Mi chiedo come sia essere se stessi.
Mostrarsi alla luce del sole, senza farsi proteggere dal cielo notturno.
Vagare fra la gente senza uno spesso alone che ci avvolge.
Portare con sé la verità e mostrarla agli occhi increduli del pubblico.
 
Questo è il nostro spettacolo, questo è il nostro palco.
È il mio momento. È tempo che io reciti il mio monologo.
Riuscirò ad uscire dalle quinte? Ora conosco l’ansia. Con due dita sposto appena la grande tenda rossa e oro che nasconde il palco; voglio capire chi mi ascolterà. Mi muovo con estrema attenzione, perché nessuno si accorga che sono sull’attenti, che sono indifesa.
 
Il sipario si apre. Sussulto.
Uno scroscio di applausi pervade la grande sala.
Perché gli applausi arrivano prima dell’inizio della rappresentazione? È una sorta di incoraggiamento? Beh, posso solo ringraziarvi. Ma questo non cancella la possibilità che possa deludervi, lasciandovi un sapore amaro in bocca, talmente forte che nemmeno la notizia più dolce potrebbe farlo andare via. Potreste addirittura abbandonarmi.
 
Sudo. Tremo. Temo di rimettere. Tocca a me.
Mi porto al centro del palco con passo incerto. Il grande occhio luminoso puntato su di me.
Provo a deglutire, ma mi manca la saliva.
Prendo un respiro profondo e comincio.
 
Lo dicevo, io. Mi hanno abbandonata.
Ho forse narrato in maniera inadeguata chi sono?
 
Mi chiedo come sia ricevere una standing ovation.
Sentire che qualcuno è orgoglioso di me.
Per quello che faccio? No, per quello che sono.
“Brava, nessuno riesce ad essere te meglio di te.
Accettati, mostrati e sarai grande in mezzo agli altri.”