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Autore: ImInAcOmA    08/04/2012    1 recensioni
"Cosa…Cosa stava dicendo quella creatura così sovrumanamente perfetta e inspiegabile? Mi stava prendendo in giro. Ovviamente. Come poteva essere vera una tale affermazione…Ma lui aveva parlato di tuoni, di aria che bruciava…Aveva descritto quel fischio come se fosse stato anche lui provarlo…O come se fosse stato lui a…produrlo. No. No, no, no…Allontanati…Annael, allontanati da lui…
- Annael, aspetta. Fermati –
- Nathan. Hai ucciso la mia famiglia –
- Noi non abbiamo ucciso nessuno, Annael. Non ancora –
Mi prese il viso tra le mani. Oddio, un brivido. Non so se aver paura di te. Dovrei averne…?
- Ti chiedo perdono se ti ho fatto del male. Non era quello che volevo… -
Avvicinò quelle labbra perfette alla mia fronte, e le mie guance divennero rosse sotto il suo bacio."
Impatto diretto con un Buco nero di emozioni che collidono come stelle...Quel giorno in cui Amore, Amicizia, Musica e Passione scatenano la Fine del Mondo. Un amore maledetto risucchiato dentro l'universo di due occhi neri e ri-utilizzato per uccidere. Una storia che ha dentro ciò di cui è fatta l'umanità: un'anima, un cuore, una lacrima. E un omaggio ai grandissimi Muse...la colonna sonora della mia vita.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un delicato raggio di sole filtrava attraverso una finestra. La sua tiepida carezza mi ricordava mamma. D’istinto sorrisi. Oh, mamma. Mamma che mi lasciava la porta aperta perché l’odore dei cornetti caldi e del caffèlatte mi svegliasse arrivando dalla cucina. Avevo voglia di abbracciarla. Si, sarei scesa giù con le mie pantofoline e i miei capelli arruffati e l’avrei stretta forte, forte.
- M-Micheal…Sparisci…la mamma è stata prima mia che tua…-  Mi svegliai con la mia risata. Smarrimento più completo. Cornetti sul tavolo, un esserino dal caschetto biondo affianco a me: non c’era nulla di tutto questo. Avvicinai le braccia l’una verso l’altra. Avrebbero dovuto stringere la mia mamma. Invece abbracciavo la gamba di un tavolo su un freddo pavimento di una casa sconosciuta. Una scossa violenta si impossessò della mia mente. Flashback spietati, veloci come un lampo, ma abbastanza nitidi e reali da farmi salire il cuore in gola. Mi rizzai a sedere, con il fiatone e gli occhi spalancati dalla paura, e quel terrore provato il giorno prima, in un attimo si ripresentò. I rumori, il fischio acuto e sovrumano che friggeva il cervello, tuoni, urla, pianti, gente completamente in preda alla follia, la mano di papà che mi scivolava via, poi quella strana luce, intensa, insana come quella di un sole malato, altri tuoni, terra e cielo che tremavano, una porta…e poi più nulla. Realizzai che, in preda al panico più totale, la sera prima dovevo essermi rifugiata in un’abitazione abbandonata, probabilmente poco prima che si scatenasse quel finimondo…di cui, adesso, avrei scoperto le conseguenze…
Lentamente mi alzai. Avanzai verso la porta, e strinsi tra le mani il pomello per aprirla…Esitai…Ciò che avrei potuto trovare lì fuori avrebbe potuto essere un qualcosa che mi avrebbe fatto dimenticare all’istante il mondo umano in cui ero vissuta sino ad allora…O magari ero già morta. Magari la sera prima il mondo era finito ed io non ne ero ancora consapevole.
Ciò che si presentò davanti ai miei occhi smentì ogni ipotesi sovrannaturale e priva di senso che mi ero prefissata. Il mondo era normale. Anzi, non era mai stato più normale di quella fresca e soleggiata mattina d’ottobre. Il marciapiede di fronte a me brulicava di gente. C’era chi faceva jogging, chi portava a spasso il cane, chi passeggiava per mano con dei bambini. Anche le strade erano trafficate. Le macchine andavano e venivano in modo monotono, come sempre.
Incominciai a camminare, guardandomi intorno, tentando di osservare ogni minimo particolare di ciò che mi circondava, per vedere di trovare qualche anomalia, qualche cosa di insolito che però, a quanto pareva, non c’era. Più mi guardavo intorno, e più iniziavo ad avere come la strana sensazione di essere l’unica al mondo ad essersi accorta che appena poche ore prima si era scatenata l’apocalisse, e di essere circondata da centinaia di persone che sembravano aver dipinta sul volto l’indifferenza, l’inconsapevolezza, e, peggio di tutto, la normalità…una cosa che iniziava a farmi seriamente paura. Ma intanto di normale non poteva esserci nulla, se i miei genitori e il mio fratellino non erano lì con me, e se ancora sentivo il ginocchio bruciare…era la ferita della sera prima, quando, disperata e abbandonata a me stessa, mi ero lasciata cadere sull’asfalto, terrorizzata alla vista dello spettacolo terribile che si mostrava ai miei occhi…pensando che quello era il peggio che potesse capitare all’umanità…ignara del fatto che il peggio sarebbe stato il dopo…e sarebbe stato ciò che si celava perfettamente dietro la normalità.
Se tutto era così regolare, io ero improvvisamente diventata insana di mente, e il mondo era ancora quello che da diciassette anni conoscevo, allora anche la mia famiglia era ancora lì, da qualche parte. Sperai che le allucinazioni almeno mi portassero a vivere qualcosa di bello, a ritrovare Michael e i miei genitori, e a tornare a casa felici e contenti, continuando a vivere la nostra vita come se nulla fosse mai accaduto. Se la pazzia era stata capace di farmi immaginare la fine del mondo, poteva benissimo illudermi anche di una realtà idilliaca…o no…?
 Iniziai così a cercare la mia famiglia, chiamando per la strada a gran voce
- Mamma!! Papà!! Sono qui, sto bene! - , mentre i passanti si voltavano guardandomi incuriositi
- Michael! Dove siete?? Possiamo andare a casa!! - , continuavo, imperterrita, quasi non vedevo le facce stranite della gente, quasi come se mi fossi già abituata al fatto che la mia mente aveva subito qualche duro colpo.
Avevo percorso già parecchia strada. Non vedevo persino più la casa in cui mi ero rifugiata, neanche da lontano. Ad un tratto, mi ritrovai di fronte ad un vicolo. D’istinto mi voltai per esplorare cosa vi fosse, a quale altra strada o posto portasse. Forse i miei si erano rifugiati in qualche posto nascosto e isolato come quello. Ciò che vidi, però, fu una figura intenta a gettare alcuni sacchetti nel bidone dell’immondizia lì affianco. Era un ragazzo, alto, moro…non lo vidi subito in viso, perché era girato di spalle, ma non so cosa mi trattenne lì, ancora per un millesimo di secondo, quel tanto che bastò perché ad un tratto si voltasse, e mi ritrovai i suoi occhi nei miei.
Non so cosa sia successo precisamente in quell’attimo. So solo che mi resi improvvisamente conto di sentire quel fastidioso blocco allo stomaco che appena un mese prima mi era diventato tanto familiare. So che nella mia mente si misero a scorrere veloci una miriade di ricordi…e, alla fine, si posarono lì: non era una cosa normale, continuavo a ripetermi “Non è possibile…”, perché due persone non possono essere così simili…Quel ricordo che da troppo poco tempo mi ero rassegnata a dover seppellire mi si ripresentò davanti, così reale come non avrei mai immaginato…E risentii di nuovo quelle emozioni pure, fresche, nuove, di quando quel giorno di estate e di sole, i miei occhi avevano visto un sole che brillava più di quello in cielo, e che avrebbe brillato nei miei occhi, e poi nel mio cuore, per un’intera estate. I capelli scuri un po’ spettinati, alto, e con il fisico che in confronto anche un palo sarebbe sembrato più in carne. E quell’espressione, quegli occhi, quel viso, tutto, tutto di lui…era maledettamente, inspiegabilmente, meravigliosamente IDENTICO a quel sole d’estate che avevo dovuto abbandonare, che ora brillava lontano da me, troppo lontano. Ma il suo calore, la sua luce, sembrava sempre raggiungermi, ed ora più che mai, sembrava essere penetrata in quel ragazzo sconosciuto, di cui non sapevo nulla…Sapevo solo che un secondo prima non ne immaginavo l’esistenza nel mondo, e il secondo dopo il mio cuore sussultava pericolosamente di fronte al suo sguardo.
- Ciao…-
Smarrimento totale. Ancora intontita lo salutai a mia volta, timidamente. Attimo di silenzioso imbarazzo. Poi trovai il coraggio di chiedergli:
- Sei di qua…? –
- Si… -
- Io…Io mi sono persa…Non trovo più i miei genitori… -
Lui annuì per un attimo, pensieroso. Probabilmente non sapeva cosa dire.
- Tu anche sei di qua? –
- No, io…Ero venuta in città per dei controlli…Non sono neanche del Nevada…-
- E come hai fatto a perderti? –
Mi paralizzai. Non avrei mai voluto entrare nel discorso. Le immagini della sera prima riniziarono a bombardarmi il cervello.
- Ecco…Ieri…-
Non riuscivo più ad andare avanti. Il fiato mi si strozzava in gola. Risentii quella sensazione di panico. Ma feci di tutto per sforzarmi di mantenere la lucidità. Dovevo pur tentare. Forse, lui sapeva qualcosa. Magari avrebbe potuto aiutarmi.
- Senti, io non so se anche tu mi guarderai con la stessa espressione di tutti quanti gli altri, come se fossi una pazza psicopatica o un alieno sceso sulla Terra, ma…Ieri sera qui è successo qualcosa. E’ successo qualcosa di terribile che in questo momento non vorrei neanche ricordare…ma purtroppo devo…Perché voglio ritrovare la mia famiglia, tornarmene a casa e dimenticare questo brutto incubo, realtà o allucinazione che sia –
Avevo buttato giù le parole tutt’ad un fiato. Due lacrime si preparavano a scendermi giù per le guance, ma le ricacciai indietro. Dovevo essere forte. Il peggio che mi poteva capitare, oramai, era solo che anche quel ragazzo mi guardasse con la stessa aria stranita di tutti quanti, strappandomi via, senza alcuna pietà, un’altra speranza. Tuttavia, la sua espressione non fu affatto quella che mi aspettavo. Il suo sguardo non era interrogativo. Improvvisamente, alle mie parole, fu come se si fosse per un attimo congelato: nei suoi occhi lessi per un attimo PREOCCUPAZIONE. Uno stato d’animo che non mi sarei mai aspettata. Riuscì però a mascherarla così rapidamente da mandare i miei sospetti in oblio sul nascere.
- Vieni con me –
Rimasi immobile. Fidarmi? Tanto ormai non avevo più niente da perdere. Solo la mia stessa vita, ammesso che fossi realmente cosciente.
Mossi un passo e lo seguii. Più osservavo i lineamenti, il suo modo di muoversi e di camminare, più mi convincevo che dovevo avere davanti un’altra delle mie tante allucinazioni..
-Dove andiamo?- , gli chiesi quasi impercettibilmente. Camminava veloce, facevo fatica a stargli dietro.
- In un posto dove sicuramente non ti sentirai sola. E’ un centro di aggregazione giovanile. Ma non ti conviene diventare troppo “di famiglia”, perché dopo iniziano a farti lavorare…a me stasera è toccata la spazzatura, per esempio! - , disse, ma si vedeva che parlava in tono ironico. Già dal modo di parlare, si capiva che era sicuro di se…Sicuro, ironico, con la faccia d’angelo ma misterioso quanto basta per ipnotizzarti…UGUALE  a LUI…Più continuavo ad osservarlo, con la coda dell’occhio, mentre mi portava a questo famoso “centro di aggregazione” di cui mi aveva appena parlato, più continuavo a ripetermi “Non è possibile…non può essere realtà…E’ un sogno…è una reincarnazione…”
Arrivammo di fronte ad un cancello verde, scorrevole, e lui mi indicò che quella era la nostra destinazione. Mi nascosi quasi dietro a lui, istintivamente, mentre entravamo, perché non conoscevo assolutamente nulla di quel posto, ne dei tanti ragazzi che mi trovai davanti, chi seduto su una panchina a chiacchierare o a fumare una sigaretta, chi si rincorreva nel cortile, chi faceva le acrobazie con lo skateboard…Seguìì “il mio sconosciuto” dentro a una porta a vetri. Sulla sinistra c’erano due distributori stracolmi di qualunque sorta di schifezze alimentari. Attraversammo un piccolo corridoio, e mi ritrovai in una specie di salottino con tanto di poltroncine e divanetto. Da una grande stanza lì affianco, sulla cui porta vi era un cartello con su scritto “Ludoteca”, sbucò una signora, alta, magrissima, con i capelli castani, una gonna blu e una camicetta a fiori. Appena mi vide, mi regalò un sorriso. Io ricambiai, ma sapevo di non essere stata abbastanza convincente a causa dell’imbarazzo, e soprattutto dello smarrimento più totale che provavo in quel momento.
- Ema, lei è…una ragazza –
- Si, lo vedo! - , la donna rise, e subito dopo anche il mio accompagnatore, la prima ed unica persona con cui avevo avuto un contatto umano dopo quell’incubo, sorrise, consapevole di non essere stato per niente esauriente nel presentarmi.
- L’ho incontrata per strada, dice che si è persa…magari potete aiutarla –
- Tu dove vai vai, finisci sempre con l’accalappiare ragazze. Adesso neanche mandandoti a buttare la spazzatura posso stare tranquilla! –
“No, anche marpione no, ti prego…”
Ogni minuto che passava, sembrava che fosse in corso un “copia-incolla” tra due persone…Quali, si sono capite…
Sorrise di nuovo…Un sorriso anche questo identico al SUO…un sorriso strano, particolare, quello per cui mi alzavo ogni mattina col batticuore, quell’estate…I denti non del tutto perfetti, con i due canini che sporgevano leggermente in avanti… ricordavano un po’ un vampiro…Ma era proprio uguale a quello di LUI, e per non so quale altra volta in appena cinque minuti, da quando l’avevo visto, quel fastidioso peso sullo stomaco si fece risentire…l’emozione salì fino a toccarmi il cuore, facendomi sembrare per un attimo, solo per un attimo, che stesse per scoppiare…O per prendere il volo, leggero, felice…Mi sembrava di rivivere tutto da capo, come se quel ragazzo lì di fronte a me mi fosse stato messo davanti a posta per farmi vivere ciò che mi era stato negato dal destino. Ed in quel preciso istante, tra tutte le mille domande che mi assillavano la mente, tutte le insicurezze che mi asfissiavano, tutte le paure che mi attanagliavano il cuore, di una, una sola cosa ero certa: non volevo lasciarlo andare.
Lo guardai allontanarsi, entrare in un’altra stanza proprio lì di fronte, dove scorsi altri ragazzi seduti intenti a strimpellare con la chitarra, e dalla quale proveniva della musica. Seguendolo con lo sguardo, capii che c’era un’altra porta lì dentro, sulla sinistra, dove entrò. Era un laboratorio musicale.
La voce della signora lì affianco a me mi distolse dal mio osservare.
- Allora, come ti chiami? –
- Ehm…Annael…-
- Ok Annael, allora…Quel mattacchione che ti ha portata qui ha detto che ti sei persa…E’ vero?-
Che fare…? Dire la verità? Se l’avessi fatto, speravo almeno in un’espressione confortante mentre mi ascoltava. Non del tutto assente ed anzi quasi canzonatoria come tutte le persone che avevo incontrato per strada, ma neanche gelida e ambigua come quella del ragazzo che avevo appena conosciuto. Anche se l’ultima cosa che volevo in quel momento era rivivere di nuovo tutto col pensiero, dovevo farmi coraggio. Tanto, oramai, non avevo più nulla da perdere.
- Voi siete di queste parti? -, chiesi, decisa a domandare con cautela.
- Si, siamo proprio di Sparks. Tu sei di fuori a quanto pare –
- Ehm…si, io…Sono della California. Ieri sera…ho perso i miei genitori –
- Com’è successo? Sei andata dalla polizia? –
- No…Non ho detto niente a nessuno…E’ complicato –
La donna mi guardò per un momento con aria interrogativa. Mi rendevo conto di parlare per enigmi, ma avevo intuito che neanche lei, come tutti quanti, ricordava o era a conoscenza di ciò che era successo la sera prima. Conclusione: non poteva aiutarmi. Lei, come tutti gli altri, fino adesso.
- Chiamiamo la polizia. Raccontagli come è andata, vedrai che si risolverà tutto, stai tranquilla…Per adesso puoi stare qui, se non hai dove andare –
Con aria mesta annuii. Più il tempo passava, più l’indifferenza dilagava, intorno a me…Ed oltre alla disperazione di fronte al continuo, martellante pensiero che non avrei mai più rivisto la mia famiglia, c’era un’ansia incessante che mi tormentava, l’angoscia di non sapere nulla, assolutamente nulla su cosa fosse esattamente accaduto la sera prima, quali conseguenze avesse portato, cosa sarebbe accaduto ora…Era realtà, o era tutto frutto della mia immaginazione? Ero viva, o il mondo era già finito? Se era un sogno, quanto tempo ancora sarei dovuta vivere nell’inquietudine prima di risvegliarmi? Le risposte, non mi era dato saperle. Ma per adesso, riflettendoci, l’idea di avvertire la polizia non era male. Dovevo tentare tutte le strade possibili, fare tutto ciò che era in mio potere, impegnare tutte le mie forze. Non mi sarei arresa, mai. Fino a che non avrei chiuso gli occhi per sempre in questo mondo, reale o immaginario che fosse, avrei cercato di rivedere i miei genitori e il mio fratellino almeno un’ultima volta, per sapere che erano vivi, che il mio dolore per loro era stato vano.
La signora mi mise premurosamente un braccio attorno al collo e mi accompagnò dentro la stanza dalla quale l’avevo vista uscire. C’erano almeno altre tre porte, lì dentro, e una di queste era quella di uno stanzino, dove, su due scaffali, erano disposte riserve di piatti e bicchieri di plastica, tovaglioli, e altri oggetti per la cucina. Sul lato destro, invece, c’era un lettino.
- Ecco, puoi dormire qui. Non è il massimo, però…ti devo dire che, quando mi capita, schiaccio un sacco di pisolini qui dentro e…non è niente male –
L’accoglienza di Ema era confortante. Il suo sorriso e il suo modo di fare mi mettevano sicurezza, e in quel momento, nonostante tutto, sentii la piacevole e delicata sensazione di non essere più sola.
Per il resto del pomeriggio, Ema mi tenne sempre vicino a se. Mi raccontò del Centro, di cosa facevano, del laboratorio musicale e del maestro che dava lezione, gratuitamente, a decine di ragazzi della mia età. Mi disse di come si sentivano uniti, delle attività che organizzavano, stage, gite, gemellaggi, serate, di come si sentissero un’unica grande famiglia, di come lei e il maestro avessero preso a cuore tutti i ragazzi, e li volessero bene come figli. Ogni giorno lì era un viavai continuo, tra musica, risate, scherzi e spensieratezza, si viveva praticamente assieme, ci si ritrovava tutti lì, il pomeriggio, a costruire ricordi di amicizia, felicità, a volte anche litigi…A volte anche amori…
- Domani i ragazzi dovranno esibirsi. Qui, nel nostro cortile, ci sarà un mini concerto di fine anno. Daranno prova del loro impegno di quest’anno, perché adesso, ad ottobre, inizieranno i nuovi corsi. Sono settimane che sono tutti indaffarati a provare, sentili…-
Ema fece un sorriso, protendendo l’orecchio in direzione della sala prove, rimanendo per un attimo in silenzio ad ascoltare, e poi canticchiando la canzone che i ragazzi stavano provando. Da lontano, mi sembrava si trattasse di un brano dei Gun’s ‘n Roses, “Knockin’ on heaven’s door”. Incuriosita, mi alzai dalla poltrona sulla quale ero seduta, e mi diressi verso la porta di fronte a me. Abbassai lentamente la maniglia. La musica mi travolse, chiara, forte. Non avevo mai sentito un gruppo suonare dal vivo così da vicino, e l’emozione di sentire il cuore battere assieme alla cassa della batteria, o il pavimento tremare al suono delle corde del basso, fu una sensazione irripetibile, che, anche se ancora non lo immaginavo neanche, avrei rivissuto tante e tante altre volte lì dentro. Lentamente mi avvicinai alla soglia del laboratorio, e feci appena capolino, per sbirciare. Quello che vidi fu un ragazzo alla chitarra, i capelli neri pettinati a cresta, ed una voce semplicemente da togliere il fiato…calda, profonda, leggermente graffiata…guardandolo in viso, si poteva scorgere solo una cosa in quel momento: passione per ciò che stava facendo, tutto se stesso solo per la musica, occhi e orecchie per nient’altro…Poi c’era un altro ragazzo, che suonava il basso. Era magro, con i riccioli neri, anche lui tutto concentrato a suonare. Lo stipite della porta mi impedì di avere la visuale completa, ma ce n’era sicuramente un altro alla batteria. Riuscivo a scorgerne solo le mani che tenevano le bacchette, e i polsi sciolti che viaggiavano velocemente da un tamburo e da un piatto all’altro. Estasiata, sorrisi. Quello era il mio mondo, sarei rimasta lì, così, ad ascoltarli suonare, per ore e ore, senza mai stancarmi…Perché, in un’intera vita, io della musica non sono mai riuscita a saziarmi.
Quando, verso le otto di sera, il Centro cominciò a spopolarsi, lentamente un pesante senso di angoscia iniziò a penetrarmi.
Ad un tratto, un raggio di luce. Il mio cuore fece un balzo, sentii il respiro fermarsi per un attimo. Brutto segno. Avevo incontrato il suo sguardo, quello del ragazzo che avevo appena conosciuto, quello strano scherzo della natura che in meno di due ore aveva avuto la capacità di annebbiarmi la ragione. Incontrò i miei occhi e mi rivolse uno sguardo intenso, per un secondo. Un secondo che mi sembrò durare un’eternità. Mi salutò con un cenno del capo e abbozzò un sorriso. Non so precisamente se lo ebbi ricambiato, non so quale fu la mia reazione. So solo che l’attimo dopo, quando lui era già sparito dietro l’angolo del corridoio, mi stavo schiaffeggiando da sola col pensiero, chiedendomi se mai ci fosse stata nella mia vita almeno una volta in cui l’imbarazzo mi avrebbe evitato di fare pessime figure.
 
Quando ebbi il coraggio di spegnere la luce e il buio mi avvolse, ogni ricordo confortevole di quella giornata si dissolse. Era come se le tenebre e i brutti ricordi, ancora terribilmente freschi e intatti nella memoria, risucchiassero via ogni speranza e ogni sorriso che con fatica avevo costruito, spietati, crudeli. Non ero più Annael che riprovava uno strano tuffo al cuore incontrando un ragazzo che era esattamente e inspiegabilmente uguale al suo amore impossibile, non ero più quella che forse, quel pomeriggio, aveva trovato conforto, sicurezza e sollievo, accolta in un luogo che avrebbe potuto darle, per il momento, una piccola speranza. Il volto del ragazzo sconosciuto non c’era più. Il calore del sorriso di Ema non c’era più. La musica che mi entrava nel cuore e mi strappava un sorriso in ventiquattrore di agonia non c’era più. Ora ero Annael che vagava correndo, in preda alla disperazione, perché aveva appena perso la stretta di mano del suo papà. Ero Annael che piangeva, che guardava il cielo e si chiedeva cosa stesse succedendo al suo mondo, al mondo che amava, alla sua casa, alla sua famiglia. Ero solo un piccolo essere insulso in balìa della vita. Era così che mi sentivo quella notte. Una sensazione terribile, che mi faceva sobbalzare nel letto all’improvviso, che mi avrebbe condannato a rivivere quell’incubo quella sera, e tutte le notti che seguirono.
 
  
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