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Autore: Angelique Bouchard    08/04/2012    10 recensioni
E qualcosa nel mio petto si sciolse, si squagliò, andò in briciole mentre guardavo Bulma e gli altri camminare verso la porta della camera, pronti a scendere per non sapevo cosa. E lui allungò un braccino minuscolo, la mano aperta e le dita che afferravano l’aria tra di noi, come a volerla aspirare per avvicinarci. E neppure mi accorsi della mia mano appoggiata al vetro che premeva su di esso. Un altro attimo e l’avrei buttato giù, mentre il piccolo spariva dietro la porta, con la mano ancora tesa in avanti, verso… me.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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17. Vicino agli occhi, lontano dal cuore


Ci sono abissi che l’amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali

-Balzac, Honorè
 

La signora Brief posò il secondo piatto colmo di ravioli di carne davanti alla figlia. Bulma sbuffò e lo allontanò con un colpo secco della mano, ancora intenta ad inghiottire l’ultimo boccone del piatto precedente.
 
“Mamma ora stai esagerando!” urlò esasperata rivolgendo alla madre uno sguardo furioso. La donna non la guardò neanche e continuò invece ad aggiungere zucchero in un’enorme casseruola dove aveva tagliato due o tre chili di frutta.
 
“Bulma Bulma Bulma” mormorò con voce enfatica. Portò a tavola la macedonia appena preparata e dopo aver tolto i ravioli da di fronte la figlia e porse una scodella ricca di frutta.
 
“Tesoro” cominciò con aria stanca, come chi ripete per l’ennesima volta lo stesso concetto “smettila di lamentarti. Ora devi mangiare per due e ricordati che il picoletto –o la piccoletta- per metà è un Sayan! Hai ben presente quanto mangiano i Sayan, vero cara? Quindi” e le avvicinò un cucchiaino “non fare troppe storie” concluse cominciando anche lei a mangiare la sua porzione di macedonia.
 
Durante il battibecco, il signor Brief rimase in silenzio, alzando gli occhi al cielo di tanto in tanto e rivolgendo alla figlia sguardi supplichevoli come a volerle dire “Mangia, solo così la smetterà”.
 
Bulma sbuffò ancora una volta prima di rassegnarsi e iniziare a mangiare la frutta decisamente troppo zuccherata, mentre il suo sguardo cadeva oltre la finestra della cucina, quella che dava sul giardino sul retro.
 
Fissò i lampi di luce che saettavano davanti alla piccola finestrella rotonda della camera gravitazionale per quella che parve un’eternità, finchè la finta tosse di suo padre non la riportò con la testa nella stanza.
 
Un sospiro. Non si concesse di più, per lo meno non di fronte ai genitori.
 
Era un mese, ormai, che la situazione non cambiava di una virgola. Aveva deciso –nonostante non avesse mai preso in considerazione l’altra opzione- di tenere il bambino, indipendentemente dalle reazioni –effettivamente quasi nulle dopo la prima scenata- di Vegeta.
 
Il Sayan, intanto, si comportava come se nulla fosse successo, con l’unica differenza che, per lo meno all’apparenza, per lui Bulma non esisteva praticamente più. In casa ci entrava solamente la notte, quand’era certo che la ragazza fosse a dormire, e parlava solo più con il signor Brief, il quale, inizialmente, era molto propenso a tentare un omicidio, ma che aveva dovuto desistere davanti alle preghiere di Bulma.
 
Sì, perché, nonostante il dolore che la ragazza provasse ogni volta che lo vedeva anche solo di sfuggita, lei voleva averlo vicino, almeno vicino agli occhi, in quanto i cuori erano incredibilmente distanti. A volte nel pomeriggio si perdeva ad osservarlo attraverso la finestra della camera della gravità, certa che lui l’avesse notata benissimo, consapevole delle atrocità che avrebbe subito quando lui l’avrebbe ignorata deliberatamente, ma dipendente dal suo bisogno di vederlo. Per cosa, non lo sapeva neppure lei stessa, ma voleva così, aveva bisogno di vederlo per ricordarsi come, quando e perché si fosse innamorata di lui.
 
 
 
L’inizio è dolce, assurdo e felice.
L’intreccio pieno di buona volontà, forte e carico di tensioni.
La fine una lacerazione.
-Nuria Barros


 
Un leggero venticello caldo smuoveva pigramente le fronde degl’alti alberi, il cielo era ancora troppo chiaro per poter definir notte l’ora piuttosto tarda, mentre il sole non si decideva a sparire definitivamente dietro l’orizzonte.
 
Bulma era nella sua ampia stanza, colorata recentemente di bianco. Aveva convenuto che era ora di darci un taglio con i poster di attori e cantanti, con le vecchie foto di lei e i suoi amici e con tutto ciò che avrebbe potuto ricordare la camera di una ragazzina spensierata.
Ormai era cresciuta, presto sarebbe diventata mamma e doveva diventare responsabile e adulta.
 
Se ne stava davanti all’armadio aperto mentre sceglieva i vestiti che avrebbe dovuto indossare la mattina dopo, quando sarebbe andata a una riunione di lavoro con il padre.
 
Guardava con una smorfia un classico taller grigio chiaro che sarebbe stato divinamente con i suoi capelli e con i suoi occhi, rimpiangendo di aver dato via la maggior parte dei suoi abiti sportivi o quelli che sua madre aveva bellamente definito “da sgualdrina”.
 
Con uno sbuffo schifato, perciò, lanciò la gonna sul letto, tirando fuori da un cassetto una camicia bianca che avrebbe indossato sotto la giacca ed entrambe finirono sbattute affianco alla gonna.
 
Richiuse stizzita le ante dell’armadio e si fermò ad osservare il suo riflesso allo specchio che era appeso sul guarda-roba.
 
Aveva i capelli legati in uno chignon malfatto, con diversi ciuffi che le ricadevano ai lati del viso leggermente pallido e sciupato, gli occhi spenti. Portava solamente una leggera maglietta verde chiaro molto larga e un paio di aderenti culotte nere.
 
Senza che potesse evitarselo si girò di profilo e sollevò la maglia. Il ventre era ancora piatto e liscio, niente lasciava intravedere il mostriciattolo brontolone che di lì a qualche mese avrebbe starnazzato a tutte le ore del giorno e della notte.
 
Si passò sue dita sulla pancia, sovrappensiero, mentre immaginava il suo bambino.
 
O bambina, certo, ma sperava in un maschietto. Sperava che assomigliasse il più possibile al padre, che ogni cosa del bimbo ricordasse il bel Principe dei Sayan, senza che neppure lei sapesse esattamente il motivo. Sicuramente per lei sarebbe stato meno doloroso se non fosse stato troppo simile a Vegeta, eppure voleva così. Forse nella speranza che diventasse forte e sano come lui, che fosse determinato e sicuro di sé com’era il Sayan, ma anche dolce come solo lei aveva avuto il piacere di vederlo.
 
Sorrise triste. Triste, sì, perché le mancavano immensamente quei momenti di dolcezza dai quali lei e Vegeta si lasciavano travolgere ogni tanto, dopo un’infuocata notte d’amore. Le mancava il suo sguardo esasperato e divertito quando lei s’arrabbiava con lui per qualche disastro che aveva combinato, le mancavano quegl’occhi scuri e penetranti che le scavavano l’anima, le mancavano le sue labbra dolci, il suo profumo di menta.
 
Una solitaria lacrima calda rigò silenziosa la sua guancia, proprio mentre il suo sguardo catturava un’ombra scura dietro di sé.
 
Un’ombra che avrebbe riconosciuto tra mille.
 
Non riuscì a voltarsi subito, timorosa che l’ombra sarebbe scomparsa. Preferì assaporare quella sensazione di pace che la pervadeva mentre osservava attentamente la linea dei muscoli definiti del collo, le spalle forti e spigolose, per scendere sui pettorali ampi che, a dispetto di quel che sembrava, erano incredibilmente caldi e comodi, come Bulma aveva constatato più d’una volta.
 
 
Vegeta se ne stava accovacciato sul davanzale esterno della finestra di Bulma, osservando ogni sua mossa. L’aveva vista che si accarezzava il ventre con sguardo perso, sereno e al tempo stesso nostalgico. Strinse automaticamente un pugno. Era colpa di quel mostro se non poteva più stare con lei come faceva fino al mese prima.
 
Poi la vide alzare gli occhi su di lui, o meglio, sul suo riflesso nello specchio. Non mosse un muscolo, forse perché una parte di lui aveva sperato che lei s’accorgesse della sua presenza e magari che lo invitasse a entrare, conscio del fatto che avrebbe dovuto rifiutare.
 
Come aveva potuto legarsi così a quella donna? Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a lei, avrebbe dovuto lasciarla perdere sin dall’inizio, sfruttarla per gli allenamenti e niente di più.
 
Perché ora ci soffriva. Ora che la realtà lo aveva bruscamente richiamato a sé ci soffriva come mai gli era successo in vita sua. Avrebbe dato la sua coda per starle accanto, per stringerla e baciarla, per fare l’amore con lei e stuzzicarla per farla innervosire e poi riaddolcirla seducendola.
Il problema stava proprio nel fatto che avrebbe anche dato la sua coda, ma non il suo orgoglio. Non avrebbe mai accettato un mezzosangue come figlio, non avrebbe mai infangato l’onore della sua stirpe con un ibrido. Mai.
 
Bulma si avvicinò alla finestra e senza esitazione l’aprì, riportandolo alla realtà e distogliendolo da pensieri che rischiavano di distruggere quell’esserino che ancora neanche si era formato.
 
Portò gli occhi scuri in quelli di lei e, seppur per un momento, si sentì in pace.
E così anche Bulma.
 
“Ciao” tentò la ragazza. Aveva voglia di parlare con lui, di baciarlo e abbracciarlo, di qualunque contatto, ma lui non rispose al suo timido saluto.
 
Continuò a nuotare nell’oceano che erano i suoi occhi per quella che gli sembrò un’eternità, finchè l’occhio cadde sul ventre di lei, ora di nuovo coperto dalla maglia larga.
 
Lo fissò con tanta intensità che per un momento i suoi occhi parvero scintillare e Bulma portò istintivamente le mani sulla pancia, con fare protettivo.
 
Quel gesto ridestò Vegeta che la guardò disgustato, arricciando le labbra in un debole ringhio. La coda iniziò ad ondeggiare pericolosamente dietro di lui e i suoi occhi continuavano a lampeggiare, mentre Bulma lo fissava leggermente spaventata, ma soprattutto addolorata.  Avrebbe dato qualunque cosa per vedere Vegeta sorridere guardando il ventre pieno di suo figlio, del loro figlio, per vederlo felice come l’aveva visto tanto volte, quand’erano insieme.
 
Un’altra lacrima silenziosa bagnò la sua guancia accaldata dalla paura e dal dolore. Per l’ennesima volta, nell’ultimo mese, nonostante l’uomo –più o meno- che amava fosse così vicino, lo sentì terribilmente e irrimediabilmente lontano.
 
E qualcosa, ne fu assolutamente certa, si spezzò nel suo petto quando con una spinta Vegeta si lanciò dal davanzale della finestra e volò lontano, in quel cielo che ormai era completamente nero, come se riflettesse il dolore atroce che invase la ragazza mentre si lasciava vincere dai singhiozzi e dalle fitte lancinanti che le trapassavano cuore e cervello.
 


***
 

 
La terra riarsa e coperta di rocce ormai completamente sgretolate tremò per l’ennesima volta. L’aria fredda della notte tirava instancabile, le luminose stelle brillavano nel cielo nero, ma sembravano terribilmente pallide in confronto alla luce bianca della Luna Piena, che si rifletteva vanitosa nello specchio che era il lago poco distante da quell’improvvisato deserto.
 
L’ennesima pestata potente scosse di nuovo il suolo terrestre, ma le mastodontiche zampe ricoperte di peluria scura non smettevano di calpestare il terreno morto.
 
Un verso acuto e penetrante squarciò quella quiete già profanata, liberando un immenso dolore che rasentava la follia.
 
In quello stesso istante, l’enorme creatura -che altro non era che una gigantesca scimmia imbestialita- rovinò a terra, mentre la coda della stessa continuava a sferzare furiosamente l’aria. Un altro lamentò si levò da questa, proprio mentre una debole luce arancione faceva capolino dietro le immense montagne, facendo impallidire la piccola Luna che fino a poco prima si pavoneggiava con le stelle.
 
A questo punto, come se un qualche mago avesse gettato un incantesimo, la creatura cominciò a ritirarsi in se stessa, diventando sempre più piccola e più spoglia della pelliccia. Con un ultimo lamento, la scimmia divenne un uomo: i possenti muscoli della schiena si rilassarono di poco una volta terminata la trasformazione, ma non accennò a raddrizzarsi, anzi, si lasciò crollare a terra a pancia in giù, ignorando le pietruzze appuntite che neppure scalfivano i suoi allenati addominali.
 
Dopo pochi minuti di meditazione –se così si può chiamare- Vegeta lasciò che qualche salata lacrima scendesse sul suo viso smunto, vergognandosi immensamente della sua debolezza e invocando mentalmente il perdono di suo padre –il Re dei Sayan- di fronte a un simile oltraggio nei confronti della sua stirpe.

 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice…
… Su, da bravi, posate quei forconi!!! Insomma, smettetela di lanciare pietre, vi prego!!! Perdono, perdono, v’imploro, perdono!!!
 
Okay, a parte questa patetica sceneggiata… Scusatemi!!! Perdonatemi!!! Non so come chiedervi scusa per questa mostruosissima attesa!!!
Il capitolo non è neanche dei migliori, perciò non so proprio che fare… Vi do il permesso di uccidermi d’insulti nelle recensioni!!!  D:
Un bacio (vi prego, non pulitevi la guancia schifati!),
Lady Johanna

 
   
 
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