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Autore: Beatrix Bonnie    10/04/2012    1 recensioni
Filosofo mi chiamavano, teologo, profondo conoscitore dei misteri del creato. Io, in realtà, non sapevo bene chi ero. Non capivo dove mi stesse conducendo la mia insaziabile sete di conoscenza e vagabondavo senza meta, stanco di ogni cosa, ma instancabile nella ricerca di qualcosa di meglio. Ero uno spirito inquieto, che non riusciva a trovare la sua collocazione nel mondo.
Dublino, 1185
Al giovane intellettuale sir Gregory è stata affidata dal suo signore una delicata missione da compiere alla corte di re Gilbert del Leinster. Certo, sir Gregory non si immagina che qualcosa verrà a turbare la sua affaticata esistenza: una ragazza, la pace di un vecchio podere di campagna e il profumo di una lontana leggenda.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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Liber XIII






Il viaggio di ritorno verso Lough Derg fu più veloce, ma ci stavamo inoltrando sempre di più nel mese di dicembre, pericolosamente vicino alla vigilia di Natale e al matrimonio tra Feamair e re Gilbert. Cercavo di non pensare a quell'eventualità, ma c'era il rischio reale che non arrivassimo in tempo. Questo dubbio mi dilaniava, soprattutto pensando a tutto ciò che io e fratello Cormac avevamo fatto per salvare Feamair.
Arrivammo al pozzo di s. Patrick una fredda sera di dicembre. Se la prima volta che l'avevamo visto, il lago si era presentato ai nostri occhi in un paesaggio spettrale, ora sembrava appartenere ad un altro mondo: una neve candida ricopriva ogni cosa, rendendo sinuosi i profili delle colline circostanti e caricando di un morbido manto i rami delle piante, tesi verso il cielo.
Io e Cormac legammo il cavallo che avevamo rubato dalle scuderie del castello ad un albero, poi scendemmo con cautela verso la grotta. Il capo degli elfi mi aveva lasciato uno strano oggetto magico, una specie di fischietto, dentro il quale avrei dovuto soffiare per avvertirlo che ero tornato con qualcosa di valore da scambiare. Non ero certo che quella cosa funzionasse davvero, ma, dopotutto, in quell'ultimo mese avevo assistito a cose anche più impensabili. Così, scrutando per un attimo gli occhi eccitati di Cormac, soffiai dentro il fischietto. Non ne uscì alcun suono.
«Sicuro che funzioni?» domandò il chierico, strizzando le sopracciglia in un'espressione perplessa.
Io mi strinsi nelle spalle e riprovai a soffiare, ma non funzionò nemmeno questa volta. «Aspettiamo e vediamo» proposi, riponendo lo strano oggetto nella sacca.
Vidi che Cormac stava trattenendo a stento un sorrisetto divertito e non riuscii ad evitare di ridacchiare pure io: stavamo come due idioti sul fondo di una grotta ad aspettare che venissero a salvarci degli elfi. Davvero assurdo.
Invece, contro ogni previsione, gli elfi arrivarono davvero. Dopo circa un'oretta di attesa, la crepa nel muro si aprì e ne fuoriuscirono una manciata di esseri fatati. Tutti avevano delle armature luccicanti, spropositate orecchie a punta e i capelli color dell'oro o dell'argento. Parevano un armata di angeli celesti.
«Cosa mi hai portato, umano?» domandò il capitano, avvicinandosi a me.
Io estrassi dal sacco di iuta lo scrigno contenente la pietra magica e glielo passai.
L'elfo lo aprì con circospezione, ma dal suo sguardo capii immediatamente che ciò che avevamo recuperato io e Cormac doveva essere un artefatto molto prezioso.
«Ma questa è la Pietra di Fàl...» sussurrò uno dei soldati alle spalle del capitano.
Uno strano mormorio si diffuse nella piccola schiera di sidhe lì radunati. Però, quando il capo tornò a fissarci, il suo sguardo non era molto benevolo. «Non so dove avete recuperato questo oggetto magico, ma esso spetta di diritto al popolo degli Sidhe. Non è un pagamento, è una restituzione» disse con una voce tagliente.
Nella caverna scese un ondata di gelo, come se un rivolo di vento freddo fosse penetrato dall'entrata.
«Ma...» provai a dire, scioccato da quella presa di posizione, anche se le parole mi si bloccarono in gola.
Proprio in quel momento, si fece avanti uno degli sidhe che il capitano aveva portato con sé. Non pareva tanto diverso dagli altri, con i suoi capelli argentei, il viso ovale e le orecchie a punta. Ma il suo sguardo aveva qualcosa di particolare: sembrava che i suoi occhi, di una strana sfumatura di grigio, esprimessero al contempo una certa qual distaccata superiorità unita a una potenza quasi divina. Se le forze della natura avessero avuto degli occhi, sarebbero stati quelli dell'elfo che avevo di fronte.
«Io credo che potremmo offrirgli un aiuto, anche solo per averci riportato la Pietra di Fàl» disse, con una voce profonda e incantatrice.
«Nefeleis...» lo chiamò il suo capo in tono di rimprovero.
«Cinque elfi signore, me incluso. Non chiedo di più» disse l'elfo che portava il nome di Nefeleis. Il capitano sembrò soppesare l'ipotesi per qualche tempo, alla fine acconsentì con un cenno del capo.
Cinque elfi.
Ma mi stavano prendendo in giro? Io avevo bisogno di un esercito per conquistare il Leinster non di un gruppetto di allegri compagni con cui andare a fare una passeggiata in campagna! Non avrebbe mai funzionato. Scossi la testa e mi lasciai cadere a terra, abbattuto.
«Sir Gregory!» esclamò Cormac, vedendo che mi accasciavo sulla roccia.
Quando tornai a guardarlo, avevo uno sguardo disperato. «Non funzionerà mai. Non riusciremo mai a salvare Feamair».
«Sentite, sir Gregory. Nell'ultimo mese sono state messe in crisi tutte le mie convinzioni, prima con il goblin e l'esistenza di Faerie, poi con quelle diavolerie magiche, il furto e tutto il resto. Ma l'unica cosa che mi spingeva ad andare avanti era la certezza che lo stavo facendo per salvare Feamair. Non mi arrenderò proprio ora che siamo quasi arrivati alla fine» sentenziò il chierico, con una determinazione che non credevo possedesse.
Gli rivolsi un sorriso amaro. «Ma cosa volete che possiamo fare con cinque elfi?» domandai, in tono sconsolato.
«Non lo so!» proruppe Cormac, preso dal fervore. «Ma voi siete un uomo astuto, sir Gregory! Ideate un piano!»
«Anche se riuscissi ad ideare un piano, oggi è la vigilia di Natale. Feamair si sposerà tra poche ore, nella cattedrale dalla parte opposta del paese!» protestai, mostrando a Cormac il bastone sul quale avevo segnato le tacche per contare i giorni. Se avessi avuto un esercito, avrei potuto attaccare in forze la contea del Leinster, anche dopo il matrimonio di Feamair, ma che cosa avremmo potuto fare in sette?
«A quello posso pensarci io» intervenne Nefeleis con un tono di voce sicuro e tranquillo.
«In che modo?» domandò Cormac, sospettoso.
Lo sidhe gli rivolse un mezzo sorrisetto. «Sono un mago. Mi basterà un semplice incantesimo per trasportarci tutti nel luogo che più desiderate».
Quelle informazioni squarciarono il velo di disperazione che mi era calato intorno e una timida stella di speranza si affacciò nello strappo. «Davvero lo potreste fare?» domandai, sorgendo da terra come se qualcosa mi avesse improvvisamente ridato la vita.
L'elfo annuì con il capo, fissando i suoi potenti occhi grigi nei miei.
E allora mi venne un'idea.

Per attuare il mio piano, mi era richiesta una sola cosa davvero difficile: avrei dovuto togliermi il mantello di sir Thomas Becket. Era essenziale, perché senza di quello non mi avrebbero riconosciuto, o almeno non subito. Era assurdo come quel semplice gesto mi richiedesse più fatica che credere all'esistenza di esseri fatati: eppure un semplice pezzo di lana era l'unica cosa che mi legasse al ricordo del mio mentore, che mi ricordasse la mia infanzia felice passata insieme a lui.
«Sir Gregory, lasciamo che il passato sia passato» sussurrò Cormac al mio orecchio, rivolgendomi un sorrisetto ambiguo.
Quelle parole mi colpirono come una frusta: sì, Cormac aveva ragione. Thomas Becket apparteneva al passato e il mio futuro ora prevedeva una sola persona: Feamair.
Rivolsi un sorriso luminoso al mio amico e poi insieme ci prendemmo per mano e ci unimmo al cerchio di elfi.
Nefeleis ci aveva ordinato di formare un circolo, che sarebbe stato necessario per compiere la magia. Quando tutti ebbero preso posizione, lo vidi cominciare a recitare strane formule a bassa voce, come una specie di nenia. Aveva gli occhi chiusi, ma sembrava quasi che avessero cominciato a brillare di una strana luce azzurrina. Pian piano la litania di Nefeleis divenne sempre più potente e penetrante, finché non mi esplose in tesa. Un fascio di luce potentissimo investì la figura del mago e fui costretto a chiudere gli occhi per non essere accecato. Sentii una penetrante sensazione di gelo che pareva non aver niente a che fare con l'inverno, ma non lasciai la mano di Cormac e quella dell'elfo che avevo al mio fianco.
Quando riaprii gli occhi, capii immediatamente che non ci trovavamo sulla riva del Lough Derg: quello era il mio appezzamento di terreno alle porte di Dublino. «Meraviglioso...» sussurrai estasiato. «E ora prepariamo il piano».
Il matrimonio si sarebbe svolto durante la messa per la notte di Natale. La mia idea era semplice, in realtà, ma facevo conto sull'effetto sorpresa. Mi levai il mantello di sir Thomas e lo ripiegai con cura, passandolo a Cormac perché lo mettesse nella sacca.
A quel semplice gesto, lui mi rivolse un sorriso incoraggiante. “Avete fatto la scelta giusta” sembrava che mi dicessero i suoi occhi.
Tolto il mantello, mi feci aiutare ad indossare l'armatura di uno degli elfi e poi mi calai sulla testa l'elmo. Rimirando il mio riflesso nella spada che ora portavo alla cintola, pensai soddisfatto che nessuno mi avrebbe riconosciuto ad un primo sguardo.
«Perfetto, sapete tutti cosa fare» dissi, osservando una ad una le facce dei miei compagni. Con un ultimo profondo respiro, saltai in groppa a un cavallo che avevamo comprato in una locanda e insieme ci avviammo verso la Cattedrale di Christchurc, nel cuore di Dublino.

La messa era già a metà, quando ci fermammo davanti all'imponente portone della chiesa. Cercai di tranquillizzarmi, stringendo la presa sullo scudo bianco e azzurro che ero stato costretto a portare. Poi, con un ultimo sguardo d'intesa lanciato a Nefeleis, spalancai le porte della cattedrale.
Fu un'entrata ad effetto. Esattamente come avevo progettato.
Nefeleis creò con la magia un raggio di luce molto potente, che investì la navata principale della chiesa. Al centro del flusso, la mia figura a cavallo rompeva la luce, creando un effetto apocalittico. Puntai gli speroni nel dorso dell'animale e lo feci alzare sulle zampe posteriori; nel contempo levai la spada al cielo. L'Apocalisse era arrivata.
«L'arcangelo Gabriele è stato mandato da Dio a impedire queste nozze!» gridai con foga e la mia voce rimbombò sinistra per tutta la chiesa. Tra i presenti si diffuse il terrore. Puro terrore.
Due elfi apparvero ai miei fianchi, sguainando le loro spade luccicanti. La loro comparsa dissipò ogni dubbio: creature come quelle non potevano che essere angeli dell'esercito di Dio. Approfittando dello scompenso che avevamo creato, lanciai il cavallo al galoppo lungo la navata centrale, fino all'altare. Rinfoderata la spada, allungai la mia mano verso lady Feamair, invitandola a salire a cavallo.
La ragazza spaventata, indietreggiò di un passo. Vidi lady Isabel che si copriva la faccia con le mani, la regina Aoife che si guardava intorno, cercando di riportare la calma. L'arcivescovo Lorcan Ua Tuathair era fuggito dall'altare, terrorizzato dall'apparizione di un messaggero di quel Dio da cui temeva una punizione per il suo operato. Re Gilbert, invece, si stava tenendo il braccio sinistro come se fosse stato colpito da un dolore improvviso. Ansimò per qualche secondo, poi crollò a terra scosso ad violenti spasmi.
«Gilbert!» esclamò lady Feamair, accorrendo al fianco del cugino. Credevo che lo disprezzasse, ma a quanto pareva si era affezionata a lui. Sicuramente fu l'unica a soccorrerlo, quando lo vide accasciarsi al suolo. Re Gilbert si contorse per una manciata di secondi, poi rimase immobile, gli occhi cerulei spalancati verso il cielo. Morto.
«Assassino!» gridò lady Aoife, finalmente realizzando ciò che aveva osservato. I suoi occhi verdi penetrarono i miei e dal lampo che li attraversò, capii che mi aveva riconosciuto.
Nello stesso momento anche Feamair si voltò verso di me: per una frazione di secondo la sua espressione rimase attenta, come se non riuscisse a capire chi avesse di fronte. Infine sussurrò incredula: «Sir Gregory?»
Fu allora che allungai nuovamente la mano verso di lei e per una terribile manciata di secondi pensai che non l'avrebbe presa, che non mi aveva perdonato. Si voltò alle spalle con uno sguardo ansioso, per vedere cosa avrebbe lasciato, ma quando tornò a guardare me era di nuovo piena di determinazione. Con uno slancio si alzo da terra, afferrò la mia mano e si lasciò portare via al galoppo, fuori dalla Cattedrale di Christchurc, lontana dal suo destino di regina del Leinster.

«Oh, sir Gregory, credevo che non sareste mai tornato» proruppe lady Feamair, gettandomi le braccia al collo.
Ci eravamo ritirati di nuovo nel mio piccolo appezzamento fuori Dublino, al sicuro.
«Non avrei mai potuto lasciarvi» sussurrai all'orecchio di Feamair, stringendola al petto. Nel momento stesso in cui potei riabbracciarla, mi sembrò di aver trovato finalmente la pace dopo mesi che brancolavo nel buio.
Quando mi sciolsi dall'abbraccio, passai qualche secondo ad ammirare il suo viso, i suoi luminosi occhi verdi, i capelli rossi raccolti nel bianco velo da sposa.
Feamair mi sorrise, ma poi si liberò teneramente dalla mia presa per abbracciare anche Cormac. «Ero disperata quando sei sparito, sai?» esclamò dopo averlo stretto a sé, tirandogli un pugno affettuoso alla spalla. «Sono stati i giorni peggiori della mia vita, rinchiusa al castello, con la terribile prospettiva di sposare mio cugino, senza sapere che fine avesse fatto il mio migliore amico».
Ma prima di poter continuare quella lamentela, si accorse che con noi c'erano anche delle creature che di umano aveano ben poco. «E questi chi sono?» domandò scioccata, osservando ora me, ora Cormac.
«Sono sidhe, ovviamente. Avevate ragione sul pozzo di s. Patrick e su Faerie» spiegai con un sorriso, come se si trattasse della cosa più normale del mondo.
Feamair accolse la notizia piuttosto tranquillamente, per la verità. «Lo sapevo che esisteva!» esultò, alzando il pugno al cielo. Poi mi guardò con aria perplessa, come se mi vedesse solo allora per la prima volta. «Ma sir Gregory... e il vostro mantello?» mi domandò, incredula.
Io mi strinsi nelle spalle. «Non ci stava sotto l'armatura» risposi con semplicità.
Lady Feamair tentennò solo per qualche secondo, poi mi gettò nuovamente le braccia al collo e mi baciò con passione.
Sì, ora lei per me era decisamente più importante di un vecchio cimelio di lana.
Quando ci sciogliemmo dall'abbraccio, lo sguardo di Feamair era dolce e amorevole. «Oh, sir Gregory, che ne sarà ora di noi?» mi chiese, con infinita dolcezza.
Io le risposi sorridendo. «Ci sposeremo e vivremo qui nel nostro piccolo appezzamento, insieme alla famiglia di Loihal. E ci costruiremo una casa tutta nostra e coltiveremo la terra...» cominciai a dire, ma Feamair mi interruppe.
«E che ne sarà degli altri? Mia zia Aoife, Isabel, il regno del Leinster, ora che Gilbert è... morto?» chiese con voce angosciata.
Io abbassai gli occhi a terra. «Mi dispiace per re Gilbert, non volevo che finisse così. È sempre stato una vittima innocente, prima di sua madre, poi del peso del regno che non riusciva a sopportare e ora...»
«Non vi angustiate per lui. Avete detto bene, era innocente e, anche se non sapeva reagire alle sue disgrazie, sono convinta che ora Dio lo tiene con sé e lui è in un posto migliore» mi rispose con dolcezza Feamair, accarezzandomi una guancia.
«Quanto al regno del Leinster, temo che il suo destino sia segnato, ormai. Non ci resta che tentare di vivere al meglio la nostra vita» soggiunsi poco dopo, con un sorriso amaro.
Feamair annuì, rassegnata. Purtroppo, non potevamo fare più nulla per salvare il regno dalle mani degli Inglesi.
Nefeleis si avvicinò a noi e richiamò la mia attenzione mettendomi una mano sulla spalla. «Per noi è giunta l'ora di andare» disse con la sua voce tranquilla e possente.
Io mi voltai verso di lui con uno sguardo riconoscente. «Non saprò mai come ringraziarvi».
«Non dovete farlo. Ho letto il vostro cuore e ho visto che è puro: avete venduto un vostro occhio, avete affrontato tanti pericoli e ci avete riportato la Pietra di Fàl solo per liberare questa donna che tanto amate. È stato un piacere aiutarvi» mormorò, facendo sembrare le mie sciocche avventure come eroiche imprese degne di essere raccontate dai cantastorie. «Io vi benedico, perché i primogeniti della vostra famiglia siano sempre maschi, affinché la vostra discendenza sia numerosa come i fiori di un campo in primavera».
E con quelle parole soffiò su di noi un alito di vita.
Sì, avevo davvero trovato la pace.







Ebbene, siamo giunti alla fine di questa storia! Martedì prossimo pubblicherò l'epilogo.
QUI, intanto un'immagine di Nefeleis, lo shide mago che aiuta Gregory.
Ah, mi dispiace tantissimo per Gilbert, ma è stata una scelta indipendente dalla mia volontà: Richard de Clare ha avuto un solo figlio maschio morto in giovane età nel 1185 (anno in cui è ambientata questa storia). Il destino di Gilber era segnato non da me ma dalla storia... il resto (matrimonio e infarto), è frutto della mia fantasia!
Grazie a tutti, e a martedì prossimo!
Beatrix

   
 
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