Primo capitolo
Era
un ambulatorio abbastanza appartato; nascosto dietro alcuni tristi
edifici di banche.
Nulla di esagerato, Kimberly ne rimase quasi delusa,
d’altronde quello psicologo era uno dei più famosi
di Los Angeles, doveva assolutamente essere ben pagato.
Rimase ad osservare sgomentata quella strana austerità del
posto.
Alcune persone, con facce non decisamente amichevoli,
l’osservavano divertita, facendola sentire un pesce fuor
d’acqua.
-Su, tesoro. Muoviti-.
Lena diede una leggera spinta alla figlia, esortandola a camminare.
La ragazza, ubbidiente, seguì la strada lungo il vialetto,
fermandosi davanti ad un piccolo edificio bianco lindo.
Sua madre suonò il campanello, e dal citofono una voce
femminile gracchiò: -Si?-.
-Cooper-. Aggiunse la bionda.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il portone si aprì e Kim,
spingendolo, entrò nell’atrio.
Una donna con dei capelli corvini le venne incontro, tendendole la mano:
-Tu dovresti essere Kimberly, piacere!-.
Era abbastanza alta, leggermente in carne, con dei piccoli occhietti
azzurri inquietantemente vicini.
Di bene in meglio, pensò la ragazza, stringendo la mano di
questa.
Sua madre si schiarì la voce, -Siamo un po’ in
anticipo-.
La donna sorrise a Lena, -Non si preoccupi-. Si voltò
facendo strada. –Seguitemi-.
Justin
se ne stava comodamente
spaparanzato su una poltrona arancione, il cappuccio tirato sopra gli
occhi, lo sguardo basso e le braccia incrociate, facendo il
più sostenuto possibile.
Era da più di dieci minuti che aspettava, da solo, in quella
stupida stanzetta dalle pareti pateticamente bianche a pois fucsia, di
incontrare il fantomatico Dottor Bennett, il suo, a quanto pare,
salvatore.
Sua madre gli aveva detto che era un uomo molto indaffarato e che era
stato molto difficile fissare un appuntamento con lui con
così poco preavviso, ma a Justin questo non importava,
d’altronde non aveva chiesto lui andarci.
Infatti era da più di una settimana che non faceva uso di
stupefacenti, era soddisfatto di se stesso.
Ma forse era anche un po' merito di C-Jay, il ragazzo era sparito nel
nulla poco dopo che la madre aveva scoperto che il biondo comprava
sostanze da lui.
-Accomodatevi qui-. Megan, la segretaria che aveva tormentato Justin
per tutto quel poco tempo in cui era rimasto seduto li,
entrò nella stanza, con alle spalle due persone,
interrompendo quelle, forse vane, riflessioni.
Il canadese, ancora con il cappuccio tirato giù il
più possibile a coprirgli la faccia, scrutò le
due.
Una, quella a destra, probailmente una signora, era abbastanza bassetta
e molto magra, i capelli raccolti in uno chignon erano di un biondo
scuro. Indossava un cardigan blu, dei pantaloni color cachi e una Gucci
probabilmente originale.
Quella a sinistra, al contrario dell’altra, aveva si e no la
sua età, o forse qualche anno in meno, dei lunghi capelli
castani, leggermente mossi, le incorniciavano il volto leggermente
abbronzato, gli occhi di un castano scuro erano un po’
più grandi della norma, ma la cosa che notò di
più delle altre era la smorfia che aveva in faccia.
Justin sorrise, divertito. Si vedeva che la ragazza era felice
quanto lui di essere capitata in un posto del genere.
-Signora Cooper, se non le dispiace, potrebbe seguirmi? Dovrebbe
firmare alcuni moduli sulla privacy…-. Incominciò
la segretaria.
La donna annuì, seguendo Megan, e riferita alla figlia,
indicando una poltrona con un cenno della mano, disse:
-Rilassati, torno tra un po’-.
Kimberly annuì, e quando la madre fu scomparsa, si
gettò a peso morto sulla poltrona adiacente al ragazzo.
Ci fu qualche istante di silenzio, il biondo osservava la ragazza di
sottecchi, stando attento a non farsi beccare; mentre la mora tirava
fuori dalla borsetta, che aveva appresso, un libro di cui Justin fece
fatica a leggere il titolo.
Il ragazzo era leggermente infastidito per il comportamento della
ragazza, possibile che non l’avesse riconosciuto? E che
comunque non si fosse mostrata incuriosita riguardo di lui? D'altronde
non era normale che un tipo stesse incappucciato, come un terrorista,
come lui.
Così, preso dalla noia e dalla frustrazione,
inziò a far scoccare la lingua sul palato, con disappunto.
La ragazza, dal canto suo, smise di leggere, scocciata, e fulminando
quello strano individuo, almeno secondo lei, ribattè
piccata: -Ti dispiace? Sto cercando di leggere…-.
Il biondo, sorpreso per tanta acidità, ammutolì
preso in contropiede.
-Grazie-. Ribattè la ragazza, riprendendo a leggere.
Justin si tirò un po’ su il cappuccio, e si
protese verso la ragazza, appoggiando i gomiti sulle gambe: -Che
leggi?-.
Kimberly, irritata da tanta confidenza, fece un respiro profono.
–Un libro-.
-Lo vedo-. Aggiunse il ragazzo alzando impercettibilmente un
sopracciglio. –Come si chiama? Il titolo, intendo, qual
è?-.
La mora alzò gli occhi al cielo, sapeva quello che intendeva
il ragazzo, ma non aveva assolutamente voglia di fare conversazione con
un impiccione incappucciato.
-Te lo dico se ti togli quel cappuccio-. Aggiunse questa, infatti.
Justin, colpito da tanta perspicacia, ridacchiò
pregustandosi già in quel momento la possibile reazione
della ragazza. –E va bene, ma per favore, non urlare..-. E
così dicendo si sfilò il copricapo, non staccando
gli occhi da quelli di Kimberly.
La ragazza, rimase impassibile, sotto lo sguardo confuso del canadese,
perchè avrebbe dovuto urlare, si chiese.
Che non sapesse chi
fosse?
Justin scosse la testa, cercando di eliminare quel pensiero dalla
mente, era impossibile, anzi: impensabile! Tutti: bambini, adulti,
anziani, lo conoscevano.
-Romeo e Giulietta-. Assentì la ragazza, pochi istanti dopo.
Il biondo la guardò confuso, così questa
ripetè scandendo meglio le parole,: -Sto leggendo Romeo e
Giulietta-.
Bieber si diede dell’imbecille. Stava facendo la figura
dell’handicappato, così si diede uno schiaffo
mentalmente, cercando di svegliare la pop star dentro di lui. -E’
il mio libro preferito-. Cercò di aggiungere con un certo
charme.
La ragazza lo guardò impassibile e il ragazzo si
sentì in soggezione, era la prima volta che succedeva, JB
era abituato ad avere le attenzioni puntate su di se tutti i giorni,
non era normale sentirsi
denudato in
quella maniera.
-Mi fa piacere-. Rispose questa non sapendo che altro dire.
Kimberly Cooper odiava parlare con gli estranei, soprattutto con quelli
impertinenti come lui. Anche se doveva ammettere che aveva qualcosa di
familiare, un certo non so che di conosciuto.
-Non sei una di molte parole, eh?-. Le chiese lui, stravaccandosi
meglio nella poltroncina, con un cipiglio divertito.
La mora dovette richiamare a se tutto l’autocontrollo per non
mandarlo a quel paese.
-Non parlo con gli sconosciuti-. Asserì, cercando di
concludere quello strano colloquio col ragazzo.
Il biondo accusò il colpo, divertito per il temperamento
della ragazza.
-Allora piacere, io sono Justin Bieber-.
Quel nome risvegliò in Kimberly un ricordo assopito, ecco
perché aveva un che di famigliare, era il cantante di cui
parlava sempre Dana, si diede della stupida, come aveva fatto a non
capirlo?
Ciò nonostante la mora assottigliò lo sguardo:
-Kimberly, Kimberly Cooper-.
Il ragazzo le sorrise, e la ragazza notò una schiera di
denti perfettamente bianchi.
-Quindi è per questo che sei qui?-.
Lei lo guardò interrogativa, non capendo.
-Dico, sei qui perché non riesci a dare confidenza agli
estranei?-.
La ragazza ridacchiò. –No, affatto. Sinceramente
non lo so nemmeno io perché sono qui-. Fece spallucce.
–Tu invece?-.
Justin ammutolì, non voleva dirle della sua dipendenza, si
sentiva troppo vulnerabile.
-Sono un po’ stressato..-. La buttò sul vago.
La ragazza annuì, anche se un po’
perplessa.-Comunque io..-.
Non fece in tempo a concludere il periodo che sua madre
l’interruppe. –Kim, tesoro, vieni qui. Ci serve una
tua firma-.
La ragazza annuì, alzandosi di malavoglia da quella comoda
poltroncina.
-Ci si vede Justin-. I suoi occhi incrociarono i suoi -In bocca al lupo
per la tua ansia-. Aggiunse, salutandolo con un cenno.
Il ragazzo annuì, anche se un po’ dispiaciuto per
non aver approfondito quella amicizia.
Kimberly era strana, nel senso buono ovviamente.
E l’aveva colpito.
Non fece in tempo ad aggiungere altro, però, che la ragazza
era sparita e lui era rimasto di nuovo solo in quella stanza troppo
allegra e colorata per i suoi gusti.
Si rimise il cappuccio, infastidito per quel silenzio, in testa, e
mentre stava per chiudere gli occhi, per fare un sonnellino visto la
lentezza dell'attesa, notò un libretto per terra, ai piedi
della poltrona su cui era stata seduta la ragazza.
Si allungò e lo prese tra le mani, stando attento a non
sgualcirlo.
Era abbastanza vecchio, un’edizione dell’ 83 di
Romeo e Giulietta.
Lo aprì con cura alla prima pagina, in centro
c’era scritta una piccola dedica in penna blu:
Non
smettere mai di credere che le cose, un giorno, possano cambiare.
Per tutti c’è un lieto fine, ricordatelo usignolo
mio.
Con
amore,
papà.
Justin si sentì
un impiccione, era come violare la privacy della ragazza. Ma non
cedette all’impulso di chiudere il libro e lasciarlo dove
l’aveva trovato.
Voltò pagina, ed ecco che prima della citazione dell'autore,
in una calligrafia disordinata c’era scritto un piccolo
indirizzo: Bayberry
Lane- San Lorenzo- Kimberly Cooper.
Bingo, si
disse.
La fortuna gli aveva concesso l’occasione di rivedere la
ragazza fuori da un contesto bizzarro come quello, e lui, come
d’altronde era giusto che fosse, non se la sarebbe lasciata
scappare.
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Holaa.
:3
Questo capitolo fa proprio schifo, seriamente. D:
Spero con il prossimo di riscattarmi!
Ringrazio tutte quelle che hanno recensito, in particolare
Neverlethimgo, grazie per quella recensione, ti stimo molto come
scrittrice e per me è un onore avere tuoi pareri! (:
Anyway:
Dio mio, tra un po’ si potranno acquistare i biglietti per il
concerto, spero che l’Italia sia compresa nel tuor,
altrimenti organizzo un rapimento e lo porto qui io di forza.
.éé
Spero che almeno a voi un pochino questo capitolo vi sia piaciuto.
–çç
Fatemi sapere, ne sarei molto molto contenta.
Un bacione!