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Autore: Brin    12/04/2012    8 recensioni
L'amore ai tempi della preistoria, quando l'uomo viveva di caccia. Quando erano le caverne a raccontarne la storia; quando il mito si intrecciava con la vita. Quando tutto era novità e scoperta, persino l'amore. [Partecipa al contest indetto da veronic90 “Al di là del tempo che fu”]
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
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caduto
A chi mi conosce, ben ritrovati!
A chi mi legge per la prima volta, benvenuti!
Questa oneshot partecipa al contest “Al di là del tempo che fu”.
Io in genere amo associare una musica a ciò che scrivo, e naturalmente anche questa oneshot ha la sua colonna sonora. Per chi volesse leggerla con la musica nelle orecchie, consiglio:

“Phoenix Music – Planet Earth”

Buona lettura.




CADUTO DAL CIELO



*


Era uscita a cercare bacche, quando si era imbattuta in lui.
L'aveva trovato poco lontano dall'accampamento, sotto il riparo di un albero secolare; la schiena appoggiata al tronco, le braccia rilassate in grembo, la testa abbandonata a un sonno leggero e una caviglia gonfia come il ventre gravido di una femmina.
Non l'avrebbe mai ammesso -per la Madre Terra, non avrebbe neppure dovuto pensare una cosa simile!-, eppure Sheana aveva sentito chiaramente quell'istinto curioso nascere prepotente e bloccarla lì, in mezzo alle felci, a pochi metri da lui; quella sorta di fascinazione che le aveva tolto il respiro e aveva fermato lo scorrere del tempo assieme al suo cammino.
Si era bloccata lì, davanti a lui, come... Una preda? Un predatore?
Non lo sapeva, Sheana. Non sapeva come si sentiva, né tanto meno come -si supponeva- avrebbe dovuto sentirsi. Sapeva soltanto che lui era biondo, un biondo apparso da nessun dove in un mondo popolato da scuri come lei.
I suoi capelli chiari, la carnagione...
Era così diverso...
Avvicinarsi fu l'ennesimo sbaglio che non avrebbe dovuto commettere: lentamente, i passi leggeri e attenti, Sheana arrivò ai suoi piedi.
Fermati, finché sei in tempo.
Oh, per il cielo, e se avesse toccato quei suoi capelli...
Chiama i saggi.
Se ne avesse accarezzato la morbidezza, se ne avesse sentito la consistenza tra le dita...
Cedette quasi subito, troppo debole davanti a una simile opportunità. Crollò sotto il peso di quella curiosità sedotta dalla sua presenza, dall'occasione che lui rappresentava -lui che era il primo che Sheana vedeva, lui che era così simile ai maschi che apparivano nelle pitture che i suoi avi avevano disegnato, lui che aveva lo stesso aspetto che le leggende riportavano-. Perché se si fosse lasciata scappare quell'occasione per conoscere... Per sapere...
Scopri come sono al tatto i capelli di un Caduto.
Lo fece. Avida di scoperta, il cuore in gola e lo stomaco ridotto a un groviglio di eccitazione, Shena si sporse fino a raccogliere in mano una di quelle ciocche bionde che gli ricadevano sul viso e poi più giù, a sfiorargli il collo.
E pagò l'errore.


*


Quante volte era rimasta davanti a quelle pitture rupestri da bambina, incantata dalle loro forme... Aveva trascorso l'infanzia a consumarsi gli occhi, sedotta dai colori che si fondevano nella roccia che raccoglieva la loro storia. E i sussurri che quelle scene mitologiche le rimandavano, quelle voci seducenti che le parlavano di una magia mistica invisibile eppure presente ovunque attorno a lei dall'alba dei tempi...
Nemmeno suo padre era riuscito a saziare la sete che costringeva la gola di Sheana a stringersi davanti a quelle pitture, dono che i loro antenati avevano lasciato alla tribù. Ci aveva provato tante volte -oh, quante ore avevano trascorso nella pancia della Grotta Sacra, attorno al fuoco, con i nasi puntati alle pitture e le dita a indicare gli uomini che cadevano dal cielo!-, ma la paziente solerzia di suo padre aveva avuto come unico effetto quello di rendere Sheana ancora più dedita alle storie che quei disegni raccontavano.
Gesta di uomini diversi da loro.
Maschi e femmine dai capelli biondi, rifiutati dalle braccia del dio Cielo per avergli rubato le stelle; per avergli sottratto un po' di luce con cui rischiarare il colore dei propri capelli. Costretti a vagare nel mondo della Madre Terra, in una landa selvaggia che non aveva mai conosciuto prima uomini come loro.
«Sono stati cacciati perché hanno rotto l'equilibrio del Cielo», così le diceva sempre suo padre quando parlava di queste persone -questi Caduti dal cielo. E lei guardava il suo volto mentre si bagnava le labbra di queste parole incredibili -ne scrutava lo sguardo assorto, catturato dalle stesse pitture di cui raccontava i significati-, e non riusciva a impedirsi di sperare in qualcosa.
Un'occasione, un incontro, uno sguardo fugace rubato durante una battuta di caccia o una raccolta, seppure dato da lontano. Un movimento tra le felci, perfino una scoperta al limite tra l'illusione e il sogno, perché chiamarla realtà sarebbe stato troppo azzardato.
Qualunque cosa sarebbe andata bene, pur che fosse in grado di avvicinarla un po' di più a quegli uomini biondi che, sulla roccia della Grotta Sacra, precipitavano verso la terra e nell'ossessione di Sheana.
Qualunque cosa, pur che fosse in grado di avvicinarla al cielo.


*


Il prezzo da pagare fu la paura. Si trattò di uno scotto inatteso almeno quanto la stretta delle sue mani, che calarono rapaci su di lei. Improvvise, forti.
Inevitabili.
Più di tutto, però -più dell'aggressività con cui le sue dita le stringevano i polsi, più della vicinanza irriducibile al suo corpo, persino più del guaio rovinoso che quella stretta scellerata che non sarebbe dovuta accadere comportava-, furono i suoi occhi azzurri a trafiggerla: non le artigliarono il corpo, quanto piuttosto qualcosa di più profondo e inarrivabile. Le colpirono l'anima.
A lasciarla senza fiato fu la tempesta che Sheana vi lesse dentro. Fu la confusione, l'aggressività, il furore, la vita che vi splendeva dentro. E fu così inatteso, così improvviso, così intenso... Cielo, faceva quasi male.
«Non volevo farti nulla!» Sheana si dimenò nella sua stretta cercando di non cedere al dolore -quello del polso ritorto, ma anche quello di quel suo cuore incastrato, trafitto, sedotto. E l'istinto che le gridava di allontanarsi da quell'uomo, di opporsi, di riparare a ciò che di sbagliato aveva fatto...
Ma lui era forte, così dannatamente forte...
«Chi sei?»
Per il dio Cielo, la sua voce!
Profonda.
Grave.
Di chi dentro di sé porta solo oscurità.
«Mi chiamo Sheana, del clan della Roccia Spaccata. Sono una sacerdotessa.» Lo disse con voce malferma, rotta da respiri ingrossati per lo sforzo di riconquistare la libertà; e poi la speranza che ciò bastasse a convincerlo della sua buona fede, mescolata a quella parola -sacerdotessa.
Lui non smise di guardarla. Accolse la risposta di Sheana con prudenza, prendendosi tutto il tempo per studiarla; per sfilacciare le sue parole e trovare l'inghippo, per nutrirsi della sua paura e fare ciò che a quelli come lui riusciva meglio: rompere l'equilibrio. E poco importava che Sheana non avesse mai incontrato un Caduto prima d'ora, perché lui la stava divorando. Lo faceva con lo sguardo, con quei suoi occhi chiari -così straordinari, così azzurri, così... belli!-, con il modo con cui li faceva scivolare lungo il viso di Sheana, sulla sua pelle ambrata, sugli amuleti che portava legati ai capelli come segno distintivo del suo ruolo nel mondo -quello di sacerdotessa.
La stava. Mangiando. Viva.
È in questo modo che hai rubato al Cielo? L'hai incantato con i tuoi occhi?
«Puoi aiutarmi? La caviglia...» lui le lasciò i polsi e cercò di mettersi in piedi, ma una fitta di dolore lo costrinse a fermarsi. E quando la guardò senza aggiungere altro, con l'offerta di quella frase che gravitava nel silenzio, Sheana capì che non esisteva equilibrio da rompere perché, qualunque cosa fosse accaduta a quell'uomo, il suo si era rotto spontaneamente nel momento in cui l'aveva visto e aveva capito che quella era l'occasione che stava aspettando da una vita.
Così gli toccò il fianco, un contatto lento e quasi indeciso, una prudenza che si faceva emozione più che timore. La pelle calda sotto la sua mano, il braccio che sgusciava verso la schiena, il cuore che prendeva coraggio, decisione. Scelta.
«Appoggiati a me.»


*


Si inoltrarono nella foresta, una camminata a contatto che fece vibrare il cuore di Sheana. Furono braccia su schiena, pelle su pelle; e vicinanza, pensieri che si mescolavano senza mai avvicinarsi troppo, quasi potesse rivelarsi pericoloso guardarsi.
Cosa sto facendo?
Sheana non riuscì a trovare una risposta. Per tutto il tempo in cui camminarono tra le felci, avvolti in un silenzio che rendeva ancora più assordante l'assurda vibrazione che rispondeva alla loro vicinanza, seppe soltanto sentire.
Catturare tutto ciò che lo riguardasse.
L'altezza che nemmeno il suo moto ingobbito dal dolore riusciva a nascondere...
Il peso che il suo braccio schiacciava su di lei...
Il calore della sua pelle nuda...
Il rumore dei suoi passi sul fogliame...
Sheana ascoltava lui.


*


Lo nascose nella Grotta Sacra, proprio sotto quelle pitture che narravano la caduta di quell'uomo dalla volta celeste. Lo sottrasse al mondo, alla Madre Terra che l'aveva accolto, agli occhi dei suoi compagni che probabilmente l'avrebbero ucciso, se soltanto fossero venuti a conoscenza della sua esistenza.
Lo tenne per sé, egoista e affascinata, troppo gelosa di quell'occasione per pensare di condividerla con qualcun altro. Troppo spaventata dalla possibilità di vederla scivolare via, per rischiare di perderla.
Lo curò senza mai toccarlo più del necessario. Lo sfamò ogni giorno, rubando il cibo alla sua tribù di nascosto; gli portò acqua, compagnia, calore. Fece tutto questo in silenzio, e per ogni volta che tornava alla grotta con le mani cariche di offerte e di speranze, trascorreva infiniti minuti a guardarlo recuperare le forze. Sguardi dati da lontano, con pazienza infinita, come un guardiano ammirato davanti alla propria vocazione. Quella di Sheana si chiamava Jawad.
Le aveva svelato il suo nome davanti al fuoco, quando lei gli aveva portato il primo pasto del loro incontro -una manciata di bacche e alcune radici, quanto bastava per mettere a tacere i morsi della fame
Jawad separato dalla propria tribù durante una battuta di caccia andata male.
Jawad che si era spinto troppo lontano per ritrovarli.
Jawad ferito, con una storta alla caviglia che era peggiorata fino a condurlo ai piedi di quell'albero, dove lei l'aveva scoperto sfinito dalla fatica e vinto dal dolore.
Parlavano di tutto e di niente durante quei momenti attorno al fuoco. Sotto le pitture di Caduti che venivano respinti dal Cielo, Jawad le raccontava di come fosse stato certo di morire sotto le fronde di quell'albero, sbranato da qualche predatore.
E poi le raccontava della sua tribù -un gruppo di maschi e femmine dai capelli biondi, proprio come lui-, delle loro usanze, delle loro famiglie. Del loro incredibile modo di amare una donna soltanto, per tutta la vita.
Oh, quante volte avrebbe voluto chiedergli se l'avesse già trovata, quella donna! Sapere come fossero gli occhi di un Caduto mentre parlava d'amore, e come brillassero i suoi occhi, soprattutto... Avrebbe voluto chiedergli tante, troppe cose, eppure non gliene domandò nessuna.
In quei momenti si limitò a lasciarlo parlare e ad ascoltare il rumore del suo respiro, a imprimerselo nella mente e a rubare pezzi di realtà che sarebbero inevitabilmente diventati ricordi. Perché era questo a cui Sheana era destinata: ricordi, nient'altro che frammenti di memoria. E mentre guardava Jawad -il modo in cui il fuoco disegnava riverberi di luce e ombra sul suo bel viso-, quella consapevolezza le si incollò addosso in modo doloroso, sulla pelle e oltre, proprio dove lui si stava facendo strada.
Perché Sheana aveva trovato la sua occasione.
E, con essa, molto di più.


*



Successe quando il sole era ancora alto nel cielo.
Accadde dopo giorni trascorsi a guardarsi l'un l'altra, a coltivare la voglia di toccarsi, di sentirsi, perché non era possibile fare diversamente. Non con quella comunione mistica a unirli in un legame che non possedeva nome, ma che di vibrazioni invece ne aveva eccome.
Accadde dopo ore passate a pensare a lei, a quel suo modo unico di guardarlo, alla gentilezza che l'animo di Sheana gli regalava. Lei che era così incosciente da trascorrere il suo tempo con lui, lei che gli regalava le sue cure, il suo conforto...
Lei che non si era mai fatta troppo vicina, quasi avesse paura di scoprire che fosse tutto un sogno...
Accadde dopo tempo interminabile trascorso nella solitudine, la testa appoggiata alla parete, proprio sotto quei disegni che narravano di un evento che Jawad non ricordava. Tempo passato a nutrire il pensiero di lei con il ricordo del suo odore di muschio e natura, l'unico frammento di Sheana che fosse riuscito a catturare.
Accadde mentre era talmente intento a desiderare la sua compagnia da sobbalzare, quando le sentì.
Grida.
Parole brusche piegate nella sofferenza, lanciate nella foresta come se potessero essere una liberazione da ciò che le stava facendo male. Un litigio.
Sheana!
Conquistare la posizione eretta non fu difficile, almeno non come Jawad aveva temuto: ad aiutarlo a vincere il dolore fu il pensiero di lei in mezzo alla foresta, assieme a chissà chi; con chissà quali mani che la costringevano a restare ferma, a subire parole aggressive, a rispondervi con grida che traboccavano di rabbia e paura.
Avrebbe voluto raggiungerla e aiutarla come lei aveva fatto con lui.
Avrebbe voluto raccoglierla da qualunque cosa la facesse gridare in quel modo per portarla lì, in quella grotta che era diventata sacra persino ai suoi occhi, perché era il luogo che lo univa a lei. E l'avrebbe fatto, dannazione. L'avrebbe fatto, se le grida non fossero cessate all'improvviso.
Cosa ti è successo?
Jawad rimase sulla bocca della caverna ad aspettare qualcosa, l'udito all'erta, il cuore stretto nella preoccupazione. Quando la vide sbucare dai cespugli, perfettamente integra nonostante i capelli più arruffati del solito -e con uno sguardo arrabbiato che la rendeva deliziosa-, quel peso che gli opprimeva il cuore svanì all'istante, così com'era venuto.
«Non dovresti essere in piedi. Che stai facendo?»
«Ti ho sentita gridare.» Lo disse guardandola negli occhi, attraverso quella maledetta distanza che Sheana non osava mai spezzare. Anche in quel momento, mentre la sua confessione le chiedeva di più, lei non osava avvicinarsi troppo. Restava a pochi metri da lui, immobile, gli occhi caldi fermi sui suoi, la voglia di avvicinarsi trattenuta da una testardaggine che Jawad non riusciva a comprendere.
Avvicinati, avrebbe voluto dirle.
Lasciati toccare, avrebbe desiderato chiederle.
Sono giorni che muoio dalla voglia di sentire com'è la tua pelle, era tentato di confessarle. Invece, le sue labbra ben più sagge dissero tutt'altra cosa.
«Cos'è successo?»
Sheana gli si fece vicino. Finalmente vicino. Gli sfiorò il torace nudo con un tocco delicato, una carezza gentile proprio come il suo animo luminoso. La mano lenta che indugiava sulla sua pelle calda; che disegnava la linea pronunciata del petto e andava più giù, verso il fianco.
Oh, per la Madre Terra!
Jawad la guardò sempre, per l'intera durata di quella manciata di istanti, eppure Sheana non sollevò mai lo sguardo su di lui. Lo mantenne sul suo torace, su quella mano che ne spargeva il calore; muta, come se i pensieri fossero troppo assordanti per permetterle di superarne la cortina attraverso la parola. Come se la trattenessero in qualche modo indietro. Vicina a lui, fisicamente vicina, eppure non nel modo totale che Jawad desiderava.
Guardami. Avvicinati a me anche con gli occhi.
Poi, finalmente, Sheana lo fece. Alzò lo sguardo sul suo volto, eppure... Eppure in quel momento tutto cambiò.
Fu per colpa della paura.
Fu a causa della preoccupazione e della rabbia.
Fu l'angoscia, lo sconforto, il timore per... Per che cosa? Di cos'è che hai così tanta paura?
Fu ciò che c'era nei suoi occhi, a gelare Jawad; l'intensità di quelle emozioni che rendevano il viso di Sheana una supplica fatta di carne e sangue, la netta sensazione che qualcosa -chissà poi cosa!- si fosse incrinato per sempre.
«Non dovrei essere qui. Non dovrei, non so... Non so cosa sto facendo, Jawad!» Sheana gli confidò e, mentre abbassava di nuovo lo sguardo, appoggiò anche l'altra mano sul suo fianco in una carezza che sapeva di appiglio disperato e di gesto d'addio.
«Sono promessa a uno dei cacciatori della tribù. Si chiama Rashid. Mi ha seguita, ha notato che sparisco dal campo per molto tempo.» Un attimo di silenzio, un istante che Sheana si concesse per guardare Jawad negli occhi prima di quell'ultima sentenza.
«Crede che io abbia un altro.»
E non è così, forse? Non vieni tutti i giorni a nutrirmi, a tenermi compagnia, a raccontarmi di te?
Non glielo chiese, naturalmente. Non c'era tempo per farlo; di più, non c'era cuore.
Esistevano invece sconforto e timore, il sentore che qualcosa sarebbe inevitabilmente giunto al termine dopo quel giorno. E la certezza che non ci fosse più alcun posto per loro due, nessuna Grotta Sacra, nessun utero del mondo che gli prestasse uno spazio in cui potersi sfiorare così, come stavano facendo in quel momento.
Con le mani sulle mani.
Pelle su pelle.
E occhi incatenati ad altri occhi, imbrigliati da ciò che era nato in quella caverna, alla luce del fuoco. Sotto la caduta di uomini espulsi dal Cielo.
E Sheana... Oh, che la terra potesse spaccarsi sotto ai loro piedi in quel momento, Sheana si bagnò le labbra con le parole che più di tutte sembrarono l'epilogo di qualcosa. L'ultima concessione prima della fine che gravitava nell'aria, sopra le loro teste.
«Mostrami come ama un Caduto.»


*


Quella notte non restarono più distanze da abbattere. Si amarono con una tenerezza e un'emozione che non avevano nulla di terreno, non nel modo in cui le mani di Jawad toccavano la pelle ambrata di Sheana. Il suo tocco lento e affamato fu ciò che più di tutto le strappò pezzi d'anima: il modo in cui le entrò dentro attraverso i confini del corpo, la profondità con cui riuscì a raggiungere il suo cuore, il calore che la sua presenza generò dentro di lei...
Quella notte Sheana sentì Jawad legarsi a lei, al suo sangue, a ogni fibra di carne che vibrava sotto il suo peso. Per tutti i baci di cui la cosparse, per tutti i respiri che lei raccolse sulle sue labbra; per ogni carezza, per ogni spinta... Con lo sguardo costantemente annegato in quello di Jawad, in quell'atto d'amore che mai la sua tribù aveva consumato in quel modo- faccia a faccia, come se ci si dovesse scambiare l'anima-, e lui... Lui non smise mai di amare ogni cosa dei suoi occhi.
La luce struggente che vi si consumava dentro mentre la prendeva.
Le mille parole che li riempivano mentre affondava le mani nei suoi capelli, tra una spinta e l'altra.
E quella promessa d'amore mai pronunciata, quel legame che era esistito da subito tra loro, all'ombra di quell'albero che li aveva portati l'uno tra le braccia dell'altra...
Lo vide, Sheana. Vide l'amore che Jawad nutriva per ciò che trovava nel suo viso. Per quella piccola parte di anima che si spargeva sul suo volto, l'ultimo granello di ciò che era nato in quella grotta.
Mentre faceva l'amore con lei.
Come se volesse portarla con sé nel cielo.



*


L'utero del mondo si ruppe dopo poco più di un giorno trascorso nel sapore logorante dell'incertezza.
Il segreto che la Grotta Sacra aveva custodito per tutti quei giorni, il loro calore, il loro amore, le loro carezze... Ogni cosa s'infranse definitivamente laddove era nata, in mezzo alla foresta.


*


Il pezzo di carne che reggeva sottobraccio, avvolto nella pelle conciata dalle donne della tribù, era frutto di un furto che Sheana aveva tentato a lungo di compiere.
Era stato riposto assieme ad altri tranci, ancora fresco di caccia, e lei non aveva saputo resistere alla tentazione: l'aveva preso pensando che nessuno ne avrebbe notato l'assenza, non quando c'era così tanta abbondanza di cui nutrirsi.
Non aveva pensato, però, che il problema potesse essere ben altro: non aveva tenuto conto del diametro entro cui si muoveva lo sguardo di Rashid, un diametro che peraltro prevedeva sempre lei come punto centrale; così come non aveva tenuto conto della sua costanza nel raccogliere i suoi movimenti, della luce circospetta che gli illuminava gli occhi.
Non aveva visto.
Non aveva notato.
Non lo aveva sorpreso a infilarsi nella foresta, a poca distanza da lei, cauto e silenzioso.
Fu dopo chilometri di camminata, che Sheana iniziò a insospettirsi. Furono i rumori delle foglie, i loro movimenti ripetuti; piccoli indizi che sembravano seguirla da quando aveva lasciato l'accampamento. La conferma, però -una conferma tremenda e disgustosa-, venne in prossimità della Grotta Sacra. Arrivò all'improvviso sotto le spoglie di un corpo alto e robusto, pesante, che la travolse inchiodandola con la faccia all'albero più vicino. Un impatto che le strappò la carne di mano, facendola ruzzolare a terra.
«Puttana!» Rashid si premette contro di lei per trattenerla, le mani che le torcevano i polsi e li costringevano dietro la schiena. E la sua voce che le gettava all'orecchio sentimenti crudeli e violenti che non avrebbero aspettato, che le avrebbero strappato tutto ciò che potevano prendere da lei... Furono quelli, a schiacciarle il cuore.
«Stavi andando a farti montare dal tuo uomo, eh?!»
«Non so di cosa stai parlando!» Sheana cercò di lottare, di scrollarselo di dosso, ma Rashid era ovunque: sulla sua schiena, sulle sue braccia, ovunque lei tentasse di guardare. Era in ogni possibilità di liberazione, in mezzo a qualunque occasione di fuga. Sempre lì, costantemente, a strapparle dalla pelle ciò che era rimasto delle carezze di Jawad. A portarle via con mani violente e frettolose quello che Sheana avrebbe voluto portare con sé per sempre.
E l'orrore che ne seguì... Oh, l'orrore...
Ti prego, fermati!
«Non lo sai, eh? Vedremo se sarai ancora così bugiarda, quando saremo sposati» Rashid le sussurrò all'orecchio, la voce riempita da una malizia crudele; la mano che si infilava sotto lo straccio di pelle che copriva i fianchi di Sheana, che toccava, che violava, che si arrogava libertà che lei non avrebbe mai voluto concedere.
E quando quella stessa mano raggiunse il punto più estremo delle cosce -quel punto nascosto dalla pelle d'animale, quel punto che Jawad aveva toccato, baciato, leccato per ore soltanto la notte precedente-... Oh, per il dio Cielo, fu allora che l'orrore divenne qualcosa che non poteva più essere tenuto a bada: si scatenò attraverso la gola, nel fiato, come un grido di morte lanciato negli ultimi istanti di vita, quando la comprensione di ciò che sta per accadere diventa estrema e insopportabile.
Fu la sua anima, a gridare.
«JAWAD! JAWAD, AIUTO!»
Non poté dire altro: Rashid le coprì la bocca con la mano, mentre con l'altra l'allontanava dall'albero quel tanto che bastava per averla piegata, il bacino rivolto verso di lui, scoperto e indifeso. Pronto all'uso.
«È così che si chiama? Jawad
Poi, quella stessa mano che premeva sulla bocca di Sheana si chiuse sui suoi capelli, e tirò. Le costrinse la testa all'indietro, la curva del collo prigioniera di una posizione assassina capace di incastrare qualunque parola in gola. Eppure, nonostante tutto, lei riuscì a pronunciarne una.
Una soltanto; una che tratteneva in sé tutta la rabbia, l'impotenza, la dignità ancora integra che Rashid stava disintegrando pezzo dopo pezzo.
«Fottiti.»
«Oh, non ho dubbi che fotterò, Sheana.»
Fu sul punto di farlo davvero. E Sheana era così certa che sarebbe andato fino in fondo, in quel modo, con una mano sulla sua schiena e l'altra a trattenerle i capelli come se fossero una collottola... Come se lei fosse una femmina da monta di qualunque specie, come se fosse un animale, come se non fosse una donna...
Jawad!
Fu sul punto di farlo davvero, Rashid. Fu sul punto di strapparle fino all'ultima traccia di sé che Jawad le aveva lasciato addosso, dentro, in ogni parte di lei. Fu sul punto di cancellare il suo odore, il calore, il sapore delle sue spinte, eppure non fece in tempo.
Venne sbalzato a terra all'improvviso, lontano da lei, e tutto ciò che Sheana riuscì a sentire fu un gemito di dolore bagnargli le labbra. Ma quando si voltò... Quando si raddrizzò, il volto sconvolto resosi perfetto dipinto dell'orrore che l'aveva sfiorata...
Che il cielo potesse spaccarsi sopra la sua testa, in quel momento l'orrore divenne una bestia che non aveva nome.
Jawad era lì, tra lei e Rashid; alto e pericoloso, aggressivo, gli occhi che promettevano sangue e violenza se solo avesse osato rialzarsi.
E, di più, era fuori dal nascondiglio che gli aveva permesso di strappare un po' di tempo da trascorrere assieme a lei senza che nessuno sapesse della sua esistenza.
Era davanti a qualcuno che non avrebbe dovuto vederlo.
Era davanti a uno scuro, Jawad; lui che di scuro non aveva proprio niente. Lui che era un Caduto dal cielo, lui che, secondo la leggenda, faceva parte di gente pericolosa.
Lui che avrebbe rotto l'equilibrio della natura.
Lui che avrebbe portato sventura.
Lui che era stato l'occasione che Sheana aveva aspettato per tutta la vita; la sola che avrebbe mai avuto.
Lui... Lui era lì, davanti a lei e a Rashid. Perduto per sempre.
No, no, NO!
«Vattene, prima che ti ammazzi» Jawad sibilò, ma la serietà della sua minaccia non sembrò impressionare Rashid. Ciò che invece lo lasciò scosso -e, per l'amor del cielo, fu quello ad atterrire Sheana più di ogni altra cosa-, fu la sua stessa presenza, lì, davanti ai suoi occhi. Una leggenda in carne e ossa, viva, palpabile.
Una leggenda che non poteva restare in un angolo, consumata in silenzio senza che nessuno sapesse. E quando Rashid si allontanò senza dire una parola, Sheana capì.
Lottò contro quell'egoismo infantile che l'aveva spinta a portare Jawad alla Grotta Sacra contro ogni buon senso. Lottò contro la voglia di trattenerlo lì, accanto a sé. Abbracciò la scelta più saggia, l'unica che gli avrebbe fatto davvero del bene.
Quella che, anche se le avrebbe soffocato il cuore, le avrebbe comunque lasciato una speranza finché lui fosse rimasto vivo.
«Devi andartene.»
«Come?»
«Devi andartene! La mia gente crede che voi Caduti portiate sventura.»
«Sheana, io non sono un Caduto. Sono un essere umano, proprio come te.»
«Per loro non è così!» trattenere la voce non fu possibile: Sheana gli donò il proprio dolore, l'angoscia che le incrinava le parole. Ogni cosa attraverso lo sguardo, con quelle mani che gli sfioravano il braccio. «Ho bisogno di saperti vivo. Ti prego, Jawad...»
Lui però esitò. Si guardò attorno, in quella foresta che li aveva fatti incontrare; l'indecisione che gli appesantiva lo sguardo. Ed era bello persino così, con quell'espressione grave che lo faceva sprofondare lì, in quel tratto di terra e universo, lo stesso in cui si trovava anche lei. Poi la guardò, gli occhi resi accecanti da una luce di speranza che le trafisse il cuore.
«Vieni con me.»
Si stavano dicendo addio.
«Non posso, Jawad! Rashid avrà dato l'allarme, se resto qua posso depistare la mia gente. Li terrò lontani dal tuo percorso.»
E poi... Poi tu devi tornare dai tuoi compagni. Devi tornarci vivo, senza una donna scura che possa metterti nei guai.
Lo vide esitare, un momento d'incertezza che lei sfruttò per rendere ancora più pressante la sua opera di persuasione.
«Faresti meglio a incamminarti: la caviglia non è ancora guarita completamente e potrebbe rallentarti.»
«Sheana...»
«Per favore, va'!»
Solo in quel momento -con la voce alta che trasudava tormento e necessità-, Jawad sembrò crollare davanti alle sue richieste: le prese il volto tra le mani, una carezza dolce con cui in realtà cullò il suo cuore. E quando lo guardò negli occhi, Sheana capì che non erano rimasti loro altri istanti.
«Mi hai chiesto di mostrarti come ama un Caduto. Ebbene, non so come amano loro, ma posso dirti come lo fa la mia gente: una donna soltanto, per la vita. La mia donna sei tu.»
Poi, un ultimo bacio.
Una promessa.
«Tornerò a prenderti.»


*



NOTE DELL'AUTRICE


Nella oneshot parlo di “scuri” e di “biondi”, riferimenti rispettivamente all'uomo di Cro-Magnon e a quello di Neanderthal, ominidi che hanno convissuto per un periodo di tempo prima dell'estinzione del secondo.
La storia però è nata dall'idea di un pensiero mistico, qualcosa che a livello primordiale probabilmente è sempre esistito: volevo dare risalto a un legame un po' ritualizzato con la natura e con il mondo, per farci entrare alla fine l'amore.

Vi ricordo che, per chi volesse, può trovarmi nel gruppo facebook dedicato alle mie storie oppure nel mio contatto facebook: mi fa sempre tanto piacere poter conoscere le mie lettrici, per cui sappiate che le mie porte sono sempre aperte.
Un saluto,

Vale


   
 
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