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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    09/04/2012    7 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Route 66

We been driving this road for a mightly long time,

Payin' no mind to the signs.

Well, this neighborhood's changed,

It's all been rearranged.

We left that change somewhere behind.

Sheryl Crow - Real Gone

08. Why are you so… jealous?

Il silenzio in macchina mi metteva a disagio. Non era un silenzio rilassato, di quelli che condividevamo spesso io ed Edward, ma un silenzio colmo di imbarazzo ed anche astio. Edward aveva la mascella serrata e non degnava di un’occhiata Jacob, come se ce l’avesse con lui per qualche motivo a me sconosciuto. Jacob Black, d’altra parte, sembrava la calma fatta persona, e anche se aveva notato il comportamento di Edward - chi non l’avrebbe notato, del resto? - non faceva una piega, e gli rivolgeva comunque la parola con modi gentili ed educati.

Jacob aveva insistito affinché mi sedessi al sedile anteriore, mentre lui si era fatto strada fra la coltre di coperte e oggetti sparsi su quelli posteriori, e si era sporto verso di noi per poterci parlare più facilmente e dare indicazioni sul luogo di tanto in tanto.

«Dunque», disse, tenendosi al mio sedile con una mano, «da dove venite?»

«Chicago», risposi prontamente.

Le sopracciglia di Jacob schizzarono verso l’alto. «Wow. Ne avete fatta di strada».

Annuii, sorridendo. «Stiamo percorrendo tutta la Route 66. Siamo in viaggio da cinque giorni».

«Wow», ripeté. «Dev’essere una bella esperienza. Io il massimo che ho mai fatto è stato arrivare fino ad Albuquerque per andare a trovare mio padre», commentò con una risata.

«Quindi tu non sei di Amarillo?», gli chiesi, tanto per fare conversazione. Edward non aveva ancora detto una parola, e quando gli si faceva qualche domanda rispondeva con versi a bocca chiusa o monosillabi biascicati.

«No, affatto. Mi sono trasferito qui l’anno scorso per rilevare l’officina di un anziano signore, ma spesso torno in New Mexico, dove vive mio padre», spiegò. «Purtroppo è da solo, e anche se ha molti amici che si prendono cura di lui mi dispiace non stare più con lui. Per questo torno a casa ogni fine settimana».

Lo guardai sorpresa. «Quindi oggi andrai ad Albuquerque?», gli chiesi.

«Già. Ho deciso di prendermi due settimane di ferie per stare un po’ a casa. Amarillo è una bella città, ma non è niente in confronto alla riserva in cui vivo».

«Quindi chiuderai l’officina?», gli domandai, preoccupata. Se la macchina avesse avuto bisogno di tempo per essere sistemata avremmo dovuto cercare un nuovo meccanico.

«No. Lascio che sia mio cugino ad occuparsi del lavoro per queste due settimane, ha insistito lui. È un ragazzo in gamba, e sono sicuro di potermi fidare», disse. «E poi, molti meccanici chiudono in questo periodo per le vacanze estive, non possiamo lasciare la città senza un’officina aperta».

Annuii. «Quanto credi che ci vorrà per sistemare il tubo della macchina?», domandai, e quell’argomento finalmente attirò anche l’attenzione di Edward, che guardò Jacob attraverso lo specchietto retrovisore.

Jacob si massaggiò il mento, pensieroso. «Dipende da quanto è grave la lesione. Se è una piccola frattura basterà sistemarlo con una semplice riparazione, ma se si tratta di un danno più grande bisognerà cambiare l’intero tubo, e questo potrebbe richiedere un po’ di tempo».

«Quanto tempo, precisamente?», intervenne Edward, con la fronte piegata da una ruga d’apprensione.

«Bisognerà ordinare il pezzo alla ditta dell’automobile, e dato che nel fine settimana i corrieri non viaggiano è probabile che si dovrà aspettare la metà della settimana prossima per sistemare il problema. Temo che fino al prossimo weekend sarete bloccati qui ad Amarillo».

Sgranai gli occhi. «Cosa?! Non è possibile! Non si possono accelerare le cose? Non possiamo fermarci per una settimana!», esclamai, agitata.

Jacob posò una mano sulla mia spalla, tranquillizzante. «Calma. Non è ancora detto che il problema sia così grave, magari è solo una piccola lesione. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta, va bene?»

Annuii, cercando di rilassarmi contro il sedile, ma senza successo. Jacob allontanò la sua mano e guardai Edward, che aveva il volto livido di rabbia.

«Speriamo sia solo una piccola lesione», dissi, rivolta più a lui che a Jacob. «Altrimenti cosa faremo?»

Edward strinse le labbra. «Non lo so. Ma di certo non resteremo ad Amarillo», disse, e i suoi occhi erano di ghiaccio.

 

«Non è possibile riceverlo entro domani sera?», insistette il meccanico, con la cornetta del telefono attaccata all’orecchio da più di dieci minuti.

Tenevo il viso fra le mani, sospirando pesantemente. Edward era in piedi davanti a me, con le braccia incrociate e il piede che tamburellava nervosamente contro il pavimento macchiato d’olio dell’officina di Jacob Black, in cui si trovava la nostra auto, sollevata a mezzo metro da terra dai macchinari. Appena eravamo arrivati Jacob si era messo al lavoro e aveva controllato più attentamente il guasto, scoprendo che la lacerazione era troppo ampia per essere aggiustata: era necessario cambiare l’intero tubo. Aveva telefonato alle ditte che lo producevano, ma fin da subito era stato evidente che non c’era niente da fare per accelerare i tempi di spedizione: con il weekend alle porte e i tempi di percorrenza - il pezzo doveva arrivare dal Massachusetts - potevamo sperare di avere l’auto di nuovo a posto per l’inizio della settimana prossima ancora. Le soluzioni a quel punto erano due: o fermarci ad Amarillo per ben dieci giorni oppure trovare un’auto a noleggio con cui attraversare il resto dell’America, decidendo di recuperare la nostra jeep al ritorno.

«Va bene, ho capito», sospirò Jacob, e dopo un breve saluto riagganciò.

Alzai il capo, guardando Edward desolata. «Cosa facciamo ora?», gli chiesi.

Lui guardò la jeep di suo fratello per un breve istante, poi si voltò verso Jacob. «C’è un car rental qui vicino?»

Jacob annuì. «Certo, c’è quello dell’aeroporto».

Edward infilò le mani nelle tasche dei jeans, guardandomi. «Allora credo che non abbiamo molte alternative. Possiamo passare a recuperare la jeep al ritorno da Los Angeles, quando sarà a posto».

Mi alzai in piedi, arresa. «Immagino che non ci siano altre soluzioni…», bofonchiai.

Lui si voltò verso Jacob, e per la prima volta gli rivolse la parola senza mostrare un eccessivo astio nei suoi confronti. «Ci potresti indicare la fermata dei taxi?»

Jacob sorrise. «Nessun problema, vi accompagno io!»

Allungò la mano in direzione di un pannello in cui erano contenute diverse chiavi, e ne prese una con un portachiavi riportante una mongolfiera azzurra. Fermò la mano a mezz’aria.

«Aspettate. Ho un’idea», disse, con un sorriso entusiastico in volto. «Dato che lascerete la vostra auto alla mia officina, cosa ne dite di prenderne in prestito una delle mie? Non vi farei pagare nulla di più della benzina, lo giuro».

Guardai Edward, che assottigliò lo sguardo. «Non so se sia il caso», mormorò, anche se era evidente che oltre ad essere sospettoso era anche interessato a quella offerta. Del resto per le nostre casse poter noleggiare un’auto con l’unico pensiero di dover pagare la benzina era un grande guadagno. Se fossimo andati all’aeroporto avremmo senza dubbio speso parecchie centinaia di dollari per un noleggio a tempo indeterminato.

Jacob posò una mano sulla spalla di Edward, e per un momento temetti che il mio compagno di viaggio potesse staccargliela a furia di morsi, ma lui sembrò concentrarsi solo sul suo viso, intento a capire se il meccanico stava cercando di fregarci o aveva qualche altro fine. «Coraggio», insistette Jacob. «Vi giuro che non sto provando a ingannarvi né niente. Voglio solo aiutarvi».

«Perché?», domandò Edward, non convinto.

Jacob sorrise. «Perché mi sembrate delle brave persone. E non è da me lasciare chi è in difficoltà a brancolare nel buio».

Feci un passo avanti, decisa a dire la mia. «Sei proprio sicuro che per te vada bene prestarci un’auto senza spese?»

Jacob mi guardò. Sorrise e annuì. «Per me sarebbe un piacere».

Spostai lo sguardo su Edward, che incrociò i miei occhi. Aveva un cipiglio indeciso in viso. Tornai a guardare Jacob, sorridendo gentilmente. «Che macchina avevi in mente?»

 

«È un vero gioiellino, vero?», ripeté Jacob, gettando il telone che ricopriva l’auto in un angolo del garage. «L’ho ricostruita interamente con le mie mani, e finora ho avuto modo di portarla solo fino a Shamrock. Sono sicuro che visto il viaggio che state facendo è il mezzo migliore».

Edward aveva entrambe le sopracciglia inarcate verso l’alto, in un’espressione buffamente sorpresa. Io guardavo la piccola meraviglia davanti ai miei occhi con un sorriso entusiasta.

«Davvero ce lo presteresti?», domandai, incapace di credergli. «Per fare tutta la strada fino Santa Monica?»

Jacob alzò gli occhi al cielo. «Certamente. Ricordate solamente che se fate qualche danno apprezzerei che foste voi a pagare le riparazioni».

«Mi sembra il minimo!», risposi, sorridente. Guardai Edward, cercando la sua approvazione. «Allora, cosa ne dici?»

Fissò lo sguardo sull’automobile, con le labbra arricciate. Si avvicinò alla portiera del guidatore, e guardò all’interno attraverso il finestrino completamente abbassato. «Dovremo attraversare le zone desertiche, sei sicuro che riesca a reggere fino alla California?», domandò, sebbene Jacob gli avesse già spiegato brevemente le caratteristiche tecniche dell’auto.

«Ovvio. Ho apportato qualche modifica al disegno originale, ho potenziato il motore e inserito pezzi migliori alla struttura. Questo gioiellino potrebbe tranquillamente farsi tutta la Route 66 senza uno sbuffo, non preoccuparti», rispose Jacob, appoggiandosi al cofano.

Edward mi guardò. «Sei sicura?», mi chiese, cercando la mia conferma.

Annuii, e sorrisi.

Mentre Edward e Jacob sistemavano le ultime cose guardai l’auto che ci avrebbe accompagnato per il resto del viaggio e le scattai una foto.

Non tutti al giorno d’oggi hanno la possibilità di farsi il viaggio sulla Route 66 a bordo di un furgoncino blu della Volkswagen, del resto.

 

«Spiegami ancora una volta per quale motivo ci troviamo in questa situazione», sibilò Edward a denti stretti, osservando Jacob con i pugni serrati intorno alla forchetta e il coltello.

Gli tirai una leggera ginocchiata sotto il tavolo, continuando a guardare Jacob, che ignaro della nostra conversazione sussurrata si stava abbuffando - letteralmente. «Te l’ho detto. Non potevo non offrirgli di venire con noi dopo che è stato tanto gentile da prestarci il suo furgoncino. Sarebbe stato da maleducati», mormorai.

Edward tagliò con violenza la sua bistecca, decisamente più piccola di quella ordinata da Jacob. Guardai la cameriera vicino a noi, che controllava che il piatto del meccanico fosse ripulito solo da lui e nessun altro; Jacob ci aveva invitati a pranzare presso uno dei ristoranti più famosi di Amarillo - e non solo -, il Big Texan Steak House, dove era in voga un’offerta speciale: chi ordinava una bistecca da 72 oz. e riusciva a terminarla in un’ora - compreso il contorno di verdure e patate - allora avrebbe mangiato gratis. Ero sicura che se Emmett fosse stato lì avrebbe aderito con entusiasmo ad una simile sfida, ma io ed Edward eravamo entrambi poco propensi a riempirci come un uovo prima di rimetterci in viaggio. Erano quasi le tre del pomeriggio, ma il locale era comunque affollato. Le cameriere erano vestite con abiti tipici e sui muri erano disposti capi di animali imbalsamati - per lo più angus - e oggetti indiani. La musica era abbastanza alta.

Jacob si era tuffato sul cibo non appena il conto alla rovescia era partito, e da allora era concentrato sul suo piatto, e non aveva più degnato di uno sguardo e una parola me ed Edward, che vedendolo abbuffarsi per poco non perdevamo l’appetito. Nel caos del locale potemmo parlare sottovoce senza rischiare di farci udire dal meccanico, e cercai di far cambiare idea ad Edward su di lui, senza molto successo.

«Non capisco perché lo detesti», sussurrai, dopo aver lanciato un’occhiata a Jacob. Era quasi giunto alla fine della bistecca, e il tempo ormai stava per scadere. «Lo conoscevi già?»

Edward allontanò il piatto da sé, dopo aver lasciato da parte i broccoli. «No. Oggi è stata la prima volta che l’ho visto. E non è vero che lo detesto».

Inarcai un sopracciglio, facendogli capire che non gli credevo. «Se potessi lo fulmineresti con lo sguardo. Mi vuoi spiegare cosa ti ha fatto? È stato così gentile con noi…»

«Con te. È stato gentile con te», rispose lui.

Aggrottai le sopracciglia. «Non dire sciocchezze. Non vorrai dirmi che sei geloso di un tizio che abbiamo appena conosciuto?»

Edward spostò brevemente lo sguardo su di me, poi lo distolse.

Sospirai. Edward era sempre stato un tipo molto geloso, e anche se cercava di trattenersi non aveva molto successo. Tuttavia non mi aspettavo manifestasse la sua gelosia anche nella situazione delicata in cui ci trovavamo in quel momento io e lui.

«Non ne hai motivo», dissi, voltando il capo per non guardarlo negli occhi.

«Lo so», borbottò. «Ma non riesco a non vedere il modo in cui ti guarda. Mi fa saltare i nervi».

Era assurdo il fatto che stessimo avendo quella conversazione quando Jacob si trovava davanti a noi, allo stesso tavolo. Eppure lui sembrava non rendersi conto del nostro scambio di battute sussurrate, mentre mangiava. Sperai fosse davvero così.

«Comunque dovresti cercare di comportarti in maniera più carina con lui», gli dissi, lasciando cadere il suo discorso. «Dobbiamo arrivare ad Albuquerque tutti insieme, e non è proprio il massimo se tu passi la metà del tempo a lanciargli sguardi omicida».

«È stata una tua idea quella di invitarlo a venire in auto con noi. Avresti almeno potuto consultarmi prima, non ti pare?», sbottò, sempre con il tono di voce basso.

Jacob alzò lo sguardo e mi zittii, sorridendogli come se non stessimo parlando di lui. Pestai il piede di Edward, e lui fece un sorriso forzato. «Mancano ancora otto minuti», gli disse, guardando il suo orologio.

Nel piatto c’erano ancora solo le verdure. Poteva farcela. La cameriera faceva il conto alla rovescia dei minuti. Ne mancavano sette.

Jacob prese un profondo respiro e ricominciò a mangiare.

«Mi dispiace», sussurrai, quando l’attenzione di Jacob era di nuovo distante. «Avrei dovuto chiedere il tuo parere, ma in quel momento non ci ho pensato. Non credevo ti avrebbe dato così tanto fastidio».

«Non è solo questo…», borbottò lui.

Inarcai un sopracciglio, scettica. «Allora che cos’è?»

Edward si voltò verso di me, i suoi occhi tormentati. «Io…»

«Fine!»

Ci voltammo entrambi verso la cameriera, che teneva il cronometro in una mano, sollevata a pugno in aria. Jacob si lasciò andare contro lo schienale della sedia, portandosi entrambe le mani sullo stomaco.

«Ha impiegato cinquantasette minuti e trentaquattro secondi! Congratulazioni!», esclamò la cameriera, applaudendo. I clienti intorno a noi si unirono a lei a battere le mani, e immaginai che non dovesse essere da tutti riuscire a mangiare un’intera bistecca da più di due chilogrammi in un’ora da soli.

Edward accennò un sorriso. «Immagino che sia arrivato il momento di metterci in viaggio», disse a Jacob, in mezzo al caos dei festeggiamenti. Sentii la cameriera nominare i proprietari del locale, che stavano venendo verso di noi per congratularsi con il meccanico.

Lui sorrise. «Credo proprio che lascerò a te l’onore di guidare, amico», disse.

Per la prima volta, le labbra di Edward si piegarono in un sorriso sincero. Forse non sarebbe andato male come temevo il viaggio fino ad Albuquerque.

 

Vedere Edward guidare un furgoncino della Volkswagen era ancora più strano di vederlo guidare la jeep di suo fratello. Era buffo vederlo mentre si destreggiava con un’auto così grande negli incroci della città di Amarillo e cercava di uscire dal centro e di tornare sulla rotta della Route 66. Jacob aveva provato ad insistere per farmi sedere davanti, ma non appena avevo dato un’occhiata all’ampio sedile posteriore, che era un intero divanetto blu, non avevo resistito: avevo lasciato che i due uomini si sedessero davanti, ed io mi impossessai di quel morbido sedile, portando con me tutte le cartine e l’itinerario. Edward non sembrava molto contento della mia decisione, ma non disse nulla.

Mi godetti il breve viaggio fino alla nostra tappa successiva osservando il bellissimo furgoncino che ci avrebbe accompagnato per il resto del viaggio. L’interno era così ampio che avremmo tranquillamente potuto dormire nel baule, nel caso ci fossimo ritrovati un’altra volta nella situazione di due notti prima, quando eravamo stati costretti a fermarci al campeggio: in quel momento era occupato dalle valigie mie, di Edward e dal borsone di Jacob, ma se le avessimo spostate dove ero seduta si sarebbe ricavato un posto abbastanza ampio per stendere ben due sacchi a pelo e potersi sdraiare tranquillamente. C’erano sei finestrini, oltre ai due per i sedili anteriori, e si potevano aprire tirandoli orizzontalmente. Ero già innamorata di quell’automobile.

Pochi minuti dopo aver lasciato Amarillo ci fermammo presso Soncy, dove si trovava il Stanley Marsh’s Caddilac Ranch. Si trattava di un ampio terreno in cui erano impiantate nel terreno dieci carrozzerie di vecchie Caddilac, una composizione molto simile a quella visitata la mattina presso Conway, dove però c’erano delle Volkswagen. Un tempo le auto erano verniciate in tinte uniformi, dei colori più tipici in cui si potevano trovare al tempo della creazione di questa opera. Con il passare degli anni, però, vennero ridipinte come se fossero dei murales, e la loro bellezza originaria venne rimpiazzata da un motivo più hippie. Molti detestavano quel nuovo aspetto, ma a me piaceva, anche se di certo non spalleggiavo i teppisti che avevano rovinato l’opera originale dell’artista.

Scattai varie fotografie, e chiesi a Jacob di essere incluso nel mio album di ricordi. Del resto se non fosse stato per lui in quel momento Edward ed io saremmo stati ancora bloccati ad Amarillo a tempo indeterminato, quindi gli dovevamo molto. Scattammo anche una foto di gruppo, chiedendo gentilmente ad altri turisti di farcene una, e poi ripartimmo.

Avevamo intenzione di raggiungere Albuquerque entro il giorno successivo, dove Jacob avrebbe potuto finalmente tornare da suo padre. Sarebbe rimasto lì per ben due settimane, per quelle che lui considerava le ferie estive. Al suo posto all’officina ci sarebbe stato suo cugino Seth, che si sarebbe anche occupato della riparazione alla nostra jeep. Jacob ci aveva detto che avremmo potuto tornare a riprenderla quando volevamo, senza fretta, e questo ci concedeva di terminare il nostro viaggio senza il pensiero di dover tornare indietro entro un certo periodo di tempo.

Più ci avvicinavamo a Los Angeles più sentivo l’ansia crescere. Non ero ancora pronta a tornare a casa, non volevo concludere quel viaggio così in fretta. In soli cinque giorni avevamo attraversato sei Stati, percorso più di mille miglia e visto un sacco di posti incredibili. Sapevo che non avrei dovuto fasciarmi la testa prima di essermela rotta, ma non potevo fare a meno che chiedermi quanto tempo avrei ancora avuto prima di tornare alla mia vecchia vita. Soprattutto quando arrivammo ad Adrian, città che si trovava esattamente a metà della Route 66, a 1139 miglia da Chicago e Los Angeles, i miei pensieri negativi non potevano fare altro che aumentare. L’unica cosa che riuscì a distrarmi fu l’improvviso dialogo fra Jacob ed Edward.

Non so come iniziarono a parlare: sapevo solo che Jacob aveva provato molte volte a fare domande ad Edward, sperando di ricevere risposte che andassero più in là di un semplice monosillabo. Pensai che forse avessero parlato mentre ci trovavamo in un bar di Adrian, ed io mi ero assentata per andare un attimo ai servizi, ma non potevo esserne sicura. Del resto i ragazzi avevano uno strano modo di legare: un minuto prima si prendevano a pugni, quello dopo si stringevano la mano chiamandosi ‘amico’ o ‘fratello’. Comunque, vederli parlare tranquillamente, senza che Edward lanciasse di tanto in tanto occhiate omicide, era rilassante. Rimasi ad ascoltarli, mentre parlavano di baseball e sport in generale e discutevano sugli ultimi risultati di alcune squadre.

Quando giungemmo a Las Vegas Junction svoltammo a destra, seguendo l’originaria tratta della Route 66 che anziché procedere direttamente verso Albuquerque compiva un arco verso nord, fino a passare per Santa Fe - capoluogo dello Stato - e poi ricongiungersi con la città di Jacob. Ci fermammo poco dopo per fare rifornimento, ed Edward scese per andare a pagare.

«Sicuro di non voler fare metà?», si assicurò Jacob, attraverso il finestrino mezzo aperto.

Edward fece un cenno con la mano, lasciando cadere la sua domanda.

Lo vidi allontanarsi in direzione della stazione di servizio, mettendo mano al portafoglio.

Appena sparì dalla vista Jacob si girò sul sedile, voltandosi verso di me. «Posso farti una domanda?», mi chiese, senza esitazioni.

«Certo», dissi, senza pensare a cosa avrebbe potuto chiedermi.

«Voi due state insieme?»

Trattenni il respiro per qualche secondo, cadendo dalle nuvole. Non mi aspettavo una domanda tanto diretta su un argomento così privato. «No. Per niente», risposi, con il fiato spezzato.

«Allora siete ex?», insistette lui. I suoi occhi mi inchiodavano al sedile, curiosi.

«Come fai a dirlo?», replicai, senza dargli una risposta diretta.

Lui sorrise, tranquillo. «Perché altrimenti non saprei spiegare il motivo per cui Edward mi odia senza che gli abbia fatto niente», disse, dimostrando che l’atteggiamento del mio compagno di viaggio non era affatto passato inosservato. Chiunque avrebbe notato l’astio nei suoi occhi e nelle sue parole.

Abbassai lo sguardo, imbarazzata. «Mi dispiace per come si sta comportando Edward. Non capisco davvero cosa gli sia preso», ammisi.

Jacob appoggiò il gomito al sedile, lasciando il braccio a penzoloni. Mi guardò senza ombra di malizia negli occhi. «Beh, mi sembra evidente. È innamorato di te, quindi vede ogni altro uomo che si avvicina troppo come una minaccia».

Lo guardai accigliata. «Lo stai difendendo?»

Lui sorrise. «Non esattamente. Ti sto semplicemente dicendo come la penso».

Incrociai le braccia sotto il seno, e vidi Edward uscire dalla stazione di servizio e venire verso di noi. «In ogni caso, non ha motivo di essere geloso. È una reazione stupida prendersela con ogni uomo con cui parlo».

Il sorriso di Jacob si spense. «Non penso che siano gli uomini con cui parli il problema».

Aggrottai le sopracciglia, guardandolo interrogativa, ma l’arrivo di Edward mi impedì di chiedergli spiegazioni più dettagliate.

Ripartimmo alla volta di Santa Fe, ma il sole era già calato, e nonostante quel giorno non avessimo avuto modo di fare molta strada dovevamo fermarci. Sostammo in una piccola città tipicamente messicana chiamata Canoncito, con piccole casette dalle mura gialle e alcune strade sterrate. Prendemmo tre stanze in un motel sulla strada, e decidemmo di approfittare della cucina locale, sebbene io ed Edward non fossimo dei patiti di cibo messicano. Dopo aver cenato, attraversammo a piedi il centro, che sembrava aver preso improvvisamente vita: la musica risuonava per le strade da alcuni locali che riportavano insegne illuminate, e nell’aria c’era odore di grigliata. Probabilmente, se fossimo stati solo io ed Edward, a quel punto ci saremmo diretti subito verso il motel; avremmo bevuto un bicchiere alla bar dall’altro lato della strada, e poi saremmo andati a dormire. Ma quella sera non eravamo soli. C’era Jacob con noi, e lui non sembrava avere intenzione di ritirarsi in camera così presto.

«Che ne dite di fare un salto in qualche posto?», propose. «È ancora presto, e dobbiamo ancora smaltire la cena».

Guardai Edward, indecisa. In effetti nemmeno io avevo sonno, ed era davvero presto per andare a ritirarci in camera.

Lui scrollò le spalle. «Per me va bene», accettò.

Jacob sorrise, e si diresse verso un locale che sembrava brulicare di gente più degli altri. Si trattava di un pub all’aperto, che disponeva di un ampio terrazzo con tavolini, banconi, e con al centro una fontana con un Cupido di pietra da cui l’acqua scendeva in una piccola cascata. Su alcune travi erano appese collane di luci colorate che attraversavano la terrazza da angolo ad angolo, illuminandola di una spirale di colori. In un angolo si trovava il bancone dei cocktails, dietro il quale uomini e donne con sombreri preparavano i drink. La musica partiva dalle casse installate sui tralicci, ma non era la tipica musica da discoteca, andava dal genere rock e country a quello lento. La gente in quel luogo era di ogni età ed etnia, anche se la maggioranza era rappresentata da ragazzi dai ventuno anni in su.

Jacob si fece largo nella calca, e raggiunse il bancone assicurandosi continuamente di non averci perso nella mischia.

«Cosa prendete ragazzi?», ci chiese, alzando la voce per sovrastare il rumore della musica e delle voci.

Lo guardai indecisa. Provai a rispondere, ma non mi sentì. Mi tese l’orecchio. «Non so se il caso…», dissi.

Jacob sorrise. «Non dire sciocchezze. Un bicchiere non ha mai fatto male a nessuno», esclamò. «Tu cosa mi dici, Edward?», chiese, rivolgendosi a lui.

Edward guardò prima Jacob, poi me. Alzò un angolo della bocca, in un sorriso storto. «Per me un gin tonic», rispose, tornando a guardare il meccanico.

Jacob alzò la mano, e batté il cinque ad Edward. «Così ti voglio», esclamò. «E tu Bella?»

Mi morsi il labbro, non sapendo cosa rispondere. «Io…»

Edward si piegò in avanti, verso Jacob. «Per lei una caipiroska alla fragola», rispose al mio posto.

Jacob si voltò subito per cercare di attirare l’attenzione del barista, ed io mi girai a guardare male Edward. Lui mi guardò con sguardo innocente. «Che c’è?»

«Lo sai che non ho una buona resistenza all’alcol», gli dissi, avvicinandomi a lui per farmi sentire.

Lui rise. «Ti riporterò in camera in braccio, se ne avrai bisogno», scherzò.

Io alzai gli occhi al cielo, e gli tirai un leggero pugno sul petto, facendolo sorridere.

Quello che nessuno di noi sapeva, era che quella sera avrebbe davvero dovuto farlo.

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Il Diario di Bella - blog dove potete vedere immagini dei luoghi visitati nel corso della storia.

Il furgoncino della Volkswagen - sostituisce la jeep di Emmett.

Buongiornooo! :D Buona Pasquetta a tutti! :D

Questa settimana ho deciso di postare anche se oggi è festa, così da continuare a tenere il lunedì come giorno di aggiornamento :D

In questo capitolo si conosce un po' di più Jacob, che è entrato nella storia e dovrebbe rimanere solo fino a quando i protagonisti raggiungeranno Albuquerque. Edward spiega più o meno per quale motivo sembra odiare Jacob, ma non è ancora spiegato tutto il motivo, che Jacob sembra conoscere. Arrivano in New Mexico e vanno a bere in un pub. Cosa succederà? :D

Grazie mille a chi continua a seguire la storia! Grazie anche ai lettori silenziosi, e a chi aggiunge la storia alle varie liste!

Alla prossima settimana! :D

   
 
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