesimo doveva essere tanto allettante che il soldato non si preoccupò del fatto che un perfetto sconosciuto si sedeva al suo tavolo. «Ci vorrà un bel po' di vino prima che mi torni la memoria» mi disse, mostrando con il suo sorriso una serie di denti giallastri.
«Sarò disposto a pagarti quello che servirà» risposi in un tono che voleva sembrare affabile, ma che in realtà avrebbe mostrato le mie vere intenzioni ad un ascoltatore più attento.
I primi quattro giri di vino passarono velocemente, mentre mi facevo raccontare dal soldato come aveva passato gli ultimi anni della sua vita, continuando a fingere di essere amici di vecchia data. Arrivati alla quinta pinta, l'unico effetto che avevo ottenuto era quello di gonfiare a dismisura la mia vescica, riempiendola di acqua. «Aspettami qui, eh!» esclamai d'un tratto, fiondandomi in bagno. Non ero abituato a bere così tanto liquido in una sola volta. Le latrine della locanda erano quanto di più disgustoso potessi immaginare, ma la mia necessità era tale che per quella volta decisi di soprassedere sulla qualità dei servizi.
Quando tornai nella locanda, decisamente più sollevato, mi bloccai in mezzo alla stanza non appena mi accorsi che il soldato non c'era più. «Dov'è andato? L'uomo che era con me, dov'è andato?» chiesi all'oste, in tono agitato.
«Non lo so, ha detto che cominciava il suo turno ed è barcollato via» rispose quello, con una scrollata di spalle, mentre stava spillando della birra. Io feci per fiondarmi fuori dal locale, ma l'oste mi richiamò.
«Ehi, mi devi pagare!» mi urlò dietro.
Gettai una manciata di monete sul bancone, senza nemmeno preoccuparmi di quante fossero, poi mi affrettai ad inseguire il mio uomo.
Fuori dalla locanda, mi imbattei in fratello Cormac, che mi correva incontro con gli occhi sgranati. «Il soldato... lui... hanno appena fatto il cambio della guardia!» esclamò, con la voce rotta dal fiatone.
Io guardai in direzione della sagoma scura e imponente del castello che si stagliava contro il cielo. «Lo so, ma se siamo fortunati avrà bevuto vino a sufficienza da addormentarsi durante il suo turno».

Non so se fu davvero fortuna, Provvidenza divina o favore delle stelle. Sta di fatto che, dopo aver lasciato fratello Cormac di guardia vicino alla botola, mi ero calato giù lungo la scaletta a chiocciola, attendo a non fare rumore. Davanti alla porta, sonnecchiava con l'aria stralunata la stessa guardia a cui avevo offerto quasi tre litri di vino.
«Ehilà, amico...» biascicò l'uomo, con la vista annebbiata dall'alcol.
«Non è che mi faresti entrare?» gli chiesi in un tono di voce gentile e persuasivo.
Quello mi si avvicinò come se dovesse rivelarmi un segreto e la puzza del suo alito mi investì in pieno. «Eh... questo proprio no» mormorò con un sorrisetto dispiaciuto.
Io storsi il naso, ma cercai di ignorare il tanfo. «Ma ti ho offerto cinque pinte di ippocrasso» gli dissi in tono ragionevole. «Non lo verrà a sapere nessuno, promesso. Do solo una sbirciatina e poi me ne vado».
Vidi che l'uomo cominciava a tentennare.
«Nessuno?» mi chiese, barcollando verso la porta.
«Nessuno» confermai con un sorriso incoraggiante.
Finalmente il soldato cedette e aprì la porta per permettermi di entrare.
Io scivolai dentro silenziosamente e mi affrettai a mettere il piccolo scrigno nel sacco di iuta che mi ero portato dietro. Veloce e muto come un ladro, ricomparsi sul pianerottolo. «Grazie, amico» sussurrai al soldato, anche se ormai non poteva più sentirmi: con la testa appoggiata alla parete e la bocca semiaperta, russava sonoramente, perso nel mondo dei sogni. Io mi strinsi nelle spalle e cominciai a risalire la scala a chiocciola verso l'uscita e verso la libertà.
«Ehi, che ci fai tu qui?» esclamò la voce burbera di un uomo, la cui testa faceva capolino dalla botola.
Rabbrividii.
«Io...» cominciai a dire, ma non mi venne in mente una scusa sufficientemente buona.
Dove diavolo si era cacciato Cormac? Avrebbe dovuto controllare!
Il soldato, che evidentemente doveva essere giunto per fare il cambio della guardia con l'altro uomo, capì al volo che c'era qualcosa che non quadrava. Si portò la mano all'elsa della spada ed esclamò al contempo: «Fermo dove sei!»
Io cercai di analizzare velocemente la situazione per vedere se c'erano delle vie di fuga, ma prima che potessi elaborare un piano, il soldato strabuzzò gli occhi, li rivoltò all'indietro e poi rotolò di peso giù dai primi gradini.
Dietro di lui si stagliava la figura stralunata di fratello Cormac, ancora con il bastone con cui aveva colpito la guardia sollevato a mezz'aria. «Ho picchiato un uomo» sussurrò in tono apatico.
«Sì, siete stato grandissimo, fratello Cormac» risposi con un sorriso, scavalcando il tizio tramortito a terra.
«Ho picchiato un uomo!» ripeté Cormac, questa volta con voce eccitata, sorpreso della sua stessa audacia.
«Sì, fantastico, ma ora muoviamoci!» replicai in tono più sbrigativo, afferrandolo per il braccio e trascinandolo via dalla botola, che avevo richiuso con un calcio.
La notte era tranquilla e non c'era nessuno nella corte, ma sapevo che non poteva andare tutto liscio. Infatti, il soldato di guardia alla porta, non sembrava avere nessuna intenzione di lasciarci uscire. «Sentimi giovanotto, è passata la mezzanotte e nessuno entra o esce dal cestello dopo mezzanotte» sbraitò con foga.
Le sue urla richiamarono il capo della guarnigione, lo stesso uomo rude che ci aveva accolto al nostro arrivo. «Che succede qui?» domandò con un tono di voce imperioso.
«Questi due vogliono uscire» spiegò il soldato, indicandoci con un cenno del capo.
Cormac mi lasciò uno sguardo ansioso, sicuro che le cose si stessero mettendo davvero male.
«Chi siete? Sir Gregory?» chiese il capo, riconoscendo il mio cappello a punta e il mantello scuro.
Accennai un breve cenno di assenso, mentre i miei occhi saettavano veloci per la corte, alla ricerca di una via di fuga. Un paio di cavalli stavano placidamente bevendo dall'abbeveratoio alle nostre spalle, ma per il resto la fortezza era inespugnabile: non si poteva entrare, ma non si poteva nemmeno uscire.
«Va bene, lasciateli andare» ordinò infine il capo delle guardie.
Sentii al mio fianco Cormac che tirava un impercettibile sospiro di sollievo. Ma proprio quando i soldati avevano ormai aperto il portone, l'uomo che Cormac aveva tramortito spalancò di botto la botola ed esclamò: «Fermate quei due!»
Reagii in modo piuttosto rapido, in fin dei conti. Corsi verso i cavalli e saltai in groppa a uno, con un'agilità che non era da me. Poi afferrai Cormac per una manica e lo issai in sella. «Tenetevi forte» gli suggerii, visto che non avevo mai governato un cavallo in corsa. E poi ci lanciammo fuori dal castello.
Solo quando fummo sufficientemente lontani, al riparo nella foresta, mi azzardai a rallentare il passo.
Al sicuro, dentro la sacca di iuta, stava la pietra magica che avremmo utilizzato per lo scambio.
«Sir Gregory?» si azzardò a chiedermi Cormac, in un tono di voce sottile.
«Sì?» gli domandai, preoccupato.
«È stato grandioso!» esclamò invece lui, con un gesto di esultanza. «Rifacciamolo!»





*L'ippocrasso è un vino rosso speziato, tipico del medioevo.


Ecco il nuovo capitolo, in cui sir Gregory e fratello Cormac si danno al furto con scasso, come antesignani di Arsenio Lupen! XD
Il piano non è molto elaborato, in realtà, e se è andato tutto liscio è stato solo per una grossa botta di culo! Ma, ehi, non poteva andare sempre tutto male al povero Greg! ;)
Ci stiamo avvicinando alla fine della storia: il prossimo sarà l'ultimo capitolo, poi un epilogo bello farcito!
Grazie a tutti, a presto
Beatrix

   
 
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