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Autore: terry99    11/04/2012    1 recensioni
Pazzie
Amori
Guai
Amicizie
Queste sono le quattro piccole parole su cui è incentrata questa mia long.
Terry Nelson potrà sembrarvi una semplice maghetta ma vi assicuro che l'apparenza inganna; nei suoi anni ad Hogwarts riuscirà a cacciarsi in guai grossi, che solo lei sa combinare.
Spero vi piaccia!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incomprensione tra sorelle e poi lettere, lettere e ancora lettere.

Un tonfo sordo.              
Un sussurro quasi impercettibile pronto a porre fine a quel silenzio,
quell’atmosfera di pace,  a quella solitudine in cui si era addormentata il pomeriggio precedente;
tutte quelle sensazioni si risvegliavano in lei come evocate, dopo quel sogno.          

Perché quando ci addormentiamo, quando il sonno prende il sopravvento, 
allora i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni volano via libere,
si dissolvono lasciando spazio ad un mondo dove solo la nostra immaginazione è padrona.

E per tutti,  in particolar modo per Ann, i sogni erano il modo migliore
per scacciar via tutte quelle emozioni non tanto piacevoli.
E lei era lì, il capo poggiato su un tavolo di legno che la portava ad assumere
una posizione tanto  scomoda quanto strana, i capelli sciolti, gli occhi chiusi e
un’espressione assorta, quasi concentrata; dopotutto però, lei era sempre stata così,
convinta di quello che faceva, testarda e cocciuta, che poi penso siano sinonimi.                                                                                                                                      Però non so descrivervela meglio, perché lei è così e per questo penso che sia una delle
poche capace di saper reggere Terry, di sopportarla e di rendere normale ogni suo gesto,
con quella sua naturalezza e quella sua schiettezza di cui spesso la Nelson sentiva la nostalgia,
quando era chiusa in quello specchio.
 -Ehy, hai bisogno di qualcosa?-
La tredicenne aprì gli occhi e alla vista di quella  ragazzina si ridestò,
sorrise bonariamente ed emise un sonoro sbadiglio: quella dormita ci voleva.

-Chi sei?- gli domandò lei in risposta.

-Sono Catherine, piacere- si presentò la piccola.

-Ann Cox- rispose prontamente.

-Che ci fai qui? E’ finita da un po’  la bufera- commentò lei indicando
la finestra con aria vaga e infilando le mani nelle tasche, a mo’ di maschiaccio.
 Ann ebbe poco dopo il tempo per osservarla meglio: un po’ tappa, dai capelli biondi e molto scombinati,
raccolti in una coda  e gli occhi di un banale color cioccolato, quasi inespressivi.
Un viso strano, quasi familiare.
-Ero venuta a Diagon Alley per comprare un regalo ed eccomi qui-
si giustificò Ann.
-Anch’io-
-A chi?- dopotutto impicciona era il suo secondo nome, così cominciò a 
cercare informazioni e scavare nella memoria per cercare il motivo per il quale
si ricordava di averla già vista. 
-Al mio migliore amico. Perché tanto interesse?- rispose un po’ brusca lei,
come se ne fosse infastidita.
-Niente, tanto per dire qualcosa-
-Sei simpatica ma impicciona, Ann. Sei un’amica di mia sorella-  sibilò le ultime parole con rabbia,

quasi repulsione.
-Ah, sei la sorella di Terry allora- sorrise lei ricordando improvvisamente tutto.
-Sì-
Fece per andarsene ma Ann la trattenne e lei la squadrò curiosa e un po’ infastidita.
-Che succede con tua sorella?- 
-Niente-
-E perché non succede niente?-
-Perché nessuno mi sopporta, non ho amici veri, sono solo la sua brutta copia -                                               
Le parole uscirono dalla bocca di Catherine veloci, quasi volesse nasconderle,
quasi se ne vergognasse; erano taglienti come la lama di un coltello quasi avvolte da un senso di verità.
Ann rimase spiazzata e, afferrata una pergamena ed una piuma, scrisse velocemente:
una pergamena importante per il mittente ed il destinatario.

***

Non so come spiegare, come sfogare la mia rabbia.
Sono stanca, già maledettamente stanca di tutto e tutti. 
Ottengo sempre meno di ciò che vorrei.
Camminavo avanti e indietro per la mia stretta stanza: passi veloci, respiro affannoso.                            
Tenevo lo sguardo basso, stringevo i pugni come a voler uccidere l’aria con le mie stesse mani.
Improvvisamente un soffio di vento violento colpì la finestra e mi arrestai,
chiusi con violenza e strafottenza la porta della stanza e mi gettai sul letto di mia sorella,
la rabbia ormai presente nei miei occhi.                                                                                                                                                       Il desiderio mi aveva improvvisamente accecato, il desiderio di far soffrire qualcuno.
Qualcuno, che magari non c’entrava nulla con me, con i miei sentimenti, qualche innocente.                                             
Volevo urlare che il mondo era ingiusto, che faceva male, che faceva soffrire.
E invece no, rimasi, stanca più di prima, accovacciata su quel letto,
le gambe strette al petto, il capo abbassato, gli occhi socchiusi.                                                         Destino volle che fu Eleonore ad aprire quella porta che avevo spinto con tanta
forza da lasciarla riaprirsi da sé.                                                                                                                                                                     La guardai, prima con ferocia; quando lei però, ricambiò intensamente
  riuscii solo a forzare un sorriso e guardarla debole, stanca.
Perché ero così che mi sentivo: stufa. Stufa di quella che ero,
di quella che avrei dovuto essere, di quello che mi succedeva.                                                                    
Eleonore si avvicinò a me, e io l’avrei volentieri spinta via.                                                                          
Una forza che non conoscevo però, mi impediva ogni movimento,
mi lasciava come i minuti precedenti, ferma. 
–Vuoi parlarne?- disse chinandosi sul letto, cominciando a giocherellare
distrattamente con una ciocca dei miei capelli biondi, come al solito scompigliati.
-No-                                                                                                                                                                                         

Avrei voluto rispondere ferma e decisa ma dalla mia bocca uscì solo un sussurro debole.                                 
–Okay- rispose, incerta sul come comportarsi.
Mi aggrappai a lei, come spesso faceva con me            
“a mo’ di stola”.
Adoravamo entrambe quell’appellativo, forse perché un tipico nostro termine. 

-Se non mi spieghi che è successo suppongo che rimarremo entrambe cosi per un bel po’-
rise Eleonore, incuriosita.
-Mia sorella soffre, anche per colpa mia- 
Chiusi gli occhi, per evitare che il pianto prendesse il sopravvento su di me
come spesso accadeva, e abbassai nuovamente il capo, sciogliendomi dalla stretta  con uno scatto quasi improvviso.                                              Poi afferrai la lettera da una tasca della mia giacca e la mostrai ad Elly con rabbia, frustrazione.
Calò il silenzio.

- Oggi è la vigilia di Natale-

-Lo so-

-Cosa regalerai a tua sorella?-

-Non lo so-

Poco dopo sobbalzai e con me il letto.

-Caspiterina, non lo so! Come faccio a non saperlo?-
La guardai preoccupata, un po’ tesa. Mi rispose con un sorriso sincero.
-Se non lo sai tu, figurati io-
-Ehm, mi sono persa, lo sai?-
-Tu ti perdi sempre- lo disse con un tono di voce affettuoso.
-Effettivamente… aspetta, questo è un insulto! E pure alla mia negligenza!-
dissi incrociando le braccia, fingendomi offesa.
-Si dice intelligenza- rispose Elly esasperata,
lanciandomi un peluche in pieno viso.
-Sì, uguale- affermai salendo le scale per il mio letto a castello,
come  a voler sfuggire a quella battaglia.
-Eh no, non mi scappi!- mi urlò lanciandomi l’ennesimo peluche.
E così continuò la battaglia, io sopra e lei sotto, con la sola differenza che
poi io finii le munizioni e per non perdere fui costretta a rifugiarmi sotto coperta,
nel vero senso della parola.

***

Guardava la finestra del suo dormitorio assorto, pensieroso.
I fiocchi cadevano sul terreno contribuendo ad ampliare il manto bianco del giardino della scuola. 
-Stephan, oggi è la vigilia, che farai stasera?- chiese annoiata una
Tassorosso dai capelli rossicci, poco più piccola di lui. 

-Te ne frega?- rispose lui, indifferente.

-Sono tua sorella-
A quelle parole il ragazzo si voltò ad esaminarla e dopo una breve occhiata le sorrise.
-Lo so, vieni qui, Jane-
La ragazza si avvicinò e si lasciò stritolare in un abbraccio forte dal fratello maggiore;
poggiò il capo sulla sua spalla e si beò del contatto col suo fratellone, di quel braccio intorno
alla sua spalla che la faceva sentire protetta da tutto e tutti.
-A che pensavi?-

-A Rachel…-

Calò il silenzio, di nuovo. 

-Facciamo una partita a scacchi, non pensarci per un po’- propose lei, 
titubante e impaurita della reazione del fratello che con sua sorpresa accettò.
Non la guardò ma le avvicinò la scacchiera guardando un punto imprecisato sul pavimento lucido.
Aveva paura dei suoi genitori.

Aveva paura di quello che sarebbe successo a sua sorella.

Aveva paura del futuro, con tutte le sue inutili sfaccettature.

 Paura di quel futuro già scritto che, minuto dopo minuto si trasformava
fino a divenir il presente.

Aveva quindi paura del futuro presente…

-Tocca a te- disse tutt’a un tratto lei risvegliandolo dai suoi pensieri contorti,
che in pochi avrebbero potuto fare.
-Pedone in H 3- rispose svogliatamente portando il pedone di fronte a quello del suo avversario.
-Così non concludi niente-
-Almeno mi avvicino alla meta. So che tanto ho poche probabilità di vincita- 

***
-Gwen, buongiorno- disse sorridente Richard lasciando sulle labbra
della ragazza un bacio appena accennato.
Questa si stiracchiò con fare un po’ goffo, e sorrise al Corvonero aprendo
cautamente gli occhi color cioccolato.

-Dove siamo?- chiese poi osservando curiosa le pareti di una stanza a lei sconosciuta.
-A casa mia- rispose titubante l’altro.
-Non ricordo molto della notte scorsa- 
-Morivi di sonno e ho pensato di farti dormire qui, io sono stato sul divano, di là-
disse indicando il soggiorno con aria vaga.
-Okay- disse sorridendo nuovamente.
-Ti ho preparato il caffè - 
Si mise a sedere sul morbido letto e le porse una piccola tazza di quel liquido denso
caldo capace di dar la carica a tutto e tutti.        Gwenevere la afferrò e  bevve lentamente, poi, quando il liquido terminò  si
chinò su Richard per dargli un  bacio di ringraziamento: fu amaro, come il caffè.                                  Il ragazzo ricambiò con evidente desiderio.                                                                                                
-Da chi siamo stasera?- chiese alla fine lei.                                                                                                   
-Dai miei genitori- sorrise imbarazzato lui.
-Non mi sembra una cosa per cui dovresti essere imbarazzato- rispose Gwen,
inarcando un sopracciglio.
-Neanche per cui esserne fieri, i miei sono strani. Vado a vestirmi, il tuo baule è sotto il letto-
si congedò il ragazzo lasciandola sola nella stanza semibuia.

Strani? Che intendeva il suo Richard?
Portò una mano al capo con fare evidentemente confuso.
Decise di esaminare la stanza, prima di rivestirsi;
Richard aveva uno scaffale di libri quasi strapieno,
un tappeto blu sotto il parquet lucido dal legno nero, un poster di un famoso cacciatore
di Quidditch, rigorosamente Corvonero.
Sorrise pensando che erano della stessa casata e si chinò per afferrare il suo baule.                                Trovò però, oltre a questo una scatola nera, piuttosto grande.
La aprì e trovò al suo interno una serie di pacchetti dai destinatari più diversi che,
pensò, il suo ragazzo aveva comprato per la vigilia: non osò toccarli.
Afferrò il suo baule e si rivestì di fretta, forse troppo in fretta.                                                      
Le rimaneva ancora tempo prima che Richard avrebbe varcato la soglia della sua camera, pensò.
Poi, vinta dalla curiosità aprì il baule e sotto i pacchetti trovò una serie di lettere piuttosto vecchie,
che sicuramente a lui per Natale non sarebbero servite.
Ne infilò una in tasca.   

***

-Secondo te mi ha mai pensato?-
Roxanne era seduta sul suo piccolo letto a baldacchino,
sotto sua cugina Rose neanche l’ascoltava annoiata, le dita che attraversavano
distrattamente la superficie ruvida del legno.
-Rosie? Mi stai ascoltando? Rosie?-
-Eh?Cosa?- 
-Io ti parlo e tu non mi ascolti, ecco cosa- sbuffò scocciata l’altra.
-Non è colpa mia se sai parlare solo di quel ragazzo che hai, per caso così, incrociato alla stazione-
cantilenò la ragazza con aria vaga.

-Tu a che pensi?- chiese poi lei curiosa.

-A niente- disse spostando il dito, concentrata.

-Non puoi!-
-Io sono Rose Weasley, io posso tutto- sorrise l’altra alla cugina.

-Effettivamente- ammise Roxanne un po’ turbata, ma comunque inquieta:
conosceva bene quella Weasley ma non era mai, e dico mai,
riuscita a farsi rivelare un suo pensiero, un suo segreto, una sua ambizione.    
 Rimaneva sempre chiusa in sé stessa e non lasciava trasparire mai nulla, neanche con lei, con la sua migliore amica…

O forse lei non lo era?Forse quell’amicizia che Roxanne tanto provava o desiderava con la cugina era
solo un effettivo desiderio e non una realtà?
Se avesse frainteso e lasciato passare tutto? 

Rose ci teneva a lei? A questo punto conveniva chiederselo,
visto che lei non glielo aveva mai detto né dimostrato.
Perché quando non ci sentiamo dire nulla cominciamo a darci dubbi inutili
sui sentimenti delle persone che sono così chiari,
tanto chiari che la nostra mente contorta non ci arriva.

-Vieni Rox, dobbiamo prepararci per stasera, oggi è proprio la vigilia-
sorrise improvvisamente Rose, con quella sua indifferenza, quella sua poca eleganza nel dire le cose.
La cugina che intanto cominciava a farsi quelle domande prestò poca
attenzione al comando della ragazza e non si mosse.
-Cugina, che ti prende? Chi mi consiglia cosa mettere oggi se non tu?
Chi cerca di mascherare la mia goffaggine se non tu?
Non vorrai mica perderti nei tuoi pensieri adesso che mi servi- la incoraggiò lei,
come se le avesse letto nel pensiero.
Roxanne  a quel punto si alzò molto sorpresa e aprì l’armadio.  
-Da dove cominciamo?- sorrise maliziosa la ragazza gettando un paio di vestiti sul letto della cugina.
Quanto era stata sciocca? Rose era Rose, con lei non esistevano dubbi, solo verità.

***
Sorridevo, sapevo solo sorridere.
L’albero si innalzava alto sopra me ed Elly e, piegato su un lato,
come la torre di Pisa o forse peggio; ai piedi della pianta vi erano moltissimi pacchi e moltissime lettere.
-Che aspetti? – chiesi poi alla mia migliore amica, che era rimasta immobile ad osservarmi.
-La mezzanotte Terry- rise.
Controllai l’orologio con evidente ansia: undici e quarantacinque, manca poco.

Undici e quarantacinque a casa di Terry: tutti davanti all’albero scartano i doni con gli occhi.

Undici e quarantacinque alla Tana: chiacchierate con  vari Weasley/Potter con l’eccezione di Charlotte.

Undici e quarantacinque a casa di Richard: Gwen poggia il capo sulla spalla del ragazzo, con evidente stanchezza.

Undici e quarantacinque a casa Malfoy: silenzio.

Undici e quarantacinque ad Hogwarts: nostalgia per tutti gli studenti, in particolare per  Stephan e Jane.

Questo Natale è alle porte, è il futuro presente per tutti, il momento più atteso, per tutti…

Ma dopo la mezzanotte?

Nebbia.

Spazio autrice

Ed eccomi qui con un altro capitolo, un po’ più lungo del precedente, spero vi sia piaciuto ^^
Qui parliamo di Terry, Catherine e il suo incontro con Ann, parliamo di Richard e Gwen, di Stephan e le sue due sorelle, di cui una è Tassorosso ma è già apparsa, vi sfido a dirmi dove e con chi ha parlato la ragazzina.
Parliamo anche di lettere, quelle di Terry e quelle di Richard e dei suoi segreti… 
Cosa nasconderà mai lui alla sua ragazza? Boh.
Parliamo anche dell’amicizia tra Rose e Roxy, e del ragazzo di cui la Weasley si è perdutamente innamorata alla stazione e che apparirà solo in estate oppure, vi dirò, l’anno prossimo.
Al prossimo capitolo, Terry99!

 

 

  
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