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Autore: MagicalWind    11/04/2012    0 recensioni
Michelangelo è un ragazzino di 11 anni che scopre di avere un talento particolare: percepisce le presenze. I casi che seguirà gli saranno un utile allenamento per affrontare un caso più grande che gli si presenterà 3 anni dopo: quale segreto si cela in un parco nel quale si manifestano diverse anime, sconosciute fra loro, ma unite da un misterioso filo in comune?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A metà ottobre, l' autunno aveva deciso di farsi sentire in tutto il suo impeto.
La pioggia scendeva violenta, il vento soffiava freddo senza tregua e ogni tanto grandinava pure. Questo tempo faceva venire voglia di tutto, anche di mangiare la pasta al sugo di peperoni, ma non di andare a scuola.
Da dopo l'avventura con l'acchiappasogni, il rapporto con i miei due amici era proseguito normalmente, sebbene due giorni fa, una domenica pomeriggio ai giardinetti, si era incrinato un po'.
Stranamente c'era il sole e ne avevamo approfittato per vederci.
Ci sedemmo su una panchina.
«Non abbiamo più parlato di eventi soprannaturali, non mi avete più fatto domande sul mio dono...» osservai senza lanciare preavviso alcuno, sia per rompere il silenzio che si era venuto a creare sia per osservare le loro reazioni: volevo sincerarmi che andasse tutto bene.
Le loro reazioni iniziali non furono incoraggianti: guardavano per terra o altrove con una strana espressione sul volto.
. «Sicuro fosse tutto reale?» chiese William.
Lo guardai sconcertato: cosa intendeva dire? Come poteva dubitare di quanto vissuto?
«Cosa intendi?» esternai.
«Quando siamo entrati in trance, forse ci siamo semplicemente “sintonizzati”, vivendo un sogno ad occhi aperti...» spiegò lui.
«Ma è assurdo!» risposi.
«È molto più logico e razionale questo, che quanto successo» Beatrice appoggiò William.
«Avevi quella ferita...» contestai.
«Forse, era solo …. “finta” anche quella» difese la sua posizione.
«Sogno o realtà, quell' acchiappasogni era maledetto e noi lo abbiamo “esorcizzato”, diciamo...».
Dalle loro espressioni si vedeva che non erano convinti.
«Se io vi dimostrassi che i fantasmi esistono, mi credereste?» lanciai loro la sfida.
«Sì» risposero entrambi.
«Perfetto. Allora riproporremo la conversazione a fantasma scovato».
Ecco perchè oggi, all'intervallo, siamo un po' freddi e distanti nei rapporti: non è il tempo a influire sull' umore, è il nostro umore a influire sul tempo.

Il programma di oggi era semplice: fare finta di fare i compiti per poi rintanarsi sotto le coperte tutto il giorno, senza pensieri per la testa.
Peccato che non sempre le cose non vadano come si desidera: verso le sei mi destai dal pisolino pomeridiano e scoprii che i pavimenti e alcuni mobili erano bagnati d'acqua.
Inizialmente non sapevo come spiegare il fenomeno, poi compresi che probabilmente c'era un fantasma in casa.
«Ciao» tentai un primo approccio.
Non ottenni risposta.
«Immagino tu voglia entrare in contatto con me, se mi hai bagnato la casa... Non aver paura».
Ancora niente.
«Prima mi sono addormentato, ma ora sono sveglio, ti ascolto... su, dai, non hai nulla da temere, non mangio mica» ritentai sorridendo, chiedendomi se forse non ero troppo insistente.
Dal momento che ancora non ottenni risposta, mi sedetti sulla parte asciutta del divano e cominciai a leggere un libro, per ingannare il tempo e non fare pressione sull'entità, sempre che di quello si trattasse.
Dopo una decina di minuti, mi sentii bagnare sulla testa: dell' acqua era caduta dal soffitto; pensai che si trattasse di una perdita d'acqua, così mi avvicinai al telefono per chiamare i miei genitori, solo che poi non li chiamai e misi giù: dalla cornetta uscì dell' acqua.
«Okay, non è una perdita d'acqua, i telefoni non perdono acqua... Ne vogliamo parlare?».
Sentii uno scroscio d'acqua in camera mia: lo interpretai come un segno d'assenso.
Interpretai il fatto che non parlasse e che non si manifestasse nella mia stessa stanza in quanto probabilmente si trattava di un fantasma riservato, oppure timido, e che era quindi opportuno mantenere le distanze, per rispettare la sua riservatezza e farlo sentire a suo agio.
«Mi presento: mi chiamo Michelangelo, ho 12 anni».
Silenzio.
Ero in difficoltà, ma decisi di non mollare.
«Con me puoi parlare di qualsiasi cosa tu voglia, non ti giudicherò».
Vidi una figura in penombra sporgersi dalla porta di camera mia.
«Classe 1969».
Non riuscii a distinguere i contorni della figura, ma data la voce, credo si trattasse di una ragazza sui vent' anni.
Rumore di chiavi nella toppa: la velocità istantanea con cui la ragazza scomparve fu la stessa dell' ansia che mi assalse: come avrei spiegato la casa bagnata e il fatto che non li avevo chiamati?
«Ciao, Michelangelo» mi salutarono i genitori.
Mi guardai attorno, incredulo della tranquillità con cui giravano per casa, quando mi accorsi che la casa non era più bagnata.
Tirai un sospiro di sollievo: era il primo fantasma da me incontrato che ripuliva le tracce; ed anche il più vecchio. Un dubbio fece capolino fra i miei pensieri: sarei riuscito ad aiutare un fantasma più grande dei miei genitori molto tibutante a comunicare?
Rinchiusi i miei dubbi in un cassetto e mi accinsi a fare i compiti, stavolta sul serio.
Dopo cena, mi preparai la vasca per concedermi un bagno caldo ristoratore.
La riempii meno di metà e ci entrai, deciso a trovare la tranquillità, quando improvvisamente si raffreddò bruscamente.
Mi era venuta la pelle d'oca e tremavo per il freddo, quanto era calata la temperatura.
Cercai di uscire, ma non riuscivo a muovermi.
Da sotto la vasca, essa cominciò a riempirsi di acqua altrettanta gelida.
«Fermati, per favore».
Nella mia voce, una vena di panico: cosa aveva intenzione di fare? Chi era veramente?
Quando l'acqua arrivò all'orlo della vasca, smise di salire.
Riuscivo anche a muovermi, ma decisi di rimanere a mollo nonostante il freddo per vedere se magari sarei riuscito a parlare con il misterioso fantasma. Chissà, magari l'ha fatto perchè si sente a suo agio in questo modo.
«Era una sera fredda» sentii dal balcone la voce della ragazza di poche ore fa.
«Tranquilla, in questo momento ti capisco perfettamente» ironizzai.
«E poi... ero giù... giù... nel cuore dell'inverno».
Sentii qualcosa afferrarmi e buttarmi giù.
Era come un' attrazione magnetica davvero forte, facevo molta fatica a lottare, tornare con la testa fuori dall'acqua, quando all'improvviso ritrovai la vasca così come l'avevo riempita, ad eccezione della temperatura.
Mi lavai in fretta e furia e mi rinchiusi in cameretta, per cercare di riprendermi, quando mi accorsi che la maniglia era così bagnata da perdere acqua.
Mi sentivo picchiettare sulla testa, quindi mi guardai attorno e alzai la testa: dal soffitto aveva cominciato a piovere acqua.
Non riuscii ad uscire: la maniglia era bloccata.
All' improvviso apparve la ragazza al centro della stanza e smise di piovere.
«Sarei potuto affogare» fu la mia prima reazione.
«Scusami, ho pensato troppo forte».
La seconda reazione fu osservarla: era inzuppata fradicia, alta circa 1.75 cm, aveva i capelli castano scuro, mossi lunghi fino alle spalle e un poco più sotto; fra i capelli portava un grande cerchietto blu scuro, le scarpe col tacco erano abbinate; portava un abito arancione, lungo fino al ginocchio, a fantasia floreale; sulle labbra un leggero rossetto.
Aveva la testa inclinata verso il basso, voltata leggermente di lato, verso destra; traspariva insicurezza, timore, dispiacere.
Capii che era sincera, che era stato un incidente, che non voleva farmi del male.
«Scusata» la rassicurai sorridendo.
Alzò il volto, fece un leggero cenno con la testa e mi restituì un piccolo sorriso.
«Grazie» disse velocemente, con una voce delicata e cristallina : scoprire che cantava non mi avrebbe stupito.
La guardai negli occhi: stavano perdendo parte della loro insicurezza, significa che si stava fidando di me; erano di un colore strano, un grigio misto al nocciola e al verde.
«Mi racconteresti la tua storia, se non sono invadente?» azzardai, sperando di non aver fatto il passo più lungo della gamba.
Chiuse gli occhi per qualche attimo, prese un respiro leggero e veloce, poi riaprì gli occhi e mi disse: «Non ricordo molto».
«Qualunque cosa va bene. Poi, magari, parlandone assieme riaffiorano i ricordi».
«Una giornata d' autunno io e alcuni amici eravamo andati fuori città, per fare un picnic: era una festicciola tranquilla, per festeggiare il mio ventesimo compleanno. Non ricordo bene chi fossero. Poi scese la sera, si abbassò la temperatura e ci strinsimo attorno a un fuoco. Poi... non lo so...».
«Non sei costretta a continuare, se non te la senti» la rassicurai.
«È che non ricordo bene cos'è successo... Stavamo giocando... E poi facevo freddo».
Non sapevo cosa dire per consolarla, quindi sperai si accontentasse di un magro «mi spiace» e continuai.
«Come mai sei qui?».
«Ti ho trovato in quanto ho sentito parlare di te».
«Oh...».
Ero davvero sorpreso: non pensavo che parlassero di me.
«Le cose che ho sentito erano tutte lusinghiere: mi hanno detto che eri un bravo ragazzino, premuroso, sensibile e disponibile. Così mi sono avvicinata».
Mi si dipinse spontaneamente un sorriso sul volto: è sempre bello ricevere complimenti, soprattutto se riguardanti qualcosa di importante come quello che considero “il mio lavoro naturale”.
«Non vorrei sembrarti freddo o poco sensibile... Però, in fondo qui non c'è più nulla per te... Oramai non sarebbe meglio procedere oltre?».
«Ogni tanto vedo come della luce... Un richiamo provenire da lontano... Solo che ho paura: nessuno mi ha descritto il trapasso in questo modo, per quanto il passaggio sia personale e venga vissuto in modo diverso da tutti».
«Forse lo vivi in modo così distaccato perchè hai paura, mentre in realtà dovresti lasciarti andare».
Si guardava incerta, attorno.
«La vita di tutti noi è fatta di passi, certe volte piccoli, altre grandi. Ma se non si compie il fatidico passo, rimarremo sempre indietro, mentre tutto attorno a noi cresce, cambia, si evolve. Secondo me qui non hai più nulla da fare: così come gli altri hanno trovato il loro posto, tu troverai il tuo. Non ti mentirò: io non so cosa ci sia dall'altra parte. Non so se esistono il Paradiso o l' Inferno, non so come funziona. So solo che oramai ciò che è stato fatto, è stato fatto ed indugiare oltre non serve. Inoltre, sembri una brava ragazza, quindi non credo tu abbia da temere qualcosa di brutto. Sii coraggiosa, pensa a te stessa, non al passato: si vive da qui in avanti, ciò che è stato non conta» la spronai.
Rimanemmo in silenzio alcuni minuti, poi la vidi rassenerarsi.
«Vedo la soglia in maniera più chiara e limpida, ora» sorrise felice.
All'improvviso mi venne un'idea: «aspetta, devo chiederti un favore».
«Certo. Di cosa si tratta?».
«A scuola, due miei cari amici faticano a credermi... Se tu riuscissi a infestare un' aula, con noi tre soli, secondo me si convincerebbero per forza di cose!».
La guardavo trepidante.
Lei era poco convinta.
«Scusami, ma sei sicuro che sia la soluzione migliore?» domandò con tono vago.
«Sissignora!» esclamai io spumeggiante, sperando che questo la convincesse, la coinvolgesse.
Rimase in silenzio con aria meditabonda per un minuto buono, alla fine si convinse: «grazie a te ora sono in contatto con la soglia, quindi accetto di farti quest' ultimo favore prima di procedere oltre».
, La ringraziai e, data l'ora che si era fatta, andai a dormire.


Reputai inquietante scoprire che aveva passato la notte in piedi, immobile dove l'avevo lasciata prima di andare a dormire, ma mi feci passare lo stupore in fretta per progettare assieme il piano.
All' intervallo, portai William e Beatrice in un'aula vuota.
Ci fissammo per un buon minuto.
«Come mai ci hai portato qui?» chiese Beatrice.
«In questa stanza, c'è un fantasma» spiegai io.
Per un minuto, passarono lo sguardo allibiti in tutta la stanza, su di loro e infine su di me, guardando ovunque tranne dove si trovava sul serio la ragazza.
«Io non vedo nessuno, non sento nulla» sentenziò William.
Mi voltai verso il fantasma e le feci un'occhiolino.
«Sono un po' insicura» fece lei.
«Fai del tuo meglio» la spronai con un occhiolino.
«Devo pensare forte» si diede la carica.
Cominciò a soffiare un vento freddo.
«Prima che tu dica qualcosa, è autunno» disse William.
Dell' acqua cadde dal soffitto, bagnandolo. Ne cadde quanta ce ne sarebbe in una secchiata.
«Bisogna chiamare un idraulico, c'è una perdita» osservò Beatrice.
I banchi cominciarono a vibrare forte, come se ci fosse un terremoto.
I due amici cominciarono a farsi delle domande.
Il vento divenne molto forte, alcune sedie levitarono in aria e cominciòa piovere.
Osservai il fantasma: era come in trance, aveva anche cominciato a levitare da terra.
Botti dalla provenienza misteriosa risuonavano nell' aria.
Tutto questo stava cominciando a suscitare l'attenzione di chi era fuori dall'aula, tant'è che cercavano di entrare, soltanto che la maniglia era bloccata e stava perdendo acqua.
«Basta, devi fern...» feci, solo che mi fermai, in quanto mi fece segno di fermarmi con una mano.
Con l'altra mano, fece levitare un gessetto e scrisse sulla lavagna Annette Tedesco.
«Ricordo...» mormorò debolmente.
Il gessetto cadde, i botti cessarono, le sedie caddero, i banchi non vibravano più, la maniglia restò bloccata e, assieme ai muri, perdeva acqua.
Vidi il volto dolce, ingenuo e tibutante della ragazza trasformarsi in quello di una persona perfida, cattiva, in cerca di vendetta.
Mi fissò: «grazie, ora ricordo tutto».
«Non cambia quello di cui abbiamo parlato ieri sera...».
«Sì, invece».
Lessi il suo nome sulla lavagna; «Annette...».
«Dopo, varcherò la soglia, tranquillo... Ma prima...».
Scomparve prima di finire la frase, scoppiando in una risata che non faceva presagire nulla di buono.
Fissavo inespressivo il muro, a osservare senza battere ciglio ragazzi e professori entrare, chiedendo cosa era successo, guardando l'aula che era tornata per magia in perfetto ordine, tranne per una scritta che evidentemente solo io potevo vedere, dato che loro non avevano avuto reazioni.
Beatrice e William risposero vaghi e mi portarono fuori dall' aula.
«Quindi, è tutto vero...» disse Willy a tono lento con espressione sconvolta.
«Michelangelo, come stai?» chiese premurosa l'amica.
Fissavo il pavimento.
«Michelangelo...» cominciò lei, ma la interruppi.
«Toglietemi una curiosità: anche voi vedete quello che ha scritto sulla lavagna?».
Andarono a controllare.
«No, è pulita» disse William.
«Cosa c'è scritto?» chiese Beatrice preoccupata.
«Sono tornata. Cos'ho fatto, cos'ho fatto?» mi tormentai, mettendomi le mani fra i capelli, di pietra nei confronti dei miei due amici che cercavano di consolarmi, ignari di tutto.

Annette Tedesco è un nome di fantasia, eventuali riferimenti a persone realmente esistenti o avvenimenti realmente accaduti è puramente casuale.

  
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