A metà ottobre, l' autunno aveva deciso di farsi sentire in tutto il suo
impeto.
La pioggia scendeva violenta, il vento soffiava freddo senza tregua e ogni tanto
grandinava pure. Questo tempo faceva venire voglia di tutto, anche di mangiare
la pasta al sugo di peperoni, ma non di andare a scuola.
Da dopo l'avventura con l'acchiappasogni, il rapporto con i miei due amici era
proseguito normalmente, sebbene due giorni fa, una domenica pomeriggio ai
giardinetti, si era incrinato un po'.
Stranamente c'era il sole e ne avevamo approfittato per vederci.
Ci sedemmo su una panchina.
«Non abbiamo più parlato di eventi soprannaturali, non mi avete più fatto
domande sul mio dono...» osservai senza lanciare preavviso alcuno, sia per
rompere il silenzio che si era venuto a creare sia per osservare le loro reazioni:
volevo sincerarmi che andasse tutto bene.
Le loro reazioni iniziali non furono incoraggianti: guardavano per terra o altrove
con una strana espressione sul volto.
.
«Sicuro fosse tutto reale?» chiese William.
Lo guardai sconcertato: cosa intendeva dire? Come poteva dubitare di quanto
vissuto?
«Cosa intendi?» esternai.
«Quando siamo entrati in trance, forse ci siamo semplicemente “sintonizzati”,
vivendo un sogno ad occhi aperti...» spiegò lui.
«Ma è assurdo!» risposi.
«È molto più logico e razionale questo, che quanto successo» Beatrice
appoggiò William.
«Avevi quella ferita...» contestai.
«Forse, era solo …. “finta” anche quella» difese la sua posizione.
«Sogno o realtà, quell' acchiappasogni era maledetto e noi lo abbiamo
“esorcizzato”, diciamo...».
Dalle loro espressioni si vedeva che non erano convinti.
«Se io vi dimostrassi che i fantasmi esistono, mi credereste?» lanciai loro la
sfida.
«Sì» risposero entrambi.
«Perfetto. Allora riproporremo la conversazione a fantasma scovato».
Ecco perchè oggi, all'intervallo, siamo un po' freddi e distanti nei rapporti: non è
il tempo a influire sull' umore, è il nostro umore a influire sul tempo.
Il programma di oggi era semplice: fare finta di fare i compiti per poi rintanarsi
sotto le coperte tutto il giorno, senza pensieri per la testa.
Peccato che non sempre le cose non vadano come si desidera: verso le sei mi
destai dal pisolino pomeridiano e scoprii che i pavimenti e alcuni mobili erano
bagnati d'acqua.
Inizialmente non sapevo come spiegare il fenomeno, poi compresi che
probabilmente c'era un fantasma in casa.
«Ciao» tentai un primo approccio.
Non ottenni risposta.
«Immagino tu voglia entrare in contatto con me, se mi hai bagnato la casa... Non
aver paura».
Ancora niente.
«Prima mi sono addormentato, ma ora sono sveglio, ti ascolto... su, dai, non hai
nulla da temere, non mangio mica» ritentai sorridendo, chiedendomi se forse
non ero troppo insistente.
Dal momento che ancora non ottenni risposta, mi sedetti sulla parte asciutta del
divano e cominciai a leggere un libro, per ingannare il tempo e non fare
pressione sull'entità, sempre che di quello si trattasse.
Dopo una decina di minuti, mi sentii bagnare sulla testa: dell' acqua era caduta
dal soffitto; pensai che si trattasse di una perdita d'acqua, così mi avvicinai al
telefono per chiamare i miei genitori, solo che poi non li chiamai e misi giù:
dalla cornetta uscì dell' acqua.
«Okay, non è una perdita d'acqua, i telefoni non perdono acqua... Ne vogliamo
parlare?».
Sentii uno scroscio d'acqua in camera mia: lo interpretai come un segno
d'assenso.
Interpretai il fatto che non parlasse e che non si manifestasse nella mia stessa
stanza in quanto probabilmente si trattava di un fantasma riservato, oppure
timido, e che era quindi opportuno mantenere le distanze, per rispettare la sua
riservatezza e farlo sentire a suo agio.
«Mi presento: mi chiamo Michelangelo, ho 12 anni».
Silenzio.
Ero in difficoltà, ma decisi di non mollare.
«Con me puoi parlare di qualsiasi cosa tu voglia, non ti giudicherò».
Vidi una figura in penombra sporgersi dalla porta di camera mia.
«Classe 1969».
Non riuscii a distinguere i contorni della figura, ma data la voce, credo si
trattasse di una ragazza sui vent' anni.
Rumore di chiavi nella toppa: la velocità istantanea con cui la ragazza
scomparve fu la stessa dell' ansia che mi assalse: come avrei spiegato la casa
bagnata e il fatto che non li avevo chiamati?
«Ciao, Michelangelo» mi salutarono i genitori.
Mi guardai attorno, incredulo della tranquillità con cui giravano per casa, quando
mi accorsi che la casa non era più bagnata.
Tirai un sospiro di sollievo: era il primo fantasma da me incontrato che ripuliva
le tracce; ed anche il più vecchio. Un dubbio fece capolino fra i miei pensieri:
sarei riuscito ad aiutare un fantasma più grande dei miei genitori molto tibutante
a comunicare?
Rinchiusi i miei dubbi in un cassetto e mi accinsi a fare i compiti, stavolta sul
serio.
Dopo cena, mi preparai la vasca per concedermi un bagno caldo
ristoratore.
La riempii meno di metà e ci entrai, deciso a trovare la tranquillità, quando
improvvisamente si raffreddò bruscamente.
Mi era venuta la pelle d'oca e tremavo per il freddo, quanto era calata la
temperatura.
Cercai di uscire, ma non riuscivo a muovermi.
Da sotto la vasca, essa cominciò a riempirsi di acqua altrettanta gelida.
«Fermati, per favore».
Nella mia voce, una vena di panico: cosa aveva intenzione di fare? Chi era
veramente?
Quando l'acqua arrivò all'orlo della vasca, smise di salire.
Riuscivo anche a muovermi, ma decisi di rimanere a mollo nonostante il freddo
per vedere se magari sarei riuscito a parlare con il misterioso fantasma.
Chissà, magari l'ha fatto perchè si sente a suo agio in questo modo.
«Era una sera fredda» sentii dal balcone la voce della ragazza di poche ore
fa.
«Tranquilla, in questo momento ti capisco perfettamente» ironizzai.
«E poi... ero giù... giù... nel cuore dell'inverno».
Sentii qualcosa afferrarmi e buttarmi giù.
Era come un' attrazione magnetica davvero forte, facevo molta fatica a lottare,
tornare con la testa fuori dall'acqua, quando all'improvviso ritrovai la vasca così
come l'avevo riempita, ad eccezione della temperatura.
Mi lavai in fretta e furia e mi rinchiusi in cameretta, per cercare di riprendermi,
quando mi accorsi che la maniglia era così bagnata da perdere acqua.
Mi sentivo picchiettare sulla testa, quindi mi guardai attorno e alzai la testa: dal
soffitto aveva cominciato a piovere acqua.
Non riuscii ad uscire: la maniglia era bloccata.
All' improvviso apparve la ragazza al centro della stanza e smise di
piovere.
«Sarei potuto affogare» fu la mia prima reazione.
«Scusami, ho pensato troppo forte».
La seconda reazione fu osservarla: era inzuppata fradicia, alta circa 1.75 cm,
aveva i capelli castano scuro, mossi lunghi fino alle spalle e un poco più sotto;
fra i capelli portava un grande cerchietto blu scuro, le scarpe col tacco erano
abbinate; portava un abito arancione, lungo fino al ginocchio, a fantasia floreale;
sulle labbra un leggero rossetto.
Aveva la testa inclinata verso il basso, voltata leggermente di lato, verso destra;
traspariva insicurezza, timore, dispiacere.
Capii che era sincera, che era stato un incidente, che non voleva farmi del
male.
«Scusata» la rassicurai sorridendo.
Alzò il volto, fece un leggero cenno con la testa e mi restituì un piccolo
sorriso.
«Grazie» disse velocemente, con una voce delicata e cristallina : scoprire che
cantava non mi avrebbe stupito.
La guardai negli occhi: stavano perdendo parte della loro insicurezza, significa
che si stava fidando di me; erano di un colore strano, un grigio misto al nocciola
e al verde.
«Mi racconteresti la tua storia, se non sono invadente?» azzardai, sperando di
non aver fatto il passo più lungo della gamba.
Chiuse gli occhi per qualche attimo, prese un respiro leggero e veloce, poi riaprì
gli occhi e mi disse: «Non ricordo molto».
«Qualunque cosa va bene. Poi, magari, parlandone assieme riaffiorano i
ricordi».
«Una giornata d' autunno io e alcuni amici eravamo andati fuori città, per fare un
picnic: era una festicciola tranquilla, per festeggiare il mio ventesimo
compleanno. Non ricordo bene chi fossero. Poi scese la sera, si abbassò la
temperatura e ci strinsimo attorno a un fuoco. Poi... non lo so...».
«Non sei costretta a continuare, se non te la senti» la rassicurai.
«È che non ricordo bene cos'è successo... Stavamo giocando... E poi facevo
freddo».
Non sapevo cosa dire per consolarla, quindi sperai si accontentasse di un
magro «mi spiace» e continuai.
«Come mai sei qui?».
«Ti ho trovato in quanto ho sentito parlare di te».
«Oh...».
Ero davvero sorpreso: non pensavo che parlassero di me.
«Le cose che ho sentito erano tutte lusinghiere: mi hanno detto che eri un bravo ragazzino, premuroso,
sensibile e disponibile. Così mi sono avvicinata».
Mi si dipinse spontaneamente un sorriso sul volto: è sempre bello ricevere
complimenti, soprattutto se riguardanti qualcosa di importante come quello che
considero “il mio lavoro naturale”.
«Non vorrei sembrarti freddo o poco sensibile... Però, in fondo qui non c'è più
nulla per te... Oramai non sarebbe meglio procedere oltre?».
«Ogni tanto vedo come della luce... Un richiamo provenire da lontano... Solo che
ho paura: nessuno mi ha descritto il trapasso in questo modo, per quanto il
passaggio sia personale e venga vissuto in modo diverso da tutti».
«Forse lo vivi in modo così distaccato perchè hai paura, mentre in realtà
dovresti lasciarti andare».
Si guardava incerta, attorno.
«La vita di tutti noi è fatta di passi, certe volte piccoli, altre grandi. Ma se non si
compie il fatidico passo, rimarremo sempre indietro, mentre tutto attorno a noi
cresce, cambia, si evolve. Secondo me qui non hai più nulla da fare: così come
gli altri hanno trovato il loro posto, tu troverai il tuo. Non ti mentirò: io non so cosa
ci sia dall'altra parte. Non so se esistono il Paradiso o l' Inferno, non so come
funziona. So solo che oramai ciò che è stato fatto, è stato fatto ed indugiare
oltre non serve. Inoltre, sembri una brava ragazza, quindi non credo tu abbia da
temere qualcosa di brutto. Sii coraggiosa, pensa a te stessa, non al passato: si
vive da qui in avanti, ciò che è stato non conta» la spronai.
Rimanemmo in silenzio alcuni minuti, poi la vidi rassenerarsi.
«Vedo la soglia in maniera più chiara e limpida, ora» sorrise felice.
All'improvviso mi venne un'idea: «aspetta, devo chiederti un favore».
«Certo. Di cosa si tratta?».
«A scuola, due miei cari amici faticano a credermi... Se tu riuscissi a infestare
un' aula, con noi tre soli, secondo me si convincerebbero per forza di
cose!».
La guardavo trepidante.
Lei era poco convinta.
«Scusami, ma sei sicuro che sia la soluzione migliore?» domandò con tono
vago.
«Sissignora!» esclamai io spumeggiante, sperando che questo la convincesse,
la coinvolgesse.
Rimase in silenzio con aria meditabonda per un minuto buono, alla fine si
convinse: «grazie a te ora sono in contatto con la soglia, quindi accetto di farti
quest' ultimo favore prima di procedere oltre».
,
La ringraziai e, data l'ora che si era fatta, andai a dormire.
Reputai inquietante scoprire che aveva passato la notte in piedi, immobile dove
l'avevo lasciata prima di andare a dormire, ma mi feci passare lo stupore in
fretta per progettare assieme il piano.
All' intervallo, portai William e Beatrice in un'aula vuota.
Ci fissammo per un buon minuto.
«Come mai ci hai portato qui?» chiese Beatrice.
«In questa stanza, c'è un fantasma» spiegai io.
Per un minuto, passarono lo sguardo allibiti in tutta la stanza, su di loro e infine
su di me, guardando ovunque tranne dove si trovava sul serio la ragazza.
«Io non vedo nessuno, non sento nulla» sentenziò William.
Mi voltai verso il fantasma e le feci un'occhiolino.
«Sono un po' insicura» fece lei.
«Fai del tuo meglio» la spronai con un occhiolino.
«Devo pensare forte» si diede la carica.
Cominciò a soffiare un vento freddo.
«Prima che tu dica qualcosa, è autunno» disse William.
Dell' acqua cadde dal soffitto, bagnandolo. Ne cadde quanta ce ne sarebbe in
una secchiata.
«Bisogna chiamare un idraulico, c'è una perdita» osservò Beatrice.
I banchi cominciarono a vibrare forte, come se ci fosse un terremoto.
I due amici cominciarono a farsi delle domande.
Il vento divenne molto forte, alcune sedie levitarono in aria e cominciòa
piovere.
Osservai il fantasma: era come in trance, aveva anche cominciato a levitare da
terra.
Botti dalla provenienza misteriosa risuonavano nell' aria.
Tutto questo stava cominciando a suscitare l'attenzione di chi era fuori dall'aula,
tant'è che cercavano di entrare, soltanto che la maniglia era bloccata e stava
perdendo acqua.
«Basta, devi fern...» feci, solo che mi fermai, in quanto mi fece segno di
fermarmi con una mano.
Con l'altra mano, fece levitare un gessetto e scrisse sulla lavagna Annette
Tedesco.
«Ricordo...» mormorò debolmente.
Il gessetto cadde, i botti cessarono, le sedie caddero, i banchi non vibravano
più, la maniglia restò bloccata e, assieme ai muri, perdeva acqua.
Vidi il volto dolce, ingenuo e tibutante della ragazza trasformarsi in quello di una
persona perfida, cattiva, in cerca di vendetta.
Mi fissò: «grazie, ora ricordo tutto».
«Non cambia quello di cui abbiamo parlato ieri sera...».
«Sì, invece».
Lessi il suo nome sulla lavagna; «Annette...».
«Dopo, varcherò la soglia, tranquillo... Ma prima...».
Scomparve prima di finire la frase, scoppiando in una risata che non faceva
presagire nulla di buono.
Fissavo inespressivo il muro, a osservare senza battere ciglio ragazzi e
professori entrare, chiedendo cosa era successo, guardando l'aula che era
tornata per magia in perfetto ordine, tranne per una scritta che evidentemente
solo io potevo vedere, dato che loro non avevano avuto reazioni.
Beatrice e William risposero vaghi e mi portarono fuori dall' aula.
«Quindi, è tutto vero...» disse Willy a tono lento con espressione sconvolta.
«Michelangelo, come stai?» chiese premurosa l'amica.
Fissavo il pavimento.
«Michelangelo...» cominciò lei, ma la interruppi.
«Toglietemi una curiosità: anche voi vedete quello che ha scritto sulla
lavagna?».
Andarono a controllare.
«No, è pulita» disse William.
«Cosa c'è scritto?» chiese Beatrice preoccupata.
«Sono tornata. Cos'ho fatto, cos'ho fatto?» mi tormentai, mettendomi le mani fra
i capelli, di pietra nei confronti dei miei due amici che cercavano di consolarmi,
ignari di tutto.
Annette Tedesco è un nome di fantasia, eventuali
riferimenti a persone realmente esistenti o avvenimenti realmente accaduti è
puramente casuale.