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Autore: shotmedown    20/04/2012    2 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Welcome to my life.
 













<< Be', effettivamente sì. >> Affermai, tenendo lo sguardo fisso su quella fotografia. Era così dannatamente familiare quell'atmosfera; mi sembrava di sentirmi inutile.
<< Pierre, sei dimagrito troppo. >> Affermò Louise, guardando suo figlio, che, nel frattempo, si era tolto la giacca, rimanendo con la sua camicia blu. Mio Dio. Ancora non mi ero abituata, non ero mai abbastanza pronta per lui. Da quando lo avevo conosciuto, aveva tagliato i capelli, sembrava essere più alto ed era tremila volte più bello. Come aveva potuto lui migliorare tanto e lasciare me così indecente? Smettila di farti complessi. Scossi il capo e tornai all'album di fotografie, cercando di capire cosa stessero facendo Pierre e suo fratello su quella barca, quando aveva circa sette anni. Aveva una faccia buffa ed era meravigliosamente innocente. Lo sguardo cadde sul suo braccio senza tatuaggio: non lo avrei riconosciuto, senza, sebbene da ragazzina ascoltassi le canzoni dei ragazzi.
<< L'unica foto che ho di te da piccola, è quella della fragolina. >> Avvampai violentemente quando me lo ricordò, mettendosi a sedere accanto a me.
Era stato un momento decisamente imbarazzante.
<< Come fai ad averla? Non l'hai neanche mai... >>
<< Ti sbagli, >> mi interruppe << me l'ha data Leah. Eri minuscola. Quanti anni avevi? >> Nascosi il volto tra le mani e mormorai qualcosa che neanche io riuscii a comprendere.
<< Un anno e mezzo. >> Dissi infine, sospirando. Ad un tratto sentii il suo braccio sulla mia spalla; mi avvicinò a lui, e mi scoccò un bacio sulla fronte, stringendomi.
<< Mia madre mi ha appena messo in ridicolo con la mia infanzia, ora subisci. >> Risi, iniziando improvvisamente a tremare. Mi ero appena resa conto che eravamo soli. Mi succedeva sempre, ogni qualvolta lui mi abbracciava e in casa eravamo solo io e lui. Anche quando eravamo amici. Solo che, in quel caso, non sapevo perché mi sentissi così. Si alzò dal divano, e continuando a guardarmi, mi chiese di tornare a casa. Solo qualche istante dopo lessi nei suoi occhi qualcosa che mi fece completamente sciogliere. Cercai di dire qualcosa, ma non vi riuscii. Ero un'impedita, e stare con lui mi rendeva ancora peggio. Pierre mi faceva male, e questo lo sapevamo entrambi. Ma era un male che avrei potuto sopportare, e mai avrei voluto combattere; se sentirmi così era il prezzo da pagare per vivere insieme a lui, ero ben felice di stare in quel modo. 
<< Vado a salutare i tuoi. Torno subito. >> Affermai, affrettandomi. Nel frattempo, lui si recò fuori a prendere l'auto. Mi diressi in cucina, trovando l'intera famiglia intorno al banco. La madre di Pierre mi abbracciò, chiedendomi di portare una parte di torta per l'indomani, e i fratelli ammiccarono più volte, facendomi arrossire come mai prima d'ora. Chissà se Pierre parlava loro della nostra vita...No, improbabile. O forse sì. Dubbi, dannati dubbi. Uscii di casa, e non appena fui sotto il porticato, mi chinai e tolsi le scarpe. Ero distrutta. Raggiunsi l'auto e mi accasciai sul sedile, cercando di riposarmi fino al nostro rientro. Presi la mano di Pierre, stringendola, ma lasciandola andare non appena mi resi conto che effettivamente stava guidando e rimasi in silenzio fino a quando non giungemmo di fronte al vialetto di casa. Lì, intimandogli di fermarsi, scesi dall'automobile e percorsi il breve tratto fino alla porta. Inserii la chiave nella toppa e provai a girare, ma senza che me ne potessi rendere conto, trovai il mio corpo schiacciato contro la superficie di pietra del muro.
<< Pierre, che... >> Quasi non morii a causa della forza con la quale spinse il mio capo nel muro; ma il fatto che le sue mani spingessero il mio corpo contro il suo e le sue labbra premessero affinchè dessi alle mie il permesso di aprirsi, fecero passare tutto in secondo piano. Mi lasciai andare, aiutandomi con la parete ad avvolgere le gambe intorno alla sua vita. Riuscì ad aprire la porta di casa, quando sentii la sua tasca vibrare. In un primo momento nessuno dei due ci fece caso, e difatti ad un certo punto smise. Stringendomi ancora e continuando a baciarmi cercò di salire le scale, senza inciampare.
<< Dannazione! >> Affermò, facendomi scendere e rispondendo irato al cellulare. << Pronto?! >> Nel frattempo cercai di riprendere un colorito normale. No, non mi sarei mai abituata. << Arrivo. >>
<< Cosa succede? >> Chiesi, vedendolo ansioso.
<< Devo andare. Lachelle. Ti chiamo dopo. >> Lo guardai allontanarsi e sparire dietro la porta. Scivolai lungo la parete, portando le ginocchia al petto. Era arrivato il momento?
 
Pierre p.o.v
Evitai più volte auto e passanti, e sfrecciai verso l'ospedale. Mancava poco, davvero poco. Lasciai che la gente imprecasse, pensando solo a ciò che a breve sarebbe accaduto. Mia figlia. Mia figlia stava per nascere. Passai con il rosso, importandomene davvero poco della multa che ne sarebbe derivata e giunsi a destinazione. Lasciai l'auto accanto al marciapiede e corsi verso l'entrata, chiedendo di Farrar. Datomi il numero della stanza, mi affrettai a raggiungerla, senza pensare a cosa avrei potuto dire, anche ai suoi genitori. Spalancai la porta e la vidi, dolorante. Era già in travaglio.
<< Pierre! >> Gridò, contorcendosi. Mi avvicinai al letto e istintivamente le presi la mano, cercando di infondere coraggio tanto a lei quanto a me. Ero spaventato a morte.
<< Sono qui, sta calma. Respira. >> Sì, respira anche tu, Pierre. Un, due, un, due.
Qualche istante dopo fece il suo ingresso l'ostetrica, per controllare la "dilatazione" e verificare che fosse tutto in ordine per procedere.
<< E' pronta. >> Lachelle non aveva voluto fare l'epidurale; voleva un vero e proprio parto naturale, sofferenze e conseguenze comprese. Non avevo inizialmente condiviso tale scelta, ma infondo il corpo era il suo: nulla potevo contro le sue decisioni, e in anni di frequentazione lo avevo imparato e anche accettato.
Le allargarono le gambe, coprendole con un lenzuolo. Nel frattempo varie infermiere si sistemarono intorno al medico per assisterla durante l'operazione. Si armarono di guanti in lattice e stetoscopi. Era tutto vero, e ancora non ci credevo.
<< Pierre, non andartene. >> Guardai i suoi occhi, rossi e pieni di lacrime. Stava soffrendo, non potevo rischiare di dire qualcosa di sbagliato. Mi limitai ad annuire. Prese a spingere, stringendomi ogni volta sempre più forte. Gridava, si contraeva...non avrei mai potuto comprendere ciò che stava provando, eppure si diceva quello fosse il dolore più bello.
<< Lach, prova a respirare più a fondo. >> Suggerii, fissandola. Incrociò il mio sguardo; parve voler ribattere, voler ribadire che ce la stava mettendo tutta, ma dopo un po' mi diede retta. Le asciugai la fronte imperlata di sudore e gliela baciai, istintivamente. Mi resi conto di quello che avevo fatto troppo tardi. Nessuno dei due ebbe il coraggio di dire qualcosa, data la situazione poco atta ad accogliere discorsi sulla nostra relazione finita. La madre mi lanciò uno sguardo d'intesa, e annuii: prima di tutto, Lachelle e la bambina. Varie spinte dopo, l'ostetrica affermò di aver visto la testa : l'ansia crebbe. L'infermiera intimò a Lachelle di fare un ultimo, definito sforzo. Proprio come lei, sentii di stare per vomitare. Ad un tratto, udimmo urla infantili e pianti sommessi. Santo cielo. 

Era nata.




Okay, questo "capitolo" non è particolarmente lungo. Ma in ambito letterario, potrei definirlo "capitolo cerniera". Praticamente mi serve per arrivare all'ultima parte... Un altro po' di sofferenza e vi lascerò in pace, promesso.

Lisa.

P.S Grazie ancora, grazie **
  
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