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Autore: Padmini    18/04/2012    2 recensioni
Sherlock è tormentato da uno strano incubo ricorrente. Non sa ancora che quel sogno presto avrà una parte importante nella sua vita e lo aiuterà a capire molte cose di se stesso. Perchè non riesce a fidarsi delle donne? Quali dolorosi ricordi sono racchiusi nella sua anima?
Non mi ricordo da quando ce l’ho. Forse da sempre. Ciclicamente è tornato per tormentarmi. Quindi, ciclicamente, sono ricaduto nel mi vecchio vizio. Non è sempre stato così. Mi ricordo che quando ero bambino c’era mia madre. Lei veniva in camera mia e mi consolava.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
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John P.O.V.
 
 
Sono stanchissimo. Stanchissimo. Veramente e definitivamente distrutto.
Il tutto a causa di Sherlock. Non voglio dire per colpa sua, lui non ha colpa. Sta già soffrendo abbastanza.
Tutta questa storia mi ha completamente snervato. Mi fa star male vederlo così! Quanto sono stupido! Non lo avevo mai capito! Pensavo di si, invece non avevo capito un tubo di lui! È così sensibile, anche troppo, direi. Per questo nasconde continuamente le sue emozioni.
Mi ha raccontato qualcosa del suo passato, di come lo trattasse male suo padre. Sento però che è solo l’inizio. C’è ben altro. Altro che, per adesso, non vuole raccontarmi o non vuole affrontare. Dovrà farlo, però. Lo so. Lo sa anche lui. Dovrà guardare in faccia tutta la sua vita e farne un bilancio.
Mi sento in colpa per averlo trascurato così in questo periodo. Normalmente non sarebbe successo niente ma adesso aveva bisogno di me, no? O forse è andata meglio così.
Torno a casa dal lavoro e lo trovo disteso sul divano. Una lacrima gli solca il viso. Sta dormendo. Chissà quali pensieri lo hanno portato ad uno stato di torpore così profondo. Tiene un libro aperto sul petto, un vecchio libro sgualcito. Chissà cos’è? Vorrei prenderlo e provare a scoprirlo e avvicino la mano a lui ma qualcosa mi trattiene. No. Ti starò vicino ma non ti soffocherò. Mi parlerai tu quando ne sentirai la necessità. Sposto la mano dal libro alla sua testa e la carezzo dolcemente.
Ho tanto sonno anch’io. Vado a letto, mi spoglio velocemente e in poco tempo sono sotto le coperte. Ah! Che sensazione rilassante! Mi abbandono al sonno … e al sogno.
 
 
Dove sono? Non capisco … sono su un’automobile … legato ad un seggiolino? Ma non ho mica tre anni! O si? Aspetta un po’! mi guardo le mani. Sono cicciottelle e piccolissime. Devo avere due o tre anni. Sono seduto sul sedile posteriore della vecchia auto di mio padre che è li davanti a me. Sta guidando.
“Papà!” lo chiamo.
“Stai buono, John. Tra poco arriveremo”
“Dove papà?”
“Voglio farti conoscere il tuo fratellino”
“Ho un fratellino?”
“Si, tesoro, un fratellino piccolo. Piccolo piccolo. Vedrai, ti piacerà”
È teso, lo capsico da come mi parla, da come si muove. Si starà chiedendo se fa bene a comportarsi così? Ben presto arriviamo in un giardino. È enorme! Davanti a me si staglia una villa principesca. Rimango abbagliato da tutti quei colori, da quella casa così grande. Papà scende dall’auto e viene a sedersi vicino a me. Mi guarda con apprensione. Si sta preparando a dirmi qualcosa di importante.
“Dov’è mamma?” chiedo ingenuamente.
“John, piccolo, devo dirti una cosa. Il fratellino che tra poco conoscerai …”
“La mamma è lì con lui?” chiedo.
“No, John. Mamma è con Harry, adesso. Il bambino che vedrai tra poco è il figlio di papà ma ha una mamma diversa, lo capisci?”
“Perché non è la mia mamma?”
Mi guarda sempre più preoccupato. Non sa come rispondermi.
“Un giorno capirai” e non aggiunge altro.
Entriamo nella casa. Ci accoglie una donna bellissima. È alta, con lunghi capelli neri e occhi azzurrissimi. Le sorrido. È lei la mamma del mio fratellino?
“Ciao Violet” dice lui.
“Ciao Arthur. Grazie per essere venuto ma …  chi …”
“Lui è mio figlio minore. Volevo fargli vedere il fratellino”
“Arthur …”
“Non ti preoccupare. Ho parlato con mia moglie. Sa tutto. Anche lei, in quel periodo, mi tradiva. Eravamo in piena crisi ma adesso si è sistemato tutto. Capisce perfettamente la situazione e l’ha accettata”
“Ti ringrazio. Magari potessi avere la tua fortuna”
“Come mai? Siger non è stato comprensivo?”
“Se fosse una persona comprensiva a quest’ora Sherlock non sarebbe nato. Non avrei mai avuto bisogno di trovare qualcun altro”
“Non credo di poter capire. La crisi tra me e mia moglie è stata diversa. Lei mi accusava di essere troppo assente … Tuo marito, invece …”
“Siger era troppo presente. Soffocante! Estremamente geloso, direi”
La porta dietro di noi si apre all’improvviso. Entra un uomo spaventoso. È un bell’uomo ma mi fa paura. È arrabbiatissimo. Guarda con odio mio padre e mia madre.
“A quanto pare facevo bene ad esserlo!” dice furente
 “Siger!” urla la donna. Penso che tra poco si metterà a piangere “Ti posso spiegare!”
“Cosa vuoi spiegare? Chi è quest’uomo? È lui il padre di Sherlock?”
La donna esita. Si torce le mani. Grosse lacrime cominciano a uscirle da quegli occhi così belli. Deglutisce e infine annuisce.
“Come hai potuto!” grida lui “Puttana!”
“Ti prego” lo supplica lei “Ti prego perdonami!”
“Ormai è troppo tardi!”
“No, ti prego, no! Pensa a tuo figlio!”
“Mio figlio? Come puoi dire una cosa del genere?”
“Ti prego! Ti prego!”
Lei comincia a piangere sul serio, adesso. Lui la prende a schiaffi. Il rumore di quei ceffoni risuona sopra i singhiozzi di lei. Fa paura. Mio padre, che fino a quel momento ha osservato tenendomi in braccio, mi lascia a terra e prova a fermare l’uomo.
“Non ti azzardare, sai!” lo minaccia l’altro.
“Non si permetta lei! Rovina famiglie!”
“La colpa è solo tua, non te ne rendi conto? Tua e della tua gelosia!”
“Nessuno le ha dato il permesso di darmi del tu! E ora se ne vada da casa mia!”
Mi fa paura mio padre così. Non l’ho mai visto tanto arrabbiato. Indietreggio di qualche passo e lo sento. È un bambino. Sta piangendo. Mi guardo attorno per capire da dove viene la sua voce e vedo una porta chiusa. Le urla del bimbo sono così forti! Chissà quanto starà male! Guardo i grandi. Non gliene importa niente. Ma non lo sentono? È così straziante!
Mi avvicino alla porta con cautela, guardandomi ogni tanto indietro per capire se quei tre hanno intenzione di accorgersi del bimbo che piange. Niente. Continuano a litigare. Lo ignorano. Dovrò occuparmene io.
Apro lentamente la porta. Davanti a me compare una culla. C’è un bambino che piange lì. È disperato, le mani strette a pugno, il petto che si alza e si abbassa velocemente, seguendo il suo pianto.
Appena avverte la mia presenza, però, smette di piangere. Mi avvicino alla sua culla. Gira la testa verso di me. Mi sta guardando. Respira normalmente adesso. Anche le mani si rilassano. È bellissimo. I suoi occhi, ancora colmi di lacrime, sono azzurri come quelli della sua mamma. Però è mio fratello. Me lo ha detto mio papà. Anche se abbiamo mamme diverse lui è mio fratello. Mi sembra di essere in un altro mondo, separato. Le urla degli adulti, di là si fanno lontane. Ci siamo solo noi due.
Una lacrima comincia a scivolargli lungo la guancia. Gliela raccolgo con un dito, che lui subito afferra con la sua manina.
“Tao bimbo” gli dico “Io sono il tuo fratello”
Il bambino stringe di più il mio dito. Non vuole che me ne vada.
Purtroppo, però, dovrò andarmene. Mi sento sollevare e capisco che è mio padre che mi prende in braccio.
“Dobbiamo andare” mi dice. Poi guarda il bambino nella culla che nel frattempo, sentendo che sto andando via, ha ricominciato a piangere. Gli altri due grandi stanno continuando a litigare, lo sento. Poi all’improvviso sento il rumore di una porta che si chiude e la donna, ancora in lacrime, ci raggiunge.
“Si sistemerà tutto Violet, ne sono sicuro” le dice mio padre cercando di farmi stare più comodo tra le sue braccia.
“Lo spero Arthur, lo spero davvero”
Il bimbo continua a piangere. La madre cerca di rassicurarlo con un sorriso ma non ottiene molto. Mi sporgo oltre la spalla di papà e lo guardo.
 “Ciao fratellino” è l’unica cosa che riesco a dirgli.
L’ultima immagine del sogno è il viso di quel bambino che continua a piangere. Allungo la mano per cercare di raggiungerlo, di consolarlo, ma si fa sempre più distante … più indistinto …
 
 
Mi sveglio di colpo. Che razza di sogno è? Ma è davvero un sogno? O è un ricordo? All’improvviso tutto si fa chiaro nella mia mente. È un ricordo. Come ho fatto a dimenticarmelo?
Dopo quel giorno non siamo più tornati in quella casa così bella. Non ho più visto quel bambino. L’ho dimenticato, rimosso.
Mi alzo e scendo. Ho bisogno di un caffè bello forte. Arrivo in cucina senza passare dal soggiorno per non disturbare Sherlock ma sento che sta male. Si lamenta nel sonno. Il libro è caduto per terra.
“Sherlock! Sherlock! Svegliati per l’amor del cielo!” cerco di riportarlo alla realtà. Chissà quali oscuri ricordi sono tornati per tormentarlo. Poi capisco.
Si è svegliato. Mi guarda. La verità mi raggiunge come un proiettile. Lui riesce a leggere la preoccupazione nei miei occhi. Una lacrima gli scende piano sulla guancia. Cerco di recuperare un po’ di contegno e gliela asciugo con un dito.
È lui. Lo riconosco. È Sherlock. Non sono mai stato molto dedito a preoccuparmi per gli altri ma con Sherlock è diverso. Mi sento responsabile. Devo proteggerlo, voglio proteggerlo.
Da quando l’ho conosciuto ho sempre avuto la necessità di proteggerlo. Ho perfino ucciso un uomo, per lui. L’avevo appena conosciuto eppure sono arrivato a tanto. Ero davvero spaventato, quel giorno. Non sapevo perché ma dentro di me qualcosa mi diceva che dovevo farlo. Dovevo prendermene cura.
Come ho potuto dimenticarmi di lui? In fin dei conti era solo un bambino che ho visto una volta per pochi minuti eppure …  quei pochi istanti ci hanno legato per sempre. Ora siamo di nuovo insieme.
È lui.




   
 
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