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Autore: Colonnello    19/04/2012    1 recensioni
Diecimila anni dalla Fondazione di Roma (circa 3000 d.C.). L'Impero Romano domina su più della metà dell'Europa e dell'Asia e su tutto il Nuovo Continente... ma la sua egemonia sta per essere messa in discussione...
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi di nuovo qui! Magari dopo più di un mese di silenzio, pensavate che mi fossi dimenticata di scrivere o che avessi perso l'ispirazione. E in effetti, riguardo alla seconda ipotesi, per un po' c'ho creduto anch'io. Invece, da qualche giorno, complici anche delle letture adatte allo scopo, le proverbiali lampadine del mio cervello si sono riaccese! Quindi, eccomi pronta per proseguire Imperator, spero con maggiore continuità, anche se, ahimè, il carico di impegni universitari per questo semestre si sta rivelando alquanto gravoso.
Vedo comunque che, nonostante la momentanea interruzione degli aggiornamenti, il contatore delle visite ha continuato ad aumentare progressivamente, e non solo per il primo capitolo. Questo mi fa piacere, anche se su EFP continuo ad avere un solo recensore ufficiale.
Quanto al capitolo postato qui sotto... francamente non so cosa pensarne. È un misto di diverse situazioni, forse un po' confusionario, perchè la prima parte ho cominciato a scriverla un mese fa, prima di perdere l'ispirazione. Inoltre, circa a metà c'è quello che sembra il manuale di descrizione di un Transistor... no, scherzo, in realtà è un pezzo piuttosto tecnico, della serie "Io capisco ciò che intendo dire, ma i lettori riusciranno a capirlo a loro volta?". Spero di sì, perchè attualmente mi sono stancata di leggerlo e rileggerlo per apportare correzioni. Ma se qualcosa non va, sarò ben felice di rimetterci mano in futuro... anche perchè intendo rimettere mano a tuttala storia. Niente modifiche sostanziali, beninteso: solo eliminare alcune latinizzazioni inutili e inserire il numero del capitolo ad ogni inizio pagina.
Intanto, però, beccatevi questo!  


*****************

IX

Il viaggio in elicottero verso Visernia non fu troppo lungo, ma abbastanza da permettere ai legionari di mettersi comodi sui loro sedili. Publio osservava in silenzio e segretamente divertito i suoi due compagni di viaggio mentre si sporgevano a guardare con curiosità il panorama alasiano. In Britannia la neve in inverno non doveva certo mancare, ma lì in Alasia, soprattutto sulle montagne, abbondava particolarmente e da quell'altezza sembrava quasi di sorvolare un mondo fatto solo ed esclusivamente di neve.

Lo sguardo di Publio si soffermò su Gundahar, il germanico. Degli uomini della centuria esploratori era sicuramente il più giovane. Probabilmente doveva esservi stato assegnato da poco e non doveva aver fatto ancora molta esperienza sul campo. Publio lo aveva capito subito, perché la sua espressione distesa e il suo carattere allegro contrastavano fortemente con i volti duri e segnati e con la serietà dei suoi commilitoni. All'accampamento, prima di partire, aveva più volte sentito l'optio Catulo richiamarlo all'ordine e smorzare il suo entusiasmo.

Inoltre, di tanto in tanto, durante il viaggio, gli era parso di rivedersi in quel soldatino fresco del campo di addestramento e ancora privo di esperienza. Meno di un mese prima, anche lui si era trovato nella medesima condizione. E forse, tra non molto, anche Gundahar avrebbe subito la medesima trasformazione.

Publio l'aveva trovato strano all'inizio, ma la metamorfosi che la guerra poteva imprimere in un uomo non riguardava solamente il carattere di questi, ma si rifletteva in maniera persino più vistosa anche nel suo aspetto esteriore. Se ne stava rendendo pienamente conto proprio in quel momento, osservando quel giovane legionario alla sua prima missione.

Gundahar aveva proprio l'aria della tipica recluta alla sua prima uscita in armi fuori dai confini dell'accampamento. La barba, comunque non ancora tanto folta, era rasata di fresco, così come anche la testa, sulla cui sommità le radici dei capelli biondi e chiarissimi si confondevano con la pelle del cranio. Non aveva ancora i tratti duri e marcati tipici degli individui appartenenti alle popolazioni nordiche quando diventano adulti, e la carnagione chiara e gli occhi azzurri, uniti all'espressione meravigliata e ingenua con la quale guardava fuori dall'elicottero, lo facevano somigliare molto ad un bambino che viene condotto fuori di casa dai genitori per la prima volta.

Publio, invece, sapeva di non avere più quell'aspetto. Lui stesso si sentiva fisicamente cambiato, e se da un lato ciò gli provocava un po' di rimpianto per l'adolescenza che si era lasciato così bruscamente alle spalle, dall'altro lato, sempre più spesso si accendeva in lui l'orgoglio, tipicamente romano, di essere finalmente diventano un uomo.

A Castra Regellis aveva avuto dopo molto tempo la possibilità di guardarsi ad uno specchio e per un lungo momento aveva stentato a riconoscersi. Aveva avuto la netta sensazione di trovarsi di fronte ad un'altra persona. Un uomo alto, robusto, dall'aria un po' vissuta e un po' provata dalle dure esperienze passate, solo un po' pallido per il lungo periodo trascorso nel mondo sigillato e isolato del Vallo di Alasia. I capelli biondo grano necessitavano decisamente di una spuntata, così come la barba. La barba! Non era più quella rada e morbida peluria che solo un anno e mezzo prima lui aveva consacrato a Giove Capitolino a Roma, appena pochi giorni prima di partire per arruolarsi. Era una barba dura, ispida... e prudeva! Gli occhi... no. Gli occhi erano ancora gli stessi, aveva constatato con lieve sollievo, sottili e penetranti, di due colori diversi e lievemente strabici. I lineamenti del volto, invece, era cambiati nettamente. Si erano fatti più marcati e più squadrati, e adesso gli conferivano un aspetto virile ma non privo di fascino.

Dopo il primo iniziale momento di smarrimento di fronte all'apparizione di quell'estraneo, la bocca di Publio si era arcuata in un piccolo sorriso. Anche quello non era più lo stesso di prima; non era più la risata allegra e spensierata di un ragazzino, ma il sorriso serio e posato di un uomo adulto, che sa di avere delle responsabilità e di dover misurare i propri gesti.

Nel complesso, doveva ammettere, quel suo nuovo io gli piaceva, lo inorgogliva. Già pregustava le reazioni dei suoi genitori e degli amici rimasti a Roma quando sarebbe tornato a casa e loro lo avrebbero visto così cambiato e cresciuto. Suo cugino Aureliano, con tutta probabilità, non avrebbe perso tempo ad insegnargli a sfruttare al meglio la sua immagine. Già quando era partito da Roma, per tirarlo su di morale, lui che allora si sentiva smarrito e impaurito all'idea di lasciare la sua casa e la sua famiglia, Aureliano gli aveva detto che si sarebbe trovato benissimo sotto le armi, che per un uomo quella del soldato era una gran bella vita... e soprattutto che le donne erano sempre pronte a cedere al fascino di una ruvida e robusta corazza!

Aureliano..., pensò Publio sorridendo fra se e se. Figuriamoci se non perde occasione di tirare in ballo le donne!

-Sembra che siamo arrivati!

Publio si riscosse dai suoi pensieri e vide che il centurione Curzio si era sporto a guardare fuori dall'elicottero. Guardò fuori anche lui e vide che il velivolo si era abbassato di quota. Adesso volava rasente alle cime delle montagne e si dirigeva verso un piccolo gruppo di costruzioni e di pale eoliche arroccato sul fianco di una montagna. Mentre vi si avvicinavano, Publio non poté fare a meno di chiedersi come accidenti aveva fatto la rivolta a diffondersi in un posto simile. Era anzi pronto a scommettere che gli abitanti di Visernia non pagassero nemmeno le tasse all'erario, ma non perché non volevano pagarle, quanto piuttosto perchè i funzionari non si prendevano più la briga di recarsi al villaggio una volta al mese per riscuotere. D'altro canto, l'unico modo per arrivare lì da Aleupoli era solo uno, un lungo e scomodissimo viaggio in elicottero.

Che motivo avrebbero i ribelli per stabilire una roccaforte proprio qui?, si domandò mentre tirava fuori il binocolo e si sporgeva dall'elicottero in avvicinamento. Si portò il binocolo agli occhi e scrutò il villaggio e i dintorni. Apparentemente, sembrava tutto normale. Non c'era niente che lasciasse intendere che si fossero verificati disordini o scontri.

-Davvero strano...- mormorò fra se e se.

Qualcosa non andava. Qualcosa decisamente non andava, e stavolta Publio sapeva che non poteva trattarsi della paura e dell'inesperienza del novellino. Quella fase l'aveva superata da un pezzo ormai. No, stavolta era il suo istinto di soldato affinato dall'esperienza. E non si sbagliava. Se solo quello quello stesso istinto avesse saputo dirgli di più!

-Si direbbe un villaggio tranquillo, tribuno- commentò Curzio.

-Già, anche troppo- rispose Publio, rendendosi in quel momento conto che era proprio lì che qualcosa non andava.

Il villaggio era insolitamente immobile. Sembrava quasi il villaggio fantasma dove lui e Sesto erano stati quando erano usciti dal Vallo, oltre il confine. A quell'ora, gli abitanti avrebbero dovuto trovarsi tutti fuori, impegnati nelle loro attività, e l'arrivo di due elicotteri militari avrebbe dovuto quanto meno metterli in agitazione. Invece niente. Nessuno si aggirava in mezzo alle capanne, le cui porte e finestre erano oltretutto sbarrate, come se la gente non si fosse nemmeno alzata dal letto quella mattina.

Mentre constatava con apprensione questi fatti, Publio si accorse che il pilota dell'elicottero si apprestava a tirare dritto oltre il villaggio dopo esserci passato sopra. La stazione di trasmissione, infatti, si trovava più avanti, dietro la cima adiacente, e distava dal villaggio circa cinquanta miglia.

Si voltò di scatto verso la cabina e batté un pugno sulla parete divisoria.

-Fermo! Portaci lassù... su quel prmontorio!- ordinò- Scenderemo a piedi nel villaggio.

-Va bene, tribuno- rispose il pilota.

I due elicotteri virarono bruscamente e salirono di quota per raggiungere il punto indicato da Publio.

Questi tornò a voltarsi verso i suoi compagni di viaggio e vide le loro espressioni sorprese. Lui, ad ogni modo, non diede spiegazioni per il momento. Preferiva aspettare che fossero tutti a terra.

Non dovettero aspettare molto. Il promontorio non era molto lontano e gli elicotteri non tardarono a raggiungerlo. Senza aspettare che questi si posassero a terra, i legionari saltarono tutti giù e si radunarono, schierandosi in cerchio per proteggersi da eventuali attacchi. Solo quando i due elicotteri si furono sollevati di nuovo e si furono allontanati, si voltarono tutti verso Publio.

-Che succede, tribuno?- chiese Curzio- Perchè ci ha fatti portare qui?

-Già! Credevo che avessimo l'ordine di recarci ad una stazione di trasmissione, non di pattugliare un villaggio di pidocchiosi!- aggiunse Emilio, con tono infastidito.

Era chiaro che non gradiva molto la presenza di un estraneo nella centuria. Specialmente, non gradiva che il comando della spedizione fosse preso da un giovane tribuno di nobile famiglia, inesperto e secondo lui interessato solo a conquistarsi un po' di gloria facile da portare a casa per mettersi in mostra nel Foro.

Publio, dal canto suo, lo ignorò e si rivolse invece a Curzio, l'unico al quale si sentisse in dovere di dare delle spiegazioni.

-Qualcosa non va nel villaggio, centurione- spiegò- Non c'è nessuno, sembra quasi deserto. Quanto meno gli uomini avrebbero dovuto trovarsi fuori a lavorare, non credi?

-Forse si sono rintanati nelle loro case- ipotizzò Gario, il bestione veterano- Magari dopo l'arrivo dei commilitoni stanotte, si sono spaventati e sono scappati.

-Con una bufera di neve?- fece Publio scettico- E in ogni caso, non avrebbero avuto alcun motivo di temere l'arrivo di un convoglio militare. Non con una guarnigione a poca distanza dal villaggio. A meno che... a meno che non sia davvero successo qualcosa.

Sul promontorio calò per un attimo il silenzio. Soffiava solo il vento, gelido e tagliente. Le espressioni di tutti si erano fatte serie. Curzio aveva corrugato la fronte e sembrava molto preoccupato. Il ragionamento del giovane tribuno non faceva una piega.

-Ha ragione il tribuno- disse poi imrovvisamente Catulo, fino a quel momento rimasto in silenzio- Qualcosa non va proprio. Non so se ve ne siete accorti, ma durante il viaggio abbiamo perso il contatto con il tribuno Umbricio e con tutti gli altri centri di comando.

-Sai che perdita...!

-Sta zitto, Emilio!- sbottò Curzio- Questo potrebbe essere successo per via del guasto alla stazione di trasmissione.

-Se di guasto si tratta- precisò Gario.

-Sentite!- disse Publio, ad alta voce per farsi ascoltare- Può darsi pure che io mi sia completamente sbagliato e che vi stia costringendo ad effettuare una marcia non necessaria. Ma per come la vedo io, meglio non dare nulla per scontato e andare a dare un'occhiata al villaggio.

Ad un rapido esame della situazione, gli altri legionari si dichiararono d'accordo e così s'incamminarono lungo la ripida discesa che conduceva al villaggio. Uno spesso strato di neve ricopriva tutto, ma il terreno sotto di essa era solido e i loro scarponi chiodati vi aderivano saldamente. Ciononostante si procedeva con cautela, non solo per non rischiare di ruzzolare giù dalla scarpata, ma anche per il timore di attacchi.

-Perché mai i ribelli dovrebbero avere in interesse ad isolare Visernia?- chiedeva Gario mentre avanzavano circospetti.

-Magari potrai chiederglielo tu stesso molto presto- rispose il centurione Curzio.

Gli uomini sembravano nonostante tutto di buon umore, ma Publio non riusciva a condividere il loro stato d’animo. L’istinto gli diceva che doveva essere successo qualcosa quella notte a Visernia, a parte la bufera, e che quel qualcosa non era nulla di buono. Dal villaggio, intanto, nessun segno di vita. Eppure, ormai, avrebbero dovuto vederli mentre si avvicinavano.

Il terreno si fece via via più pianeggiante e regolare. Publio ne approfittò per fermarsi e scrutare nuovamente il villaggio. Stavolta erano così vicini che il binocolo non serviva, ma anche stavolta non c’era niente da vedere. Tutto era piatto e immobile come pochi minuti prima, quando erano arrivati.
 
Improvvisamente, Catulo, che era addetto alle trasmissioni, lo raggiunse.

-Tribuno, ricevo un segnale di soccorso- disse.

-Proveniente da dove?- chiese Publio.

-Da qualche parte laggiù, circa duecento metri dal villaggio.

Così dicendo, Catulo indicò un punto poco lontano della distesa che li separava dal villaggio. Non c’era niente lì, a parte rocce e vegetazione coperte di neve. Se il segnale proveniva da lì, tuttavia, era bene andare a controllare. Publio fece cenno agli altri di procedere sparpagliati e di tenere gli occhi aperti, quindi s’incamminò per primo, subito seguito dal centurione e dall’optio.

Non appena giunti nel punto indicato da Catulo, ebbero la conferma che qualcosa di grave era accaduto da quelle parti durante la notte. La carcassa di un’autocinetum semibruciato era abbandonata lì in mezzo alle rocce e la neve non era riuscita a coprirla tutta. Inoltre, qualunque cosa fosse accaduta da quelle parti, era successa dopo la fine della bufera, perché la neve era smossa in più punti, segno che qualcuno aveva camminato lì da poco. E soprattutto, la neve era macchiata di sangue in più punti. Di contro, non vi erano cadaveri, nè a terra nè a bordo dell'autocinetum. Chiunque li aveva fatti sparire probabilmente contava sul fatto che la tormenta avrebbe coperto anche tutte le altre tracce.

-Merda!- commentò semplicemente Curzio mentre si guardava intorno- Temo che avessi ragione tu, tribuno.

Non sai quanto avrei voluto invece sbagliarmi, pensò Publio. Si avvicinò alla carcassa dell’autocinetum, che Gundahar e Gario stavano già esaminando. Sembrava che il veicolo si fosse andato a schiantare contro una delle rocce, perché vi era completamente addossato. Doveva andare a grande velocità, constatò Publio, per aver subito un impatto simile; per di più doveva essere arrivato dal villaggio, quindi andava anche in salita. L'autista doveva aver perso il controllo del mezzo quando gli avevano sparato addosso; il telaio dell'autocinetum era pieno di buchi e di proiettili, ma l'incendio aveva deformato la carcassa e reso tutto irriconoscibile. Era sopravvissuta solo una parte della placca identificativa sul fianco dei veicolo, sulla quale si poteva ancora leggere il reparto militare di provenienza del veicolo: Cohors Auxilia Transmissionibus.

-Cosa credi che sia accaduto qui, tribuno?- chiese Gario.

Publio sollevò la visiera protettiva dell’elmo per passarsi una mano sul volto e sospirò preoccupato.

-Non lo so- ammise- L'autocinetum appartiene agli ausiliari in servizio alla stazione di trasmissione. Devono averli attirati qui dopo che sono giunti al villaggio. 

Per il resto, Publio non sapeva che risposte dare allo scenario che gli si parava davanti. La stazione di trasmissione distava dal villaggio circa cinquanta miglia e i collegamenti erano costituiti da sentieri e valichi estremamente disagevoli, che la notte e la tormenta dovevano aver reso più pericolosi. Inoltre, con il trasmettitore in avaria, gli ausiliari non avrebbero avuto alcun motivo di raggiungere il villaggio; dovevano invece trovarsi tutti all'avamposto a cercare di rimetterlo in funzione. E poi c'erano i legionari che Urbicio aveva inviato quella mattina il perlustrazione. Anche loro avevano perso contatto con i centri di comando poco dopo essere arrivati da quelle parti. In effetti, Publio ignorava se si fossero diretti direttamente alla stazione di trasmissione o se, come lui, avessero deciso di deviare prima per il villaggio. In ogni caso, si poteva decisamente escludere l'ipotesi di un incidente a catena causato dal maltempo.

Mentre rifletteva sul da farsi, Publio si ricordò del motivo che li aveva attirati nel luogo dell'imboscata. Aprì con un gesto secco lo sportello anteriore dell'autocinetum e guardò all'interno dell'abitacolo; l'apparecchio di trasmissione di bordo era bruciato insieme a tutto il resto, quindi ovviamente non funzionava. Il segnale di soccorso rilevato da Catulo proveniva da un altro apparecchio ancora funzionante. Una ricetrasmittende individuale! Sepolta nella neve!

-Ehi!- gridò, rivolto ai legionari che si aggiravano ancora nei dintorni- Optio, riaccendi il tuo trasmettitore e rintraccia quel segnale! Non proviene dall'autocinetum!

Catulo obbedì e nel giro di pochi minuti riuscì a rintracciare la fonte del segnale di soccorso che li aveva attirati nel luogo dell'imboscata. Affondò una mano nella neve e la ritirò stringendo fra le dita una ricetrasmittente individuale ancora funzionante.

-Eccola qui, tribuno!

-È possibile rintracciare il reparto di provenienza?- chiese Publio.

L'optio s'inginocchiò a terra per poter esaminare attentamente l'apparecchio. Le ricetrasmittenti militari per uso individuale disponevano infatti di un collegamento fisso con il centro di trasmissione principale del reparto cui l'utente apparteneva. In pratica, potevano all'occorrenza funzionare alla stregua delle piastrine identificative che ciascun legionario romano portava intorno al collo, anche perchè la frequenza del collegamento rimaneva impressa nel circuito di memoria dell'apparecchio anche quando questa non era raggiungibile e vi si ricollegava automaticamente non appena nuovamente possibile. Era un modo comodo e sicuro di garantire alle truppe sul campo un collegamento rapido e automatico con il proprio centro di comando, e Publio contava proprio sulla possibilità di riuscire a stabilire un contatto con il luogo, qualunque esso fosse, da cui quella ricetrasmittente proveniva. Se apparteneva agli ausiliari, allora sarebbe stato inutile cercare di stabilire un contatto, visto che il trasmettitore non era in funzione. Ma se la ricetrasmittente apparteneva ai legionari di Urbicio e questi non erano tutti morti, allora forse c'era ancora la speranza di capire che cosa era accaduto.

Dopo diversi tentativi di identificare il collegamento fisso e di attivarlo, però, Urbicio scosse la testa desolato e tornò a guardare Publio, che nel frattempo lo aveva raggiunto insieme a tutti gli altri.

-Niente da fare, tribuno- disse- Sembra che il collegamento principale sia stato cancellato da questa ricetrasmittente.

-Cosa?!- esclamò Curzio- Com'è possibile?! Credevo fosse impossibile manomettere il circuito di memoria di una trasmittente!

-Non per chi traffica abitualmente con questa roba! Non mi stupirebbe se tra i ribelli ci fosse qualcuno in grado di farlo... magari è a sua volta un ex ausiliario addetto alle trasmissioni.

-Però il segnale di soccorso continua a funzionare- disse Gundahar.

-È solo un segnale a bassissima frequenza. L'ho rilevato solo perchè eravamo molto vicini. Appena una decina di passi e l'avrei perso di nuovo- spiegò Catulo- E comunque non ci aiuterà a rintracciare la provenienza di questo apparecchio. Serve solo per le emergenze, quando nelle immediate vicinanze c'è qualcuno che possa prestare soccorso.

-Potremmo provare a cercare altre ricetrasmittenti- propose Gario- Forse ne è rimasta una con il circuito di memoria intatto.

-Ne dubito- rispose Publio- Si sono presi la briga di far sparire i cadaveri e con essi si sono portati via anche le ricetrasmittenti... è solo un caso se una di queste è scivolata via ed è rimasta nella neve.

Sospirò esasperato. Quella situazione gli piaceva sempre meno. Erano isolati da tutto e da tutti, e stavano praticamente procedendo alla cieca, con il rischio di fare la stessa fine dei commilitoni che li avevano preceduti e sparire nel nulla. Solo... cos'altro possiamo fare?, si chiese, evitando accuratamente di esprimere ad alta voce il dubbio e il timore che lo attanagliavano. In ogni caso, lì non potevano rimanere; le effimere tracce dell'imboscata non conducevano ad alcuna risposta soddisfacente; inoltre, avevano perso già abbastanza tempo e avevano una lunga strada da percorrere prima di arrivare a destinazione. Per intanto, la tappa più sicura e più promettente per la ricerca di risposte sembrava il villaggio.

Publio abbassò nuovamente la visiera dell'elmo e imbracciò lo sclopetum.

-Rimettiamoci in formazione!- ordinò- Proseguiamo verso Visernia... e tenete gli occhi ben aperti!

****************

Uff! Finito! È stato difficile, ma finalmente ce l'ho fatta! Speriamo che non sia venuto tanto male!
Inizialmente, a dire il vero, avevo pensato ad un capitolo più lungo. Però ho deciso di spezzarlo, per due fondamentali motivi. Uno: questo capitolo è già abbastanza lungo e complesso così com'è; non c'era bisogno di renderlo ulteriormente impegnativo. Due: per l'ultima parte del capitolo prevedevo un po' di azione e non volevo buttarmi nella narrazione di uno scontro armato così a freddo, dopo un mese di inattività; magari mi faccio una partita a Quake, giusto per immergermi nell'atmosfera adatta (fuoco, pallottole, esplosioni e quant'altro), poi mi ci metto su.
In realtà, ci sarebbe anche un terzo motivo, che consiste sostanzialmente nel gusto che sto cominciando a provare nell'interrompere la narrazione proprio sul più bello, quindi... Terzo motivo: sono una gran bastarda!
XD

P.S. Mi interesserebbe sapere cosa ne pensate della descrizione fisica che ho fatto di Publio. È solo una curiosità, perchè non intendo cambiarla; ho sempre immaginato Publio così come l'ho descritto fin da quando l'ho creato, ma mi domando se qualcuno l'ha immaginato diversamente leggendo i capitoli precedenti.
  
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