Ma…
quanto tempo è passato? D: Chiedo scusa a tutti per
l’ immane ritardo, ma in
questo periodo ho avuto un calo di ispirazione terribile e in compenso
mi sono
messa a scrivere una storia che non penso pubblicherò mai
(11 pagine di World
del tutto scollegate temporalmente fra di loro ._.).
Comunque,
sono tornata! E per chi sperava nella mia morte… beh, mi
dispiace deludervi ma
sono ancora viva, solo per farvi leggere le mie cavolate.
Passando
al capitolo, devo dirvi che questo è un capitolo
‘di passaggio’ , il prossimo
sarà più dinamico, dovrà esserlo u.u
Ringrazio
che sta ancora leggendo questa fic e tutti quelli che recensiscono
ancora,
grazie Homicodal Maniac… aspetta, ma non c’
è praticamente più nessuno che
recensisce, non sono morta io e lo siete voi? D:
Sprecate
due minuti della vostra vita per farmi sapere che ne pensate, la
tastiera non
morde! Se poi verrà fuori che quei due minuti che vi ho
fatto perdere io vi
servivano per disinnescare una bomba, beh allora…
Comunque,
Buona lettura!
Capitolo
14. Sul confine.
“Ora
la tua anima è
abbandonata, camminerai da solo dal cielo fin dentro
all'inferno”
[Within
Temptation – A Demon’s Fate]
“Azue.”
Lo richiamò di nuovo il re, era quasi un’ ora che
stava affacciato alla
finestra della sua stanza, aspettando di vedere la schiena della
vampira
scendere le scalinate, successe proprio in quel momento.
Alzò un braccio in
direzione del re per zittirlo, naturalmente Dimitri si
infuriò, ma lo lasciò
fare.
Non
avrebbe mai capito fino in fondo la mentalità di un
Generatore vecchio come
lui, le sue assurde manie nell’ inseguire e straziare una
preda, manipolare un
proprio compagno per permettersi di raggiungere l’
obbiettivo.
Lui
invece non era il tipo da fare appoggio sugli altri, ma con Azue era
stato un
caso particolare, se avesse potuto avrebbe fatto tutto da solo, avrebbe
fatto a
meno di un tale individuo, certe volte avrebbe voluto torcergli il
collo e di
certo avrebbe gioito nel farlo.
“Non
credi che sia ora di andare?” Lo richiamò ancora,
ma sembrò non ascoltarlo di
nuovo, il re sbuffò, trattenendo l’ ira che
cresceva nel suo petto.
Lui
li osservava dall’ alto della torre, il suo elfo e la vampira
che parlavano
tranquillamente, e strinse gli occhi quando vide Zephit porgere
l’ Ala d’
Argento alla ragazza, l’ aveva nascosta lui stesso, come
aveva fatto l’ elfo a
trovarla? Poco importava, le sarebbe servita a poco.
Vide
Zephit bere più volte dalla bottiglia e sorridere
amaramente.
Sorridi
finché puoi caro Zephit, anche le
pedine hanno il diritto di divertirsi.
“Azue.”
Ancora, di certo il re non era l’ unico a essere nervoso
quella sera.
“Mando
Elk o desideri che mi occupi prima della piccola Lishe?”
Sentì l’ aria
raggelarsi nella stanza del re, lui non se ne era ancora accorto.
Trattenne a
stento un sorriso, ora era lui ad avere il coltello dalla parte del
manico, la
sua piccola figlioletta contava troppo per lui, anche se era abbastanza
convinto del fatto che il suo ruolo ormai l’ avesse svolto.
Per quanto
riguardava Elk, lui era solo un’ altra pedina, quella meno
importante, un
Generatore di scarso valore che sarebbe servito solo per infastidire un
po’ la
figlia del re, e lo sapevano entrambi che comunque sarebbe morto per
mano della
vampira da li a poco.
Camminava
tranquillamente, stringendo nella mano destra quello che restava della
sinistra, la polvere scura si alzava ad ogni suo passo, sapeva bene la
strada
da dove si trovava in quel momento al confine del mondo delle Creature
Oscure,
lo aveva percorso una sola volta ma le si era impresso a fuoco nella
memoria.
Le rocce aguzze se si tendevano verso di lei quasi a volerla ghermire,
gli
alberi che con rami secchi e contorti si allungavano verso un Sole
ormai
irraggiungibile.
Lentamente
la gola aveva ripreso a bruciare, ma intorno a lei non c’ era
niente, solo
morte e desolazione.
Dolore,
ovunque. Sentiva il sangue
scorrerle sulla schiena e imbrattarle ancora di più gli
abiti già sporchi, ad
ogni respiro, ogni minimo movimento sentiva fitte lancinanti
percorrerle tutto
il corpo. Accovacciata
a terra sperava
di poter perdere i sensi, anche per poco, per sfuggire anche un solo
istante a
tutto quel dolore. Accanto a lei ancora quel ragazzino, come si
chiamava?
Aledari forse. No, aveva ucciso quel ragazzino, non era lui che aveva
nascosto
negli stivali il pugnale che lei gli aveva preso per permettersi poi di
scappare. Di quel ragazzo non conosceva il nome.
Lo osservò, era accanto a lei, sdraiato a
pancia in su, una mano appoggiata al petto che si alzava e abbassava
regolarmente, l’ altra lungo il fianco, i capelli scuri e
scompigliati gli
ricadevano sulle guancie pallide.
Intorno a loro c’ era solo la
desolazione, rocce aguzze sembravano tentare di lambirli con le loro
sporgenze
affilate, la terra nera si attaccava alle vesti, rendendolo ancora
più sporche
di quanto non fossero già, il cielo scuro incombeva sopra di
loro.
Rimase a guardarlo per un po’ tentando di
rimanere il più immobile possibile per limitare il dolore ce
continuava a
irradiarsi in lei, fino a che non lo vide socchiudere gli occhi,
chiederli di
nuovo e con un respiro un po’ più lungo riaprirli,
gemette e si guardò intorno,
i suoi occhi color nocciola si posarono sulla ragazza riversa a terra
accanto a
lui, le sopracciglia aggrottate.
Allungò una mano verso di lui, e lo vide
ritrarsi istintivamente per poi prendere un respiro e farsi coraggio
per
avvicinarsi.
Io
ho aiutato te a fuggire, ora tocca a te aiutare me. Avrebbe
voluto parlare, dire quelle parole ad alta voce, farsi aiutare
per davvero, aggrapparsi a lui e…
Inaspettatamente
lui si avvicinò in
fretta e mentre con mani tremanti tentò di aiutare la
vampira che sfiancata
giaceva a terra, era giusto così.
Si aggrappò a lui e lentamente si alzò, i
loro corpi aderivano e lei poteva benissimo sentire il battito
accelerato,
forse per la paura, del ragazzo e il suo respiro lento e regolare, la
sua pelle
calda, il pulsare del sangue.
Una marea di fin troppe e conosciute
sensazioni si diffusero in lei, dandole quella poca forza che le
bastava per
avvicinarsi ancora un po’ al suo collo e affondarci i canini.
Lento, il sangue iniziò a colare nella
sua bocca dandole nuova forza, non ne avrebbe sprecata neanche una
goccia. Nel
momento in cui si sentì stabile sulle sia gambe, rovinarono
entrambi a terra.
Normale, dicono che il morso di un
vampiro sia la cosa più dolorosa al mondo, così
tanto da impedirti perfino di
urlare, paralizzarti dal dolore e perdere immediatamente le forze.
Bevve fino a
che non sentì il cuore del ragazzino fermarsi.
Era giusto così.
Continuò
a camminare, imperterrita, attraverso quella steppa morta, priva di
ogni segno
di vita, priva di speranze, di luce.
Camminò
a lungo senza badare agli ululati e ai versi grotteschi e poco
rassicuranti che
le giungevano alle orecchie, erano vicini chiunque fossero, ma mai
avrebbero
osato attaccarla, lei sue cicatrici erano un po’ come un
cartello luminoso con
una scritta a caratteri cubitali che recitava: PERICOLO!
Il
suo passo, austero e regolare, cadenzato e inquietante creava sordi
echi che si
perdevano nella steppa, lo sguardo sempre puntato davanti a
sé, attendeva di
essere ferito da quel bagliore di luce che delimitava il confine tra le
terre
delle Creature Oscure e quelle degli Umani.
Ma
il viaggio sarebbe stato lungo, lo sapeva bene, due giorni almeno. Ah,
se solo
avesse avuto ancora il suo drago.
Strinse
con forza il pugno destro conficcandosi le unghie nel palmo della mano,
sentì
il sangue scorrere pigramente nella sua mano e un po’ quella
sensazione la fece
stare meglio, ma il sollievo durò ben poco.
Sbucò
a pochi metri da lei, una chimera; assomigliava molto vagamente a un
centauro,
a parte il fatto che la sue pelle era verde e squamosa come quella di
un
rettile e che avesse una coda lunga tanto quanto il suo possente corpo,
aveva
anche un paio di braccia che davano l’ idea di essere
estremamente esili, mani
dotate di quattro lunghe dita ossute erano accompagnate da qualche paio
di
bracciali e anelli tutti in oro. Il viso era qualcosa di poco definito,
sembrava non avere
né bocca né naso,
solo un paio di occhi bianchi e lucenti, più un terzo
più in alto, in mezzo
alla fronte, il tutto coronato da lunghe
e appuntite corna che assomigliavano tanto a punte di una
lancia e una
cascata di lunghi capelli argentei. Ah, si, aveva anche lei ali, non
erano
ampie come quelle di drago, ma membranose, pesanti e rovinate, per
niente
adatte al volo.
Notò
subito i segno che aveva sul petto, scuri arabeschi sembravano
avvolgere il suo
petto e il costato, pentacoli e strane lettere si alternavano in un
gioco di
linee sinuose. Quel particolare segno le riportò alla mente
qualcosa di lontano
e ormai dimenticato, non era la prima volta che li vedeva, eppure non
riusciva
a far riaffiorare il ricordo, non riusciva a ricollegarlo a
un’ immagine vista
di sfuggita qualche anno prima.
“Rose.”
Si sentì chiamare da quell’ essere con una voce
roca e gracchiante, istintivamente
portò una mano al manico della spada vedendo la mano della
chimera allungarsi
verso di lei e nonostante quella chimera fosse priva di bocca vide i
suoi occhi
sorridere.
Accadde
tutto in pochissimi attimi, guidati dall’ istinto e da una
sferzata di
adrenalina; la chimera scattò verso di lei con il braccio
teso, Neah con un movimento
fluido degno di un’ onda che si infrange sulle rocce estrasse
la spada e
tranciò di netto l’ arto che si protendeva verso
di lei, la foresta morta si
saturò di un urlo agghiacciante e inumano mentre il braccio
rimasto si
allungava, afferrando con quella mano scheletrica il suo volto, lei,
non aveva
avuto il tempo necessario per colpire di nuovo.
Gelo.
Buio.
Era
sfinita, si era lasciata cadere a
terra di nuovo, eppure era così vicina, mancava poco. Ancora
un po’ e sarebbe
giunta alle terre degli Umani. Si, e poi? Si illudeva del fatto di
poter essere
accettata e aiutata, ma lei era una vampira, non avevano una buona
reputazione
fra gli Umani, così come del resto tutte le Creature Oscure
godevano di cattiva
fama. L’ avrebbero uccisa senza la minima esitazione se solo
avessero
conosciuto la sua vera natura.
Sangue.
Ne aveva una voglia
terribile, era un’esigenza inevitabile, quel succo vitale per
ogni essere
umano. Quel miscuglio di eritrociti,antigeni e anticorpi che era
essenziale
anche per lei,cellule speciali che erano in grado di guarire il dolore
che la
dilaniava quando non la inebriava circolando nelle vene, colandole
sulla bocca,
macchiandole la pelle. No, non ne aveva davvero bisogno, ma ormai era
come una
droga, non sarebbe più riuscita a farne a meno, lo sapeva.
Ancora le bruciava la
gola quando si sentì sollevare per le braccia, fitte di
dolore le percorsero la
schiena sfregiata, la vista si annebbiò appena, ma non
abbastanza per impedirle
di vedere il corpo si un Umano sopra di lei, la camicia chiara e logora
lasciava intravedere segni scuri e sinuosi, ora dritti, ora curvi che
invadevano il petto e parte del costato. Non era la prima volta che li
vedeva,
sapeva cos’ erano ma se ne dimenticò quando una
nuova ondata di dolore le fece
perdere i sensi.
Uno
spruzzo di calore sul suo petto, un forte dolore alla schiena, di nuovo
calore,
in mezzo alle scapole, mentre i polmoni tornavano a funzionare come se
fosse la
prima volta, e il cuore a battere. Il gelo che aveva provato fino a un
attimo
prima l’ abbandonò velocemente, lasciandole
addosso un senso di spossatezza,
Recuperò
la vista lentamente, e per un attimo sperò di poter tornare
a vedere con
entrambi gli occhi, invano.
Non
riuscì subito a comprendere la scena che si
presentò davanti ai suoi occhi,
solo un colore verdastro e luminoso, abbassò lo sguardo fino
a incontrare una
macchia scarlatta e poi… poi la sua spada, piantata nel
petto della chimera che
per la seconda volta si era abbattuta contro si lei, scagliandola
contro una di
quelle rocce appuntite al bordo del sentiero che ora era conficcata tra
le sue
scapole.
L’
aria fredda sembrava far rabbrividire tutta la città.
I
suoi passi silenziosi si perdevano in quel deserto, gli ultimi abitanti
di
Ethis stavano frettolosamente rientrando in casa e chi vi si trovava
già stava
chiudendo le finestre e le porte, chi aveva già fatto anche
questo, beh,
sembrava non essere mai esistito.
Alzò
lo sguardo vedendo una vecchietta indaffarata con le persiane della
finestra,
lei lo notò e gli rivolse un timido sorriso prima di sparire
dentro casa con
un’ espressione inquieta sul volto.
Da
quando aveva ripreso i sensi in quella schifosa locanda tutto gli era
parso
estremamente confuso, forse diverso.
Le
strade quasi completamente deserte, il senso di oppressione e il gelo
nelle
membra.
Aveva
deciso che sarebbe tornato a casa, non avrebbe potuto fare altrimenti,
non
aveva idea di cosa fosse successo dopo che era stato colpito, nella
locanda era
rimasto solo il barista che, terrorizzato, gli premeva sulla tempia un
sacchetto con dentro del ghiaccio e qualche cadavere per terra.
Infondo
Neah aveva avuto ragione.
“La
prossima volta che fai un’ offerta
del genere assicurati prima con chi tu stia parlando, questa volta hai
fatto un
grave errore e ora ne pagherai le conseguenze.”
Era
stata una pessima idea, infilarsi negli affari di una Creatura Oscura,
forse
ora era meglio così, tornare a casa facendo finta che tutto
quello non fosse
mai accaduto. Dimenticare.
Dimenticare
di aver conosciuto uno degli ultimi vampiri, anzi, probabilmente
proprio l’
ultima.
Giravano
tantissime leggende e storie su di loro, la maggior parte era di quelle
storielle che si raccontavano ai bambini per spaventarli, altre
addirittura
erano riportate sui libri, poche di quelle narravano il vero, ricordava
in
particolare una specie di filastrocca che gli raccontava suo nonno
prima di
essere ucciso in guerra, chissà, forse da un vampiro stesso.
Il
loro destino è segnato.
Nel loro percorso il buio incombe, il
dolore li guida, la Morte li sorveglia.
Cenere Argentea saranno.
L’ Ultimo ne calpesterà le polveri.
Aggiungeva
poi lui; Non farti trascinare, non ti
aspetterebbe niente di buono.
Ma
il passato è forte, e non si arrende, non ti lascia mai, non
abbandona i propri
figli.
Di
certo scappare sarebbe stato inutile.