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Autore: enchatedfire    10/04/2012    7 recensioni
non poteva mandare tutto all'aria non in quel momento, con una mano strinse la maglietta di lui, l'altra la fece scendere più giù lungo la sua schiena e strinse il bordo estremo della sua maglia, doveva sembrare reale, lui portò una mano dietro alla sua testa e se la porto più vicino, sorrise tra le sue labbra e mordicchio il labbro di lei, riprendendo subito a baciarla poi si scostò e si avvicinò al suo collo, prese a baciare anche quello, lei si nascose leggermente dietro alla sua spalla e cercò di respirare ma quel bacio le toglieva il fiato, la fece poggiare sullo scaffale dietro di lei, le passò una mano sulla gamba liscia e carnosa e poi dinuovo e dinuovo ancora, lei prese la maglia di lui e liela sfilò senza staccarsi mai dalle sue labbra, la porta di lato a loro si chiuse, Aaron non sembrava essersene accorto tant'è che continuò a toccarle la gamba lei passò una mano sui pettorali di lui e lo spinse leggermente indietro, -se ne è andato- disse -ma penso sia ancora dietro la porta-.
PRIMA FF SPERO PIACCIA A QUALCUNO gli one direction entrano dopo qualche capitolo(:
Genere: Romantico, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 24

Allie camminava per il corridoio buio illuminato dalle fioche e bluastre luci a intermittenza. Il corridoio era stretto e il soffitto era altissimo, era circondata dal buio e dal silenzio e procedeva con passo incerto ma rapido, per quanto le fosse possibile. Ogni tanto si fermava e ascoltava i rumori attorno a sè per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo ma ciò che sentiva era solo il suo respiro, pesante e rapido in quello stretto corridoio.
Le ramificazioni sotterranee erano complesse ed era impossibile conoscerle tutte, anche in anni e anni.
Non c'era modo di chiedere aiuto se ci si perdeva in esse, alcuni erano persino morti.

Si procedeva sempre da soli e non esistevano mappe, solo alle entrate era rappresentata la divisione dalla A alla K del territorio, piuttosto approssimata, per consentire a chi entrava di orientarsi. G18, quella era la sua destinazione, secondo quanto riportato dal biglietto di nove. Non si potrebbe quantificare quanto tempo ci volle, poiché laggiù il tempo scorre ma sembra solo di essere imprigionati senza via d'uscita.
Una piccola G verde, leggermente fosforescente, era sul muro alla sua sinistra.

Il cuore di Allie prese un battito, era vicina alla sua meta. G1, era scritto in rosso sulla sinistra, una scritta grande e tuttavia quasi invisibile se non la si stava cercando e se gli occhi non s'erano abituati al buio. Era subito affiancata da G3, G5, G7, G9, G11, G13, G15, G17, G19. Sul muro corrispondente era scritto, alla stessa maniera, G2, G4, G6, G8, G10, G12, G14, G16, G18... G20...

G18! G18!

I capelli biondi erano leggermente appiccicati dal sudore freddo asciutto sulla sua fronte, non soffriva di claustrofobia ma andare in quei corridoi sotterranei le metteva addosso una strana agitazione. Le mani che tremavano leggermente andarono quasi subito a cercare a tentoni la falda in corrispondenza del G18, tastava ogni mattonella del muro, minuziosamente ma anche velocemente onde evitare inconvenienti.

Un veloce blab prolungatosi in una piccola eco, subito seguito da un rumore metallico, la mattonella diventa blu fosforescente, se ne illumina un'altra, questa è arancione fosforescente, Allie si affretta a poggiarci la mano mettendosi in punta di piedi e allungando le dita fino ad arrivarci, una terza verde fosforescente, toccata, quarta, rosa fosforescente, un'ultima, la quinta, bianca. Il muro si spegne. È tutto nero.  Il muro si sgretola velocemente davanti ai suoi occhi e la luce bianca quasi la acceca dopo il buio precedente.

Posa la mano sul vetro trasparente e subito il vetro, solo per un secondo, diventa verde e analizza le sue impronte. Sganciata. Preme sulla porta ed entra nel corridoio, sembrerebbe quasi quello di un ospedale. Alle sue spalle la vetrata trasparente si riaggancia e il muro si ricompone. Trenta passi a destra, dodici a sinistra, quindici avanti e sei sulla sinistra, spinge il grande portone grigio antipanico.

Le luci sono già spente e c'é già abbastanza gente dentro, Allie non guarda nessuno, li osserva di sfuggita con la punta dell'occhio. Si dirige nel primo posto vuoto che trova, il D14 e si siede. Fa correre velocemente lo sguardo per la stanza, più avanti, vestito di nero come imposto dalla regola, c'è Aaron, è ricurvo in avanti e la sua faccia è sostenuta dalla mano destra, sorride bisbigliando con quello che dovrebbe essere Cameron, ma Allie non ne è certa perchè non riesce a vedergli in volto, senza accorgersene si ritrova a fissargli la nuca, il nulla nella sua mente, quel ragazzo a cui pensava in continuazione e per cui credeva di essere innamorata, ora, ripensando ci, vedendolo lì accanto a Carter, le sembra un'idea quasi assurda, innamorarsi di qualcuno senza averci nemmeno mai parlato.

Il flusso dei suoi pensieri viene interrotto fa un braccio attorno alle spalle di Cameron, i suoi occhi osservano il braccio e lo seguono fino ad arrivare al suo proprietario, Aaron Carter che adesso è girato verso di lei e le sta rivolgendo uno di quei suoi strani sorrisi, Allie resta a fissarlo per un po', catturata dal bianco dei suoi denti a cui non aveva mai prestato attenzione prima, deglutisce e alza lentamente lo sguardo, non riesce a distinguere bene i suoi tratti ma sa che la sta ancora guardando, anche Cameron si gira e Allie improvvisamente sposta lo sguardo sui suoi piedi .

''Allison Trips? Davvero?'' Aaron scuote solo le spalle come se non gli importasse e inizia a fissare il muro.
Quando ritrova il coraggio di alzare lo sguardo Aaron e Cameron bisbigliano di nuovo, come se niente fosse accaduto. Allie si impone di non guardare più da quella parte. Il suo sguardo vaga di nuovo e questa volta finisce su Niall.

Niall.
Niall.
Niall.
 
Allie ritira velocemente il suo sguardo, improvvisamente presa dalle sue mani, continua a far combaciare l’unghia dell’indice con quella del pollice, come se dovesse togliere qualcosa che è rimasto incastrato là sotto ma, in realtà, non c’è niente ed è solo un modo per non guardare da nessuna parte, le mani le tremano e sente ancora l’atmosfera pesante attorno a lei.
 Finalmente la porta si apre, ora è calato il silenzio totale, anche se prima era già piuttosto silenzioso.
 
Nablech, uno dei vice di nove, è lui di solito a occuparsi delle comunicazioni interne.
 
Nablech è un ometto basso, sempre vestito di nero, ha dei folti baffi neri e una faccia anonima, è impossibile ricordarsela, indossa sempre una bombetta, nera anch’essa, la fa ricadere il più possibile verso il naso, in modo che i suoi occhi siano poco visibili. Nessuno tenta di guardarlo negli occhi, nessuno lo fa mai, nessuno lo farebbe tantomeno. Nablech è in mezzo alla stanza, è ora, adesso.
 
“L’accademia non è più un posto sicuro” sembra una prefazione da film di spie e, come da copione, questo avrebbe sconvolto tutto ciò che finora sembrava avere un minimo senso “riceverete ordini sul luogo in cui dovrete recarvi, lo smistamento è segreto e verrà comunicata la postazione solo al diretto interessato, sono tempi duri e potremmo avere nemici anche nelle nostre fila, il capo generale ha disposto così e noi eseguiremo, fin quando sarà necessario. Fuori dall’accademia potrete ritrovarvi in pericolo. Non siete autorizzati a parlare con nessuno di quanto sta per accadere. Non potete salutare i vostri conoscenti. Devono restarne fuori. Il protocollo è Z. Verrete suddivisi in base a capacità e missioni già svolte in comune, per fare in modo che conosciate già il modo di agire dei vostri compagni. Chi si rifiuta muore. Fate come diciamo e andrà tutto bene. Ognuno di voi è tenuto a presentarsi agli sportelli beta, sigma e omega, dove vi sarà comunicato l’orario di partenza e il luogo, non saprete alto fino al vostro arrivo”.
 

Nablech finisce di parlare ed esce tanto veloce quanto è entrato, l’aria che è calata è pesantissima, nessuno fiata, tutti si dirigono nel totale silenzio agli sportelli.
 
Sanno che non hanno voce in capitolo, come non l’hanno mai avuta.
Sanno di essere solo dei burattini e non conoscono nemmeno il loro burattinaio.
Alcuni direbbero Nove, ma anche loro sanno che Nove è solo un vicario dei piani alti.
 
Quando Allie riesce a uscire sono le due e mezza passate, l’aria è gelata.
Cammina lenta nella notte fino ad arrivare al dormitorio, non ha più visto nessuno dopo che hanno lasciato la sala del G18 per gli sportelli.
 
Il caldo la investe appena entra nei dormitori facendola sentire meglio per un momento, spera solo che i sorveglianti dei corridoi non sentano rumore,perché spesso loro non sanno dell’esistenza di quel gruppo di alunni “speciali”.
 
Cammina lentamente con il passo più leggero che riesce a tenere a causa della stanchezza.
 
La porta di Niall.
 
È lì a qualche passo da lei.
Chissà se lui è tornato.
Chissà se ci sono Harry e Louis.
Chissà se hanno fatto pace.
Chissà, chissà, chissà...

S’è fermata davanti alla porta senza nemmeno accorgersene e sta lì a fissare quella porta buia a cui potrebbe bussare, l’ha fatto tante di quelle volte, ma forse c’è qualcosa che la ferma questa volta e non saprebbe dire bene di che cosa si tratti.

Però alza la mano, alla fine e bussa, non le importa più dei sorveglianti, ha paura che Niall ci sia e la senta ma ha anche paura che non ci sia, oppure che ci sia e che non le apra.

Bussa.

Deglutisce.

Aspetta.
 


Aaron esce dalla sua stanza, nonostante ci sia arrivato da poco, sente il bisogno di andare da Cameron, ne ha bisogno, senza motivo.
Arrivato alla sua porta però Cameron non risponde.
E sa per certo che quella notte non dormirà né lui né il suo amico.
Poggia la fronte alla porta in legno e espira, sa dove trovarlo, lo sa perché è suo amico e solo lui può saperlo, perché loro sono loro.
 
Prende la scala interna, che si fottano i sorveglianti, al momento sono la cosa di cui si preoccupa di meno.
E inizia a salire, correndo, senza neanche preoccuparsi, senza saperne il perché.
Apre la porta in cima alle scale, una folata di vento lo fa raggelare, uscire con le maniche corte in pieno inverno non è una gran trovata, ma non ci ha nemmeno pensato.
Si guarda attorno e lo vede, lì seduto per terra, con le spalle verso la cupola rialzata, guarda il cielo notturno, gli alberi davanti a se e le poche stelle che fanno capolino nel cielo invernale.

Se ne sta lì seduto, a bere, a bere tanto, come se non avesse più un domani e sulla sua faccia ci sono lacrime, lacrime di un dolore che non saprebbe nemmeno esprimere a parole.

Aaron si avvina, si piega davanti a lui e lo abbraccia, il tessuto in corrispondenza della sua spalla è bagnato dalle lacrime di Cameron, il ragazzo che nessuno se non Aaron e quella persona hanno mai visto piangere.
Cameron cerca di dire qualcosa, ma quel qualcosa si spegne in un suono strozzato e altre lacrime.

“Lo so” dice solo Aaron e stanno lì, abbracciati, per tutta la notte ad aspettare il momento in cui il loro destino cambierà, non possono fare altro.
“Le faranno qualcosa?” sussurra Cameron “a K-Kendra dico” e la sua voce ha un leggero fremito .
“niente” gli promette Aaron.

E restano lì, loro soli, nel freddo di una notte d’inverno.
 


enchatedfire:
innanzitutto faccio schifo, perchè non posto mai e mi dispiace, per "rimediare" un po' vi ho scritto questo capitolo che sconvolge un po' tutto.
troppi po'.
sono una merda, scusate.
Prometto di postare sabato e questa volta dico sul serio perchè siete fin troppo pazienti con me e ve ne sono grata.
Solo che sono sempre occupata e tutto e non ho un minimo di tempo libero etc...
comunque buona Pasqua in ritardo...
e tipo, ho una nuova fan fiction e se potete dateci un'occhiata, ci tengo molto.
è un periodo un po' strano per me e niente, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, il prossimo è un po' una continuazione di questo e poi ci sarà il cambiamento.
grazie per esserci.

  
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