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Autore: sistolina    18/04/2012    2 recensioni
“Il termine tecnico è Schizofrenia Ebefrenica di Tipo Disorganizzato, ma per comodità la chiameremo SED” per comodità un paio di palle, è uno sfigato con l'accento da college prestigioso che non vuol far sentire come diventa plebea la sua erre mentre dice “ebefrenica”. E forse anche perché ci godeva alla grande che io fossi una sigla, così non avrebbe dovuto ricordare come mi chiamo, perché odio Via Col Vento anche se lo riguardo almeno una volta alla settimana, perché scarto i cavoletti di Bruxelles anche se mi piacciono, perché non scrivo mai il mio nome con la penna rossa, o non riesco a guardare l'orologio senza sentire il bisogno di uscire dalla stanza. Ci sono scritte quelle cose, DOC, sul fascicolo spesso come la Costituzione Americana che avrai letto sul cesso 'stamattina. Ci sono scritte un sacco di porcherie su di me che nemmeno io so, eppure ha deciso che basta chiamarmi SED perché l'intero Universo conosciuto possa arrogarsi il diritto di parlare di me
Genere: Drammatico, Satirico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stelle danzanti su bombe inesplose

 

Criterio quotidiano.

Ci si sbaglierà raramente,

attribuendo le azioni estreme alla vanità,

quelle mediocri all'abitudine

e quelle meschine alla paura

(Friedrich Nietzsche)

 

 

E' bene forse che io vi racconti di quel giorno a Craigavon.

C'è chi dice, in giro, non so bene dove, che si debbano conoscere le tragedie delle persone per conoscere davvero le persone.

Io non sono fra quelli, e non lo sono da quel giorno a Craigavon, parola mia, lo sono da ben prima, anche se non me lo ricordo, perché prima di Craigavon ero troppo piccolo per ricordare, anche io, insomma, che ho la memoria fotografica e tutto.

Io penso che la gente non la conosci e basta, e non si conosce nemmeno lei, a dirla tutta, finché non scopre di dover crepare a breve, e allora comincia a fare tutte le cose che avrebbe fatto ma che non ha mai fatto, e ama di più, scopa di più, ride, e mangia, e beve di più.

Ma alla fine, fra una birra e una canna ben fatta, vi dirò che la gente la conosci quando la tragedia la sfiora per sbaglio, e si sente passare tutto lo schifo sulla pelle delle braccia che si rizza assieme ai peli, e sbuffa, e sudacchia, e si tocca le palle a scongiurare il peggio, e dice “Cazzo se ce la siamo vista...”.

Se proprio vuoi conoscere qualcuno, seguilo fino a casa dopo che il treno che ha perso ha deragliato, sull'isola del Pacifico dove doveva volare la settimana prima, prima di prendersi l'influenza, e dove è passato un ciclone oceanico che ha raso al suolo tutto, o sulla macchina, di ritorno da un incidente mortale due auto davanti alla sua, perché si è fermato a pisciare dietro un albero sulla Statale. Segui qualcuno nelle 24 ore dopo che ha fottuto per un pelo la morte, e lo conosci un po' di più.

Se davvero ci tieni eh! Io, per esempio, ritengo di conoscere troppo un sacco di gente, così tanto che alle volte vorrei cancellare un po' di cose che so, e sostituirle con altre. Ma ho questa fottuta memoria che trattiene tutto, anche le parole che, davvero, non vorrei ricordare.

Per esempio a Craigavon, quell'estate che faceva davvero caldo, così tanto che anche mia madre (allora non era ancora MiMA, perché era giovane, e ancora abbastanza irlandese da accontentarsi di una televisione scassata che trasmetteva programmi di merda anziché il fottuto maxischermo e dolby surround che abbiamo ora, che non guarda lo stesso, perché non le interessa davvero il mondo fuori dalla cucina, esattamente come prima) andava in giro in camicetta. Una camicetta azzurra, così chiara che io ho pensato fosse bianca fino a quando non mi ha fatto vedere le foto, ed era azzurra cazzo, come ho fatto a confondermi?

Faceva così caldo che perfino l'erba fuori dal cortile di casa nostra era secca (badate bene cortile, non giardino, non portico del cazzo con veranda o fontana o cuccia del cane o altalena. Solo un cortile tutto fangoso con galline e merde di cane sempre umide, che puzzavano come e peggio dei cessi pubblici dietro la bottega del vecchio Flyn). Era così secco che anche quel maledetto sfaticato di mio padre aveva deciso di levarsi dai piedi per un po' e andare a Craigavon. Non a Dublino, o a Belfast, o in una bella cittadina sul mare, dove tirava un venticello da far arrapare i morti. A Craigavon, un postaccio dimenticato da Dio dove la massima attrazione erano le puttane “a sorpresa”, quelle che non sapevi mai se ce l'avevano o no le malattie, e lo scoprivi solo dopo, quando ti andava male.

Ma a noi non è che fregasse davvero di dove stavamo andando: prendevamo il catorcio verniciato cento volte che chiamavamo macchina, un paio di centinaia di panini che nemmeno l'Esercito della Salvezza, e ci caricavamo uno ammassato all'altro in pieno stile carro bestiame, diretti qui o lì. Che andassimo al supermercato o in capo al mondo, ci sentivamo fichi lo stesso, perché bastava tirare fuori la vecchia Ronda per sentirci avventurieri, machi alla Giuseppe Garibaldi o Yuri Gagarin, in rotta verso quel posto dove va tutta la gente così quando il loro capitolo sul libro di storia è finito e si passa ad un altro argomento.

Ronda era la nostra Ford Fiesta arrivata direttamente dagli stabilimenti di Dagenham, praticamente quando avevano cominciato a pagare le donne quasi come gli uomini, (e si parla degli anni '60, gente, aveva un'età quel catorcio!) ma aveva quella sua personalità roboante che hanno le vecchie zitelle, quelle che odorano di cavoli, e nessuno sposerà mai, e magari ti danno fastidio quando la domenica ti fermano per strada a chiederti come sta questo e che dice quell'altro, e se a quell'altro ancora hanno tolto l'appendice, ma quando muoiono ci resti male, perché non ti va bene che rompano, ma nemmeno sei capace di fare senza. Ronda era una zitellona di macchina di prima categoria, e il nome l'aveva scelto mia madre quando ancora quello sfrangicoglioni di mio padre faceva il romantico e tutte le merdate del caso, perché diceva che la faceva sentire sicura come il suo cane da guardia, quello che aveva quando stava a Kilarney, giù nel sud, e la gente non faceva saltare un cazzo lì, perché di sporchi inglesi oppressori non ce n'erano, e nemmeno di bombe, giù nel sud, dove la gente viveva come si deve, e non come terremotati, con la radio che gracchia sempre di morti, e i figli che nemmeno possono giocare per strada, casomai a quegli altri viene in mente di rastrellare un po' di “collaborazionisti” a caso. E Ronda faceva la guardia, giù a Kilarney, come si doveva, quasi come la nostra utilitaria scassata con il tergicristallo che s'incastrava sulle dieci e dieci.

Ma quell'estate faceva caldo, e non pioveva un cazzo, ve lo giuro, nemmeno a pregare gli dei, o Dio o Allah, o quello che volete voi. Parola mia, mai più avuto un'estate come quella.

Quell'estate me la ricordo perché mio fratello Tim aveva compiuto da poco dodici anni, e cominciava ad avere gli ormoni a mille sapete, sono io il pervertito della famiglia, almeno questo primato lo esigo, ma lui si sparava di quelle seghe fuori la lavanderia della signora Rosney che nemmeno nei miei momenti migliori.

La signora Rosney era una signora di quelle da medaglia d'oro, questo glielo concedo, con quei vestiti tutti appiccicati addosso e quel crocifisso in mezzo alle tette enormi; ma Tim, lui, beh, non è che sia mai stato il guru delle pippe, non so se capite, era rumoroso, e grezzo, e faceva un sacco di versi sconclusionati, roba da far girare mezzo quartiere!

Un giorno la signora Rosney lo becca, lì davanti, pisello in mano, brache calate e tutto il resto, giuro, e si mette a rincorrerlo per strada, urlando che era un pervertito e sarebbe andato all'Inferno, e che Satana se lo portasse quel mascalzone segaiolo di un O'Hara, tua madre non ti ha detto che diventi cieco ragazzino, e tutto il repertorio di minacce annessi e connessi del caso.

La cosa divertente di questa storia, in ogni storia di maltrattamenti e turbe infantili dev'esserci qualcosa che faccia ridere, altrimenti finiamo tutti come Anna Frank, che era pure simpatica, ma tutti se la ricordano per lacrime e prigionia.

Beh la cosa che fa scompisciare tutti (e con tutti intendo me) è che la signora Rosney è corsa da mamma con lo sbattibiancheria in mano, bestemmiando e imprecando, e ha incastrato me. Quella cogliona miope ha incastrato me, e Tim, con ancora le braghe calate e la camicia a scacchi fuori dai pantaloni non ha soffiato parola, il bastardo, nemmeno mezza.

Non saprei dirlo con certezza, ma credo sia quello il momento in cui ho deciso che avere l'uccello in mano, in ogni caso, era meglio che non averlo.

Ho avuto le chiappe in fiamme per un mese, e tutti a scuola mi chiamavano segaiolo e mezzasega, frocetto e compagnia, e Tim, dico, mio fratello Tim, è rimasto muto.

Alla fine, anche questo fa ridere se ci pensate, perché è quella teoria sulle bugie che raccontate mille volte alla fine diventano vere, talmente tanta era la gente a fermarmi per strada urlandomi contro e sfottendomi, che ho creduto davvero di essere stato io.

Meno male che JFK è venuto consolarmi gente, altrimenti non vi dico cosa sarei diventato!

Ma questo è il flusso di coscienza sul “ricordo più vivido” che abbiamo no? E non è il pisello rattrappito di mio fratello che voglio ricordarmi cazzo, per niente!

Volevo raccontare di quel giorno a Craigavon perché è uno dei ricordi strappalacrime di bambino shockato che “cresce nell'ambiente insicuro e fluido della modernità, ed è costretto ad adattarsi all'instabilità e la caducità di una vita con continua evoluzione” o almeno è quello che ha detto la mia prima strizzacervelli a mia madre, quando andare dallo psicologo non era ancora di moda, come Scientology o i vampiri in tv, e se ci andavi eri matto, non fico, e si chiamava psicologo, non terapista, e ci andava la gente disadattata, non i ricchi indecisi sulla carta da parati per il salotto.

Ci andavo io, che da quel giorno a Craigavon dicevano fossi un po' sfasato, ma io penso fossero loro che si cagavano sotto che non lo fossi abbastanza. Non avevo incubi e non piangevo nella notte, non ero asociale (non lo ero stato fino a che non hanno cominciato a chiamarmi segaiolo almeno) e nemmeno chiuso in me stesso. Erano sconvolti che non fossi sconvolto. S'incazzavano un sacco perché non gli davo la soddisfazione di poter fare i martiri con i vicini e scuotere la testa su come “quel pomeriggio a Craigavon” avesse per sempre compromesso il mio fragile equilibrio mentale.

Hanno fatto male a non essersela goduta quando potevano.”

 

Non avevo scritto niente su quel pomeriggio a Craigavon, e DOC lo sapeva. Aveva letto tutto il flusso di coscienza, tutte le cazzate su Ronda, la Ford di mia madre, e sapeva che non c'era scritto niente.

Ma tutti erano impazziti all'idea di sapere cos'altro mi avesse fritto il cervello, a parte vedere mio fratello con il pisello all'aria davanti alla lavanderia a gettoni della signora Rosney, ed erano lì sulla punta della sedia, tutti elettrizzati di farsi beatamente i cazzi miei a piene mani. Perfino Topher, che aveva cominciato a sbuffare alla terza riga, parola più parola meno, esattamente come le casalinghe frustrate che aspettano per settimane una scena di sesso fintissima delle soap operas, tutta gemiti e ansiti e orgasmi simulati in spagnolo, aveva dischiuso i suoi occhi da rana, sporgenti e striati di rosso, senza venirsene fuori con strane imprecazioni e bestemmie varie.

L'Anoressica (non la chiamerò con il suo nome finché non smetterà di chiamare me segaiolo, fatevene una ragione) faceva la finta sostenuta, con le braccette rachitiche incrociate su quello che sarebbe dovuto essere un seno, ma che in realtà aveva l'attrattiva sessuale delle crepe del Gran Canyon, stropicciandosi i piedi dentro le ballerine di vernice.

Un altro dei motivi per cui questo posto fa non fa completamente schifo sono le ciabatte. Potrei seriamente provare a paragonare la regola di indossare ciabatte nelle cliniche al tentativo di asservire le donne dei secoli passati con corsetti e gonne pesanti come macigni, ma poi sembrerei troppo colto, e la gente come me deve essere ignorante e volgare, un fenomeno da baraccone a cui non affezionarsi, così, quando chiudi il libro che denuncia la sottovalutazione intrinseca della persona, presente nel concetto di “malattia mentale”, non te ne viene niente a sapere che io sono ancora chiuso qui a farmi punzecchiare le braccia e a ingoiare pastigliette blu nemmeno fossi Hugh Efner.

Al St.Leonard nessuno può scappare, e nemmeno vuole, non per davvero, perché tutti i soldi che i nostri parenti sborsano per tenerci lontani dalle loro cene di Natale sono quelli che avremmo usato per fare altre cose, se solo non fossimo stati schifosamente schizzati. Sposarci, laurearci, avere un sacco di marmocchi, quelle cose da gente normale, che poi mi chiedo a chi può mai davvero interessare di essere “normale”.

Nessuno può scappare, quindi nessuno è obbligato a starsene in ciabatte tutto il giorno come i vecchi incontinenti negli ospizi pidocchiosi.

Qui abbiamo telecamere della videosorveglianza, un custode, allarmi in abbondanza, un sistema di tracciamento impiantato nel cervelletto (non è vero, ma ho sempre voluto averlo, assieme alla capsula di cianuro nel molare, sogni infantili infranti), e filo spinato laser che fa scattare una sirena di merda ogni volta che qualcosa ci passa vicino. Avete idea di tutti gli uccelli, gli insetti e le foglie secche che volano in posti come questo? Beh, ora immaginate che scatti l'allarme ogni volta che qualcosa di più grande di un pelo pubico gli passa vicino. Sembra di essere un pompiere, o di dormire su un'ambulanza, o nella seconda guerra mondiale, bombardamenti a tappeto e compagnia cantante.

Milo non c'era, e non era da DOC lasciare che uno dei suoi pupilli saltasse la scuola senza togliersi gli occhiali, pulirli in silenzio con lo straccetto di panno perfettamente stirato a labbra serrate, e far scorrere le dita sulle asticelle, nervosamente, borbottando che non aveva senso fare un “Cerchio della fiducia” se non si poteva sperare che ci andassero tutti.

Sembrava un fottutissimo bambinetto rincoglionito alle volte; mi chiedevo spesso quale turba infantile avesse compromesso il suo, di fragile equilibrio, perché potete giurarci che uno vagamente normale non si laurea in psichiatria, e men che meno viene a lavorare in un posto come questo prima di aver compiuto i sessantanni.

Io voto per la pederastia precoce, voi dite pure la vostra.

“Cosa potete dirmi su quello che avete ascoltato?” stava chiedendo con quell'espressione grave da Papa in viaggio in Africa ad accarezzare la testa enorme dei bambini morti di fame.

Era divertente osservare le reazioni dei miei (compagni? Colleghi? Come cazzo si chiamano quelli rinchiusi con me in un posto come questo? Compagni di cella? Dio, odio quando la semantica non mi aiuta!), degli Altri, diciamo, con la lettera maiuscola giusto per conferire alla cosa il giusto pathos, nel loro abbarbicarsi su vari stadi di falso disinteresse, con l'occhio storto e la postura irregolare di chi ascolta senza farsi notare.

Mia sorella (Siobhan no? Quella che ora mi odia per via di un episodio che non sto qui a raccontarvi) era una di quelle persone lì, che fanno le finte emancipate, che non ascoltano le conversazioni degli altri, che non parlano di loro stesse e che fanno finta di non essere capaci di spettegolare. Siamo tutti capaci, e ci nutriamo della beata soddisfazione di notare le mancanze altrui, e ricamarci sopra anche tante belle storie.

Io di solito sono dall'altra parte della barricata, ma non disdegno una bella sequela di confortanti cazzi degli altri quando ci capito fra capo e collo, giusto perché sono umano, pieno di falle, e imperfetto.

Sia chiaro, me ne vanto, perché di eroi senza macchia e senza paura sono pieni i libri e gli archivi di guerra, e io sento che è la gente comune quella che manca nelle storie, quella a cui puzzano i piedi, e che quando esce dalla doccia non ha i capelli imperlati di gocce che paiono diamanti, ma che gocciola, cazzo, come tutte le persone normali! E i capelli si appiccicano dappertutto, e ti viene la pelle d'oca perché fa dannatamente freddo quando esci dalla doccia, e sei tutto rattrappito e rinsecchito, altro che gloriosi corpi nudi e cazzi vari!

 

Mi ricordo del rossetto.

Non ve lo meritate il mio ricordo più vivido, nessuno di voi, nemmeno io probabilmente, nullità senza senso che mi trovo ad essere, ma è il mio ricordo, e resta lì, memoria fotografica del cazzo, che lo meriti o meno.

Però io ne voglio parlare lo stesso, per Dio! Perché non è che la mia necessità di comunicare deve essere subordinata al mio interlocutore no? Non funzionano così i corsi di autoaiuto contro la bassa autostima? C'è da dire di me che l'autostima non mi è mai mancata, principalmente per compensare quella degli altri, che di solito mantiene un profilo basso. Molto basso.

Ma come dicevo, il rumore del rossetto che rotola sul pavimento è rimasto lì incastrato da qualche parte fra un Natale passato a spalare neve davanti casa, e un Ringraziamento di merda, più di merda di quel del primo flusso di coscienza (vi ricordate no?), nemmeno mi ricordo perché.

Non era un fruscìo, né un tonfo, né un ticchettio. Era tutto insieme, un fru-ton-chettio, in piena regola, e rotolava, rotolava, rotolava in cerchio, tutto bruciacchiato e ammaccato, come le corazze dei guerrieri medievali avete presente? Tutto gibboso e malmesso. Eppure non la smetteva di rotolare per niente.

Non nel silenzio, nel silenzio un paio di palle. Era il pomeriggio più incasinato della storia del mondo, del mio mondo di bambino di dieci anni sicuramente, ma io ricordo il “frutonchettio” del rossetto rotolante (potrebbe essere seriamente il titolo di un libro per bambini di successo, magari senza bombe nei pub eh?!) più chiaramente di ogni altra cosa. Sono stato concentrato sul movimento circolare del rossetto per minuti interi. INTERI.

Alla fine il rossetto ha sfiorato un dito smaltato di rosso acceso, una falange bruciacchiata, una mano. E ho capito di essere sul set di una di quelle stragi da Irlanda del Nord negli anni '90, quelle di cui parlavano sempre i miei genitori dopo il notiziario della sera, a mezza bocca, come se fossimo scemi e non capissimo cos'era l'IRA dopo la duecentesima volta che la sentivamo nominare, e le facce della gente campeggiavano su tutti i canali, e le vecchie ciabatte per strada si facevano il segno della croce anche prima di entrare in panetteria, porca eva!

C'era il fumo, e il sangue, e la gente morta, e quella ferita che si trascinava fra i vetri infranti e i mobili rovesciati, fuori in stile Die Hard, con la folla che piangeva e rideva e urlava, e i flash e le telecamere e la polizia e i parenti e gli amici e i morti. Il soffitto crollava, i calcinacci nel muro, le piastrelle scheggiate, scarpe e vestiti in giro, gambe e braccia, capelli e facce...e io, io che mi ricordo solo di un rossetto, e di un suono che non so nemmeno chiamare con il suo nome.”

 

“Patetico” il foglietto sventola piano fra le sue dita. Il mio foglietto cazzo, nella mia fottuta camera, quello dove ho riversato i miei ricordi di bambino sconvolto di dieci anni! Il foglietto dove ho riversato i miei ricordi di bambino di dieci anni nelle sue dita strafottenti di merda, e sotto i suoi occhi piccoli e neri che non guardano mai niente, e quel suo sogghignare sempre come se il mondo non lo capisse abbastanza, povera stella.

Non ho diritto ad un po' di privacy, anche se scrivo i miei pensieri contorti su un rotolo di carta igienica? Non lo fanno tutti nelle pubblicità, pure Dante Alighieri?! A lui nessuno ha mai detto che era patetico, o magari sì, ma non è esattamente quello che scrivono sui libri di scuola, quindi sono giustificato nel sentirmi ingiustamente perseguitato! Sono irlandese o no?

“Sarebbero un po' cazzi miei, fra le righe, se non l'hai capito”

“L'ho capito” dice semplicemente, come se niente fosse.
Ha rovinato il mio ricordo più vivido di una fuga di gas successa per caso, in un pomeriggio dove faceva caldo, ma davvero caldo, in un posto dove sentir parlare di morti significava IRA, terroristi, gente da arrestare, e dove un cameriere sbronzo aveva dimenticato di chiudere una maledetta valvola.

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Angolo della delirante autrice: sono di nuovo qui, un capitolo un po' più triste e un po' più polemico del solito. Tratterò di questo a più riprese, è un argomento a cui tengo, e in parte è anche per questo che Pat e la sua famiglia sono irlandesi^^
La questione dell'IRA è controversa e non è questo il luogo di cui discuterne, poco ma sicuro, però è un parte importante del retroterra dell'Irlanda, ed è giusto parlarne^^
Vi ricordo il fantastico gruppo su FB di cui parlare di questo, della gente che esce dalla doccia gocciolante, e dei fratelli stronzetti^^ In some dreaming state!

   
 
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