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Autore: Gwendin Luthol    08/04/2012    3 recensioni
Questa potrebbe essere considerata la fine di un lungo cammino della vita,vissuta da quattro occhi e sentita da un cuore. Ma chi sono io per assicurarvi che quest’amicizia indistruttibile sia giunta al capolinea? Di sicuro però,sarò io a raccontarvi questa storia che probabilmente prenderà una piega diversa ad ogni parola scritta..o forse no?
Sullo sfondo di un Giappone che sembra morire e risorgere in continuazione,la vita di un sedicenne presuntuoso e pieno di se si mescolerà all’esistenza tormentata di un professore di filosofia,odioso e puzzolente,creando un legame fantastico. Nella misteriosa misticità dell’amicizia che neanche la morte potrebbe mai spezzare.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fior di Ciliegio


Tarō se ne stava seduto su una panchina umida del parco. Quella zona era adiacente alla casa di Nobu.
Non sapeva cosa fare.
Barcollava fra l’idea di andare a trovare il professore e quella di tornarsene a casa. Impregnandosi nuovamente le narici di quello che più che calce struzzo, era l’amaro e asfissiante sapore della perdita.
Quella logorante sensazione gli ostruiva il cuore, quasi a non volergli far provare alcun’altro sentimento. Doveva sfogarsi, per questo era lì.
Ma se avrebbe disturbato il signor Nobu? Se si fosse presentato di fronte a lui, e neanche ad accorgersene, fosse crollato fra le lacrime? Ultimamente era diventato bravo a piangere. La vita, sua vera maestra, gli aveva insegnato come fare.
Aveva sciolto la sua corazza di acciaio, denudandosi molte volte anche avanti a lui, magari allo specchio. Non aveva più alcun problema a disperarsi quando la mente gli riproponeva vecchie immagini di quel terremoto. Come un album di vecchie foto ingiallite, gli si presentava davanti a rispolverare tutte quelle scosse e quei momenti tragici offuscati dalle urla.
Ma Tarō, aveva ugualmente paura delle conseguenze di quel pianto. Di un pianto rotto, distrutto sotto gli occhi di qualcun altro. Però non uno qualunque, il signor Nobu, che di lui stava cominciando a capire molto. Sarebbe stata una fotografia del suo stato interiore.
Ma quel forte ragazzo aveva cominciato a padroneggiare l’arte del piangere. Che detto così, sembra come piagnucolarsi addosso, ma era molto di più: una scarica energetica di sentimenti. Così ogni volta che sentiva quello strano bruciore al centro del petto, ricacciava con più convinzione che poteva quel fuoco ardente di dolore.
Anche se era comunque difficile gestire quei momenti.
Dunque in tutto questo, se ne stava seduto su quella panchina di legno marcio con gli occhi chiusi, sentendosi scrosciare le foglie dei sakura nelle orecchie.
Quei ciliegi, nonostante la distruzione che li circondava, aveva deciso di fiorire anche quell’anno. Anzi, a dirla tutta odoravano ancora più forte e si ramificavano sino al cielo.
Erano l’esatto esempio di come nulla dentro quella nazione si ferma. E’ tutto così frenetico, così mosso. Senza paura, con l’orgoglio di un samurai che non demorde neanche di fronte alla fame, cresce e si sviluppa senza alcun timore.
Tirava un venticello fresco, che spettinava gentilmente i capelli di Tarō.
“Guardate quel ragazzo! Si sarà per caso addormentato?” gridò una ragazza, con poca non curanza ridacchiando divertita.
Un gruppo di adolescenti passavano di fronte la panchina di Tarō.
“Ma quello non è Ogawa Tarō? Del nostro stesso corso!” continuò un’ altra.
“Sì! Tarō!” chiamò una terza.
A quella voce familiare, il ragazzo aprii gli occhi di scatto e tutti i suoi pensieri volarono via.
Era Midori, corsa di fronte a lui.
Aveva un braccio fasciato e un’espressione felice dipinta in volto.
“Midori, cosa hai fatto lì?” chiese Tarō schiarendosi un po’ la voce.
“Oh, niente… mi sono fatta male aiutando mio padre a rimettere in ordine il suo giornalaio” rispose lei.
“Mh, mi dispiace” concluse lui, rivolendo i suoi occhi neri verso le punte delle sue scarpe.
“C’è stato di peggio…” continuò Midori.
“Midori!! Noi andiamo, raggiungici più tardi!” gridarono le sue amiche in lontananza.
“Dove dovreste andare?” domandò incuriosito Tarō.
“Il ristorante della madre di Naoko è interamente distrutto. Andavamo lì per dare una mano, per rendere le cose un po’ più semplici…” disse la ragazza, lasciando la frase in sospeso.
Un’altra ondata di vento fece danzare i fior di ciliegio, facendo scambiare un bacio fra i petali dei boccioli.
“Senti, tu una mano l’hai già data…- disse Tarō indicando con lo sguardo il braccio di Midori- non è che aiuti me…? A rendere le cose un po’ più semplici…?” confessò Tarō.
Quelle lacrime dovevano assolutamente riprendere forma.



Piccolo spazio per mettere in chiaro alcune cosuccie.
Eh, breve il titolo...
Comunque sì, sono sparita per mesi. Il problema è che ero indecisa se continuare o meno questa storia, però mi ero accorta
che i lettori aumentavano sempre più e anche se non è un buon motivo per aggiornare ancora... mi sembrava un peccato lasciar perdere.
Così, sono qui che posto questo apparentemente inutile capitolo.
Spero che la storia sia di vostro gradimento. Io l'ho presa molto a cuore, francamente.
Bè, non ho altro da dire anche se quello che pensavo mentre copiavo il capitolo sembra essere molto di più.

  
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