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Autore: imnotme    10/04/2012    0 recensioni
Dare senso alle proprie azioni e mantenere una coerenza di base con le proprie idee, è ciò a cui a molte persone risulta più difficile ed è per questo si inventano scuse, si costruiscono castelli in aria, si abbandonano a distrazioni che bruciano il cervello, corrono disperatamente dietro a mete irraggiungibili, pur di non ammettere la realtà. Jackie cerca di uscire da una vita di distrazioni e scuse tornando proprio lì dove ha toccato il fondo. Ma riuscire a venir fuori dal vortice di droga e sesso di Los Angeles non è esattamente facile.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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«Jack, sei arrivata?»

«Sì tesoro, ma se non smetti ti telefonarmi e scrivermi ogni due minuti mi muore il telefono prima di arrivare da Mick. Mi faccio sentire io.»

«No aspetta, non dimenticarti di scriv...»

Chiuso il telefono e infilato in tasca, mette di nuovo lo zainone sulla spalla e riprende a camminare quel poco che la separa dalla fermata dell'autobus per South Central.

Sorride, si sente così dannatamente piena di vita che si definirebbe addirittura di nuovo speranzosa.

Mentre l'autobus corre, lei guarda fuori dal finestrino, guarda il volto di ogni passante, cercando di riconoscere qualcuno, sperando di riconoscere qualcuna.

 

«Sei già arrivata! E io che speravo ti fossi persa.» Un omone tutto spalle e niente collo apre la porta e si mette a ridere appena smette di parlare.

«Ma se sono passati solo 5 mesi... posso entrare?»

«Certo, il divano ti aspetta.» Sempre ridacchiando si sposta quel poco che serve per farla passare e guardarla meglio mentre entra. Alla vista non gli sembra cambiata di una virgola, stessi capelli biondicci e arruffati, stesse gambe ossute e un po' storte sotto i jeans consunti da una vita. Solo il giaccone sembra nuovo, ma il modello è lo stesso e le arriva fin poco sopra le ginocchia.

«Iniziamo il lavoro alle 4, vuoi metterti a dormire prima?»

«No, ho una cosa importante da fare. Ma prima hai una birra? Devo farmi coraggio.» Dopo aver piazzato lo zaino con le sue cose in un angolo vicino al divano, si siede guardandosi i piedi, probabilmente ripassando il discorso che dovrà fare.

«E da quando hai iniziato a bere ragazzina? Hai a mal appena compiuto l'età per farlo.» Ma prima ancora di finire ha già tirato fuori due lattine dal frigo e torna verso il divano passandone una a lei.

«Da quando ho smesso di farmi chiunque. Ma questo non dirlo a Lisa, ci rimarrebbe male.» Appena prende la lattina, la apre e se la scola in un attimo, fermandosi giusto una volta per prendere aria. Intanto Mick scoppia a ridere d'una risata poco divertita.

«Quel cazzo di programma che seguivi a Houston da quando te ne sei andata? E funziona? Quando mi ha chiamato la tizia ha detto che devi anche scrivere quasi ogni giorno quel che combini: Caro diario, oggi mi sono scopata una, ma mi dispiace molto... mi perdoni?» La risata si fa più grassa alla fine e appoggia una mano sulla spalla della ragazza, fingendo uno sguardo triste.

«Mica al diario devo chiedere scusa! Anzi vado, devo chiedere scusa a una mia... vabbè vado.»

Scatta dal divano e parte verso la porta, ma prima di aprire torna indietro, rovista nello zaino fino a trovare un braccialetto nascosto in una maglietta, se lo mette al polso e poi corre fuori dalla porta.

«Chiudi tu, magari mi riprende a vivere con lei!» Ridacchia mentre sta scendendo le scale, stretta nel suo giaccone.

 

«Pronto?»

«Hey Lis...»

«Jack, tutto ok?»

«Non lo so.»

«Non ti ha voluto parlare?»

«No... prima sì, si è anche messa a piangere quando mi ha vista, ma poi non mi ha più voluta vedere.»

«Ne avevamo parlato, ricordi? Te l'aspettavi...»

«Sì, però non è giusto. A me dispiace e mi mancava.»

«Dopo averle detto la verità è normale che si sia sentita tradita, ma forse con il tempo ti perdonerà.»

«Non le ho detto la verità. Come cazzo faccio a dirle che sono spartita da un giorno all'altro per andare a vivere da una che ho conosciuto mentre vivevo in casa sua? Se già così senza saperlo non mi vuole vedere...»

«Jack, non ti ho mai detto che sarebbe stato facile come bere un bicchier d'acqua. Forse non era ancora tempo di tornare, non ti sei ancora perdonata tu stessa...»

«No! Io mi sono perdonata eccome, io mi sto facendo il culo per cambiare e sto bene a LA. Sono loro che hanno un problema con me! Non ho mai promesso niente a nessuno e invece si aspettano tutto senza neanche chiedere.»

«Questo non è vero. Hai promesso a me che saresti stata forte.»

«Tu non centri e io non sono forte! Ciao.»

«Jac...»

Chiuso il telefono, continua a camminare veloce, ma cambia direzione e si fionda nel primo bar che trova. Si siede sul primo sgabello libero e cerca il barista con lo sguardo.

«Una birra... e qualcosa di dolce.» Borbotta e il barista quasi le scoppia a ridere in faccia, risparmiandosi però domande ovvie. Non si preoccupa di togliere i capelli arruffati dal viso, ma di aprire il giacchetto e, appena si trova davanti una bottiglia di birra e un muffin, afferra la prima senza pensarci troppo. Qualche minuto dopo la bottiglia è già vuota e lei sta masticando il muffin con impegno, è duro e secco, ma dolce.

«Non è colpa mia cazzo, io ci tenevo. Ma se prima tutte ti pagano e dopo devi andartene, o non ti pagano e dopo se ne vanno, come fai a capire che fare quando non ti pagano e non se ne vanno?»

Si ritrova a parlare con il ragazzo accanto, che lì per lì neanche capisce quel che sta dicendo.

«Ma che te ne fotte? Fotti chi ti pare, sennò fottono loro a te.» Tra i balbettii e l'impressione che stia parlando a se stesso, capisce sì e no metà di quel che lui dice, ma chiede un'altra birra e riprende.

«Eh ma ora non fotto più io. Al gruppo di sostegno mi capiscono... Lisa mi aiuta a smettere.»

«Ma cosa smetti?» il ragazzo scoppia a ridere, lo ferma solo per un attimo un colpo di tosse che sembra più un conato di vomito trattenuto. «Che sei pazza? Ti fotti da sola e sei scema e... e fanculo Linda!»

«Lisa...» lo corregge con qualcosa di triste nella voce, ma ci beve su anche la seconda birra. «Dice anche che non devo bere....»

«E che cazzo, come cambiarti il pannolino non te lo dice?» continua a ridere lui ancora più forte, appoggiando la testa pian piano al bancone, come se non avesse più forza di tenerla su.

«Nessuno mi dice un cazzo!» sbotta con una rabbia e si alza di scatto dallo sgabello. Lancia una banconota sul bancone ed esce dal bar. «Faccio quello che mi pare!» sbraita mentre cammina tanto veloce che sembra stia correndo. Non ci vuole molto prima di trovare i primi bar gay, la strada se la ricorda benissimo. Ne supera qualcuno prima di entrare in un bar per sole donne.

«Jackie?» da dietro il bancone una donna dai capelli corti e fisico asciutto la chiama incredula. L'aveva osservata da quando era entrata, seguendola nel suo girare tra le donne, sorridere con un sorriso più strano di quanto si ricordasse, e farsi dare qualche bacio sulla guancia, ma non ci voleva credere che fosse lei.

«Sam, buonasera bellissima.» Le sorride contenta, strascicando un po' le parole e scrollandosi di dosso la rabbia mentre si toglie il giaccone e passa le mani sulla maglietta stropicciata cercando di stirare un po' il sorrisone che c'è disegnato sopra. Appoggiati i gomiti sul bancone la guarda con un sorriso molto simile a quello che ha sulla maglietta.

«Pensavo che non saresti più tornata, non volevi fare la brava ragazza?» la donna le fa l'occhiolino e poi si piega sul bancone per darle un bacio sulla fronte. «Mi sei mancata.» sussurra per poi andare a prendere un succo di frutta.

«No, no! Voglio una birra Sam. E comunque io sono già una brava ragazza!» esclama con espressione seria.

«E tu da quando hai iniziato a bere? Ricordo che andavi avanti a dolci soltanto.»

«Da quando... da un po'.» si interrompe e fa spallucce scostando lo sguardo «Tu come stai?»

La barista porta la birra, ma non fa in tempo a rispondere che viene interrotta da una donna sulla quarantina che si avvicina a Jackie.

«Un Long Island e la birra della ragazza.» si rivolge con calma a Sam, che annuisce e si dà da fare col drink.

«Mi hai fatto aspettare molto tempo, piccola.»

La ragazza non la guarda, grazie ai tacchi la sovrasta di qualche centimetro e dovrebbe alzare lo sguardo per vedere il suo viso. Ma si ricorda già il suo viso, così come i suoi capelli lunghi e profumati, come quegli occhi scuri che sembrano sapere tutto. In qualche sorso finisce la birra, alzando lo sguardo verso di lei solo dopo.

«Ti avevo detto che non sarei più tornata...» borbotta poco convinta.

«Lo dicono tutte, ma tornano sempre.» le sue labbra si muovono piano in un sorriso e poi si vanno a posare sulla guancia di Jackie. «Andiamo.» Un'ordine dato con tanta naturalezza che sembra una domanda.

Prima che Sam abbia finito di preparare il drink, le due sono già fuori dalla porta.

Nella camera d'hotel è tutto come se lo ricordava, sempre la stessa, né troppo lussuosa sé troppo banale. Cammina dietro alla donna, guarda il suo corpo e respira il suo profumo. Appena si ferma e si volta, a un passo dal letto, i suoi occhi verdeazzurro si ritrovano sul collo della donna, sulla forma delle clavicole e sul suo petto; poi scivola di nuovo su, a contemplare la linea del mento e gli zigomi, fino ad incontrare i suoi occhi che sembrano coglierla di sorpresa, la sbigottiscono e le fanno aumentare il battito.

«Come fai ogni volta a farmi credere che mi guardi per la prima volta?» domanda la donna mentre le fa scivolare via il giaccone.

«Non lo so, e neanche tu lo vuoi sapere.» Il minuto dopo non esiste più niente se non il corpo maturo della donna, e non sa neanche il suo vero nome.

  
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