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Autore: My Pride    11/04/2012    5 recensioni
La corda di un violino che si spezza produce una nota falsamente melodiosa;
all’orecchio dei morti risuona come lo stridio furente e vendicativo dell’acciaio.

Le malelingue erano sempre esistite, da che mondo era mondo, ma Don Zoroshia non vi aveva mai dato la benché minima importanza. O almeno fino a quel determinato momento.
«Il primo che si innamora è un uomo morto, Zoroshia»
«Allora io lo sono già da tempo, Sanjīno»
[ Ambientata durante il Mugiwara Theatre «Jingi-nai Time», ma non ha nulla a che fare con esso ]
[ ZoSan Centric || Riferimenti ZoLu, ZoNami e ZoRobin ad interpretazione strettamente personale ]
[ Terza classificata e vincitrice del Premio miglior trama al «Fangirl contest» indetto da Dark Aeris ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Stile al contest «Dal numero alla storia» indetto da Akane_Hirai e valutato da Roro ]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Adagio_5
ATTO V
MELODIA DI FERRO E SANGUE


    La
 foga con cui era salito in cima a quel palazzo era apparsa bizzarra persino a lui.
    Aveva vagato senza meta per quelle che gli erano sembrate ore, imprecando a denti stretti nel rendersi conto di aver preso la svolta sbagliata; non l’avrebbe mai ammesso a se stesso o a terzi, ma mentre imboccava vicoli e cunicoli, stradine secondarie e vere e proprie piazze, si era reso davvero conto di quanto fosse assolutamente nullo il suo senso dell’orientamento. Ed ora lì, con lo sguardo puntato insistentemente sulla schiena del proprio avversario, quasi si domandava come fossero giunti fino a quel punto. Non era un santo, non lo era mai stato, ma non riusciva proprio a spiegarsi che cosa avesse spinto quell’idiota ad agire proprio in quel modo.
    Dal canto suo, Sanjīno non appariva minimamente preoccupato, anzi. Si ostinava a dare le spalle a Zoroshia e a guardare dritto dinanzi a sé, mantenendo con due dita quella dannata sigaretta che si consumava pian piano. Se fosse stato qualche altro nemico non si sarebbe mai azzardato a restare di schiena in quel modo, conscio che non ci avrebbe messo due secondi ad accopparlo e a farlo finire di sotto; ma sapeva, con una certezza così assoluta che in altre circostanze l’avrebbe fatto sorridere, che Zoroshia, a causa dei suoi principi morali, non avrebbe mai osato colpirlo a tradimento. Lo considerava a dir poco onorevole, da un certo bislacco punto di vista - erano pur sempre dei criminali, in fin dei conti -, però anche tremendamente stupido. Era esattamente questo ciò che odiava di lui: la sua assurda credenza di pensare che tutti, nessuno escluso, potessero seguire le stesse ferree regole che lui si era sempre dato in quanto spadaccino. Un uomo che ti voleva morto ti ammazzava e basta, senza porsi il problema di averti di spalle.
    «Robīta ti ha consegnato il messaggio, vedo», parve ironizzare Sanjīno, portandosi la paglia alle labbra per inspirare a fondo. Soffiò verso l’altro il fumo azzurrognolo, poggiando una mano sul bordo del parapetto di cemento. «Mi sorprende che tu sia corso immediatamente qui e non ti sia occupato di lei, spadaccino», ironizzò a mezza voce, traendo un’altra lunga boccata nociva prima di spegnere la cicca a terra. «Eppure mi era parso di capire che tu fossi molto vendicativo, da quel che ho sentito».
    Zoroshia avanzò a grandi falcate, ponendo quanta più distanza possibile tra loro. «Non mi sono mai fidato di quella donna», sbottò sprezzante. «E a quanto sembra ci ho sempre visto giusto». Non poté vedere in viso Don Sanjīno, ma qualcosa, dentro di lui, gli diede l’assoluta certezza che avesse abbozzato un sorriso vagamente sarcastico. «Da quanto tempo andava avanti questa storia?»
    «Cosa cambierebbe se te lo dicessi?» lo prese in giro, allungando una mano per afferrare il pacco di sigarette. «E’ stata di grande aiuto, sappi solo questo. Forse senza di lei non sarei riuscito a guadagnarmi in così breve tempo la fiducia di Rufiōne».
    «La sua fiducia, eh?» ripeté Zoroshia, assottigliando lo sguardo nella sua direzione. «Allora non avresti dovuto farlo», sibilò iracondo. «Non avresti dovuto ammazzarlo».
    «Tsk... sei un idiota, marimo», esalò, accendendosi un’altra sigaretta senza voltarsi verso di lui; il suo sguardo ceruleo era invece fisso ancora oltre l’orizzonte, verso quel tramonto di sangue che sembrava avvolgere tetramente la città nel suo abbraccio. «Ho solo fatto ciò che avresti voluto fare anche tu. Ho tolto di mezzo un rivale». Sbuffò fuori il fumo in un cerchio perfetto. «Non venirmi a dire che non hai mai pensato di spianarti la strada facendoci fuori entrambi».
    Zoroshia strinse la mano destra sull’elsa di una delle sue katane, sentendo il contatto ruvido della pelle con la quale era rivestita. Era vero, aveva più volte accarezzato nella sua mente l’idea di far fuori sia Rufiōne sia Sanjīno - così da potersi assicurare una volta per tutte il potere -, però era stato così stolto da cadere vittima dell’assurdo desiderio che, a poco a poco, aveva logorato il suo animo. L’insana passione che l’aveva mosso non più di poche notti addietro era adesso un ricordo sbiadito e dalle forme indistinte, un ricordo seppellito nei recessi della sua memoria, ma era come se fosse lì, in attesa di una fiamma che l’avesse fatta divampare ancora una volta. E forse quella fiamma era proprio l’odio che lo animava in quel momento.
    «In un duello leale, stupido damerino», precisò con voce tagliente, scandendo le parole ad una ad una come se volesse marchiarle a fuoco persino nella propria mente. «Vi avrei affrontati entrambi in un duello leale, non piombandovi in casa nel cuore della notte». Osservò insistentemente la sua schiena, non potendo fare a meno di scuotere il capo. «Una volta non eri così».
    Sanjīno si lasciò scappare un suono simile ad una risata, per quanto non vi fosse la benché minima traccia di ilarità in essa. «Le persone cambiano, spadaccino», rispose tranquillo, traendo un’altra lunga boccata dalla paglia per osservare poi il fil di fumo levarsi verso il cielo cremisi; una volta conclusa la spense senza tanti complimenti sul cornicione di cemento, alzandosi in piedi su di esso per volgere finalmente lo sguardo nella sua direzione. «Persino tu non sei più lo stesso di tanti anni fa, non negarlo».
    Zoroshia, a quel dire, ebbe appena il tempo di mordersi furentemente il labbro inferiore prima che la figura del suo avversario sparisse letteralmente dalla sua vista, lasciandolo sbigottito; fu solo grazie ai suoi sensi sviluppati che si accorse dello spostamento d’aria alla sua destra, alzando prontamente il braccio per deviare alla svelta il colpo che gli venne sferrato subito dopo da un piede di Sanjīno.
    Imprecò a denti stretti per il formicolio che si disperse immediatamente nel suo arto, ritrovandosi ad indietreggiare quel tanto che bastava per poter estrarre almeno una delle sue spade; non c’era tempo per fermarsi a pensare, lo sapeva perfettamente, e fu proprio per quel motivo che, nel vedere il fulmineo movimento di quella gamba rivestita di nero, si affrettò a respingerla con il dorso della lama, costringendo Sanjīno ad allontanarsi da lui con un salto all’indietro per evitare che la spada gli si conficcasse nelle carni.
    Per un lungo attimo, Zoroshia parve scorgere un lampo incollerito in quell’occhio azzurro, un baluginio che scomparve così velocemente com’era apparso prima che, flettendo entrambe le gambe e piegandosi sulle ginocchia, Sanjīno piroettasse di lato e gli si lanciasse addosso con tutta l’agilità di cui disponeva, scagliandolo dall’altra parte del tetto con un calcio diretto al viso.
    Zoroshia non ebbe nemmeno il tempo di rimettersi in piedi che un altro colpo lo centrò dritto al costato, mozzandogli il fiato nel petto; boccheggiò, impugnando saldamente la propria arma nel tentativo di contrattaccare, e approfittò proprio di quella vicinanza per colpirlo alla caviglia con l’elsa della spada, puntando rapidamente la lama verso l’alto quando vide il proprio avversario barcollare. Riuscì a colpirlo di striscio al fianco nel momento esatto in cui un altro calcio violento si scontrò con la sua guancia, facendogli sputare sangue.
    Sanjīno si portò una mano a sfiorare con due dita la ferita, provando a raddrizzare il più in fretta possibile la schiena quando, rapido come una freccia scoccata da un arco, Zoroshia tentò l’ennesimo affondo, e fu per istinto che alzò immediatamente la gamba per pararlo.
    I loro occhi si incontrarono per un attimo che sembrò infinito, e qualcosa, nel cuore di Sanjīno, parve stridere rumorosamente. «Il primo che si innamora è un uomo morto, Zoroshia», sussurrò, facendo pressione con il piede contro la spada del proprio nemico; quest’ultimo glielo allontanò con un colpo secco, rinserrando la presa prima di roteare il polso per portarsi la lama piatta a nascondere un lato del proprio viso.
    Sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso, per quanto esso apparisse distaccato e inespressivo. «Allora io lo sono già da tempo, Sanjīno», replicò, raggiungendo alla svelta con la mano libera l’elsa della sua seconda katana; la sfilò dal fodero nel momento stesso in cui Sanjīno ritornò all’attacco, incrociando entrambe le lame per parare quel calcio scagliato a tutta potenza.
    Si gettò contro di lui con l’intento di colpirlo ai fianchi, incurvando le spalle e impugnando saldamente le spade per tentare un affondo; prima ancora che potesse rendersene conto, però, la caviglia di Sanjīno lo colpì furentemente al collo, rischiando quasi di spezzargli l’osso. Gli parve persino di sentirlo scricchiolare sinistramente, incapace di credere alla velocità che quel damerino aveva acquisito nel corso di quei lunghi anni. Un altro calcio lo colpì alla mano, facendo sì che una delle sue spade volasse dal lato opposto della fredda pavimentazione di cemento; vedeva tutto sfocato a causa del colpo che aveva quasi rischiato di rompergli il collo, e fu dunque con un po’ di fatica che riuscì a mettere nuovamente a fuoco la figura di Sanjīno, affinando i sensi per cogliere così i suoi movimenti solo grazie al proprio udito.
    Con un urlo rabbioso gli fu addosso, sferzando l’aria con un braccio prima di tentare un ennesimo affondo. Il suo avversario parve però intuire le sue intenzioni, affrettandosi ad indietreggiare ancora una volta; con un agile balzo di lato, roteò su se stesso e alzò la gamba per sferrargli un calcio poderoso all’altezza dello sterno, imprecando a denti stretti quando il colpo fu deviato dalla lama piatta della spada di Zoroshia. Si lanciarono l’uno contro l’altro nel medesimo istante, entrambi intenzionati ad avere la meglio e a vincere quella sfida; il cupo rimbombo di uno sparo, però, risuonò sinistramente nella perpetua oscurità di quella notte, e Zoroshia, sbarrando l’occhio, si accasciò parzialmente in avanti, cercando al contempo di non allentare in nessun modo la presa sull’elsa della propria katana.
    «B-Bastardo...» biascicò con un fil di voce, sentendo una mano di Sanjīno poggiarsi stabile su un suo fianco.
    «Te l’avevo detto che il primo che si innamorava sarebbe stato un uomo morto, marimo», soffiò al suo orecchio, sorridendo brevemente. E non parve dar peso al rivolo di sangue che colò ad un angolo della sua bocca, al metallo rovente che gli aveva trapassato lo stomaco nel momento stesso in cui lui aveva premuto quel maledetto grilletto, alla sgradevolissima sensazione di gelo che gli sconquassava il corpo e al tremore all’arto che lo costrinse ad abbandonare la pistola, socchiudendo solo gli occhi dopo aver tratto un lungo e tremulo sospiro.
    Cadde all’indietro, sibilando quando la lama scivolò debolmente via dalle sue carni dilaniate; vide, attraverso l’orlo delle ciglia, il suo avversario crollare in ginocchio con un gemito, la mano libera convulsamente premuta sulla ferita sanguinante. In quel mentre si lasciò sfuggire la spada che, con un sinistro tonfo metallico, cadde sulla pavimentazione di cemento, e fu solo a quel punto che Zoroshia alzò parzialmente lo sguardo verso Sanjīno, tossendo sangue. E sembrò quasi impazzito quando, tutto d’un tratto, dal fondo della gola salì un suono roco simile ad un’aspra risata che parve come vetro spezzato. «Un fottutissimo pareggio», esalò sottovoce, le labbra macchiate di rosso.
    «Un fottutissimo pareggio, maledizione». Abbassò la palpebra e si lasciò cadere disteso di schiena, lo sguardo puntato a quel cielo nero che non ebbe momentaneamente la forza di osservare un’ultima volta.
    Non gli giunse in risposta nessuna replica tagliente, e fu proprio grazie a ciò che realizzò quanto fosse appena accaduto: Sanjīno era morto. Era passato a miglior vita prima di lui, a causa del colpo che lui stesso gli aveva inferto, e avrebbe dunque dovuto godersi quella manciata di attimi di gioia selvaggia che gli restavano prima della fine. E allora perché, nonostante la bassa risata che ancora aleggiava nell’aria, non riusciva ad essere felice per quella vittoria?
    Un dolore straziante si impadronì del suo cuore. Sanjīno era morto e lui, stolto com’era sempre stato, forse non riusciva a farsene una ragione. Con uno sforzo immane, sebbene sentisse ormai le forze scemare a poco a poco e il sangue insinuarsi vischioso e caldo fra le sue dita, alzò la palpebra quel tanto che bastava per poter catturare con l’occhio la figura riversa in terra di Sanjīno. Sorrideva ancora, quel maledetto bastardo.
    Zoroshia reclinò la testa all’indietro, traendo un lunghissimo sospiro prima di sollevare a sua volta un angolo della bocca nella parvenza d’uno stanco sorriso. La spaventosa melodia a cui avevano dato vita nel corso di quei lunghi anni aveva ormai suonato le ultime note stridenti, giungendo alle sue orecchie come una risata beffarda che parve rimbombare nell’oscurità che aveva cominciato ad avvolgerlo senza remore.
    Il mondo che li circondava sembrò spezzarsi in quello stesso istante come una corda di violino, e lo sciabordio della pioggia, sopraggiunta al definitivo rimbombare d’un tuono, lavò pietosamente via dai loro volti sudore e sangue.
 
 
 
Vivi con onore,
colpisci a tradimento.



ADAGIO FOR STRINGS
FINE





_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Uhm... boh. Di solito spendo parole su parole nelle note iniziali, ma stavolta non saprei proprio che cosa dire, visto che la storia parla quasi da sé. Era comunque da un sacco di tempo che cercavo di realizzare una storia seria su questo fandom, giacché non ci ero mai riuscita perché uscivano sempre flash fiction bizzarre con un pizzico di ironia. Con questa, per quanto fosse una Otherverse, ci sono finalmente riuscita, e non avete idea di quanto mi sia piaciuta scriverla e starci ore e ore della notte nel cercare di trovare una fine che si adattasse al meglio e che non facesse ricadere tutto sul banale. Ecco perché si è conclusa in questo modo; ho pensato che fosse giusto così, per quanto mi sia dispiaciuto ammazzarli entrambi.
Ah, la frase in corsivo che ho inserito alla fine della storia - ad eccezion fatta di quella al di sotto del titolo nel primo capitolo, di mia personale e purissima invenzione - appartiene al videogioco stealth “Tenchu”. Ho pensato che potesse amalgamarsi piuttosto bene con questo ultimo capitolo, forse proprio per come i due si comportano.
Sclero mio a parte, spero solo che vi sia piaciuto leggerla quanto a me sia piaciuto scriverla.
Se qualcuno fosse interessato, poi, ho cominciato sul mio account Livejournal la storia Wrath of Heaven: Way of the samurai, e purtroppo ho dovuto postarla lì perché ci saranno temi un po' crudi e angst a palate che violerebbero il regolamento di EFP (e ci sono anche tantissime altre storie - non postate sul sito - per chi volesse farci un giro *Pubblicità occulta*)
Alla prossima. ♥



ADAGIO FOR STRINGS
PRIMA CLASSIFICATA E VINCITRICE DEL PREMIO STILE
  

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