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Autore: ObliviateYourMind    10/04/2012    1 recensioni
Victoria è una ragazza che ha realizzato il suo sogno: è la cantante di un famoso gruppo rock. Un giorno, però, un evento inaspettato sconvolge la vita di Vic e i suoi rapporti con le altre persone, portandola a riflettere su se stessa e su tutto ciò che è accaduto.
Che cosa le è successo e che cosa l'ha condotta fino a lì? Sta a voi scoprirlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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God knows the world
doesn’t need another band..
(...)

I can't believe we almost hung it up,
We're just getting started!

 

 

Il dottor Folkner continuava a fissarmi con insistenza, ed io cominciai a sentirmi leggermente a disagio, anche se non sapevo bene per quale motivo.

Decisi che gli avrei raccontato la storia in modo molto veloce ed evitando di addentrarmi nei particolari: non mi andava di restare lì per troppo tempo, desideravo tornare a casa e riposare il più presto possibile. I miei genitori avevano ricominciato a chiacchierare, e Josh, mio fratello, stava fissando un punto indistinto fuori dalla finestra.

«Allora...la vera storia, eh? Beh, io avevo tredici anni, e decisi di frequentare un corso di chitarra elettrica assieme alla mia migliore amica di allora...»

Il dottore annuì, poi improvvisamente disse: «Ah, aspetta, forse ho indovinato! È lì che hai incontrato i ragazzi! Vero?»

«No, dottor Folkner, mi dispiace deluderla. In realtà ci iscrivemmo, ma eravamo solamente in quattro a lezione. C'erano un'altra ragazza di nome Julia e un ragazzo, John, che erano molto simpatici. La nostra insegnante ci fece partecipare ad uno spettacolo di musica che si tenne a teatro, qui a Denver. E lì..beh, ho conosciuto i ragazzi.»

«Dottore? La signora della camera accanto ha bisogno di lei..se potesse venire, per piacere..»

L'infermiera che poco prima era uscita dalla stanza ora era sulla porta e si affacciava timidamente.

«Oh, sì..ditele che arrivo subito, Marion.» L'infermiera annuì e sparì nel corridoio.

Il dottor Folkner mi fissò per un istante, sembrava mi volesse dire qualcosa che non riusciva a ricordare. A quanto pare cambiò idea perché pochi secondi dopo disse: «Allora, Victoria, ti devo lasciare! Ovviamente spero di rivederti presto, magari in occasione di un miglioramento», e mi fece l'occhiolino accennando al letto dove mia nonna era stesa.

«Arrivederci signori, ciao Josh! Ci vediamo» disse, stringendo la mano ai miei genitori che erano ancora presi dalla loro discussione.

« Arrivederci dottore, e grazie per tutto quello che sta facendo assieme alla sua troupe, grazie davvero.» disse mio padre mentre il dottore camminava a grandi passi verso l'uscita.

«Si figuri!» rispose Folkner, ma la sua voce era ormai un'eco lontana che si disperdeva lungo il luminoso corridoio.

 

«Adesso che fai, Vic? Torni a casa o resti qui ancora un po'? Io vado, ma tuo padre e Josh preferiscono rimanere..fai come preferisci!» mi disse mia madre alzandosi in piedi.

«Vengo con te, ho voglia di rimanere un po' a casa»

Josh mi venne incontro e mi strinse in un abbraccio affettuoso e anche un po' inaspettato. Pensai che fosse davvero incredibile quanto questo suo gesto potesse farmi sentire meglio. Lo amavo così tanto.

«Grazie, Josh» dissi, con gli occhi un po' lucidi dall'emozione.

«Ciao bella, a dopo.»

 

Salutai mio padre e mi avvicinai al letto di mia nonna.

«Ciao nonna. Adesso io devo andare, ma non ti preoccupare perché tornerò presto. Cerca di riprenderti, ok?» le sussurrai. Non mi aspettavo una vera e propria risposta, naturalmente, ma parlarle come se lei mi potesse sentire mi faceva stare meglio, mi dava un briciolo di speranza.

Mi incamminai verso la porta assieme a mia madre ed uscii in corridoio, dopodiché scendemmo al piano terra e attraversammo l'enorme parcheggio dell'ospedale in cerca della nostra auto.

Il cielo non era più sereno come quando eravamo arrivati, ora alcune nuvole oscuravano il sole e regalavano alla città un'aria misteriosa. Il viaggio in auto fu tranquillo: mia madre era abbastanza silenziosa, ma forse solo perché il suo cd preferito era in riproduzione. Mentre lei canticchiava distrattamente, io cominciai a fantasticare, o meglio, a ricordare.

 

La storia che il dottor Folkner mi aveva chiesto di raccontare non costituiva solamente un vago ricordo per me, anzi: era come impressa a fuoco nella mia memoria. Anche oggi, a distanza di anni da quella mattina, penso che quello in cui conobbi i ragazzi del gruppo fu uno dei giorni più belli ed emozionanti della mia vita.

 

La nostra insegnante, MaryJane, ci aveva giocato uno scherzo: aveva detto che sarebbe rimasta assieme a noi durante la serata, invece quando finimmo di accordare gli strumenti ci accorgemmo che lei era sparita tra il pubblico. Voleva che imparassimo ad arrangiarci, era un comportamento tipico di lei e della sua personalità eccentrica. Sul momento io, Julia e John andammo nel panico. Il teatro ormai era gremito di gente, e noi non sapevamo cosa fare né dove andare. Non dimenticate che eravamo giovani e inesperti, oltre che alquanto ingenui. John suggerì di provare a cercare un camerino di prova per gli artisti in modo da poter riprovare le nostre canzoni con un po' di tranquillità. In effetti sarebbe stata un'idea brillante, se non fosse stato per il fatto che tutti i camerini erano già occupati. Gli addetti alla sicurezza, vedendo che eravamo provvisti di strumenti, non esitarono a farci passare, ma a quel punto si poneva il problema di dove andare. Facemmo irruzione in un paio di camerini, tutti inesorabilmente occupati. Stavamo già per farci prendere dallo sconforto quando John, demoralizzato, aprì l'ennesima porta. Io e Julia ci alzammo in punta di piedi per riuscire a vedere l'interno della stanza.

«Potete restare qui, se volete! Siamo già in quattro, ma non è un problema! Venite pure dentro!».

A quanto pare qualcuno desiderava che entrassimo. Timidamente, sgusciammo all'interno.

La stanza era piccola e priva di finestre, e all'interno faceva un caldo pazzesco. Le pareti erano tinteggiate di arancione; alla mia sinistra c'erano un minuscolo divano nero e, quasi a ridosso della porta, un armadio marrone con le ante quasi completamente scardinate; mentre dalla parte opposta della stanza, un piccolo tavolo sembrava compresso in un angolo. La luce era fioca, e faceva sembrare la stanza ancora più piccola di quanto già non fosse. Mi guardai intorno e rimasi sorpresa: c'erano davvero tante – troppe – persone là dentro, o forse era solo una mia impressione data dalle dimensioni della stanza. Un ragazzo basso e magro, con i capelli scuri che gli ricadevano sugli occhi era appoggiato in piedi nell'angolo più lontano della stanza, e stava suonando qualcosa con la chitarra; era talmente concentrato su ciò che stava facendo che non alzò nemmeno gli occhi per vedere chi fosse entrato.

Altri due ragazzi erano seduti sul tavolino di cui parlavo, ma al contario del ragazzo con la chitarra, ci stavano guardando incuriositi. Uno di loro indossava una camicia a quadri nera e rossa, aveva i capelli castani dal taglio corto e un paio di bacchette in mano. L'altro, che mi colpì molto, era decisamente magro e alto, indossava una maglietta viola e aveva i capelli castani e lunghi fino alle spalle.

La mia testa cominciava a girare, mi mancava l'aria.

«Ehm...ciao» disse John, tentando di rompere il ghiaccio.

«Ciao! Siete anche voi qui per lo spettacolo, vero? Io sono David, piacere!» disse un ragazzo che prima d'allora non avevo notato, facendosi avanti e stringendo la mano a John. Io non mi sentivo affatto bene, le pareti cominciavano a ondeggiare stranamente.

«Noi dobbiamo suonare per ultimi purtroppo...è una bella rottura di palle restare qui ad aspettare!».

Il ragazzo di nome David sembrava essere l'unico propenso a fare una chiacchierata. In effetti, non la smetteva di parlare.

«Sapete, noi stasera suoniamo una canzone dei Cranberries ed una dei Guns! E voi?»

«Noi solamente una dei Sum 41, Pieces.» rispose prontamente Julia.

«Ah, comunque loro sono Matthew, Brian – e indicò i due ragazzi seduti sul tavolino – e Luke, mio fratello. È quello lì, nell'angolo, e sta provando da solo la sua parte di canzone.»

«Io invece sono John, e loro sono Julia e Victoria.»

Tutto questo era troppo per me. David non la smetteva di blaterare, ma ormai la sua voce arrivava alle mie orecchie come attutita. Persa nei miei pensieri, lanciai un'occhiata distratta verso i due ragazzi seduti sul tavolino, e vidi che quello vestito di viola mi stava fissando insistentemente; distolsi subito lo sguardo, ma non feci nemmeno in tempo a sentirmi vagamente imbarazzata che le forze mi abbandonarono e la mia testa si svuotò.

 

 

Nel buio sentivo delle voci. State zitti, lasciatemi in pace.

«Vicky? Victoria? Mi senti? Cazzo, mi sa che c'è davvero troppo caldo qua dentro. Aprite la porta..».

Era la voce di Julia. Qualcuno mi stava tenendo la testa sollevata, ed io lentamente riaprii gli occhi.

«Scusate, non mi sentivo molto bene...fa caldo» dissi, alzandomi faticosamente. Julia mi cinse i fianchi e mi aiutò a restare in piedi.

«Stai bene?»

Era stato il ragazzo vestito di viola a parlarmi. Ora era in piedi di fianco a me e mi porgeva la mano.

«Ciao, io sono Brian. Ehm..piacere di conoscerti»

«Il piacere è tutto mio, Brian»

 

 

Il resto del tempo lo strascorremmo parlando, in attesa che arrivasse il nostro turno. Io, John e Julia avevamo scoperto che noi saremmo stati i penultimi a esibirsi, quindi prima del gruppo che avevamo appena conosciuto.

Parlammo di musica, di scuola e di altre cose più o meno inutili, ma che ci permisero di conoscerci meglio gli uni con gli altri.

Dopo essermi ripresa dallo svenimento mi sentii decisamente meglio, e riuscii persino a partecipare alle conversazioni. Con il passare del tempo, notai che sia David che Brian mostravano un particolare interesse nei miei confronti, e che facevano un po' “a gara” a chi riusciva ad essere più spigliato.

Sarei una bugiarda se non ammettessi che David si fece notare venti volte più di Brian.

Nonostante questo, però, io non riuscivo a togliermi dalla testa quella voce che mi chiedeva “Stai bene?” e mi ritrovavo spesso a fissare quel viso tanto dolce, nei pochi momenti di silenzio che c'erano nella stanza.

Ovviamente, appena anche lui si voltava verso di me, io facevo finta di niente: ero troppo timida per sbilanciarmi.

Dopo un paio d'ore, finalmente fu il momento delle esibizioni.

La nostra non fu proprio un successone, eravamo molto emozionati e sbagliammo diverse cose.

Appena la canzone finì e partirono gli applausi da parte del pubblico, presi la mia chitarra e mi diressi verso le quinte, dietro le quali aspettavano i ragazzi del gruppo.

«Sei stata bravissima, complimenti» mi disse dolcemente David mentre sistemavo lo strumento.

«Grazie mille» risposi io con un sorriso.

Inconsciamente, cercai Brian lo sguardo, e lo trovai: non mi stava affatto fissando, bensì chiacchierava animatamente con Matthew e Luke. Povera illusa. Che cosa mi aspettavo, da uno che conoscevo da poco più di due ore?

 

 

Think of me when you're out, when you're out there..I'll beg you nice from my knees ..”

I miei pensieri furono interrotti improvvisamente dalla suoneria del mio telefono, che ora risuonava forte nell'abitacolo dell'auto.

«Ti decidi a rispondere? Non mi piace per niente quella canzone!» sbraitò mia madre.

«Mi dispiace mamma, ma tu di musica non te ne intendi proprio, eh.. sono i Paramore questi, e lo sai che sono il mio gruppo preferito»

«Va bene, come vuoi tu...adesso però rispondi, sennò riattaccheranno».

«Sì, pronto?»

«Ciao Vic. Sono Brian»

«Ehy, ciao! Come stai? E i ragazzi? Che bella sorpresa!»

«Io sto bene, grazie, e anche gli altri, a parte Luke che s'è preso il virus intestinale...comunque, non volevo parlarti di questo...volevo darti una notizia che spero ti farà felice.»

«Davvero? Dài, dimmi pure». Ero davvero incuriosita.

«Il manager ci ha dato qualche giorno di pausa prima di riprendere il tour. Lo sai, vero, che tra un mesetto dovremo suonare a Tokio? Ecco, fino ad allora possiamo fare quello che vogliamo, ed io pensavo di tornare a Denver, domani

«Dici davvero? Oh, Brian, sarebbe stupendo! Domani...cavolo, così mi fai svenire..come quando ci siamo conosciuti, ricordi?»

«Sì Vic, me lo ricordo eccome! E chi se la dimentica quella serata? - e scoppiò in una risata – Sai, mi manchi tantissimo. Questa sarà la nostra occasione per passare un po' di tempo insieme, da soli.»

«Non vedo l'ora. Dimmi solo a che ora sarai qui, io verrò a prenderti con l'auto»

«Nel pomeriggio credo, verso le quattro e mezzo»

«Va bene allora, a domani. Chiamami quando arrivi!»

«Okay, certamente! Ah, Vic..senti...»

«Sì?»

«Ti amo»

«Ti amo anch'io, Brian. Tantissimo. Un bacio», e riattaccai.



Il resto della giornata passò tranquillamente.

Io e mia madre pranzammo, dopodiché tornarono a casa anche mio padre e Josh. Stranamente non feci caso né alle urla che provenivano dalla camera da letto di Josh, né alle lamentele di mia madre riguardo il disordine, e nemmeno ai brontolii di mio padre che non era soddisfatto del nuovo abbonamento tv.

Tutti i miei pensieri, tutte le mie forze esistevano solamente in funzione di Brian.

Il giorno dopo l'avrei rivisto e, insieme, avremmo passato un altro dei giorni della nostra corta ma significativa esistenza.

 

 

 

Credits: la canzone citata all'inizio è Looking Up, quella citata nel testo è All I Wanted, e sono entrambe dei Paramore.

Tutti i personaggi presenti in questo capitolo sono di mia invenzione (tranne ovviamente la band dei Paramore).


   
 
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