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Autore: Padmini    12/04/2012    4 recensioni
Sherlock è tormentato da uno strano incubo ricorrente. Non sa ancora che quel sogno presto avrà una parte importante nella sua vita e lo aiuterà a capire molte cose di se stesso. Perchè non riesce a fidarsi delle donne? Quali dolorosi ricordi sono racchiusi nella sua anima?
Non mi ricordo da quando ce l’ho. Forse da sempre. Ciclicamente è tornato per tormentarmi. Quindi, ciclicamente, sono ricaduto nel mi vecchio vizio. Non è sempre stato così. Mi ricordo che quando ero bambino c’era mia madre. Lei veniva in camera mia e mi consolava.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
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Wow! Mi fa piacere che così tanti seguano questa storia! Vi ringrazio davvero! Come ha detto il nostro caro Benedict alla consegna di non-mi-ricordo-più-che-premio (GQ, mi pare):
wow wow wow wow WOW!!
 

 


 
Buio. È tutto buio. Ricordo poco o nulla. Il vaso che John ha rotto, io seduto per terra, lo schiaffo di Mycroft, l’abbraccio di mia madre. Mycroft. Deve essere stato lui. Mi ha sicuramente iniettato della morfina per calmarmi.
Sto meglio. Riesco a respirare bene e sono sveglio. Sono a casa mia, a Baker Street. Mi metto a sedere. Per qualche istante mi gira la testa. Pian piano i miei occhi si abituano al buio e riesco a distinguere qualche sagoma. C’è John vicino a me. Ha la testa appoggiata alla mano. Dorme.
È seduto sulla poltrona che ha portato in camera per starmi vicino. Quando sente il fruscio delle lenzuola che si spostano si risveglia. Si alza e viene a sedersi accanto a me, nel letto.
“Sherlock, come stai?” mi chiede preoccupato “Mycroft ha dovuto sedarti oggi pomeriggio per farti calmare” Come sospettavo.
“Meglio, sto meglio”
“Sherlock, per piacere” mi dice lui guardandomi severo “È da quando è morto tuo padre che dici che stai ‘meglio’”
“Ma meglio non vuol dire bene, giusto?” dico ricordando le parole di Lestrade.
“Giusto. Insomma, sono tuo amico. Sai che puoi dirmi tutto. Puoi confidarti, se ti fa stare meglio. Anzi, ne sono sicuro”
“Sono un vigliacco, John”
“Non è vero”
“Si, invece. Ho paura di questi ricordi che stanno riaffiorando alla mia mente. Ho paura di confidarmi con chiunque. Sono solo un codardo”
“Di quali ricordi stai parlando?”
“Di quando vivevo con mio padre. Appena ho potuto, quando ho iniziato l’università, me ne sono andato di casa. Fino a quel momento ho dovuto convivere con lui e con il suo odio”
“Di cosa stai parlando?”
“Mio padre non mi ha mai amato. Da piccolo mi picchiava spessissimo ed era violento persino con mia madre”
“Picchiava anche Mycroft?”
“No, figurati! Era il suo prediletto! Lo portava in palmo di mano! Guai a toccare il suo figlio perfetto Mycroft! Era un’eresia!”
Sospiro forte e mi lascio andare sul letto. Il cuscino sbuffa sotto il peso inatteso della mia testa.
“Non so perché” dico guardando il soffitto “ma mi ha sempre odiato. Qualsiasi cosa facessi non era mai abbastanza per lui”
“È per questo che sei diventato uno stronzetto supponente?” mi chiede mentre un sorriso gli increspa le labbra. Mi piace tantissimo, quando fa così. Mio malgrado non posso fare a meno di ridere.
“Esatto. Penso che sia andata proprio così”
“Così” prosegue lui “La morte di tuo padre ti ha portato alla memoria tutta una serie di ricordi?”
“Si. Ricordi che avevo sepolto nella mia mente. Come per il sistema solare” tento di spostare la conversazione su argomenti più leggeri ma lui è implacabile.
“Sherlock” ora è tornato serio “Mentre ti spogliavamo, prima, abbiamo trovato queste”
Mi prende il braccio e solleva la manica fino al gomito. Si vedono benissimo le cicatrici delle iniezioni sulla mia pelle candida.
“Io …” comincio ma no so come finire.
“Non devi ricorrere a questi sistemi, Sherlock” mi dice rimettendo a posto la manica “Ci sono io. C’è Mycroft”
“Hai ragione. Hai perfettamente ragione” deglutisco. Sono imbarazzato. Un’altra prova inconfutabile della mia vigliaccheria.
“Questa è una scorciatoia meschina, Sherlock. Lo sai bene anche tu”
Annuisco. È vero. Ha ragione. Mi vergogno di me stesso. Distolgo lo sguardo da lui. Mi pesa il modo in cui mi guarda. No. Non è così. Lui mi guarda ma non mi sta giudicando. Sono io che vedo il mio stesso giudizio riflesso nei suoi occhi. Non è che uno specchio di quello che io stesso provo verso di me.
“Sherlock” mi dice facendomi voltare “Adesso ci sono io qui con te. Adesso andrà meglio. È un bene che tu abbia ricordato queste cose, davvero. Ora devi solo accettarle. Non da solo. Ci sono io. Ricordatelo. C’è Mycroft. C’è tua madre”
Il campanello lo interrompe.
“Aspetta qui, arrivo subito”
 
Dopo qualche istante torna. Con lui c’è qualcuno. È Lestrade.
“Ciao Sherlock” mi saluta entrando “Ho saputo da John”
Lo guardo a bocca aperta e non so cosa pensare. Lui ricambia lo sguardo. Sa che ho bisogno di tutto l’aiuto possibile, adesso. È stato gentile a chiamarlo.
“Grazie” e non riesco a dire altro.
Non mi confiderò con lui. Non me la sento. Però mi fa bene che lui sia qui. Sa della mia dipendenza dalla cocaina ed è stato anche lui, insieme a Mycroft, ad aiutarmi ad uscirne l’ultima volta. Anche adesso è qui. Non sa però che questa volta l’acqua è molto più torbida. I ricordi si sono sollevati come una nuvola di sabbia e mi impediscono di vedere le cose importanti. Sta a me farmi aiutare. Non posso pensare di fare cela da solo. Qualcuno deve aiutarmi a riportare chiarezza nella mia vita. Qualcuno, non la cocaina.
 
Dopo qualche minuto arriva la signora Hudson. Si siede anche lei vicino a me e mi abbraccia, materna. Non dice nulla. Si limita a stringermi forte.
Ho bisogno di tutto questo. Di questo … e di altro.
Soprattutto ho bisogno di risposte. Quello che mi sta accadendo ha un perché e io voglio scoprirlo. Mentre John, Lestrade e la signora Hudson parlano tra di loro sottovoce, io elaboro un mio piano.
Questo è un caso. Il mio caso. Devo andare fino in fondo. Voglio farcela. Me lo devo. So esattamente cosa fare. La parte razionale del mio cervello si è stufata di stare in panchina e ora reclama il suo posto in prima linea. Il corpo, sfortunatamente, non è d’accordo.
Ho sonno ora. Tanto sonno. È sera, ormai. L’effetto della morfina è durato poche ore. Ho bisogno di una buona notte di sonno e domani sarò pronto a continuare le indagini.
Le voci dei miei amici - che strana parola … i miei amici … ho degli amici, ora … -mi cullano dolcemente, trasportandomi in un sonno senza sogni.
 

   
 
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