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Autore: hikarufly    12/04/2012    4 recensioni
Post "The Reichenbach Falls", Sherlock Holmes è scomparso e il dottor John Watson ha dovuto voltare pagina... eppure ci sono ancora misteri da risolvere e un nuovo capitolo della propria storia da affrontare: un incontro casuale diventa uno dei momenti più importanti della sua vita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era passato l'inverno, ma la primavera non accennava a farsi vedere. Era come se il mondo lo stesse prendendo in giro: era di nuovo solo, con l'unica differenza che ciò che aveva desiderato era ciò che aveva rovinato tutto. Sherlock Holmes, il suo migliore amico, non era morto. Oh l'aveva desiderato tanto, non era un mistero. Ritornare alla vita di quei 18 mesi a Baker street: le indagini, i clienti, le corse per Londra, i rapimenti di Mycroft, strapazzare Mrs Hudson, taccheggiare Lestrade: sembrava tutto così stupido, ora. E poi c'era Mary... ma la odiava davvero? Non poteva pensare che l'avesse ingannato così. Il suo amore per lui non era falso. Per quanto lui potesse essere cotto, inebetito dal sentimento, non era stupido: se ne sarebbe accorto. Ora si spiegava il suo nervosismo delle ultime settimane. Non poteva più mentirgli, e da questo riusciva a intuire che anche se lo aveva ingannato, quello che l'aveva fatto stare così bene era autentico. Aveva ripensato alle parole di Sherlock e aveva compreso il perché di quella messa in scena. Ma non è così facile perdonare, non così facile come aveva sempre pensato fosse, guardando dall'esterno un tradimento.

Continuò a vivere nel suo appartamento e a lavorare in quel noioso laboratorio ma qualcosa cambiò. Parte della sua vecchia vita tornò a occupare il suo tempo, all'inizio per caso e poi per volere di chiarezza: quando non lavorava, si aggirava spesso intorno a Baker Street, e aveva notato alcune cose.

Mary aveva perso altro peso, e si aggirava nervosamente e spesso intorno a casa e passava parecchio tempo allo Speedy cafè. Aveva sentito dire, da Lestrade, che aveva lasciato il lavoro al giornale. Il detective sembrava contrariato e deluso: era molto che la ragazza non si occupava di nera, ma era anceh stata una delle poche reporter che non lo trattasse come un idiota e lo ascoltasse quando lanciava degli avvertimenti come “non così vicino al cadavere, grazie”, tanto per dirne uno. John non replicò a quella sua dichiarazione, quando gliela fece, ma la ascoltò con attenzione. Evidentemente, il suo essere dolce ma determinata non era una recita, o forse non era una recita che aveva usato solo con lui. La fitta alla bocca dello stomaco nel vederla sempre tesa, inquieta e più magra non se ne voleva andare, però.

Sherlock era di nuovo sparito dalla circolazione, e a nulla erano valsi i tentativi di John di mettersi in contatto con Mycroft. Il Club Diogene era ormai inaccessibile, tanto che ogni volta che riusciva a sbirciare alla porta, il primo membro che aveva irritato tre anni prima lo additava, in rispettoso silenzio, come fosse un abominio o il figlio del demonio. In compenso, se non era la sua immaginazione, qualche uomo alto e vestito in maniera elegante spuntava intorno a lui con un inconfondibile auricolare trasparente e a spirale all'orecchio destro.

In più, c'era un trasloco in corso. Una famigliola di Melcombe street, proprio di fronte a casa di Mary, aveva appena finito di ristrutturare, dopo anni e anni di investimenti, cartongesso e imbiancature, l'appartamento sventrato dalla “fuga di gas” di fronte al 221B, quando Moriarty aveva iniziato a giocare sul serio con Sherlock. Ora i mobili nuovi erano montati e quelli che potevano essere riciclati dalla casa vecchia si stavano muovendo. Essendo i proprietari ormai agli sgoccioli dei propri risparmi, non erano in grado di pagare una compagnia di traslochi, e quel trasferimento stava impiegando qualche giorno in più del normale.

C'era quasi, nell'aria, il sentore di una tempesta in arrivo: un temporale estivo, breve e pieno di grandine, forse.

 

In una sera come le altre, John vide uscire Mary dallo Speedy's con un'espressione leggermente diversa dal solito. Aveva imparato a conoscerla, e nei suoi occhi leggeva che quella tempesta era ormai in atto. La seguì a distanza, nascosto, finché non la vide sparire dentro casa. Attese qualche minuto nell'oscurità, quando una mano non gli chiuse la bocca e un braccio non lo immobilizzò. Il panico durò qualche istante, e l'istinto del soldato prese subito il sopravvento: il suo aggressore era pronto e lo trascinò dall'altra parte della strada attraverso un groviglio di vicoletti e un piccolo sottopassaggio. Lo lasciò andare solo quando furono giunti, da una scala antincendio, ad un appartamento vuoto.

John si voltò e per poco non tentò di dare un pugno al suo aggressore, oltre a lanciare un'esclamazione decisamente colorita: era Sherlock. La sua espressione gli fece capire che non aveva tempo di spiegare. Sherlock gli fece segno di tacere, con un indice sulle labbra, e di seguirlo in un angolo particolarmente buio. Nell'attesa di qualcosa o qualcuno, John si guardò intorno.

L'appartamento era quasi vuoto, ma non polveroso, come se fosse stato frequentato fino a poche ore prima. Era rimasto giusto qualche suppellettile un po' troppo vecchio, fuori moda, pacchiano o consumato: un comodino tarlato con una lampada che non funzionava più, un tappeto scolorito al centro, sotto a un qualcosa di rotondo, un quadro da quattro soldi alla parete, delle tende di scarsa qualità. Si trovava nell'appartamento che era stato appena svuotato da coloro che avevano ristrutturato l'appartamento di fronte al 221B. John lo intuì perché dalla finestra era possibile vedere la finestra del salotto-cucina di Mary, piccolo perché distante un paio di carreggiate e giardini e nascosto dalle tende color verde mela il cui ricordo gli provocava ancora un certo fastidio in mezzo al petto.

Dalle scale interne, non quelle che avevano preso i due ma quelle del palazzo, salì una figura. Per fortuna. Sherlock tappò la bocca a John, o li avrebbe scoperti. Sebastian Moran era appena entrato nella stanza. Sherlock aveva fatto le sue ricerche, e anche John: la copertura era quella di operatore di Borsa, ed era fatta anche bene. Ma la verità era che sin dai primi anni di carriera si era dedicato a usare i suoi talenti per un certo Mr Sex... conosciuto a chiunque della rete di Moriarty come la persona giusta per arricchirsi con una bella truffa tramite fondi e azioni, si era sentito sperduto quando il suo capo era stato trovato morto suicida. Ma gli ordini erano chiari, e restò attaccato ai suoi compiti tanto da restare molto più sano di mente e concentrato di quanto si sarebbe aspettato lui stesso. John Watson doveva morire, era giunto il suo momento. Sherlock Holmes era vivo e se lui era vivo, i suoi amici dovevano morire. Era rimasto solo lui, però: gli altri erano stati sconfitti prima di portare a termine il loro compito.

Tirò fuori da sotto l'ampio cappotto – parecchio dissimile da quello del suo nemico - un tavolinetto portatile che si montò nell'istante in cui lo aprì. Con la lentezza precisa e studiata del cecchino, tirò fuori dalla custodia i pezzi del fucile e, una volta montato, lo caricò. John stava per muoversi, ma Sherlock gli fece cenno di attendere il momento opportuno. Moran si sistemò, puntò e dopo alcuni istanti, premette il grilletto.

Fu troppo: la paura che quel colpo avesse trapassato Mary scatenò la rabbia e la furia di John, che si buttò su Moran, decisamente impreparato a trovarsi addosso due persone. Sherlock alzò gli occhi e sbuffò per l'irritazione: doveva proprio rovinare tutto? Aveva calcolato tutto, se solo il suo ex coinquilino si fosse degnato di parlargli negli ultimi giorni. Stava per aiutarlo quando Moran riuscì a divincolarsi dall'attacco di John e lo scaraventò addosso all'investigatore, e i due rovinarono a terra. Il cecchino tirò fuori una automatica da sotto la giacca, e sparò.

 

Aprì gli occhi: era tutto nebuloso, confuso e sfuocato. La scena scorreva, come una pellicola, ed era tutto bianco... si alternavano delle luci forti. Poi, un profumo familiare...

«John...» sentì, ovattato e distorto «ti prego... resta con me...»

   
 
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