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Autore: Blue Drake    07/04/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 29

30 gennaio 1965 - "Visite inattese"

 

 

Trascorsi lunghi e nebbiosi giorni, in stato semi-vegetativo. A tratti cosciente, ma per la maggior parte del tempo il mio cervello non ne voleva proprio sapere di connettere. Per lo più, mi accontentavo di rimanere immobile, disteso a pancia in giù sul comodo letto ad una piazza, in una delle numerose camere per gli ospiti di quella casa indecentemente grande che si ritrovava fra le mani Chris.

Ogni volta che tentava di stabilire un contatto con il sottoscritto, poco dopo era costretto ad arrendersi all'evidenza che non ero né abbastanza presente, né tanto meno pronto, per permettermi di sottopormi ad uno dei suoi tipici interrogatori.

In realtà, durante quel periodo, non desideravo altro che silenzio e tempo per riposare. Di notte però non ci riuscivo. Forse il silenzio era troppo. Forse il buio mi opprimeva, riportandomi alla memoria tutti quegli avvenimenti spiacevoli che non desideravo affatto ricordare, ma che invece erano sempre lì, in agguato, pronti ad aggredirmi a tradimento nell'attimo in cui avessi abbassato la guardia.

 

Avrei dovuto raccontagli qualcosa. Lo sapevo benissimo. Occupare il suo spazio ed il suo tempo, senza dare nulla in cambio, tenendolo allo scuro del problema che mi aveva condotto lì, in quello stato, era scorretto. La paura però mi frenava. Ogni volta che provavo a radunare idee e pensieri, il terrore che ciò che avevo da dire risultasse, in qualche modo, sbagliato, inaccettabile, finiva invariabilmente per frenarmi, impedendomi di fare ciò che ritenevo giusto. Impedendomi di parlare liberamente con lui, di raccontare al mio Chris tutta la verità.

 

Un giorno di quelli, capitò nella stanza che occupavo qualcuno che, né io né lui, aspettavamo: Sarah. Chris fu più veloce, riuscendo a trascinarla via prima che avesse il tempo materiale per farmi lo scalpo. Ma lo scampato pericolo e la consapevolezza che lei fosse comunque lì, da qualche parte, a tramare ai miei danni, rappresentò un potente deterrente contro il mio desiderio di riposo. Per il resto della giornata, e parte di quella seguente, non riuscii più a calmarmi abbastanza da chiudere gli occhi. Non che rimanere sveglio mi servisse a molto. Se avesse voluto, avrebbe benissimo potuto scuoiarmi vivo senza che io avessi la minima possibilità di impedirglielo. Ma, se non altro, rimanendo vigile avevo l'illusoria speranza di poter attirare i soccorsi gridando.

Sì, lo so che sembra sciocco. Lo so che non ha molto senso. Ma lei mi faceva paura. No, correzione: lei mi FA paura, anche adesso a dirla tutta. Ho sempre avuto l'impressione che non si trattasse di semplice antipatia. Sembrava molto di più odio. Ormai ero abbastanza allenato, per riconoscere quello sgradevole sentimento. Il modo in cui lei mi guardava, senza bisogno di inutili e scontate parole, faceva pensare che mi odiasse, anche se, né allora né ora, ho mai ben capito il perché.

 

Mi sarebbe tanto piaciuto non pensare a niente. Lasciare semplicemente il mio corpo e la mia mente alla deriva, galleggiando in un piacevole stato di semi-incoscienza, che mi desse almeno un'illusione di benessere. Peccato che, ogni volta che ci provavo, allentando cautamente le briglie sui miei pensieri e le mie percezioni, accadeva attorno a me qualcosa di imprevisto, che bruscamente riportava al presente la mia attenzione sfilacciata.

L'ultimo di quei bruschi risvegli, fu una sera di fine gennaio - o era inizio febbraio? Non ne sono certo. A quel tempo ero decisamente troppo rimbecillito per tenere il conto dei giorni che scorrevano -

Era ormai buio. Lo sapevo perché, nella camera in cui ero ospite, le poche superfici distinguibili mandavano tenui bagliori argentati, illuminati, molto probabilmente, da un timido spicchio di luna.

Qualcuno entrò nella mia stanza. Il passo, leggero, fu appena in grado di scalfire i miei sensi in letargo. Ciò che veramente mi ridestò, fu più quella strana vibrazione che si propagava nell'aria immota, ogni volta che il suo corpo ne attraversava l'impalpabile superficie.

Non mi sprecai a dire nulla, nonostante sapessi benissimo chi si stava avvicinando a me. Lasciai che fossero sue le prime parole ad infrangere quel silenzio sospeso.

Invece non parlò. Si sedette a terra, accanto al mio letto, facendo scorrere lo sguardo sul mio corpo disteso. Per lunghi minuti rimasi così, immobile, facendomi accarezzare dai suoi occhi. Infine, non resistendo più a quell'agonia, mi decisi ad aprire bocca.

«Credevo ti fossi dimenticato della mia esistenza. Forse, per te, sono già morto»

«O forse no»

Bisbigliò, in un soffio appena percettibile che mi fece rabbrividire. Con qualche impiccio, voltai la testa nella sua direzione, fissandolo negli occhi trasparenti.

«Perché sei qui? Lo sai, non dovresti»

Annuì, «Sì... Credo di aver trovato una soluzione»

«P-per...»

«Per riavere la tua vita»...

 

   
 
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