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Autore: Pendragon of the Elves    21/04/2012    2 recensioni
Non era una bambina forte. Forse un giorno lo era stata ma da quando era in quell'orfanotrofio aveva perso ogni volontà di combattere: la sua autostima e la sua considerazione di se stessa erano in frantumi nel suo giovane cuore. La sua vita era un incubo: ogni speranza di felicità sembrava persa. Per fuggire alla sua dolorosa realtà si rinchiudeva sempre più in se stessa ogni giorno che passava, nacondendosi dai bambini crudeli che l'avevano distrutta facendola scivolare in un'apatia solitaria. Non aveva nessuno al mondo.
Così dal suo mondo dell’impossibile, seduta su colline invisibili, aspettava. Cosa? Non lo sapeva bene nemmeno lei. Scivolava, così, insensibile negli anni delle sua vita, lasciandola scorrere via lentamente fino al giorno in cui l’avrebbe lasciata del tutto. Voleva soltanto che qualcosa la portasse via di lì, fosse stata anche la morte non si sarebbe voltata indietro. E invece, arrivò Watari...
La storia di una bambina, senza nome e senza passato a cui viene offerta la possibilità di crearsi un futuro. Ma ce la farà lei, così debole e insicura, a trovare la sua strada senza perdersi tra le fulgenti stelle della Whammy's House?
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Odd
 
Watari scese dalla macchina e guardò l’edificio dinnanzi a lui: un semplice cubo di cemento grigio con delle file di piccole, strette finestre, una per ognuno dei due piani, e un tetto a spioventi di tegole leggermente ammuffite. Era abbastanza vecchio e non era tenuto alla perfezione ma era uno dei tanti orfanotrofi da lui fondati nel mondo, uno dei pochi in Gran Bretagna. Sorrise alle maestre che lo attendevano al cancello e si avvicinò.
«Benvenuto signor Wammy! La aspettavamo con ansia» disse con pacatezza una donna sorridendogli cordiale mentre gli stringeva la mano. Doveva aver ormai passato i cinquant’anni, come si deduceva dal suo viso reso più austero dalle rughe e dalla solenne compostezza del suo atteggiamento. Teneva i capelli castani tagliati corti e acconciati ariosamente ed era vestita in modo modesto, coerentemente alla sua età ma in modo elegantemente curato.  
«Grazie per la sua visita!» aggiunse una più giovane con un evidente accento italiano: gli occhi le scintillavano per la contentezza.
«Grazie per tutto quello che fate voi, invece», rispose pacatamente l’anziano signore,«ogni tanto vengo a conoscere i miei piccoli ospiti. Mi piace vedere di aver reso qualche servizio a dei bisognosi nella mia umile esistenza. Ora che sono vecchio, poi, mi sento mille volte nonno».
«Danno soddisfazione, eh?» sorrise la signora. Poi, vedendo la sua giovane collega fissare imbambolata e con ammirazione il benefattore, quasi fosse in contemplazione, la riportò malamente alla realtà.
«Maria, non stare lì impalata! Non è cortese fissare così le persone. Sei per caso uno stoccafisso? Va’ a chiamare i piccoli e radunali nella sala principale!»
«Oh… sì, subito signora Wanda!»
La giovane si precipitò all’interno.
Watari e Wanda rimasero a fissarsi in silenzio, due monoliti davanti al cancello. Dall’edificio si sentì il richiamo eccitato di Maria:«Bambiniii!! Venite giù! C’è un ospite che vuole vedervi!».
Nonostante il momento fosse comico, Wanda era completamente seria:«Sei venuto per portare via qualcuno, vero?». Lo guardava con intensità, il volto duro come una maschera di pietra.
Watari annuì.
«Capisco…». La gestrice dell’orfanotrofio distolse lo sguardo.
Dalla porta dell’edificio sbucò la testa di Maria.
«Signora, tutti radunati!» urlò raggiante.
Watari ridacchiò. «Certo che è vivace…».
«Oh, non me lo dire», fece Wanda con un’espressione esasperata, «tra lei e i bambini non so proprio chi sia peggio!».
I due entrarono nella struttura.
 
Fuori dalla finestra si vedevano dei rami. Neri e contorti, sembravano radicati nel cielo.
“Forse gli alberi si nutrono di quell’azzurro”, pensò la bimba. Teneva le ginocchia abbracciate al petto e le caviglie incrociate. “Chi l’ha deciso che le radici sono sotto terra e che si nutrono di elementi chimici presenti nel terreno”. Fissò il piccolo demone seduto accanto a lei. “Sai, Geo, forse un giorno quest’albero fiorirà e sbocceranno dei fiori dello stesso colore del cielo”. Geo la guardò con i suoi occhi bianchi inespressivi. Un fiorellino azzurro gli spuntò in testa con un piccolo “plup”.
“Oppure…”, tornò a guardare fuori dalla finestra, “ci sono già i fiori e visto che sono del colore del cielo non si vedono”. Geo la guardava: aveva sguardo fissato con intensità corrucciata sulla volta azzurra. “Forse il cielo non è altro che una volta arborea, un mare di tantissimi, piccolissimi fiori…”. Pensava così la piccola bimba quando sentì l’urlo di Maria che li richiamava tutti.
«Bambiniii!! Venite giù! C’è un ospite che vuole vedervi!»
I due si guardarono.
«Secondo te chi è?» chiese piano al suo piccolo amico. Ma Geo ne sapeva quanto lei e, poiché la mente della bimba si era ormai scordata di lui, cessò di esistere.
 
Watari salutò i bambini festanti. Solo alcuni dei più grandi erano stati presenti alle sue precedenti visite (in quella struttura era venuto altre due volte in precedenza e non aveva mai trovato nessuno da portare alla Wammy’s).
«Salve bambini. Ma come siete grandi. Forse qualcuno si ricorderà di me…» disse Watari, sorridendo alla piccola folla di bambini che gli si affollavano contro. I più timidi e i più grandi stavano ad osservare in disparte. L’arrivo di un ospite era una cosa più unica che rara in quell’orfanotrofio sperduto nel nulla e lontano dal resto del mondo, un evento speciale che non avveniva tutti i giorni. Detto questo, è facile immaginare il turbine di emozioni che l’arrivo di un perfetto sconosciuto poteva destare nei bambini e il baccano che le loro grida producevano rimbalzando contro le parati del piccolo atrio.
«Scommetto che siete anche bravi; ditemi, fin dove sapete contare?».
Era una domanda di repertorio, di solito la utilizzava per scoprire eventuali menti matematiche. Watari sorrideva calmo ma era ansioso: sperava di riuscire a trovare qualcuno di speciale anche se, ovviamente, una domanda così banale, seppur a trabocchetto, non gli dava la conferma che gli serviva nella sua ricerca, ma poteva comunque essere un punto di partenza. La richiesta fu accolta da dei coretti vanitosi.
«Io fino a 10!»
«Io fino a 30!»
«Io fino a 100!»
«Io invece a 1000!»
Erano tutti caduti nel tranello. Restò lì a sorridere, attendendo che il baccano cessasse. Poi, senza sapere perché, la sua attenzione venne catturata da una piccola figura a margine del suo campo visivo. Se fosse stato un dettaglio in un quadro sarebbe stato una piccola fogliolina seminascosta in mezzo all’esuberanza di una variopinta natura morta. Il solo fatto che l’avesse notata aveva dello straordinario.  
Era una bambina piccola, pallidissima e magra tanto da avere un’aria malsana. I capelli le ricadevano lunghi e neri fino ai fianchi. Con la coda dell’occhio la vide guardarlo, aprire la bocca in un sorrisino timido come per azzardarsi a rispondere quando le pupille le si annebbiarono e il sorriso le si spense sul volto trasformandolo in una maschera di dubbio e incertezza. Gli occhi parvero vagare nel nulla, come se fossero ciechi. Watari seppe che, al contrario, avevano visto la verità. Leggendole le labbra sottili e pallide gli sembrò quasi di sentire la sua vocina oltre la confusione generale. «Io… non lo so fino a dove posso contare…». La bimba abbassò lo sguardo, pensosa. Ma, mentre nella sua mente cominciavano ad affollarsi degli ingenui ma leciti dubbi, in Watari cominciò ad affiorare una speranza: la bimba aveva capito. Forse per lui c’era una possibilità, dopotutto. Lo capì anche Wanda che scosse la testa tristemente.
 
«Cosa state disegnando, bambini?» chiese gioiosamente Maria ai piccoli al lavoro. Ci fu un confuso coretto dissonante di risposta.
«Ok, ok, ora passo da ognuno di voi e ve lo chiedo».
Mentre la giovane faceva il giro di domande, Wanda e Watari erano in un angolo della stanza a parlare.
«E così, le hai messo gli occhi addosso, eh?»
«Diciamo che potrebbe essere interessante».
Wanda sospirò e seguì lo sguardo dell’anziano signore.
«Cos’hai disegnato, Clara?»
«Un bel prato!» rispose orgogliosamente una biondina.
«Cos’hai disegnato, John?»
«Io ho fatto un prato! Ma più bello di quello di Clara».
«Non è vero!».
«Dai, non litigate!»ridacchiò Maria.
«Come si chiama quella bambina?» chiese Watari. Anche lei stava disegnando ma non era concentrata, aveva lo sguardo perso. Sembrava non vedere quello che stava facendo.
«Non ha un nome», rispose la signora. «O meglio, ufficialmente non conosciamo il suo nome di nascita, neppure lei. Ci è stata affidata dopo un ricovero in ospedale. L’avevano trovata dei turisti addormentata in un bosco, quasi in fin di vita. Si suppone che si fosse smarrita, deve aver battuto la testa. Dice di non ricordare nulla. E nessuno ha denunciato la sua scomparsa. Noi la chiamiamo Mary ma lei non sembra riconoscere il nome».
«In che senso?».
« Sai,quando veniamo chiamati… è come se qualcosa scattasse dentro di noi. è una cosa un po’ difficile da spiegare… Hai presente quella sensazione? Quella sorta di richiamo ancestrale, quello stato di allarme che sentire il proprio nome provoca nel profondo di ognuno di noi come il suono di un campanello? Ecco, con lei non succede, capisci? Non c'è alcun campanello, come se le mancasse. Forse non mi sono spiegata bene ma, più o meno, questa è l’impressione. Non so se lo faccia di proposito ma mi sembra strano in qualunque caso. E non sarebbe la sua unica stranezza: quella povera piccola sta sempre sola, nascosta in qualche buco lontano da tutti. A volte non sappiamo neanche dove vada a cacciarsi, non la si trova più. La cosa che non capisco è perché: chi si escluderebbe così di propria volontà? Non parliamo poi di quando la trovi a parlare da sola. Blatera di cose stranissime e guarda in giro come se fosse cieca. Veramente inquietante. Non sembra demente ma… non so davvero che fare con quella piccola!»
Wanda sembrava preoccupata.
Lei e Watari tornarono a guardare i bambini che rispondevano a Maria.
«E tu cos’hai disegnato?»
«Un prato!»
«è molto bello! E tu, Jim? Cosa disegni?»
«Un prato e un mostro»
«Uh, che paura! E tu, Mary, cosa disegni?»
La bimba ci mise qualche secondo a capire di essere chiamata dalla terra e la fissò spaesata e sorpresa. Evidentemente non veniva interpellata spesso. «Cosa?»
«Ti ho chiesto cosa stai disegnando». Disse Maria ruotando gli occhi verso il cielo.
«Oh». La bimba fissò il foglio: strane spirali e chiazze di colore si incrociavano in complicati e indistinti arabeschi. Certo, neanche i lavori degli altri erano propriamente definibili delle opere d’arte che, comunque, sembravano pesantemente influenzati da correnti astrattiste, ma, su quel foglio, non si riconosceva davvero il soggetto. «Niente in particolare».
«Che assurdità!» sbottò leggermente scocciata Maria. «Devi aver per forza disegnato qualcosa! Com’è possibile non aver disegnato nulla in particolare?!»
La piccola rispose come se neanche lei fosse convinta della risposta o che, questa, sminuisse ciò che in realtà stava rappresentando.
«Allora un prato…»
Wanda si batte una mano in fronte scuotendo la testa. «Mio Dio!»
Watari sorrise sotto i baffi.
«La cosa si fa sempre più interessante…»
 
«Io non vedo proprio cosa ci trovi in quella creatura!» disse esasperata Wanda. Erano nel suo ufficio. A soli due giorni dalla sua visita, Watari era tornato dicendo che avrebbe portato la ragazza con se in un’altra struttura. «Hai visto anche tu quanto è strana! Secondo me quella bambina ha qualcosa di sbagliato! Una volta l’ho ritrovata di notte a camminare in giro per i corridoi. In tutta onestà, quale bambino scorrazzerebbe da solo nel buio completo nell’ora delle streghe senza bagnarsi i pantaloni? In più con quella carnagione da cadavere che si ritrova ho creduto di aver visto un fantasma! Quella è da curare non da portare in giro! ».
Watari aveva abbassato lo sguardo ricordando di quello che gli aveva detto L. Lui gli aveva raccontato della visita chiedendogli cosa ne pensava. Il detective lo aveva guardato inespressivo per un po’. Era seduto alla sua solita maniera, con le lunghe gambe piegate a sorreggere il corpo e stava mangiucchiando delle fragole. «Sarebbe anormale solo perché si comporta in modo strano? Scusa, Watari, ma hai visto con chi stai parlando?».
Watari ridacchiò al ricordo.
«Non mi pare che ci sia molto da ridere!», sentenziò Wanda, dura.
«Mi perdoni. Comunque in questi casi è meglio non saltare a conclusioni troppo affrettate: accade spesso che la prima impressione si riveli errata. E poi, non sempre la stranezza è sinonimo di pazzia, anzi, a volte è indice di genialità…».
Già: L ne era un chiaro esempio.
«Non mi pare questo il caso!» lo interruppe bruscamente Wanda. Watari notò che la direttrice si scaldava molto parlando di questa bambina. Sorrise divertito: doveva esserne molto turbata.
«No», concesse Watari, «non si tratta assolutamente di genialità: basta guardare il test per il quoziente intellettivo».
«Basta guardarla in faccia per capirlo!» borbottò seccata Wanda.
«Sa leggere?». Cambiò argomento.
Mossa che si dimostrò vincente poiché, come sapeva, la direttrice era orgogliosa istruttrice di ben 7 generazioni di bambini al miracolo della scrittura. Con il petto leggermente in fuori e un malcelato compiacimento in volto disse. «Quasi tutti in questo asilo sanno leggere, tranne quelli svogliati. A dir la verità, mi ricordo che lei ha imparato abbastanza in fretta: sa leggere e anche scrivere, credo. Inoltre, sospetto che conosca pure qualche parola d’italiano: come sa la mia collega è originaria di quel paese e, come ha avuto modo di constatare, parla  pure molto…».
«Ha mai dimostrato interessi particolari… stranezze a parte intendo», aggiunse in fretta vedendo l’espressione ironica che si stava disegnando sul volto di Wanda.
«Le hai mai chiesto qualcosa, per esempio, ha manifestato interessi per qualcosa, una qualche curiosità? Di qualsiasi genere.»
«Beh, penso lei possa comprendere che, con tanti bambini in questa struttura ve ne sono di molto più turbolenti cui badare… Insomma, non è che le stia molto dietro, d’altra parte non ce n’è mai stato bisogno. Non è che parli molto ma… ora che me lo chiede mi ricordo che una volta –l’anno scorso se non ricordo male- mi ha chiesto che lettera è l’omega. Deve averla sentita nominare da qualche parte ma non l’ha trovata nel nostro alfabeto. Sfido, è di quello greco. Comunque, le ho spiegato un po’ com’è strutturato ma dubito che se lo ricordi: è stato un po’ di tempo fa e non penso sia stata così attenta. A parte questo, nient’altro ma credo che le piacciano le favole: sai che roba...».



                                                           


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Ecco il sudato secondo capitolo. In realtà l'avevo già scritto da un pezzo ma, al momento della pubblicazione, sono stata assalita da atroci dubbi e dannatissimi ripensamenti. Voi innocenti lettori non avete neanche idea di quanto io odi i ripensamenti. Sopratutto quelli che si presentano nell'anticamera del mio cervello senza portare con loro nemmeno una soluzione alternativa da proporre alla mia povera testa bacata (quelli sono proprio i peggiori!).
Ma alla fine, pur tormentata da questi emissari infernali, ecco il secondo capitolo col quale inizia la storia vera e propria (Il prologo che avete precedentemente letto è ambientato molto più avanti: era una sorta di flash forward prima della presentazione della storia). Per quelli che intendono continuare a seguirla, sappiate che questo è uno dei capitoli più brutti e noiosi dell'intero racconto: nemmeno io ne sono particolarmente soddisfatta. Dopo tutto, l'avevo scritto l'hanno scorso e, da allora, il mio stile di scrittura dovrebbe essere (almeno in teoria e a rigor di logica) migliorato o, almeno, cambiato; quindi non mi sono ritrovata soddisfatta di questo racconto rileggendolo e l'ho un po' modificato. Spero in meglio anche se, pure ora, non mi soddisfa pienamente. Spero che voi riusciate comunque a leggerlo e a arrivare il fondo a questo viaggio assieme a me. Cercherò di aggiornarlo ogni settimana, scuola consentendo -.-''. Comunque prometto che per la prossima pubblicazione farò di tutto per rendervi felici di esservelo lasciato alle spalle.
 
Cautamente fiduciosa,
Pendragon of the Elves


P.S.: Spero si capisca il demone con cui "Mary" sta parlando in una di queste scene è puramente frutto della sua immaginazione e che la povera bimba si sta dando a riflessioni assurde per il puro piacere di pensare cose assurde (d'altronde, chi non l'ha mai fatto?).


[P.P.S.: Non possiedo i diritti per Death Note e l'immagine non è mia ma l'ho presa da Deviantart (Io ho semplicemente falsato i colori con un programma per la modifica di immagini)
  
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