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Autore: Blue Drake    14/04/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 31

27 febbraio 1965 - "Non un addio"

 

 

Abbandonato l'ultimo briciolo di ragione, mi ero fatto guidare semplicemente dall'istinto, quando aprii quella porta, rimanendo a fissare la sua figura, ferma sul tappetino del porticato, a bocca aperta e con la paura che velocemente si trasformava in panico.

«Che... cosa... D-Derek, stai bene?...»

Nonostante la sua sembrasse un'apparizione spettrale, i suoi occhi, lucidi ed arrossati, possedevano una luce particolare, quasi una folle energia.

Incerto, sembrò rendersi conto solo in quel momento del suo stato pietoso.

«Uhm... Non è mio...»

Tentò di spiegare, molto probabilmente riferendosi a tutto quel sangue che macchiava, in modo grottesco e surreale, la sua figura.

Spalancai gli occhi, preoccupato. Non ero per nulla certo che ciò che mi disse potesse essere considerato una rassicurazione.

«D-De... C-cosa...»

I miei pensieri vennero interrotti dalle sue dita che si strinsero con forza attorno al mio polso.

«Dobbiamo andare. Ora! Non c'è tempo per...»

«Andare?!»

Lo fissai, inorridito e con la testa sottosopra. Con uno strattone liberai il braccio.

«Jules... Ti prego»

Intollerabile. Non riuscii a sostenere il peso dei suoi occhi, d'un tratto così tristi da far male all'anima.

«Che cosa succede? Perché non puoi dirmelo? Come... c-come...?»

«Ti giuro che ti spiegherò tutto. Ma non ora! Per favore»

Di nuovo non mi lasciava scelta. Quel brutto bastardo riusciva sempre a convincermi a fare tutto quello che voleva. Dio, quanto lo detestavo, certe volte.

«D'accordo»

Senza attendere oltre, mi riafferrò per il polso, ma prima che riuscisse a trascinarmi fuori, tornai in me con un ultimo sprazzo di lucidità.

«NO!»

Gridai, mordendomi le labbra nel disperato tentativo di non sentirmi, come sempre, in colpa. In colpa per lo sguardo sperduto e confuso che comparve sul suo volto.

«Non posso sparire così, come se niente fosse. Cosa penserebbe Chris?»

«Ma... ma...»

«No, zitto. Faccio in fretta»

Poi lo fissai un secondo, scrutandolo perplesso e scuotendo la testa.

«Entra. Non stare sulla porta in quel modo. Sembri un maniaco psicopatico»

Se me lo avessero detto, non ci avrei creduto.

Arrossì. Fu la prima - e, credo, l'ultima - volta che lo vidi in quello stato.

Sorrisi, compiaciuto, tra me, per aver ottenuto tanto.

 

Di fianco alla tovaglietta, con la colazione pronta e mai toccata, lasciai un biglietto di scuse ed un tentativo di spiegazione al mio povero e sconvolto Chris.

L'idea di sparire in quel modo, mi metteva a disagio. Lui non meritava tutto ciò. Non meritava di soffrire a causa mia. Avevo giurato a me stesso che lo avrei protetto, sempre. Ma ora, come potevo continuare a proteggerlo, se ero costretto a scappare? Speravo, pregavo che mi perdonasse. Forse non immediatamente. Ma un giorno, chissà.

 

"Avrei voluto lasciarti qualcosa di meglio.

Se solo avessi potuto, te lo avrei detto di persona...

e mi avresti dato per pazzo.

Perdonami per averti deluso. Non era mia intenzione.

Un giorno, te lo prometto, proverò a spiegarti tutto.

Ma ora è tardi. Per me lo è.

Tornerò, perché non voglio perderti.

Solo... non so quando.

Ti voglio bene

J."

 

Lasciai il foglietto e la matita accanto ai biscotti. Osservai, smarrito, la cucina. Infine scossi la testa. Tutto questo non aveva senso. Io lo sapevo. Sapevo che era sbagliato. Sapevo che non avrei dovuto. Eppure non seppi tirarmi indietro. Qualcosa mi diceva che lui era qui perché io l'avevo voluto. Era colpa mia. Lo sentivo, dentro di me.

Con un sospiro, lasciai la cucina. Lo trovai, fermo e completamente fuori posto, sul grande tappeto del soggiorno. Trattenni il respiro. Sembrava così fragile in quel luogo, così impalpabile. Un'ombra tremolante, pronta a svanire con il sorgere del sole.

«Possiamo andare»

Bisbigliai. Piano, annuì ed insieme uscimmo da quella casa, svanendo, poco dopo, nella fredda nebbia di un grigio mattino londinese...

 

   
 
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