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Autore: Kim NaNa    13/04/2012    7 recensioni
Bianco e nero. Luce e Ombra. Verità e menzogna.
Una fanciulla come tante.
Un incontro casuale.
Un'identità mai svelata.
Un mondo incantato da scoprire.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Per il blend ringrazio la cara Kiamony.


La leggenda di Luce e Ombra.
  

Tra le onde del mare si muove la tua libertà. La luna rischiara i suoi biondi capelli, ma il nero improvviso colpirà i suoi occhi.
Va’ da lei, Sheyne. Proteggi colei che ignora la verità, difendi la fanciulla che le Ombre cercano… Né l’uno né l’altro tu sei, ma al suo fianco qualcuno diverrai.
Va’ da lei.
Sulla spiaggia.
Tra le onde…”
 
Due occhi color cobalto si spalancarono nel bagliore di una luce soffusa.
Sheyne Davis, madido di sudore, si mise seduto sul letto, respirando affannosamente.
“Maledetta donna… Non voglio. Io non voglio farlo…”
Si passò una mano tra i folti capelli neri e qualcosa di freddo accarezzò la sua nuca.
L’anello del Sole.
Fissò il suo indice con insistenza: le quattro pietre gialle rilucevano di fulgidi bagliori sposando la bianca luce emanata dal diamante incastonato in mezzo.
“Né l’uno, né l’altro sono io… Maledizione! Odio Shirenia, odio Jamila… odio anche l’essere spurio che sono!”
Scese dal letto con furia, infilò la sua giacca di pelle e andò a cercare lei.
Era al mare ed era in pericolo.
Lo sapeva, lo sentiva.
 
La testa le doleva prepotentemente mentre ripetuti capogiri le impedivano di alzarsi e liberarsi da quella situazione insolita.
“Ma tu… che ci fai qui a quest’ora della notte?” chiese Kristel con un filo di voce tenendo gli occhi chiusi.
Lui rise piano e avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei:
“Non trovavo nulla di divertente da fare e vagavo al buio nella notte fino a quando una biondina sprovveduta non ha tentato di suicidarsi al chiaro di luna. Gesto molto romantico il tuo…”
Lei percepì il suo sarcasmo e si costrinse ad aprire gli occhi.
Era bello.
I capelli bagnati appiccicati sulla fronte, piccole gocce d’acqua salata colavano sul suo viso candido e luminoso, mentre gli occhi blu come l’oceano parevano brillare di luce propria.
“Io… Io avevo solo fatto un brutto sogno…”
Con tutta la forza che aveva in corpo, Kristel riuscì a mettersi seduta massaggiandosi delicatamente il capo.
Sheyne la guardò in silenzio e la vide tremare.
Afferrò la giacca di pelle che aveva buttato sulla sabbia prima di tuffarsi e la poggiò intorno alle spalle di lei.
“Sei proprio una femminuccia…”
Kristel gli rivolse uno sguardo truce, ma non poté reggerlo a lungo: Sheyne sorrideva, un sorriso strano, un sorriso ambiguo, a metà tra il sacro e il profano.
Sheyne. Pensò Kristel. Angelo o diavolo che tu sia, hai un sorriso che merita di essere osservato in silenzio.
“Ehy biondina? Ti senti bene?”
Lei annuì col capo stringendosi la giacca tra le mani.
“Allora io vado… Torna dai tuoi amici e cerca di non dormire. Credo che quella roccia, in fondo al mare, si stia ancora lamentando per il dolore…” rise.
Kristel le lanciò una scarpa che cadde, senza sortire alcun effetto, ai piedi del ragazzo.
“E ricordati di andare da un medico… Ci vediamo biondina.”
Le strizzò l’occhio e si incamminò nel sentiero che portava tra i boschi.
“Sheyne… che tipo strano…”
Istintivamente guardò il tessuto che stringeva fra le mani: la sua giacca!
Trasalì e cercò di chiamarlo, ma il ragazzo che le aveva appena salvato la vita sembrava essere stato inghiottito dal nero della notte.
“Accidenti a me! E adesso? Spero di ritrovarlo in bus quel folle o non saprò come restituirgli la sua giacca.”
Si alzò lentamente provando una vertigine.
La testa le doleva e raggiunse la tenda di Eloise con estrema fatica.
Con gli occhi assonnati, Eloise farfugliò qualcosa.
“Come mai sei sveglia?”
“Non riuscivo a dormire e ho fatto un bagno… ma ho battuto contro uno scoglio…”
Gli occhi verdi dell’amica brillarono nella notte, ritrovandosi d’un tratto desta.
“Hai battuto contro uno scoglio? Santo cielo! Dove? Che ti sei fatta? Ti senti bene? Chiamo Nathan, lui è un medico…”
“Eloise… sta’calma. Va tutto bene, ho solo un forte mal di testa. Con Nathan ci parlo domattina, ora lasciamoli dormire tranquilli…”
Eloise continuò a fissarla con occhi apprensivi.
“E quella giacca?” chiese rivolgendosi all’indumento che Kristel aveva sulle spalle.
Un’occhiata furtiva alla stoffa che stringeva tra le mani e un sospiro impercettibile sfuggito alle sue labbra.
“Ah, questa. È del tizio che mi ha tirata fuori dall’acqua…”
“Come? Sei stata soccorsa? E hai il coraggio di chiedermi di stare tranquilla? Basta, vado a svegliare Nathan…”
Si spogliò del lenzuolo che la copriva precipitandosi fuori dalla tenda, ma Kristel la trattenne per un polso.
Gli occhi ambrati della ragazza parvero improvvisamente coperti da un velo di tristezza, da uno strano ed inconsueto alone di mistero.
“Ti prego, Eloise. Resta con me. Il ragazzo che mi ha aiutata mi ha consigliato di non dormire… potremmo lavorare un po’ insieme e, tra un paio d’ore, quando gli altri saranno svegli andrò con Nathan in ospedale. Te lo prometto.”
Strinse di più la presa fissandola.
Eloise sospirò a lungo.
“Benedetta ragazza. Quando smetterai di voler fare l’eroina?”
Le lanciò uno sguardo contrariato, prima di rientrare nella tenda e di sedersi sul suo sacco a pelo.
“E va bene… Allora? Dove sono tutti i tuoi studi sul misterioso Pendant Light?
Kristel sorrise.
L’aveva sempre saputo di avere l’amica migliore del mondo.
 
Mattino rovente tra le pareti dell’ospedale pubblico dove l’aveva condotta Nathan.
Ecografia, tac, prelievi del sangue… operazioni troppo lunghe per una ragazza che aveva un appuntamento con il suo nuovo collega alle 11.30.
“Dove devo firmare?”
Teneva la penna stretta tra le mani, guardando nervosamente i fogli che le aveva consegnato l’infermiera.
“Signorina Brampton, io le consiglierei di passare la notte in ospedale…”
“Dottor Harris, suo figlio Nathan mi ha già visitato questa mattina e anche i controlli fatti fino a poco fa mostrano dei parametri nella norma. Mi creda, con un analgesico passerà anche questo mal di testa. La ringrazio, ma adesso devo proprio andare. Ciao Nath! E grazie per avermi portata qui, ti chiamo se qualcosa non dovesse andare…”
Afferrò giacca e borsa e salì sul primo tram che vide passare.
Si sedette in fondo al mezzo, accanto a lei una signora anziana controllava sistematicamente la lista della spesa che aveva tra le mani guardando tra i sacchi colmi di prodotti.
Si massaggiò una tempia, il mal di testa non le aveva dato tregua. Aprì la borsa e ne estrasse uno specchietto.
Cavoli, Kristel! Che aspetto orribile hai questa mattina. Vuoi davvero presentarti in questo stato davanti al tuo nuovo temporaneo capo? Pensò scuotendo il capo.
Guardò oltre le vetrate per decidere a quale fermata scendere e raggiungere velocemente casa sua per cambiarmi, ma i suoi occhi furono attratti da una sagoma a lei familiare.
“Sheyne!” urlò.
Cominciò a battere i palmi delle mani sul vetro, gridando ripetutamente quel nome che l’aveva tormentata per tutta la notte.
“Sheyne! Sheyne… Autista, per favore… alla prima fermata!”
Lo stridore dei freni del tram le fece raggiungere frettolosamente l’uscita, senza mai distogliere gli occhi dalla figura che si allontanava nella strada assolata.
Scese dal tram correndo più che poté, la testa le girava vorticosamente, ma doveva fermare quel ragazzo per restituirgli la sua giacca.
Era quasi riuscita a raggiungerlo, pochi metri li separavano.
Kristel avvertì il suo profumo speziato e pronunciò il suo nome quasi in un soffio.
“Sheyne!”
Lo vide fermarsi, guardarsi attorno e poi voltarsi.
La guardò con quegli occhi troppo blu che le ricordarono le profondità del mare della notte precedente.
Lei sorrise, lui restò impassibile.
“Che vuoi?” chiese.
Dopo la folle corse, il cuore di Kristel batteva all’impazzata.
“È questo il modo di salutare la gente?” disse, poggiando le mani sulle sue ginocchia.
“Tieni. Sono venuta solo per restituirti questa.” Gli porse la giacca di pelle che teneva in mano, continuando a respirare affannosamente.
Sheyne la guardava scettico. Si incamminò verso di lei piano, valutando la distanza che intercorreva tra i loro corpi, quando le fu dinanzi si fermò.
Afferrò la giacca senza dire una parola e l’appoggiò su di un braccio.
“Grazie.” Disse lei.
“Ti sei scomodata per niente… avresti anche potuto tenerla. Col caldo che c’è, credi che avrei indossato la mia giacca di pelle oggi?” il suo tono era pungente e ironico come sempre.
“Ma io…”
Tutto intorno a Kristel cominciò a girare freneticamente.
Si mantenne la testa con entrambe le mani perdendo l’equilibrio e finendo, inavvertitamente, ai piedi di Sheyne che cercò subito di rianimarla.
“Hey Kristel! Kristel?!” le picchiettò le guance con una mano, prima di bagnarle il viso con l’acqua che aveva trovato nella borsa di lei.
Infastidita dal getto freddo, Kristel aprì gli occhi proteggendosi il viso dal sole con le mani.
“Ma cosa è… successo?” disse.
“Biondina… non credevo di farti tutto questo effetto! Sei svenuta ai miei piedi!” la informò, sorridendo.
Kristel lo allontanò con uno spintone e si alzò pulendosi i pantaloni.
“Spiritoso…”
“Sei stata da un medico, vero?”
“Certo, Signorino SoTuttoIo e comunque non sono affari tuoi. Adesso che ti ho restituito la giacca posso anche andare. Ci si vede in giro bello.
Raccolse la sua borsa e girò i tacchi.
L’orologio segnava le 11.05, solo venticinque minuti per passare da casa a cambiarsi e raggiungere l’ufficio di Jaide Marrison.
Giunta sul ciglio della strada, qualcuno le tolse la borsa dalla spalla porgendole un casco integrale.
Un anello con quattro pietre brillò sotto i raggi del sole.
Sheyne la guardava con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.
“Andiamo, ti accompagno io. La mia moto è proprio qui davanti, ovunque tu sia diretta, sarai lì in un batter d’occhio.”
“Spero di arrivarci tutta intera…” disse Kristel infilandosi il casco.
Sheyne scoppiò a ridere e lei avvertì una strana sensazione nel cuore. Era bello sentirlo ridere, così come era bello lui.
“Abbracciami forte, se non vuoi cadere.”
Queste le sue parole prima di mettere in moto e partire a tutto gas.
Era caldo il corpo di Sheyne.
Era rassicurante, ma qualcosa dentro di lui tremava.
O forse sono le mie mani quelle che stanno tremando?Pensò Kristel.
 
Una doccia veloce, un vestito formale e un fermaglio tra i capelli, alle 11.30, Kristel era nell’ufficio di Jaide Marrison a immettere dati nel suo notebook.
Concentrata nella disposizione delle slide, non udì il tonfo di una porta che si chiudeva e un cauto rumore di passi.
“Quanta dedizione per questa mostra…”
Una voce possente la fece sobbalzare. Staccò le mani dal pc e voltò la testa da un lato.
Jaide era alle sue spalle, in un completo blu scuro con camicia bianca senza cravatta. I primi due bottoni lasciati aperti lasciavano intravedere un petto muscoloso e abbronzato, le gambe lunghe e atletiche, i capelli, privi di elastico, erano impeccabilmente lisci e pettinati e incorniciavano i suoi occhi cerulei e le sue labbra turgide e scarlatte.
Si sentì arrossire Kristel e abbassò gli occhi visibilmente imbarazzata.
Jaide la fissò, abbozzando un incomprensibile sorriso.
“Bene signorina… cominciamo quando vuole!”
Un cenno del capo della ragazza prima di immergersi a capo fitto nell’organizzazione della mostra.
Pranzarono in ufficio, un take away veloce portò loro riso al curry e pollo in salsa agrodolce, per poi tornare a disporre la scaletta dei manufatti.
“Signor Marrison… posso farle una domanda?”
La luce del tramonto filtrava dalle finestre, rischiarando i biondi e ricci capelli di Kristel.
Lui alzò lo sguardo dai tanti fogli sparsi sulla scrivania, tolse gli occhiali che aveva utilizzato mettendo una stecca tra le labbra e la guardò.
“Prego… faccia pure.”
In un gesto di disagio, la ragazza si lisciò il bordo di una manica e, avvicinandosi al tavolo, chiese:
“La leggenda che ruota intorno al Pendant Light… lei la conosce bene, vero? Ecco, io vorrei che me la raccontasse…”
Jaide si alzò dirigendosi verso la grande vetrata e si infilò le mani in tasca.
“Perché vuole conoscerla? In giro ci sono tante versione…”
“Vede, sin da quando il fascicolo di quel prezioso è capitato sulla mia scrivania ho sempre desiderato conoscere con esattezza la storia che lo rende così affascinante e intriso di mistero…”
Lo sentì sogghignare.
“La verità è che lei è una sognatrice signorina Brampton.”
Si girò a guardarla con quegli occhi chiari come l’acqua facendola arrossire vistosamente.
Jaide fece alcuni passi, raggiunse un divanetto di pelle bordeaux e accavallò le gambe.
“Bene. Se proprio insiste, gliela racconterò. Si accomodi pure… la storia è un po’ lunga.”
Si guardò attorno Kristel e preferì sedersi sulla poltrona girevole della sua scrivania per evitare che quell’uomo udisse il suo cuore palpitare.
Gli occhi di Jaide incontrarono quelli ambrati di lei, un gioco di sguardi di pochi secondi che lasciò Kristel con il fiato sospeso.
Poi la magia ebbe inizio e la leggenda cominciò a venir fuori dalla bocca disegnata di quell’elegante, quanto impassibile, ragazzo.
“Si racconta che sull’antico Olimpo, il dio del Sole, Apollo, amasse congiungersi con diverse donne e che prediligesse la bellezza delle soavi ninfe. In una notte di pioggia, egli raggiunse le sponde del fiume Eridano (*) e lì, udì cantare la ninfa Astride, una delle Eliadi, figlie di Elio, il dio spodestato da Apollo stesso, e dell’oceanina Climene.
La corteggiò per tutta la notte e, poco prima di portare il sole appena dietro il monte Olimpo, si congiunse a lei.
L’amò come forse non aveva fatto con nessun’altra ninfa e giacque, per riposare le membra, sul cuscino di capelli corvini di Astride. Da quella un’unione venne alla luce una creatura alla quale fu dato il nome Jamila (*’), ma Zeus andò su tutte le furie e decise di scaraventare giù dall’Olimpo la nascitura.
Si dice che il dio Apollo, colto da uno spasmodico amore verso quella piccola bambina, in una notte senza luna, trasportò la figlia sul suo carro e la condusse in una terra che riluceva di fulgidi bagliori. La depose su un giaciglio che aveva intrecciato per lei sua madre e, stretto in una morsa di sensi di colpa, la strinse a sé per un’ultima volta. La rabbia ardeva nei suoi occhi color ambra e con il suo arciere scagliò un dardo nel bel mezzo del sole, trafiggendolo.
Che tu sia maledetto, padre mio! Disse (*’’)
Il sole zampillò di luce e, lì dove la saetta aveva colpito, vennero fuori quattro cerchi arroventati che bruciarono la saetta sotto gli occhi attoniti di Apollo.
L’astro sul carro riprese il suo solito splendore, mentre le quattro palle di fuoco si posizionarono nel bel mezzo di quella terra straniera, illuminando dapprima la stoffa setosa che avvolgeva la figlia del dio e, in seguito, lo spazio circostante.
Sorpreso e meravigliato, Apollo battezzò quella terra col nome di Shirenia e fece di Jamila la regina di quel luogo sacro, conferendo ad ella poteri che mai avrebbe creduto di poter concedere e lasciandole in dono l’anello ch’egli chiamò del sole.
Sii tu, o mia diletta, l’erede di questa terra fatta di luce, in te risiedano i doni della profezia, della luce e della medicina. Di te io faccio la dea dell’arte divinatoria, della perseveranza e della speranza. Possa la tua chioma esser splendente come i raggi del sole e dar vita ad un regno che non vedrà mai tramonto.
Salito sul suo carro, scomparve tra gli orizzonti illuminati di fuoco tornando ad essere il dio Apollo di sempre.
Jamila crebbe sola e nel silenzio, in quella terra fatta di sola luce, senza mai conoscere il buio e la notte.
Se ne stava ne suoi giacigli, intrecciando spighe di grano e profumati fiori e rimirando l’anello che sentiva essere l’unico ricordo di coloro che l’avevano generata, ma un dì, presa da una solitudine opprimente, pianse copiose lacrime che caddero su un letto di foglie verdeggianti.
Da quelle lacrime si sprigionò una luce accecante e in un istante il suo regno si spense.
Ella conobbe il buio e se ne rallegrò, ma il suo cuore triste non gioì a lungo. La luce dei quattro Soli cominciò, pian piano, a risplendere ma Jamila udì qualcosa dietro di sé.
Due fanciulli le sorridevano. Uno dai capelli color del sole e l’altro dei riflessi della notte.
Corse a stringere quegli esseri simili a lei mai visti prima e diede loro i nomi di Luce e Ombra.
Visse con loro allevandoli come figli, ma ben presto i due conobbero la rivalità e si confinarono in diverse zone della terra di Shirenia.
Gli scontri tra Luce e Ombra furono ripetuti e cruenti e fu così che la madre Jamila, ch’essi amavano più di ogni altra cosa, avvelenò i loro calici d’ambrosia uccidendoli.
Prima di morire Luce e Ombra si giurarono odio eterno, ma dinanzi alle urla supplichevoli della madre che implorava loro clemenza e tregua piansero di vergogna.
La divina Jamila racchiuse quelle lacrime sincere in una perla che impreziosiva un monile che le pendeva su un orecchio: un orecchino d’oro con una grande perla nera con intorno quattro cerchi dorati.
Lo chiamò Pendant Light e fece di esso la sua arma più potente.
Colui che verrà al mondo nell’occasione del Solstizio d’inverno, nel millennio in cui dei e divinità saranno stati relegati in un angolo quasi dimenticato delle coscienze del genere umano, riceverà da me un suggello sulle proprie carni e quel segno sarà l’emblema della mia appartenenza. L’eletto discendente che indosserà lo stemma regale della mia famiglia regnerà su Shirenia e la condurrà a vita nuova. Immortali come le mie membra esso diverrà e in lui scorreranno potenti doni che faranno di esso un sovrano regno di rispetto e devozione.
I miei figli ritorneranno con la riscoperta del mio gioiello e si riaprirà l’antico duello.
Per Shirenia l’eletto lotterà e tra i Luce e Ombra si batterà, per portare il mio regno al suo primordiale splendore.”
Jaide si fermò e guardò Kristel.
Lo sguardo assorto, la mente persa nelle parole appena udite.
“Shirenia…” bisbigliò.
“Bella storia, non crede?” chiese il biondo.
Kristel non rispose, continuò ad osservarlo prima di domandare:
“E di Jamila che ne fu?”
Jaide si passò una mano tra i lunghi capelli e sorrise.
“Non se ne sa nulla… ma ora che l’orecchino maledetto è nelle mie mani dovrebbe venire a farmi visita, non credi?”
Una luce divertita negli occhi, un tetro alone intorno al suo corpo, uno sconcertante sarcasmo nella sua voce.
“Shirenia...Shirenia…” ripeté Kristel sotto l’occhio vigile di Jaide.
Poi un flash-back.
Balzò in piedi portando una mano sul petto.
“Shirenia!” disse, guardando l’uomo di fronte a sé.
E alla memoria le venne il sogno di qualche giorno prima e di quella voce suadente che le ripeteva:
Per Shirenia, Kristel. Per Shirenia.
 
 
Note: (*)Eridano era il nome di un fiume di Atene, nel Ceramico.
(*’) Jamila è un nome di mia invenzione, così come lo è la storia che lega Apollo alla ninfa Astride.
(*’’) Padre mio: Apollo è figlio illegittimo di Zeus e di Leto.


NdA: la storia prende forma. Che ne pensate? Questa volta credo di essermi allungata un po' troppo, ma mi auguro di non avervi annoiato. Se avete delle annotazioni da fare, fate pure, sono qui anche per imparare e migliorarmi. ^^
A presto.


Kim Na Na

 
   
 
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