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Autore: singthishigh    14/04/2012    3 recensioni
Alison, sixteen, London.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 2.
La mattina dopo mi svegliai, presi il cd, lo riposi sulla scrivania di Caroline, si sarebbe arrabbiata moltissimo se non l’avesse trovato. Come al solito mia madre e mia sorella erano a fare colazione insieme mentre parlavano delle loro ‘cose da donne’, giustamente io ero esonerata, anche perché odiavo i loro discorsi. Come sempre avevo quel nodo sullo stomaco, andai in bagno e puntualmente vomitai, come ogni giorno. Mi sentivo sempre più debole, in certi casi non sapevo come reggermi in piedi. Il mio corpo non richiedeva cibo, ne ero disgustata, ma sapevo che senza mangiare avrei peggiorato ancora le cose. Andai al bar prima di scuola, l’odore di caffè, tutto, mi nauseava. Mangiai qualcosa, con malavoglia, ma lo feci. Nonostante questo ero sempre debole, mi sentivo fragile, come se stessi per svenire. Ero dimagrita rispetto ad una settimana prima, un po’ questo mi sollevava, ma non era positivo e lo sapevo bene. Non riuscivo a camminare fino a scuola, presi il pullman che si era fermato lì, scesi ed entrai in classe.                                                                                         
“Jonson, vieni alla lavagna, oggi ti interrogo.”  mi chiamò la prof di italiano.        
Riuscivo a parlare a malapena per quanto mi sentissi debole, poi non avevo studiato quel giorno, in realtà non studiavo proprio e non avevo intenzione di iniziare proprio in quel momento.
“Ehm, ehm..” ero impacciata, non sapevo che fare. 
Iniziai a parlare, cercavo di arrampicarmi sugli specchi ma poco funzionò, mi mise 4, voto che non avevo intenzione di recuperare.
“Jonson mi piacerebbe di sapere cos’hai in questo periodo, cos’è non dormi abbastanza?” disse la prof.
“No professoressa, è malata di solitudine, povera sfigata!” disse Caroline, umiliandomi davanti a tutti.
Io mi sentivo come un insetto, mi sentivo emarginata sul serio, avevo bisogno d’amore, di qualcuno che mi abbracciasse e mi facesse essere sicura di me stessa, di qualcuno che mi dicesse “Puoi farcela, ci sono io accanto a te”, ma non avevo nessuno di cui fidarmi davvero.  Cinque ore finirono, tornai a casa, mi sedetti a tavola per ‘mangiare’ ma non sapevo se l’avrei fatto. Solo a sentire l’odore del cibo mi sentivo male, quasi sazia. 
“Non ho fame, io vado in camera” dissi.                           
“Devi dirmi grazie che ho cucinato, perché è da ieri che non mangi? Vuoi farci subire di nuovo lo stress per quello che è successo l’hanno scorso? Te lo sei già scordato?” si arrabbiò mia madre.
“Non ho scordato niente, non ho fame, basta.” risposi.    
“Devi ringraziare il signore che quei medici sono riusciti a curarti prima che accadesse il peggio, e noi abbiamo subito tutto ciò per colpa tua, non ti immagini quanti soldi abbiamo dovuto sborsare per te.” si alterava sempre di più.            
Odiavo il fatto che mi ricordassero sempre la stessa storia, era una cosa che avrei voluto dimenticare. Non resistevo più. Sono sempre stata ‘forte’ ma quello era troppo, scoppiai in un pianto interminabile e corsi in camera mia, non riuscivo a sopportare tutto questo. Mi aveva rinfacciato solo i soldi spesi, non il fatto che stavo per affrontare una cosa orribile, che senza cure avrebbe portata al peggio, infondo avevo solo 16 anni.                                                                
“Cos’è adesso piangi? Affronta la situazione! Sei sempre stata una disgrazia per questa famiglia, non hai mai portato cose buone, sempre problemi e problemi, arriverà il momento in cui dovrai cavartela da sola e non ci riuscirai, sarà lì che vorrò vedere, sei inutile in questa casa” disse mia madre urlando, arrabbiatissima.  “
Se tu mi avessi dato amore forse adesso sarei una persona diversa” urlai anche io, piangendo.                                                            
“Perché tutti i soldi che abbiamo speso per te, che non servi a niente? Ti è sembrato poco?”
“Io non volevo soldi, solo qualcuno che mi aiutasse a credere in me stessa” piangevo sempre di più. 
“Se non stai bene qui vai via, sei solo una piaga ” urlò ancora più forte. 
 
Era troppo per me, presi le mie cose, le misi in un borsone con le lacrime agli occhi intenta ad andarmene per una buona volta. Mia madre mi fissava arrabbiata, forse infondo lo voleva, o ci stava male. Non mi importava, ero infelice, vivevo male, la mia vita era uno schifo. Presi tutto, vestiti, oggetti personali, non lasciai niente che mi appartenesse in quella casa, uscii sbattendo la porta fortissimo, non so dove avevo trovato la forza. Stavo malissimo, piangevo a dirotto, avevo bisogno di qualcuno, non riuscivo neanche a sentire la musica per quanto mi sentissi male. Avevo un punto di riferimento? Mio padre. Ma lui era via, chissà sperduto in quale posto, lavorava molto. Frugai nella mia borsa e trovai il bigliettino che mi aveva dato Harry, lui mi aveva detto che potevo contare su di lui e in quel momento stavo male, non avevo la forza di andare avanti. Senza pensarci composi il numero.                                            
“Pronto Harry, non so se ti ricordi me, sono la ragazza che hai incontrato ieri, tu mi hai dato il numero, scusa se ti chiamo ora..” dissi singhiozzando.                   
“Ei ciao, tranquilla, perché piangi?” rispose lui                               
 “E’ una storia lunga, sto male, sono in mezzo ad una strada e non ho nessuno, sono sola, sto per svenire, me lo sento.” Continuavo a piangere.                     
“Ti aiuto io, stai tranquilla, mi spieghi con calma, dimmi dove sei e ti raggiungo.”  rispose Harry preoccupato.                                                  
Gli spiegai dove fossi, in realtà non lo sapevo bene neanche io, a malapena riuscivo a parlare. Ero fragile, debole, avevo voglia di prendermi una lametta e tagliarmi come sempre avevo fatto. Harry arrivò. 
“Ei, come ti senti, cos’hai?” disse lui frettolosamente.                                   
“Sto male, è una storia lunga, non mi reggo in piedi.” Piangevo ancora.              
“Me la racconti dopo, adesso smettila di piangere, perché sei andata via di casa?”  
“Non vivevo più, adesso non ho nessuno, né un fratello, né un amico, mio padre è via, non so dove stare, sei l’unica persona a cui potevo chiedere aiuto..” dissi singhiozzando.                                                                                
“Sta tranquilla, ti porto a casa mia e mi spieghi tutto. Una cosa, non mi hai detto come ti chiami.”                                                                    
“Alison..” dissi con quella poca voce che mi era rimasta.                                
Harry mi sorrise, forse era l’unico che ci teneva sul serio, pur non conoscendomi; il ché era strano perché a malapena sapeva il mio nome e aveva deciso di prendersi cura di me, non so perché l’aveva fatto. Entrai in macchina e non fiatai, sentivo crollarmi il mondo addosso, ero sempre meno resistente, sapevo che stavo commettendo lo stesso errore dell’anno prima, ma un po’ mi vergognavo a parlarne. Arrivammo, lui mi aiutò a scendere dall’auto e non mi disse nulla, mi fece entrare. Era una villa enorme, non ero mai stata in una casa così, mi sentivo a disagio, ma avevo bisogno di aiuto.                                                       
“Bene, adesso raccontami cos’hai.” mi disse.                                              
“Aspetta, ma vivi solo?”                                                                   
“Si, ma spesso vengono i ragazzi, quelli del gruppo.”                                    
“Ah, e non hai paura che le tue fan vengano a rompere durante il giorno?” chiesi io.                           
“No, paura? Succede sempre, ci sono abituato, a volte vado e le saluto anche”       
“Ah wow, bello.”                                                                           
"Non cambiare discorso però, su, raccontami cos’è successo.”
Mi vergognavo, si, ma infondo lui voleva solo aiutarmi. Spiegai lui tutta la storia, partii dal principio, da quando iniziai ad avere disturbi alimentari, esattamente un anno fa. Iniziai ad auto lesionarmi, a farmi del male. Non mangiavo, mi bastava solo l’odore del cibo per sentirmi sazia, e mi sentivo ogni giorno più debole, dimagrivo sempre di più. Mio padre se ne accorse e mi portò da un medico, mi fece ricoverare urgentemente, avevo bisogno di cure, stavo per imbattermi in una gravissima forma di anoressia. I medici aiutarono molto, mi fecero tornare come prima, ma io non lo ero, ero ancora ossessionata da quell’immagine di ‘ragazza perfetta’, quella ragazza che non ero io. Una volta uscita da quell’ospedale tornai a casa, mi misi dinanzi allo specchio e pensai “sono grassa”. Non ho mai smesso di tagliarmi, di avere disturbi, ero completamente fuori controllo. Dalla mia famiglia non avevo affetto, amore, comprensione, un bel niente. Mio padre era sempre via, mia madre e mia sorella erano una cosa sola, non si sono mai importate di me, sono sempre stata trattata  la pecora nera della famiglia. Anche quello stato di solitudine mi aveva portato a tutto questo, avevo solo bisogno di credere in  me stessa, ma avevo bisogno di qualcuno che mi incoraggiasse a farlo. Mentre parlavo ad Harry avevo le lacrime agli occhi, lui mi ascoltava immobile, senza fiatare, era come pietrificato.                                      
“Continuo ad avere gli stessi problemi, non mangio, mi sento fragile, a volte mi sento come se ci fossi o non ci fossi non farebbe differenza, ho bisogno solo di qualcuno che si prenda cura di me. Oggi avevo la nausea, non volevo mangiare, mi sentivo malissimo; da lì è scoppiata una lite con mia madre, lei mi insultava, io non ce l’ho fatta, stavo per svenire. Ho preso tutto e..”                                    
Harry mi zittì e mi abbracciò di colpo. Un abbraccio lungo, senza un fiato, senza una parola, aveva capito che era quello di cui avevo bisogno, ricambiai anche io, non mi sembrava una cattiva persona, voleva solo aiutarmi.                            
“Da oggi resterai qui con me, puoi fidarti.” mi sorrise.                                 
"Non c’è bisogno, davvero. Poi non posso stare a casa tua, mia madre chiamerebbe la polizia o non so cosa pur di farmi tornare da lei”        
 “Tranquilla, chiamo io tua madre e l’avviso” mi disse lui, “Aspetta, quanti anni hai?” aggiunse. 
“Ehm..16” dissi io.                                                                           
Oh 16, sei minorenne” si mise le mani in fronte, “E vai ancora a scuola?”                              
“Purtroppo si, non sai quanto vorrei non andarci. Ma tu sei maggiorenne, giusto?" 
“Si, ho 18 anni. Facciamo una cosa, parlo io con tua madre, ti starò vicino, adesso va a riposarti”
Decisi di fidarmi per una volta nella mia vita, decisi di aprirmi a lui. Speravo che mi aiutasse, non avevo scelta, prendere o lasciare. Entrai nella prima stanza che vidi, mi buttai su un enorme letto matrimoniale, non mi importava chi ci avesse dormito sopra, volevo solo distogliere i miei pensieri da una massa di ricordi incancellabili, cercavo di rilassarmi ma sapevo che non ci sarei mai riuscita. Ero debole, sola, non mangiavo da almeno tre giorni, dovevo rimettere la testa a posto.
 
Stranamente mi addormentai, quando mi risvegliai avevo una coperta addosso e un moro riccio di fronte a me che mi fissava.                        
“Che hai da guardare?” dissi io.                                                          
“Niente, è vietato anche guardare adesso?” disse ironicamente.                       
“Non fare lo spiritoso..” lo fulminai con lo sguardo.                                     
“Lo so che stai male ma rilassati. Ho chiamato tua madre, scusa se ho preso il tuo cellulare per prendere il numero ma non volevo svegliarti.”                            
“Ah va be, non preoccuparti. Che gli hai detto?”                                        
“Niente, le ho detto che avevi bisogno d’aiuto e che non stavi bene allora ti ho portata da me, le ho detto anche che per adesso non saresti tornata a casa e che avresti aspettato di stare meglio” mi fece un sorrisino.                                
“Hai fatto bene, lei che ti ha risposto poi?”                                             
“Era stupita quando le ho detto che ero un ragazzo, ma non ho fatto il mio nome, ho detto che ero solo un tuo amico, si è tranquillizzata e ha acconsentito”        
“Grazie Harry, stai facendo tanto per me e non so ancora il perché”                
“Odio quando le ragazze si fanno del male, poi prendilo come un aiuto da un amico, poi tu non sei una mia fan, quindi non c'è il rischio che mi salti addosso", mi misi a ridere.
Mi aiutò ad alzarmi da quel letto, quella sera i ragazzi della band non sarebbero venuti, anche se avrei voluto tanto conoscerli. Harry era così gentile con me, non era il ragazzo montato che credevo all’inizio. Mi chiese se volevo qualcosa da mangiare e io ovviamente non risposi, mi promise che mi avrebbe aiutata a non tagliarmi più, finalmente però aveva capito perchè mi facevo tutto ciò, ma lui non voleva che mi facessi del male. Ero contenta che per una volta qualcuno si prendesse cura di me.                                                                                                                                                  
“Alison c’è un problema, mia madre vuole che vada a cena da loro stasera, non vedo  la mia famiglia da tanto tempo..”                                    
“Non preoccuparti, va pure, io resterò qui.”                                             
“Non ho intenzione di lasciarti da sola, vuoi venire con me? A loro farebbe piacere.”                                         
“Si ma non ce la faccio, poi mi sentirei in imbarazzo, di te non so niente, figurati conoscere la tua famiglia”                                                      
“Rilassati, lo sai che voglio solo aiutarti, poi adesso siamo amici, no?” mi sorrise. 
A quel punto acconsentii, mi aveva offerto un posto dove stare, era così carino con me, dovevo pur ringraziarlo in qualche modo.                               
  
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