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Autore: IamShe    13/04/2012    9 recensioni
Sono passati cinque lunghissimi anni dalla lotta all'Organizzazione. Shinichi è un detective di successo ed ormai, uomo, all'età di 23 anni avrà il compito di affrontare altri problemi. Che siano di carattere sentimentale o no, è certo di una sola cosa: le emozioni che ha provato, al di là del tempo passato e delle sofferenze patite, rimarranno per sempre in lui. In lui, come in lei.
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"La fissava instancabilmente, tanto che la ragazza si perse nell’azzurro di quegl’occhi che tanto le ricordavano il mare e che tanto le piacevano. Non poté fare a meno di arrossire quando le labbra del ragazzo s’incurvarono in un bellissimo sorriso, che gli illuminava il volto, e che risplendeva in quella sala privando le lampade della loro luminosità." [Estratto del 7° capitolo]
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita d'emozioni'
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Influenza d’amore
Ventiseiesimo capitolo

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Dodici giorni. Erano dodici giorni che non aveva notizie di Shinichi. Era partito per l’America e l’aveva lasciata lì, in preda alla nostalgia e al dolore, senza degnarsi di telefonarle. Né un misero squillo, né un insulso messaggio. Niente. Quasi due settimane che non sentiva la sua voce, quasi due settimane che non assaporava le sue labbra. Ed ora, davanti ad uno specchio di casa sua, scrutava le sue, di labbra. Erano secche e violacee. I suoi occhi stanchi ed impigriti, si ergevano su due occhiaie spaventose, messe in evidenza dal colorito pallido del suo volto. Si sentiva come se un carro di buoi le avesse camminato addosso, disintegrando le sue ossa ed i suoi muscoli. Sbuffò alla sua immagine riflessa nello specchio, intenta a pettinarsi i capelli, sciogliendo i nodi che con la nottata si erano formati. Una nottata in cui non aveva chiuso occhio, in cui il materasso era diventato il pavimento del bagno, e il cuscino la tavoletta del gabinetto. Aveva vomitato anche l’anima in quella nottata, e adesso si sentiva distrutta, e priva di forze. Tornò in camera sua, scompigliando le lenzuola del letto dove ore prima aveva dormito con Richard. Come richiesto da Shinichi, Ran non si era azzardata a lasciarlo in quei giorni, anche se ancora non concepiva il perché. Semplicemente si fidava di lui, e questo le bastava per andare avanti. Se poi lui si fosse fatto sentire, o almeno avvertire di essere ancora vivo, beh, non le sarebbe dispiaciuto.
Rabbrividì, portandosi le lenzuola all’altezza del naso, proteggendosi dal fresco di quella mattina. Che poi così freddo non faceva, ma lei lo sentiva, e non poteva fare altro che coprirsi per rimediare. Si rigirò nel materasso, rannicchiandosi su se stessa.
Influenza a metà agosto,pensò, socchiudendo gli occhi nel tentativo di riposarsi. Perfetto!
Lo squillo del telefono di casa distrusse le sue ultime speranze di cadere tra le braccia di Morfeo, ed immergersi magari in un dolce sogno, con la speranza di vederlo. Allungò le mani sul comodino, afferrando la cornetta, ed avvicinandola al suo orecchio. Neanche ci sperava più che fosse Shinichi a cercarla ormai. Infondo, se fosse stato lui non avrebbe chiamato sul telefono di casa.
Rispose, ma con tono basso e voce impastata, debole e assonnata.
“Pronto?”
“Raaan!” la chiamò allegra la giovane dall’altra parte del telefono, “Si può sapere che fine hai fatto? Non ti fai sentire più da quando amoreggi con Kudo, eh?”
La karateka riconobbe l’amica ereditiera, semplicemente dal tono con cui aveva pronunciato il cognome del ragazzo. Una smorfia si dipinse sul suo volto, raggrizzendole i muscoli.
“Io non amoreggio con nessuno” cercò di precisarle, mettendosi a sedere sul materasso. “E poi sono giorni che mi sento uno straccio, mi sa che mi sono beccata l’influenza.”
“Sul serio?” s’intenerì Sonoko, addolcendo la voce. “Uffa, ed io che volevo invitarti alla festa di Makoto stasera.”
“Festa?” chiese incuriosita Ran, portandosi una mano sulla fronte, scompigliando il ciuffo della frangetta.
“Sì... gli ho organizzato una festicciola a casa mia, per i suoi 25 anni*” le riferì l’amica, con aria soddisfatta. “Ho già chiamato Heiji e Kazuha, mi hanno detto che verranno.”
“Ah” sospirò scocciata la ragazza, sbuffando. “Mica sai se viene anche Shinichi?”
“No, ma questo dovresti dirmelo tu. Non vi state sentendo voi?”
Avrebbe dovuto sentirlo, ma lui aveva scelto di visitare l’America e di scomparire dalla circolazione, ora come anni prima. Con la stessa mano scese agli occhi, strofinandoli, in modo da svegliarli dal -mancato- sonno notturno. Sbuffò ancora, sedendosi sul bordo del materasso e poggiando i piedi sul pavimento freddo.
“Lasciamo stare che è meglio. A che ora è la festa?”
“Allora verrai!?” esclamò entusiasta l’amica, abbozzando un sorriso che la giovane non poté vedere.
“Certo. Mi farà bene svagarmi un po’. Che dici, porto anche Richard?” le domandò poi, titubante sulla presenza dell’americano. Dal giorno in cui le aveva detto di amarla, il ragazzo si era comportato sempre con tenerezza e accortezza. Addirittura aveva cominciato a prepararle la colazione ogni mattina, e portargliela a letto. Spesso tornava da lavoro con cioccolatini e dolcetti vari, donandole interi pacchetti di golosità, pronte a sciogliere il cuore di chi le assaggi. In realtà, Ran non comprendeva perfettamente quel suo atteggiamento. Era come se averlo tradito avesse sortito l’effetto contrario, come se l’avesse ferito, ma in meglio. Non aveva proferito parola con lui di Shinichi, ma cominciava a credere che fosse impossibile che non si fosse accorto di un suo cambiamento, e di una crisi nel loro rapporto. Era inammissibile non accorgersene quando le uniche frasi che gli regalava nell’arco della giornata erano uno striminzito ‘buongiorno’ ed un cupo ‘cosa vuoi per pranzo’. Quel suo atteggiamento non faceva altro che rinchiuderla in un vortice di sensi di colpa, che in un modo o nell’altro avrebbe dovuto espiare.
Forse, passare con lui una serata tra amici sarebbe potuta essere una buona idea. Forse.
“Beh, dimmelo tu. Per me non c’è problema.”
“Nemmeno per me. Ci vediamo stasera?”
“A stasera, alle 9 a casa mia” le riferì l’ereditiera, per poi intenerirsi. “E cerca di stare bene.”
“Ci proverò” mormorò, consapevole di non essere ascoltata, avendo già staccato la chiamata. Si alzò a fatica dal materasso, dondolando dal mal di testa. Allucinogeno l’avrebbe definito se glielo si fosse chiesto,  martellante ed insopportabile. Un susseguirsi di eventi che le stavano frantumando la pazienza e il buonumore, scaraventandola in un tunnel dalla cui oscurità era possibile uscire solo attraverso la presenza di Shinichi. Era inutile negarlo, le mancava da morire. Ed era assurdo pensare di essere stati così tanto tempo lontani e non riuscir ancora a sopportare la sua assenza. Non avrebbe retto un altro giorno senza avere sue notizie, né un minuto in più senza la certezza di averlo affianco, vicino o lontano che sia.
Si portò avanti nella camera, meditando i vari oggetti poggiati sui mobili, architetti della casa. Poteva essere interessante poi una sveglia, una cornice, un quadro o un calendario? Un calendario forse sì. Si avvicinò sempre più ad esso, con occhi strabuzzanti e bocca serrata. Quella catena di eventi le aveva fatto perdere il senso del tempo che passava, e dei giorni che aumentavano.
Oh cazzo!
 
 
 
Festoni e palloncini addobbarono un intero salone di casa Suzuki, un’ampia sala luminosa e splendente, dove Sonoko aveva esplicitamente chiesto ai genitori di andare via, in modo da lasciarli soli a festeggiare il compleanno dell’adorato Makoto. Ran avanzò lentamente verso l’amica accompagnata da Richard, con in mano un pacchettino colorato a cui era attaccato un fiocco dorato, probabile regalo per Makoto. Aveva optato per un braccialetto in acciaio, inciso di una piccola tigre, simbolo del karate giapponese. Primi ad arrivare, Ran notò la mancanza di Heiji e Kazuha, ed ovviamente di Shinichi. Lo stesso pomeriggio aveva provato a chiamarlo, con la speranza di risentire il suono della sua voce. Purtroppo di suo udì unicamente la segreteria telefonica, che il ragazzo non aveva più tolto da quando era partito per gli Stati Uniti, e il suono metallico del bip che la incitava a parlare.
Strinse forte l’amica in un abbraccio, riscaldandosi del calore che emanava il suo corpo. Il freddo continuava a perseguitarla, la stanchezza ad indebolirla.
“Ran” l’accolse gioiosa l’ereditiera, avvicinandosi a lei. “Richard”
“Grazie d’essere venuti. Makoto è di là, quando viene gli dai questo, ok?” le disse, indicando il pacchetto. La ragazza annuì e si sedette su una delle sedie che accerchiavano l’immenso tavolo posto a centro sala, coperto da una tovaglia bicolore, verde e blu, sulla quale erano poggiate ciotole di patatine e stuzzichini vari. Accanto a lei prese posto Richard, apparentemente sereno e felice. Poggiava i gomiti sul tavolo, mentre con le dita si impegnava a costruire origami, piegando nei vari modi i tovaglioli di carta presenti in ogni posto. Ran si fermò ad osservarlo, alleviando il dolore che l’affliggeva, sorreggendo il capo con la mano. Si sentiva scocciata, debole, assonnata e nauseata. Sperò in una sola cosa: che quella festa finisse il più presto possibile.
“Ci sono i tuoi amichetti” blaterò Richard con tono seccato, rimanendo fisso lo sguardo sulle sue dita.
“Eh?”
“I tuoi a-m-i-c-h-etti” scandì meglio le parole, visibilmente irritato. Poi continuò con tono sarcastico, azzardando un sorrisetto: “Peccato, ci manca qualcuno.”
Nel voltarsi verso il corridoio che poco prima aveva attraversato, Ran vide arrivare Heiji, seguito a pochi metri da Shiho e Kazuha. Sbuffò nel rendersi conto che, come previsto, Shinichi non c’era, e che la frase humour indirizzatole dal partner si riferisse proprio all’amato. Le aveva parlato come se avesse saputo che la sua assenza l’avrebbe turbata e amareggiata. Come se sapesse tutto e tentasse di nasconderlo.
I tre entrarono nel salone, accolti da Sonoko, che disse loro le stesse cose riferite all’amica precedentemente. Prese i regali per il fidanzato e sgattaiolò via dalla sala, ricercando i camerieri per far preparare il buffet. Ben poco preoccupata per il venticinquesimo anniversario del collega karateka, la giovane Mouri si alzò dal tavolo, avvicinandosi ai suoi amici, lasciando Richard da solo, a contemplare le sue creazioni artistiche di origami. Non poté notare però che, nel vederla correre verso il detective di Osaka, lo pseudo - fidanzato la fissava imperturbabile, con l’intenzione di monitorare le sue mosse, e captarne gli scopi.
“Heiji!” lo fermò improvvisamente la giovane, bloccandogli le mani sul petto.
“Dov’è Shinichi?! Hai avuto notizie di lui?!” bisbigliò a bassa voce, in modo da non farsi sentire da Richard.
Il ragazzo bruno allargò un po’ le palpebre, trovandosi disorientato. Staccò le mani della giovane dai suoi muscoli, ed indietreggiò di qualche centimetro, assicurandosi una certa distanza. Ran lo osservò interdetta, indecisa sul da farsi. E adesso, cosa gli prendeva? Heiji sembrava impaurito.
“N-no Ran...” le rispose freddamente, evitando il suo sguardo. Senza degnarla di saluti si allontanò da lei, avanzando verso il tavolo di cibarie. Ran restò ferma in mezzo alla sala, e sebbene fosse circondata da innumerevoli persone, si sentì terribilmente sola. Si sentì abbandonata e ignorata, forse derisa. Per qualche istante perse il senso del luogo, precipitando in un vortice di pensieri e di paure, in un mare di delusioni. La sua mente viaggiò velocemente e distrattamente, sottraendosi ad ogni sorta di ragionamento logico e coerente. E, nel ripensare all’intero contesto, dedusse che: Shinichi era partito per l’America perché lì aveva una fidanzata, che vedeva poche volte all’anno a cui nascondeva completamente la sua vita a Tokyo e le sue amicizie; evidente era quindi che il detective le aveva detto di restare con Richard perché, preso dai sensi di colpa, in quel briciolo di coscienza che gli rimaneva voleva assicurarsi che lei fosse felice, in un modo o nell’altro; ovvio inoltre che non le rispondeva a cellulare per non far insospettire l’altra mal capitata, che avrebbe incominciato a fargli innumerevoli domande; Heiji, l’unico a conoscenza di questa doppia vita, aveva cercato di evitarla, incerto sul cosa risponderle.
Possibilità di diventare un investigatore: zero. Possibilità di entrare in un manicomio: innumerevoli.
Che poi, ad aggiungersi a tutto ciò, rimaneva quell’enorme mal di testa e quella paura crescente dei giorni che passavano. Si riprese dal suo stato di incoscienza, alzando gli occhi verso l’amico Hattori.
Resasi conto delle sue bislacche intuizioni, degne della figlia del detective Mouri, si avvicinò al tavolo, rimettendosi a sedere accanto a Richard. Continuò ad osservare Heiji, che intanto la guardava di sottecchi, accorto sul non farsi vedere dall’americano. C’era qualcosa che non quadrava, e che il detective nascondeva, ma cosa?
“Amici” cominciò, azzardando un tono sarcastico Richard.
“Tra tre giorni c’è una mostra di foto, fatte da me personalmente, con tema omicidi e investigazione. Mi farebbe piacere veniste. E poi, penso possa interessarti” disse, riferendosi ad Heiji,  rimasto un po’ sorpreso dalla proposta dell’americano.
“Ehm sì... potrebbe” rispose il detective, rimanendo sul vago.
“Magari fai venire anche Kudo” si soffermò sul cognome, mostrando una vena di disprezzo. Ran lo osservò, basita per l’atteggiamento del partner. Richard invitava Shinichi ad una sua mostra? Probabilmente erano usciti tutti di senno in quella serata.
“Il giudizio di un esperto come lui è molto gradito.”
“Ecco a voi ragazzi” interruppe il flusso di pensieri e sguardi Sonoko, avanzando nella sala seguita dai camerieri. Essi portarono quattro teglie di pizze varie, bollenti e succulenti. Il profumo attraente di esse s’insediava nelle narici, facendo venire l’acquolina alla bocca ai presenti, pronti al tavolo per raccapezzare più pezzi possibili. Tutti cominciarono a prendere la propria porzione, litigando e discutendo su chi dovesse prendere la margherita e chi la capricciosa, chi la viennese. Tutti tranne Ran. Solo nel vedere quell’immensa bontà dinanzi ai suoi occhi, la ragazza sentì il suo stomaco brontolare, e il capo girare. Si alzò d’un tratto dal tavolo, lasciando i presenti basiti. Corse veloce verso il bagno di casa Suzuki, facendosi spazio tra gli invitati alla festa che le camminavano contro. Chiuse la porta sbattendola, avendo appena il tempo di avvicinarsi al lavandino e buttare fuori tutto ciò che aveva potuto mangiarsi in quella giornata: una mela e due spicchi di pera. Vomitò anche succhi gastrici e residui vari, liberando lo stomaco di qualsiasi materiale che potesse essere chiamato cibo o bevanda. Si accasciò a terra, con viso pallido e gambe tremolanti. S’era sentita di svenire e le forze venir meno, in una giornata che non sembrava proprio voler passare. Portò le mani al viso, cominciando a singhiozzare, mentre le lacrime impavide spingevano nel voler scendere.
Shinichi... dove sei?
Il suono della porta le avvisò della presenza di qualcuno dietro di essa. Si apprestò ad urlare, con tutta la voce che le era rimasta in corpo, racimolando le ultime energie.
“Occupato!”
“Ran sei qui?” domandò Kazuha, preoccupatasi per l’amica, svanita nel giro di pochi istanti dal salone. Vedendola correre verso una direzione ben precisa, con la mano che le copriva la bocca, non ci sarebbe voluto molto a capire che fosse proprio il bagno la sua meta. Così si era alzata anche lei, raggiungendola per accertarsi che stesse bene. “Ran, che succede!?”
Si accovacciò vicino alla ragazza, accarezzandole le spalle. Riuscì a scostarle le mani dal viso, intravedendo le lacrime solcare su una pelle pallida, che pian piano però stava riprendendo colore. Inoltre, lentamente le forze cominciarono a tornare, fino a donarle nuovamente l’equilibrio motorio.
“K-Kazuha,” singhiozzò ancora, strofinandosi il viso, per levar via l’umido delle lacrime. “S-scusa, mi sono sentita male.”
“Non preoccuparti...” la rassicurò, aiutandola ad alzarsi dal pavimento. Ran si rimise in piedi, ed aprì il rubinetto del lavandino, facendo scorrere via i residui della sua indigestione. Se d’indigestione si trattava, poi.
“Ma hai mangiato troppo forse?”
La karateka fece una smorfia, schernendo se stessa, tenendo gli occhi fissi sull’acqua corrente.
“Sì, una mela” blaterò sarcasticamente. “Una mela ed un po’ di pera, in tutta la giornata.”
“Ma.. ma sei impazzita?!” la rimproverò bonariamente l’amica, afferrandole un polso. “Perché non hai mangiato?”
“Perché mi sa che ho l’influenza da un paio di giorni.. mi sento debole, a volte affamata, poi vomito... boh non capisco” confessò sinceramente la ragazza, sedendosi sul bordo della vasca da bagno. Le forze continuavano ad essere poche, nonostante ne avesse recuperate la maggior parte. Sbuffò, abbassando il capo verso il pavimento. Vide Kazuha avvicinarsi e passarle una mano tra i capelli, fermandosi sulla fronte. Rimase qualche secondo in quella posizione, per poi ritirare le sue dita.
“Febbre non ne hai” decretò con tono sicuro. Si abbassò un poco, aprendole la bocca, e scrutandone il contenuto. Dopo pochi istanti risalì, sospirando, con aria quasi soddisfatta. Da quanto Kazuha aveva preso lezioni di medicina? Che avesse deciso di fare il medico e lei non lo sapeva? Probabile, sì.
“Signorina, non ha né arrossamenti di gola, né tracce di febbre. Il suo respiro è regolare, ciò indica la mancanza di muchi nei suoi polmoni” si fermò un attimo, osservando l’amica che la guardava ridacchiando. “Diagnosi temporanea: sei sana come un pesce.”
“Non sapevo di avere un medico come amica” asserì l’altra, continuando a sorridere.
“Ho preso parecchie volte la febbre, ti ho semplicemente detto il contrario di quello che mi riferiva il dottore a me” le rivelò, mettendosi a ridere. “Però tu davvero stai bene fisicamente Ran.”
“Sì, credo sia stato un abbassamento di zuccheri. E’ un periodo un po’ particolare” continuò la karateka, con tono amaro. Abbassò nuovamente lo sguardo rattristandosi, ripensando agli ultimi momenti vissuti insieme a Shinichi. L’aveva sentito che stava per succedere qualcosa, ma in quell’istante non aveva voluto darci peso. Che poi la catastrofe che incombeva era anche peggio di quella che si aspettava sono solo dettagli, inutili dettagli. Presa nelle sue elucubrazioni, Ran vide Kazuha allontanarsi verso la porta, afferrare la maniglia, e chiuderla a chiave. Ritornò dall’amica, abbassandosi e mantenendosi sulle punte dei piedi. Prese le mani nelle sue, portandola a farsi guardare negli occhi.
“Ran ora sii sincera. Devi dirmi qualcosa?”
“Eh?” rispose sorpresa la ragazza, sbattendo più volte le palpebre.
“Sai a cosa mi riferisco, vero?”
La giovane Mouri abbassò nuovamente lo sguardo, incupendosi. Certo che sapeva a cosa si stava riferendo, l’aveva capito quello stesso pomeriggio, nel trovarsi a guardare quel calendario, anche un po’ distrattamente. Deglutì un paio di volte, evitando lo sguardo interrogativo dell’amica.
“S-sì” rispose soltanto, inceppando nelle parole.
“Ho un ritardo di dieci giorni.”
Kazuha sospirò nuovamente, per poi avvicinarsi ancora di più al corpo dell’amica e stringerla più forte che poteva.  Ran si lasciò trascinare in quell’abbraccio, appoggiando la testa sulla spalla calda dell’amica.
“Ho comprato il test di gravidanza oggi pomeriggio. Con la scusa di andare in farmacia per medicinali vari mi sono fatta accompagnare da Richard...devo farlo?” le domandò, dalla voce ansimante e tremolante. L’amica si staccò dalla presa, mettendosi a sedere accanto a lei, sul bordo della vasca.
Continuò a reggerle le mani, come per farle sentire la sua presenza. Lei c’era, non l’avrebbe abbandonata o giudicata. Lei ci sarebbe stata sempre.
“Dimmi una cosa,” cominciò con voce seria, cercando comunque non metterla a disagio. L’imbarazzo in momenti come quelli regnava sovrano, ed era giusto ed opportuno parlare con cautela. “Hai avuto rapporti ultimamente?”
Ran arrossì lievemente. “Beh, sì.. prima che Shinichi partisse.. una quindicina di giorni fa.”
“L’hai fatto solo con lui?” cercò di appurare Kazuha, parlandole sempre con tono basso e gentile.
“Ovvio” rispose convinta la ragazza, sospirando.
“Bene, almeno abbiamo la certezza chi sia il padre” le disse l’amica, facendola sorridere. “Sempre se c’è un bambino.”
“E... scusami se m’impiccio ma... è stata l’unica volta?”
“No, c’è anche quella a Niigata” le rispose, ricordandole la vacanza da poco vissuta. “Beh, noi.. vedi.. ecco.. facemmo pace sulla spiaggia, e..”
“Stop! Stop! Non voglio sapere i particolari” la fermò ridacchiando la giovane d’Osaka, mentre Ran riduceva i due occhi a piccoli puntini neri, imporporando il viso di rosso fuoco.
“Sono passate tre settimane da allora, il test dovrebbe essere efficace.”
“Ok, amica mia” si alzò improvvisamente, incrociando le braccia. “Io adesso vado fuori, ti aspetto sulla porta. Tu prendi il test, fallo con massima serenità e poi... vedremo che fare, ok?”
Ran non rispose alla ragazza, e restò ferma sulla vasca, senza muoversi di un millimetro. Kazuha le si avvicinò nuovamente, accarezzandole il viso. Per fortuna aveva ripreso il suo colorito naturale, e sembrava sentirsi anche meglio dopo l’indigestione. Restarle accanto era l’unica cosa da fare al momento, l’unica che potesse aiutarla.
“Se c’è... io voglio tenerlo” le confidò diretta, con occhi lucidi. “Io non ci penso all’aborto, è il frutto dell’amore che provo per Shinichi. Ucciderlo sarebbe uccidere noi.”
Kazuha sorrise, quasi fiera delle parole dell’amica. Infondo chi erano loro per decidere se una persona deve vivere o no? La vita è un dono di tutti, ed è sacra, ed è inviolabile. Sì, concordava con quello che Ran aveva appena detto. Anche lei avrebbe agito così, anche lei la pensava così. E poi, non si sarebbe mai potuto chiamare un errore. Gli errori sono quelli che si fanno con le macchine industriali, fredde e calcolatrici, prive di anima e corpo. Non puoi chiamare errore l’amore che ti spinge a stare con una persona. Si accovacciò ancora di fronte a lei, guardandola teneramente.
“Ran adesso fai il test. Non preoccuparti, andrà tutto bene.”
La ragazza annuì, ed in pochi istanti restò da sola nel lussuoso bagno di casa Suzuki.
C’erano solo lei e il test. Lei e la probabile vita di un bambino.
 
 
 
Dannazione, dannazione!
Il giovane Shinichi Kudo corse svelto tra i passeggeri dell’aeroporto di New York, affollato di taxi e persone. E non si affrettava per l’aereo, ma per la convinzione di arrivare prima a Tokyo, se lui fosse arrivato prima sul veicolo. Sbatté più volte il borsone contro le pareti, contro valigie, contro persone, senza degnarsi di scusarsi. Aveva il volto impaurito e scioccato, il viso bianco. Come poche volte in vita sua, avvertiva la paura. Quella che ti impedisce di fare qualsiasi movimento, quella che ti blocca volontà sul nascere. Ma, per quanto timore potesse provare, doveva sbrigarsi, e se avesse potuto, avrebbe detto anche al pilota di muoversi a partire. Si fece spazio tra i corridoio dell’aereo, ricercando il suo posto. Vedendolo, si mise a sedere bruscamente, passandosi le mani tra i capelli e sul viso.
Sono un imbecille, sono un completo imbecille...
Shinichi Kudo era stato battuto, Shinichi Kudo era stato imbrogliato, Shinichi Kudo aveva sbagliato.
Sprofondò lo sguardo fuori dal vetro, mostrando occhiaie e occhi stanchi, viso tirato, labbra secche.
Sospirò rumorosamente, socchiudendo le palpebre.
Ran... aspettami, arrivo!
 
 
 
Passarono quindici minuti. Ran era rinchiusa nel bagno da quindici minuti, e per Kazuha sembrarono un’eternità. Camminava avanti e indietro, nel corridoio della villa, udendo le urla e le grida che provenivano dal salone, dove ingordi, gli invitati continuavano a mangiare. Per fortuna Heiji non sembrava essersi accorto della sua assenza. Non avrebbe saputo poi come spiegargli la sua presenza costante di fronte al bagno, non ora almeno. Aveva promesso a Ran che nessuno l’avrebbe saputo.
Passarono ancora alcuni secondi, poi vide la porta aprirsi, e presentarle avanti l’amica, che con passo lento si lasciava alle spalle quel luogo, ora intriso di segreti. Sollevò lo sguardo verso di lei, ma da quegl’occhi non fu possibile scorgere niente. Erano profondi, ma sembravano immeggerla nel vuoto.
Kazuha si fece avanti, afferrandole le mani.
“Allora?” chiese, rimanendo per alcuni istanti in quella posizione.
Ran non si mosse, ma si staccò dalla sua presa e portò le mani in tasca. Poi, stranamente, sorrise.
Non era un sorriso sereno, né gioioso, né felice, né rassicurante. Ma era un sorriso, e ciò bastava.
Una nuova vita le si apriva davanti. Non poteva non sorridere.
“E’ positivo.”

 
 
 
*25 anni: Sinceramente non so Makoto quanti anni abbia in DC. A me sembra un po’ più grande dei protagonisti,
così ho fatto si che festeggiasse il suo 25esimo compleanno, mentre gli altri il 23esimo.
 

 
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COLPISSIMO di scena! O no? Ditemi, sinceramente, qualcuno se l’aspettava che Ran rimanesse incinta? Io credo proprio di no :P
Ebbene sì, lei e Shinichi diventeranno presto (si fa per dire, 9 mesi) genitori! =)
A parte ciò... cosa ne pensate dell’atteggiamento di Heiji? E di quello di Shinichi (apparso per pochissimo, ma apparso)?
Il bel detective non si è fatto sentire proprio durante quei giorni, e adesso sta ritornando. Avrà novità sul caso Kemerl? Chissà, chi leggerà, vedrà :P:P
Comunque infondo, sebbene siano giovani, Ran e Shinichi sono abbastanza maturi da poter avere un bambino.
Hanno 23 anni, quindi non è niente di eclatante, no? =D Spero che la “sorpresa” vi sia piaciuta!! :D
Ah, ditemi, quanto è insopportabile Richard?
E quanto è adorabile Kazuha che fa la dottoressa? :P
Ora tocca a voi darmi il vostro giudizio sul capitolo!
La storia è molto vicina alla fine, devo chiarire alcuni punti, ma lo è...
Va beh, allora vi lascio recensire :P
Un bacione ed un GRAZIE enormissimo a chi ha commentato lo scorso capitoletto:
ciccia98, Martins, Yume98, PaV e deamatta! <3 Grazie ragazze :3

Allora alla prossima,  
Tonia!

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