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Autore: _Bec_    10/04/2012    29 recensioni
"Tra l'odio e l'amore c'è la distanza di un bacio" dal punto di vista del protagonista maschile, Lorenzo Latini.
Per rivivere attraverso i suoi occhi la sua storia d'amore con Alice.
Può essere letta anche da chi non ha seguito la storia dal punto di vista femminile, ma consiglio comunque, se interessate, di leggere prima la storia originale.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                            Capitolo 2: La nanerottola petulante

 

 

Il cellulare vibrò per la terza volta e per la terza volta lo misi a tacere schiacciando i tasti un po’ a casaccio. Tanto ero già in ritardo, non aveva senso alzarsi così presto.

Mi sarei fatto accompagnare da Rossella o da Glenda in macchina, corrompendole in qualche modo.

Passarono altri cinque minuti e la sveglia suonò di nuovo.

Con la faccia ancora sul cuscino e grugniti inquietanti attutiti dalla stoffa, allungai un braccio e presi in mano il cellulare per leggere ciò che io stesso avevo scritto la sera prima.

 

Alzati coglione o vuoi arrivare in ritardo?!

 

Dovevo essere più convincente, come minaccia non era molto efficace, visto che non me ne fregava un cazzo di arrivare tardi in classe.

Eliminai il “o vuoi arrivare in ritardo” e lasciai “Alzati coglione!”, molto più d’effetto.

Rinominata la sveglia che sarebbe poi suonata le mattine successive, mi preoccupai di procurarmi un passaggio.

Rossella, con la sua costante sindrome premestruale, era da escludere, restava il chihuahua.

-Gleendaaa!- Gridai, senza muovermi di un millimetro da lì. Perché scomodarmi? Sarebbe venuta lei.

Udii dei frettolosi passi dietro la porta, prima che questa si spalancasse del tutto.

-Alzare il culo no, eh?- Sospirò lei scocciata.

-Mi serve che mi accompagni a scuola.- Lasciai ricadere il mento sul cuscino a peso morto, mentre lanciavo una veloce occhiata alla radiosveglia sul comodino. La parola “ritardo” albergava fissa nella mia testa, specie dopo aver visto quel 7 campeggiare vicino a quel 25.

-Tanto per cambiare.- Roteò gli occhi per la stanza e poggiò le mani sui fianchi, -Posso almeno sperare che tu da oggi in poi decida di trattare un pochino meglio Domenico?-

Trattare meglio quel viscido mollusco con cui stava? Non c’era neanche bisogno di pensarci su.

-No.-

Assottigliò lo sguardo irritata, -E allora ti scordi il passaggio.-

Nessun problema: Glenda era facilmente corrompibile con l’affetto, come mia madre.

-Non puoi semplicemente accontentarti della mia più sincera gratitudine? La sincera gratitudine del tuo adorato fratellino.- Una banconota da quattrocento euro sarebbe stata meno falsa del mio sorriso.

Lei schioccò la lingua infastidita, -Sei uno schifoso ruffiano.-

Arricciai il naso senza smettere di sorridere, -Lo so. Ma è anche per questo che mi vuoi bene e mi darai un passaggio.- Com’era facile lavorarsi Glenda.

-Per favore?- Suggerì accigliata.

Illusa. Mi stiracchiai come un gatto e mi alzai con calma, ignorando volutamente la sua richiesta, -Fai in fretta e lascia perdere il trucco, devo essere lì per le 8.10.- Quanto era bello schiavizzare la propria sorella troppo buona per rispondere a dovere.

Si lasciò andare ad uno sbuffo che le spostò la ciocca nera sulla fronte, -Ci metto il tempo che mi serve. Muoviti e vestiti, stronzo. O farai tardi anche in macchina.-

Avevo in mente di fare come aveva detto? Naturalmente no, feci tutto con comodo e ci misi più tempo del solito a sistemarmi i capelli bene in alto.

-Sei più lento e vanitoso di una ragazza.- Mi accusò lei, mentre mi specchiavo con minuziosità nello specchio sopra il lavandino del bagno.

Scrollai le spalle ed inclinai appena la testa per esaminare meglio quel ciuffo ribelle lì sopra, -Ho tutto il tempo di questo mondo, non ho voglia di fare in fretta.-

La vidi alzare un sopracciglio poco convinta, -Non eri in ritardo? Hai detto a me di muovermi, quando sei tu quello ancora a petto nudo.-

Che rottura di coglioni, cazzo, pure l’autista che mi metteva fretta! -Sono quasi pronto, inizia ad aprire la porta.-

-L’hai già detto due volte e siamo ancora qui.-

Mi voltai ghignando soddisfatto, -Beh questa volta è vero.-

Afferrai la prima maglietta che mi capitò in mano e me la infilai dando una veloce occhiata all’orologio. Le 7.50. Almeno avrei evitato quella nanerottola petulante, probabilmente aveva già preso l’autobus delle 7.35.

-Sua Maestà ha finito di prepararsi?- Mi sfotté Glenda, improvvisando un inchino chiaramente derisorio.

-Sei simpatica quanto una spina nel culo,- Sbattei le palpebre velocemente e sorrisi in modo forzato, -Non ti mando a cagare solo perché mi serve il passaggio.-

Lei fece roteare gli occhi per la stanza e le chiavi della macchina intorno all’indice, -Mi sembrava infatti che questa mattina fossi più simpatico del solito.-

Aprii la porta d’ingresso ancora sorridente, ma mi bastò voltarmi verso l’ascensore per bloccarmi di colpo.

Alice Puccio boccheggiava incredula di fronte a me e fino all’ultimo cercò inutilmente di nascondersi dietro il corpo del padre, un ometto quasi più piccolo di lei e dall’aria bonaria.

Perfetto. La giornata non poteva iniziare peggio, non vedevo proprio l’ora di incontrare un’isterica pazzoide di prima mattina.

-Ciao,- Feci un lievissimo cenno in direzione della nana, per poi rivolgermi a suo padre con il sorriso più amichevole che riuscissi a mostrare, -Salve.-

Luca Puccio era un tipo a posto tutto sommato. Il suo unico difetto era quello di essersi sposato con quella pazza di sua moglie e di aver poi avuto una cosetta del genere come figlia. Andava compatito.

-Lorenzo, ciao.- Sorrise entusiasta. Poveretto, chissà come doveva renderlo felice vedere persone al di fuori di quella gabbia di psicopatiche.

Glenda, alle mie spalle, salutò con un “‘Giorno” divertito, senza smettere un attimo di far tintinnare quelle dannatissime chiavi dell’auto.

Per qualche strano ed inquietante motivo, la Puccio mi sorrise, anche se quel ghigno non sembrava volesse dire “Ciao, come stai?”, un “Ti squarterò lentamente” piuttosto.

-Rossella! Buongiorno!-

Alzai gli occhi al cielo scocciato: possibile che ancora non riuscisse a distinguere il chihuaha dal rottweiler? Ma che ci voleva a capire che Glenda aveva i capelli corti e Rossella lunghi? Senza contare che Rossella molto probabilmente non si sarebbe neanche fermata a salutarli, li avrebbe snobbati fin da subito, come avrei tanto voluto fare io.

-Veramente sono Glenda.- Lo corresse lei tranquilla, con una pazienza che se fossi stato al suo posto se ne sarebbe già andata da un pezzo.

-Oh Glenda, scusa…- Si grattò la testa imbarazzato, -Dopo tutto questo tempo fatico ancora a riconoscervi.- Sembrava a disagio, come un bambino che si aspettava di ricevere una bella strigliata da un momento all’altro.

Non riuscivo a capire il perché di tanta mortificazione, in fondo aveva solo sbagliato un nome, non era mica un reato così grave. Oltretutto Glenda, non avendo il mio carattere irascibile, non lo avrebbe certo condannato per una sciocchezza simile.

-Non si preoccupi.- Appunto.

Gli sorrise e Luca Puccio sembrò quasi sollevato da quella reazione. Vivere con la moglie e la figlia gli dovevano aver dato alla testa, non c’era altra spiegazione.

L’ascensore finalmente arrivò e mia sorella si precipitò immediatamente ad aprire la porta esterna per far entrare tutti. Tipico di lei, non sarei mai riuscito a capire il perché di tanta educazione e disponibilità verso il prossimo.

Io la mattina –diciamo pure sempre- ero troppo scazzato persino per aprirla a me stesso la porta, figuriamoci se perdevo tempo e fatica per tenerla aperta a qualcun altro.

-Allora, Glenda, stai andando all’università?-

Mi voltai automaticamente verso il signor Puccio, tutto intento a cercare di dare il via ad un qualsiasi tipo di conversazione. Non doveva essere un amante dei silenzi imbarazzanti.

-No, sto accompagnando mio fratello a scuola perché è in ritardo.-

Sé, va beh, ritardo. Per soli venticinque minuti, quanto la faceva tragica.

Stavo per intromettermi nella conversazione per farglielo notare, quando i miei occhi incrociarono di nuovo quelli furiosi della mia adorabile compagna di classe.

Porco cazzo, aveva dei seri problemi mentali quella, perché diavolo continuava a lanciarmi simili occhiatacce? Non le avevo fatto nulla…non ancora almeno.

-Davvero? Tu in che scuola vai Lorenzo?-

Non lo sapeva? Non che avessi mai sostenuto una conversazione più lunga dei soliti “Salve” o “‘Sera” con lui, ma pensavo che la figlioletta perfetta avesse riferito al suo paparino i dettagli della sua prima giornata nella nuova scuola.

-Il Molinari.- Sorrisi a Puccio Senior, per poi spostare lo sguardo sulla figlia e ghignare soddisfatto di quell’espressione sconvolta. Pensava forse di tenerlo nascosto?

-Davvero? Anche mia figlia va lì adesso!-

Ma non mi dica, che cazzo di sorpresa! Pensi che siamo pure in classe insieme purtroppo e mi è bastato un solo giorno per etichettarla come il più fastidioso ed insignificante essere di questa terra.

Probabilmente non avrebbe mantenuto quell’espressione così amichevole se avessi esternato i miei pensieri.

-La sto accompagnando perché è in ritardo anche lei, vuoi che te lo dia io uno strappo?-

Guardai di sfuggita la Puccio e mi lasciai scappare un sorrisetto compiaciuto: era impossibile non notare quel rossore evidente sulle sue guance e quegli occhi indignati puntati sulla faccia del padre, quel poveretto avrebbe avuto vita breve se avessi accettato.

Però…a me serviva il passaggio e dovetti ammettere almeno a me stesso che irritare la bambolina mi divertiva.

-Certo, grazie.- Mi voltai a guardare Glenda e per un attimo sul suo volto scorsi pura incredulità, -Così risparmio il disturbo a mia sorella che deve studiare per un esame.-

Non ci fossero stati i due Puccio con noi, Glenda mi avrebbe ficcato un termometro in bocca e avrebbe chiamato preoccupatissima un’ambulanza, sostenendo agitata che il suo “fratellino” stesse delirando e fosse ad un passo dalla pazzia.

In effetti era stato strano persino per me sentirmi pronunciare quella frase, ci avevo messo troppo poco sarcasmo…

Mia sorella boccheggiò incerta per qualche secondo e sembrò seriamente sul punto di chiedermi se mi sentissi bene, dato che solo con la febbre a quaranta –ma neanche- avrei potuto dire qualcosa di così…premuroso.

Poi, accortasi dello sguardo di Puccio, si affrettò a rispondere, -Mi farebbe davvero un grandissimo favore, grazie.-

L’ascensore, nel frattempo, era arrivato al piano terra. Mai sei piani mi erano sembrati così infiniti.

Non mi dispiacque più di tanto fare la strada in macchina con Luca Puccio –e con quel piccolissimo dettaglio imbronciato seduto accanto a lui-, trovammo subito un argomento su cui incentrare un dialogo, argomento che escluse fin da subito il dettaglio nominato poco prima.

Puccio era milanista, ma stranamente non fu sgradevole parlare con lui di calcio, nonostante non nutrissi particolare simpatia per i milanisti in generale –Andrea era un’eccezione più unica che rara.

Arrivati a destinazione, lo salutai e ringraziai, per poi dirigermi verso l’entrata ignorando volutamente una seccante presenza alle mie spalle.

-Come diavolo ti è venuto in mente di accettare la proposta di mio padre?!-

Eccola lì. Sarei quasi rimasto deluso se non avesse detto nulla.

-Credi che non l’abbia capito che stai cercando di irritarmi a morte, eh?!-

Brava Puccio, dieci e lode. Allora non sei stupida come pensavo.

La guardai di sfuggita, indeciso se mettermi a ridere per il modo in cui ansimava affaticata per poter stare al mio passo, o risponderle seriamente.

-Ero in ritardo e mi serviva un passaggio…- Alzai le spalle con noncuranza, -Non pensare che il mondo ruoti intorno a te, mia cara.- Sorrisi di sbieco, senza rallentare nemmeno un po’. Vederla arrancare così tanto per starmi dietro era stupendo.

-Io non penso che il mondo giri intorno a me. Sei tu l’arrogante che lo pensa.-

Precisamente. Ma chi era lei per venirmi a dire una cosa del genere?

-Non mi conosci nemmeno, come fai a dirlo?- Inarcai un sopracciglio, curioso di sentire quale sarebbe stata la sua risposta.

Alzò il mento altezzosa e fece una piccola smorfia, -Quel poco che conosco mi basta credimi, non mi serve altro per capire di che pasta sei fatto.-

Di che pasta ero fatto? Sul serio? E ci era arrivata da sola o le aveva dato una mano il suo piccolo e malfunzionante cervello da bionda?

-È molto stupido da parte tua giudicare quello che non conosci bene.- Ghignai soddisfatto e vittorioso.

Oh Puccio, non fare quella faccia su. Me le servi su un piatto d’argento le risposte…servissi anche qualcos’altro su un piatto d’argento, evitando magari di parlare con quella vocetta del cazzo che ti ritrovi…

Non le diedi il tempo di rispondere, le voltai le spalle con ancora quel sorriso stampato in faccia e raggiunsi Andrea e Giulio seduti sugli scalini davanti all’ingresso.

-Oh bella Lore! Non sai che cazzo di voglia c’ho di balzare* (*bigiare, marinare la scuola) oggi.- Andre si accese la sua solita sigaretta con fare annoiato, stravaccandosi poi con la schiena e i gomiti sullo scalino dietro.

-Figa oggi c’è pure quella troia di geografia, ci fa le domande sui capitoli che ha dato da fare per l’estate.- Giulio aggrottò la fronte contrariato, -Voi sapete qualcosa?-

Lo guardai scettico, -Ma ti pare? Non ho aperto neanche il libro.- Non ricordavo nemmeno più come fosse la copertina del libro di geografia, l’avevo dato per disperso nella mia stanza da mesi ormai.

-Ma sì, tanto farà le domande che ci sono in fondo al capitolo, basta segnarsi le risposte.- Andre annuì soddisfatto; per la prima volta aveva fatto un discorso intelligente, la cosa aveva dell’incredibile.

-Giusto!- Giulio si diede un colpo in fronte, -Bon, io inizio ad andare in classe allora, vedo di segnarmi qualcosa sulle mani e sul banco.- Ci salutò e salì gli ultimi scalini a passo lento e pesante prima di entrare.

-Oh, io invece ti devo raccontare poi come è andata con la spagnola…-

Ghignai e mi sedetti vicino ad Andre incuriosito, -Ah già, la spagnola di sabato sera…allora?- Chiesi immaginandomi già la risposta.

-Uno schifo guarda.-

Arretrai di poco con la testa stranito, -Come uno schifo? Era figa scusa…-

-Sì, quello sì, ma…- Mi sembrò quasi che stesse trattenendo dei conati di vomito, -Praticamente…me la porto a casa, no? Inizio a farmela e…-

Spalancai occhi e bocca piuttosto disgustato, -Oh Cristo, era un uomo?!-

Mi lanciò un’occhiataccia risentita, -No coglione, era una donna!-

Tirai un sospiro di sollievo. Non ci tenevo particolarmente ad avere tutti i dettagli della vicenda se quella strafiga di Lolita fosse stata un…Lolito.

-E allora?- Sollecitai impaziente.

-E allora inizio a farmela subito…ci saremmo detti sì e no due parole in croce e non ho capito nemmeno quelle, visto che parlava spagnolo…- Fece una smorfia; già per lui era difficile stare a sentire le italiane, figuriamoci le spagnole.

-Le cose si fanno più spinte…- Proseguì, facendo delle pause per dare al tutto più pathos, -La spoglio, lei mi spoglia e le ficcò una mano nella…-

-Ah-ah.- Sorrisi furbescamente; il racconto si faceva molto interessante.

-La faccio godere,- altra pausa enfatica, -gemeva di brutto porca puttana…- I suoi occhi si accesero di eccitazione al ricordo.

-Continuo per un po’….e come tolgo la mano…- L’entusiasmo di Andre si spense di botto, lasciando posto solo ad un’espressione delusa e schifata, -Avevo il Mar Rosso fino al braccio.-

Ci misi un attimo a ricollegare il tutto, ma quando compresi la fine di quel racconto, incominciai a ridere fino a lacrimare, -Oh cazzo, non ci credo!-

-Te lo giuro! Ma che cazzo di schifo, stavo per mettermi a vomitare davanti a lei!-

Schizzinoso com’era lo credevo bene!

-E lei? Ma scusa non ti ha fermato?-

-Ma ti ho detto che non abbiamo praticamente parlato! E poi come me lo diceva? Come cazzo si dice mestruazioni in spagnolo?! Se anche me lo avesse detto non l’avrei capita!-

Stavo soffocando, sarei finito all’ospedale di lì a poco, non riuscivo a respirare per il troppo ridere.

-‘Fanculo, mai più con una spagnola. Ok che te la smollano subito, ma se devo trovarmi in un lago di sangue!-

E Andrea non aiutava di certo a farmi smettere, –Cioè, capitano tutte a te Andre!- Riuscii a dire, fra una risata e l’altra.

-Minchia veramente…-

Dopo quel brillante racconto, ci decidemmo finalmente ad entrare in classe, visto che la campanella era già suonata da un bel po’.

La prof fortunatamente non era ancora arrivata, così potemmo continuare a parlare indisturbati e a cazzeggiare per altri cinque minuti.

Quando entrò in classe, Claudia Rettino -soprannominata da tutti Rett, iniziò a raccontarci delle sue meravigliose –chiaramente era ironico- vacanze in Cina.

Mi domandai davvero cosa avrei fatto se la prof non fosse stata così generosa da condividere con noi la sua emozionante esperienza. Probabilmente mi sarei buttato giù da un balcone.

Ero certo che praticamente nessuno la stesse ascoltando, chi poteva essere così sfigato e masochista?

I miei occhi si posarono involontariamente su una schiena ritta coperta da una liscia cascata di capelli biondi e trovarono risposta. Solo la Puccio.

-Della serie “che cazzo ce ne può fregare a noi delle vacanze della Rett”?- Scherzò Andre, dandomi una gomitata.

Ridacchiai, -Di che minchia ti lamenti? Almeno non interroga.-

Le ultime parole famose.

L’inutile discorso della prof finì e nella classe calò un silenzio tombale.

Per la gioia di tutti, la Rett chiamò per primo Garbatelli, il secchione della classe, chiedendogli la risposta alla prima domanda dell’esercizio 1 in fondo al capitolo 22.

Feci un rapido calcolo e conclusi che a me sarebbe toccato rispondere alla domanda 3 dell’esercizio 2, così scorsi le pagine del capitolo in cerca della risposta e me la segnai a matita sul banco.

Quando arrivò il mio turno, la Rett mi fece, come previsto, proprio la domanda numero tre; buttai con nonchalance un occhio sul banco e lessi la risposta.

La Rettino si sistemò gli occhiali sul naso e annuì, -Sì, va bene.-

Mi stiracchiai e ghignai soddisfatto: un più sul registro senza aver fatto un emerito cazzo, la giornata iniziava bene.

-Sì, Puccio?-

Sbattei le palpebre perplesso.

Puccio? Che c’entra la Puccio?

-Mi scusi professoressa.-

Poteva la voce di un essere umano essere tanto odiosa e saccente?

Spostai annoiato il mio sguardo su di lei: si stava attorcigliando una ciocca di capelli al dito e sorrideva come solo una bambina stupida poteva fare.

-Ma mi sembra giusto informarla che Latini si era scritto la risposta sul banco. Insomma, mi sembra una mancanza di rispetto nei suoi confronti.-

Man mano che aveva parlato, i miei occhi si erano spalancati increduli.

Ma che grandissima troia!

Non aveva niente di meglio da fare che guardare quello che facevo e rompermi i coglioni?!

Fatti una vita Puccio.

Sentii a malapena il commento di Andre, così come non feci più di tanto caso a Lele che si sporgeva verso di me per passarmi la gomma.

Continuai a fissare in tralice la Puccio che non nascose un sorrisino soddisfatto nel vedere la prof avanzare verso di me per controllare.

-Cancella, cancella!-

Decisi di seguire il consiglio di Lele e di provare a cancellare, almeno in parte, la mia precedente e brillante risposta. Non servì a molto, ovviamente, la prof si accorse subito del mio tentativo di nascondere le “prove”.

-Latini, è scrivendoti le cose sul banco che speri poi di passare l’esame di maturità?-

E quella cos’era, una domanda retorica? Sperava forse che le rispondessi “No, prof, ha ragione”? Che mi scusassi? Ingenua. Di certo non avrei dato quella soddisfazione né a lei, né tantomeno alla Puccio.

-Perché no?- Risposi ghignando.

Lei fece una smorfia contrariata, -Per stavolta ti prendi un impreparato sul registro Latini. La prossima volta scatta il 2.-

Annuii senza smettere di sorridere. Capirai, per un impreparato all’inizio dell’anno, c’era tutto il tempo di recuperare.

Non appena la Rett si girò, digrignai un –Brutta stronza…- neanche a voce troppo bassa.

-Come?- Quello che doveva essere uno sguardo minaccioso, non fece che farmi trattenere a stento una risata.

-Dicevo stronza.- Voleva lo spelling della parola forse?

Prima che potesse esploderle la faccia per la rabbia, precisai che quell’insulto non fosse rivolto a lei, ma alla cara Puccio.

Puntai gli occhi sulla nanerottola e la squadrai infastidito, ricevendo in risposta lo stesso identico sguardo astioso di quella mattina.

Non avessi saputo come stavano le cose, avrei quasi pensato che stesse cercando di attirare la mia attenzione, perché diavolo continuava a provocarmi in quel modo? Ancora per la storia del suggerimento sbagliato? Se l’era presa per una cavolata del genere?

-La Puccio ha fatto più che bene ad avvisarmi. E per questo tuo comportamento Latini ti prendi anche una bella nota sul diario che voglio vedere firmata da tua madre domani.-

Minchia, si faceva severa la Rett! Peccato che nemmeno quello servì a farle guadagnare un pochino di rispetto da parte della classe.

-Va bene.- Scrollai le spalle e le passai il diario. Mia madre era abituata al peggio, in seconda ero stato sospeso per aver quasi dato fuoco al banco e mi ero preso tante di quelle note perché beccato a fumare in bagno…

Al massimo poi avrei potuto falsificarla io la sua firma, nulla di cui preoccuparsi.

Scrisse sul diario del mio comportamento maleducato e scorretto nei suoi confronti e dell’insulto rivolto alla mia compagna, per poi firmare con foga alla fine di tutto.

Una nota il secondo giorno di scuola, questo era un record anche per me…e tutto per colpa di quella pazzoide.

Attesi impaziente la fine dell’ora, poi, una volta suonata la campanella, mi alzai in fretta e mi diressi al banco della Puccio pronto ad incuterle almeno un po’ di timore per fargliela pagare.

-Ehi stronzetta, ti sei divertita a guardare mentre mi metteva quella cazzo di nota, eh?-

Ero incazzato nero. Non tanto per la nota in sé, quanto per il fatto che per colpa di quella stronza, la Rett, dopo quella storia, mi avrebbe tenuto d’occhio durante le verifiche. Ed io ero uno dei tanti che faceva affidamento sulle foto del libro fatte con il cellulare. Per un bel po’ di tempo mi sarebbe toccato studiare, una tragedia.

La vidi alzare lo sguardo per affrontarmi con decisione, ma in un attimo, i suoi occhi persero tutta quella sicurezza e si sgranarono sorpresi e disorientati.

-Ehm…-

Ehm, Puccio? È tutto quello che sai dire?

-Hai perso la parola, forse?- Domandai, senza smettere nemmeno per un secondo di fissarla.

Ero al corrente di avere un certo effetto sulle ragazze, ma sapere di averlo anche sulla nanerottola snob era senza alcun dubbio una gradevole notizia che mi fece più piacere di quanto io stesso ammisi.

Se era sufficiente una vicinanza così marcata a zittirla...mi sarei risparmiato tanti suoi urletti isterici da lì in poi.

-No.- Scosse la testa ponendo così fine al nostro contatto visivo, -La mia era solo una piccola vendetta per quello che hai fatto ieri.-

Avevo ragione allora, alla Puccio non era ancora andato giù il fatto che le avessi suggerito la risposta sbagliata di proposito.

Isterica, petulante, fastidiosa e pure rancorosa. Ma aveva almeno un pregio quella ragazza? A parte il fattore estetico, su quello nulla da dire. Certo, con una quarta di seno sarebbe stata ancora più piacevole da guardare, ma…stavo divagando, quello non c’entrava nulla.

Schioccai la lingua annoiato, -Oh andiamo, non dirmi che te la sei presa per ieri Puccio. Era solo una cazzata e sinceramente non credevo nemmeno che avresti scritto quello che ti avevo detto, era così ovvio che due terzi fosse sbagliato.-

Impossibile non ridere al ricordo della figuraccia che aveva fatto. Com’era possibile che si fosse fidata così ciecamente del mio suggerimento? Non le era venuto nemmeno per un attimo il dubbio che la risposta potesse essere sbagliata? Oltretutto pure una bambina avrebbe capito che lo era.

-Non ho riflettuto prima di scrivere, ma lo sapevo che era sbagliato!- Sbraitò punta sul vivo.

-E allora perché l’hai scritto?- Alzai un sopracciglio curioso, in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.

-Perché ero alla disperata ricerca di un suggerimento e avrei accettato persino l’aiuto di un opossum siberiano se fosse servito a qualcosa.-

In un primo momento, troppo preso ad esaminare dall’alto in basso quel visetto imbronciato, non feci nemmeno caso alla sua frase demenziale.

Quando poi la assimilai, trattenni a stento una risata, -Un opossum siberiano?- Lo aveva davvero detto? Ma quanto era scema quella ragazza?

Mi sorprese nuovamente con la sua risposta: invece di ritrattare, correggersi o giustificarsi, si limitò a rispondere con un “Sì” convinto. Come se parlare di opossum siberiani fosse normale.

-Immagino. Comunque sappi che ti sei tirata addosso tutta l’antipatia della classe e soprattutto…- Mi avvicinai nuovamente con il viso, scoprendomi particolarmente appagato nel vederla indietreggiare a disagio.

-Soprattutto...?- La voce le tremò leggermente sull’ultima sillaba.

-Ti sei messa contro di me…e non ti conviene avermi come nemico.- Soffiai sorridendo a due centimetri dalla sua faccia.

Un’ondata del suo profumo -stranamente buono e per nulla nauseante come me l’ero immaginato-, mi investì e mi fece perdere per un momento il filo del discorso.

Di che stavamo parlando?

La vidi tremare leggermente e le sue guance, dopo quell’ultima mia frase, assunsero un invitante color rosso.

Deglutì e fece un minuscolo e probabilmente involontario passo indietro, -Capirai…credi di spaventarmi?-

Spaventarla? Ah sì, le avevo appena detto che non le conveniva mettersi contro di me, giusto.

-A te non conviene avermi come nemica!- Incrociò le braccia al petto e mi fissò dal basso dopo aver riacquistato la sua solita aria ostile.

Peccato che la sua voce era uscita stridula e tremolante e le sue guance, se possibile, erano diventate ancora più rosse.

Scoppiai a ridere davanti a quel ridicolo tentativo di essere spavalda.

-Sto davvero tremando dalla paura.- Le voltai le spalle e me ne tornai al mio banco, la sua faccia paonazza ed il suo profumo dolce ancora in testa.

 

 

 

*Note dell’autrice*

 

Sono in ritardo di un giorno rispetto alla data stabilita sul gruppo e sono in ritardo di…mesi? Diciamo mesi, sono in ritardo di mesi qui su EFP, visto che il primo capitolo l’ho postato un bel po’ di tempo fa.

Vi chiedo infinitamente scusa per questo ritardo, sto facendo il possibile per continuare tutte le storie postate e gli extra di Lore e Ali (inizierò a postare anche quelli il prima possibile, il tempo di studiare e scrivo sempre quando mi è possibile).

Sabato ho postato il nuovo capitolo di Time is running out, oggi questo…prossimamente arriveranno anche Emma e il primo extra di Tra l’odio e l’amore, non perdete le speranze, non sospendo nulla!

Detto questo, vi ringrazio di cuore per l’accoglienza dedicata a questo pov di Lore, non so davvero che dire, se non che sono contenta che entrare nella testa di questo cretino vi sia piaciuto così tanto ;)

Devo rispondere ancora alle recensioni, ormai faccio schifo, non riesco più a rispondervi come vorrei e la cosa mi dispiace da morire perché voi impiegate tempo per scrivermi e avessi più tempo vorrei davvero poter ricambiare…lo farò, giuro. Non so come, non so quando, ma lo farò. Perché ci tengo e perché ve lo meritate. Lo so, può sembrare una promessa al vento, ma non lo è. Bene o male mantengo sempre quello che dico, ecco perché questo capitolo è qui ;)

Volete la storia tutta dal punto di vista di Lore (ho letto le vostre recensioni e questo dice la maggioranza) ed eccola qui, per voi.

Spero che questo capitolo non vi abbia fatto troppo schifo, essendo uno dei primi, le cose fra i due sono ancora molto freddine, sapete anche voi che si scalderanno nei prossimi!

Colgo l’occasione per scusarmi dei discorsi fra Andrea e Lore, sono di una volgarità tremenda, lo so, ma…penso siano verosimili, i ragazzi di oggi parlano e pensano in questo modo (credo, ce l’ho messa tutta per entrare nella testa di un ragazzo xD). La storia della spagnola è vera, un mio amico mi ha raccontato la stessa identica storia che Vergata ha raccontato Lore e…inutile dire che ne sono rimasta traumatizzata xD

Ok, queste note stanno diventando un po’ troppo lunghe, vi lascio con uno spoiler del prossimo capitolo che ho postato nel gruppo, augurandovi, in ritardo, una Buona Pasqua!

 

 -Vediamo una cosa...-
In un battito di ciglia, Andre batté sui tasti e scrisse un nome sul motore di ricerca in alto; il risultato che venne fuori fu decisamente un bel colpo...al basso ventre.
Porca puttana...
Alice Puccio, 4 amici in comune.
Nell'immagine del profilo era sdraiata sulla spiaggia, appoggiata sui gomiti, le caviglie incrociate in aria e il mare alle sue spalle.
Seguii con lo sguardo la linea delle sue gambe, del suo culo e della sua schiena, fino ad arrivare alle spalle e alle braccia che nascondevano -purtroppo- il seno coperto solo dal misero pezzo di sopra del bikini.
Deglutii a vuoto decisamente accaldato.
'Sti cazzi. Ma era possibile eccitarsi così tanto solo vedendo una foto? Per giunta nemmeno così porno.
E poi...merda, era quella nanerottola rompicazzo della Puccio, come cazzo faceva ad essere così arrapante?
-Minchia!- sbottò Andre sgranando gli occhi, -Questa è da sega davanti al pc!-
Sì beh, non l'avrei mai detto davanti a lui, ma era proprio quello che stavo pensando.
-Ma non dire stronzate va!- la mia voce uscì flebile, strozzata, incrinata. Non ero credibile per niente.
-Certo...- fece roteare gli occhi per la stanza, -Dillo magari quando non stai per venire solo a guardarla.-

 

Un bacione, alla prossima!

Bec

   
 
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