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Autore: Eralery    22/04/2012    3 recensioni
Regulus Black/Marlene McKinnon | MiniLong.
E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.

*
“Io non sono come loro, e se lo vuoi non lo sei neanche tu,” gli aveva detto Sirius, un giorno, e in quel momento si rese conto di volerlo.
Seconda classificata e vincitrice del Premio Giuria al contest "A white rabbit whit pink eyes ran close by Alice" indetto sul forum di efp da Daphne Kerouac.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Marlene McKinnon, Regulus Black, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Dietro la pellus

2

Ottobre 1978 (settimo anno)


C’era Marlene che correva verso la serra con i libri in mano ed Astris di fianco, mentre ridevano con allegria ed i capelli finivano sugli occhi e sulle guance e sulle labbra. Non sapeva perché stessero ridendo così, Marlene, sapeva solo che si sentiva bene. Astris era arrivata, quella mattina, sorridendo nonostante tutto quel che stava succedendo fuori da Hogwarts e le aveva mostrato una foto di lei, con un retino da farfalle in mano, e Xeno che la stringeva, e Marlene l’aveva abbracciata ed era scoppiata a ridere senza un perché.
Non sempre bisogna avere un motivo per ridere, Marlene. Si ride e basta.
Astris le prese la mano e iniziò a correre più forte, con Marlene che vedeva solo la sua massa di capelli biondo sporco al vento, al contrario dei suoi, legati in una coda alta e approssimativa.
Lo fai se ne hai bisogno.
Marlene rise ancora, rise più forte, forse per dimenticare sua madre e ricordarne solo le rare perle di saggezza che le aveva impartito prima di lasciare lei e i suoi fratelli per sempre.Lo fai se ne ha bisogno qualcun altro.
Regulus passò in quel momento, e quando incrociò lo sguardo azzurro di Marlene fu solo per un istante: abbassò gli occhi di colpo, lanciando un’occhiata al proprio avambraccio sinistro. Ma Marlene non sapeva, non poteva sapere – Marlene era ingenua, Marlene era considerata una ragazzina che pensava solo a divertirsi e a se stessa –, e gli sorrise con spensieratezza mentre continuava a correre.
Lo fai se senti di voler veder sorridere qualcuno.


*

Marzo 1979 (settimo anno)

“Oggi non ti sei truccata,” decretò un Regulus apparentemente annoiato, mentre si fermava, in piedi, accanto a lei, sui gradini di pietra della Guferia.
Marlene nemmeno alzò gli occhi dal Lago che s’intravedeva in lontananza, seduta proprio di fianco alle gambe di Regulus. Poi rise appena, con le spalle che si alzavano e si abbassavano, finendo con il poggiare una tempia sul ginocchio di lui.
“Che c’è?”
“Grifondoro ha perso la partita di Quidditch,” sviò allora lei, giocando con la sciarpa rosso ed oro che aveva al collo.
“Già,” commentò Regulus, sforzandosi di non ghignare al ricordo della schiacciante sconfitta dei Grifondoro. “Senza Potter siete delle mezze calzette.”
Marlene trattenne a malapena un sospiro: Regulus Black non era una persona empatica, lo si poteva capire anche da come, in quell’ultimo anno, aveva preso ad isolarsi. Prima lo si poteva vedere in giro con Barty Crouch, Effy Stonem e, di tanto in tanto, con Severus Piton, che si era diplomato l’anno prima. Poi, sin dall’inizio del nuovo anno scolastico, Regulus aveva iniziato ad allontanarsi anche da loro – Marlene ricordava di aver sentito, una volta, verso dicembre, i singhiozzi della Stonem provenienti da un gabinetto chiuso.
“Sta’ zitto, Black,” sbottò allora lei, con malagrazia. Regulus sgranò gli occhi – forse sorpreso dalla risposta secca di quella ragazza sempre allegra, forse semplicemente infastidito dall’essere trattato così. “Tu non sei meglio,” aggiunse poi, e Regulus pensò che fosse tutto normale, che forse quello di prima era stato solo un momento no.
“Come no,” convenne ironicamente il ragazzo, alzandosi improvvisamente e pulendosi i pantaloni – Marlene lo guardò sgranando gli occhi: perché si era pulito i pantaloni anche dove aveva poggiato la testa lei? “Vado. Buona serata, McKinnon.”
Se ti faccio tanto ribrezzo, perché sprechi il tuo tempo con me?


*

Marzo 1979 (settimo anno)


Marlene lo evitò come la peste.
Il sorriso le si cristallizzava sulle labbra quando Regulus entrava nella sua visuale, assumeva d’improvviso un’aria stanca e reticente, si raddrizzava sulla schiena ed irrigidiva la postura delle spalle.
Regulus non se lo spiegava: aggrottava la fronte ed inarcava impercettibilmente le sopracciglia.
Fu ad aprile che si parlarono nuovamente.
Si scontrarono a cena, proprio nel bel mezzo della Sala Grande. Si urtarono per sbaglio. Fu perlopiù un tocco ed uno “Scusa” da parte di Regulus appena mormorato – dopotutto, restava un Black, e un Black non chiede scusa ad una SangueSporco.
C’era troppa gente, lì, per dare spettacolo – Marlene l’avrebbe anche fatto, probabilmente: l’impulsività era sicuramente l’unica qualità Grifondoro che possedesse. Perciò si limitò ad un: “Datti fuoco,” sputato, un sorriso sarcastico sulle labbra.
Sul momento, Regulus rimase fermo, non sapendo bene cosa fare. In quel momento il suo amico Barty lo richiamò dal tavolo, e Regulus si limitò a lanciarle un’occhiata strana prima di apprestarsi a raggiungere l’amico.
“Che voleva quella?” gli chiese, non appena si fu seduto.
“Ci siamo solo scontrati,” rispose con calma Regulus, prendendo poi il libro che l’altro gli stava porgendo – era per quello che Barty l’aveva richiamato.
“Mmh,” mugugnò Barty, prima di tornare a sorridere come se niente fosse ad una Cassandra Harper lusingata e dopotutto anche un po’ infastidita.
Regulus sgusciò fuori rapidamente – pensava di metterci più tempo – e non appena vide una testa bionda allontanarsi in direzione della Guferia, la seguì senza pensarci – lo faceva troppo spesso, meditò, quando c’era lei: non sapeva, tuttavia, dire se fosse giusto o meno.
“Black?”. Non si era accorto che si fosse girata, Regulus, finché non la vide guardarlo da poco lontano con gli occhi azzurri colmi di sospetto – e rabbia, forse? Regulus non avrebbe saputo dirlo – forse non avrebbe voluto e basta.
“McKinnon,” disse semplicemente, muovendo appena il capo per cercare di darsi un’aria un po’ spavalda – in realtà non aveva idea di cosa stesse facendo, tutto ciò non era premeditato. E ciò era strano, molto. Aveva provato ad imitare un po’ il comportamento che suo fratello Sirius assumeva quando Mary MacDonald, che a quanto pareva era l’unica che fosse stata in grado di colpirlo davvero, era arrabbiata con lui. Non sapeva recitare molto bene, stimò, vedendo l’altra sogghignare appena.
“Blacky, sei talmente patetico che potresti sembrare tenero,” gli fece notare, e lui si sentì giusto un poco più leggero: non l’avrebbe mai, mai detto – e sarebbe stato così davvero –, ma a lui quei soprannomi piacevano, sotto sotto.
“Questo sarebbe un complimento, McKinnon?” chiese, inarcando un sopracciglio assumendo finalmente la propria aria un po’ distaccata e vagamente nobile – lato che Sirius, Regulus ci tenne a precisarlo nella propria mente, non aveva ereditato.
“Prendilo come ti pare,” storse la bocca lei, sistemandosi poi la borsa sulla spalla. “Ci si vede,” disse, e fece per andarsene, ma Regulus la trattenne, dopo aver controllato che in giro non ci fosse nessuno: “Mi stai evitando.”
Lei sembrò cristallizzarsi sul posto, ma poi si girò lentamente, guardandolo in modo strano. “Sì,” si limitò a rispondere, spiazzandolo per un attimo. Certo, Marlene non era una di quelle ragazze che si potevano proprio definire ‘comuni’, ma quella risposta l’aveva colpito particolarmente.
“Scusa?”
“Scusa un cazzo, Black,” sbottò allora lei – Regulus si chiese quanto potesse essere lunatica una donna: per Merlino, Marlene in quel momento sembrava una Banshee, mentre solo pochi minuti prima aveva quasi sorriso a lui dopo secoli. “E se proprio vuoi scusarti, scusati per avermi trattato di merda alla Guferia! Ah, no, giusto, tu sei Regulus Black! Perché dovresti scusarti con una lurida Sanguesporco? Che sciocca che sono stata. Dovrei essere io a doverti chiedere scusa solo perché respiro la tua stessa aria, no?”
Se non si fosse contenuto, Regulus era sicuro che in quel momento la sua mandibola avrebbe potuto toccare terra. Non l’aveva interrotta, l’aveva ascoltata fino alla fine, per poi guardarla cercare di ritrovare aria, con le guance rosse per la rabbia.
“Io non intendevo scusa per…” si morse la lingua e si corresse velocemente, giusto prima che lei aprisse la bocca. “Sta’ zitta un attimo, McKinnon, Salazar. Scusa, okay?”
“Sei solo un coglion…” iniziò, prima di sgranare gli occhi azzurri. “Eh?” chiese quindi con voce acuta.
“Scusa,” ripeté, già scocciato. “Non ho intenzione di ripeterlo, comunque. Okay? Quindi fattelo bastare.”
“Io… Sei strano, Regghy.”
“Io?” chiese, inarcando le sopracciglia, perplesso.
“Sì, tu. Sei… criptico,” – Regulus sbuffò una risatina al sentire ciò – “E non fare così! Comunque, sembri un rebus. No, niente, roba Babbana,” si affrettò a spiegare Marlene, nel vederlo così spaesato. “Dicevo che… oh, sì, che sei un rebus, vabbe’. Mi piacciono i rebus, comunque. Ciao.”
Mentre Marlene se ne andava, lasciandolo lì da solo con un’aria che stupida era dire poco, Regulus si chiese cosa fosse un rebus e se per caso gli piacesse anche lui. Per la prima volta non scacciò il pensiero dalla mente.


*

Giugno 1979 (settimo anno)


Le feste non erano certo il suo passatempo preferito, ma Effy l’aveva praticamente costretto ad accompagnarla a quella di ‘fine Hogwarts’. Che poi, accompagnarla? Non sapeva nemmeno dove fosse, quella ragazza: era sparita di botto, con la scusa di dover prendersi da bere – Regulus pensò si trattasse ancora della celebre, per lui e Barty, cotta di Effy per Davies, il quale in quel momento si trovava proprio davanti alle bibite.
Poi dicono che Silente non ha preferenze… E nemmeno la McGranitt, eh… Come se non lo sapessero che nella Sala dei Grifondoro si tiene una festa ogni anno per la fine della scuola – pensò ironicamente, facendo una smorfia.
“Sempre quella faccia, Blacky?”. Marlene McKinnon era quella che si poteva definire una ragazza da festa: ballava sempre, rideva sempre, aveva un drink sempre in mano ed era sempre circondata da qualcuno. Sempre. Stranamente in quel momento no – Regulus vide due delle sue amiche sdraiate su un divano con il viso contratto in una smorfia a causa delle risa provocate da una probabile sbronza.
“Sai com’è, è la mia, McKinnon,” ribatté, sorprendendo se stesso nel reggerle il gioco. Anche lei, inizialmente, apparve piuttosto sorpresa, ma poi gli sfilò dalle mani il bicchiere che teneva in mano e ne bevve qualche sorso, prima di sbuffare. “Burrobirra? Mi stai prendendo in giro, Black?” Marlene scosse la testa, e lo afferrò per un polso – Regulus si divincolò appena, ma tanto era buio e praticamente tutti i presenti erano già mezzi o del tutto sbronzi.
La ragazza si fermò davanti al davanzale di una delle finestre, che avevano allargato così da poterci mettere su gli alcolici. Guardò le varie bottiglie sul banco, prima di stringersi nelle spalle, prendere un bicchiere e versarvi un po’ di tutto.
“Tieni,” sorrise poi, raggiante, porgendogli il bicchiere. Lui la guardò, scettico, e Marlene rise forte: “Non è veleno.”
Regulus non era del tutto convinto, perciò ne bevve solo un sorso, tanto per assaggiare. Marlene doveva avervi versato tutti gli alcolici più pesanti, perché la gola iniziò subito a bruciargli; tuttavia, dopo aver ingoiato, in bocca gli era rimasto un aroma fruttato decisamente non male.
“Com’è?” gli chiese Marlene, mentre lui ne beveva un altro po’, abituandosi così a quel bruciore che in fondo si rivelava ad ogni sorso sempre più piacevole – come Marlene, con il suo sorriso e i suoi occhi limpidi e i capelli biondi ed il suo essere così Marlene.
“Buono.”
“Sì?” gli occhi di lei si illuminarono. “Fammi assaggiare.”
Marlene gli tolse di mano il bicchiere e bevve un po’, con aria concentrata, prima di aprirsi nell’ennesimo sorriso. Gli restituì il bicchiere ed iniziò a tastarsi il vestito, sotto lo sguardo perplesso di Regulus; alla fine riuscì a trovare ciò che stava cercando, ovvero una matita per occhi, ed iniziò ad annotarsi sul palmo sinistro i vari alcolici con cui aveva creato quello di Regulus.
“Bene!” esclamò a lavoro finito, riponendo la matita dove l’aveva presa e preparando un altro drink.
“Vuoi ubriacarti?” domandò Regulus, scettico e divertito – sentiva l’alcol scorrergli già nelle vene ed arrivare al cervello.
“Mmh, no. Voglio andare in vacanza,” rise lei, che stava già finendo il bicchiere, ma nonostante ciò si sentiva ancora molto sobria.
“Da domani saremo in vacanza,” le fece notare, lasciandosi sfilare ancora il bicchiere dalle mani: Marlene lo riempì nuovamente per poi ridarglielo.
“Tu, magari,” disse lei, sorridendo. “Io no,” e si versò qualcos’altro nel bicchiere – piuttosto forte, vista la smorfia che fece subito dopo e la risatina che successivamente le sfuggì dalle labbra piene.
Stavolta Regulus, il bicchiere, lo svuotò talmente in fretta che la testa prese a girargli appena, mentre al quarto bicchiere non ci capiva già nulla – non lo reggeva bene, l’alcol, non come Marlene, che in quel momento si stava preparando il quinto drink ridacchiando tra sé.
Mentre lei beveva il sesto bicchiere, Regulus barcollò pericolosamente e Marlene gli risparmiò la caduta trattenendolo per un braccio.
“Regghy Blacky barcollino,” mugugnò lei, ridendo ancora e senza lasciargli il braccio – la mano di Marlene era caldissima, e non importava il fatto che ciò che stava dicendo non aveva un senso, perché nonostante tutto andava bene così.
“Mmh.”
La testa vorticava e la musica continuava a pompargli nelle orecchie, stordendolo sempre di più. A malapena vide Marlene ridere e prendere una bottiglia prima che lo afferrasse per un braccio e lo trascinasse da qualche parte. La ragazza, dopo vari tentativi, aprì una porta e poi la richiuse dietro di loro; lei si sedette rumorosamente sul gradino di una scala a chiocciola che assomigliava a quella che conduceva al suo dormitorio a Serpeverde e si attaccò alla bottiglia.
Marlene bevve qualche lungo sorso, prima di porgergliela; una volta ch’ebbe le mani libere, si appoggiò ai gradini successivi ed iniziò a ridere senza sosta. Regulus ridacchiò un po’ e guardò la bottiglia che teneva in mano, e poi lei lo strattonò per la stoffa dei pantaloni, costringendolo a sedersi accanto a lei. Marlene lo guardò bere, prima di soffiargliela di nuovo.
“Voglio un Ippogrifo,” disse Marlene, chiudendo gli occhi e sollevando il mento verso il soffitto. Poi ridacchiò appena, mentre Regulus beveva ancora qualche sorso. Ormai la bottiglia era già a metà.
“Perché vuoi… perché vuoi un Ippogripo?” ciancicò Regulus, strofinandosi gli occhi. Non ci capiva più niente: a malapena si ricordava chi era lui. E che lei era Marlene, ma nient’altro. Aveva anche caldo, a dire il vero: si sentiva quasi soffocare. Slacciò il nodo della propria cravatta e l’allargò, aprendo un po’ la camicia bianca.
“Non lo so,” ammise Marlene, stiracchiandosi sulle scale come un gatto. “Però sarebbe… sarebbe, uhm, bello, no?” domandò ancora, ridacchiando ed appoggiandosi al braccio di Regulus.
“Non lo so,” sgranò gli occhi lui, finendo poi con il ridere davvero assieme a lei. Marlene annuì e buttò giù un altro po’ di vodka – le sembrava fosse quello, l’alcol all’interno della bottiglia –; poi gli strofinò la guancia sulla spalla, salendo poi con il viso fino al suo collo e soffiandovi appena sopra.
“Mmh,” si lamentò lui, infastidito. Si raddrizzò sul posto, finendo inevitabilmente con il far sollevare anche lei, e le fregò nuovamente la vodka. Ne bevve ancora – qualcosa ancora ci capiva, in quel momento, e lui non voleva capirci più niente: sarebbe stato più facile, più semplice, più bello, e per una volta voleva provarci.
La sentì passargli le braccia attorno al collo e ridere contro il proprio petto magro, mentre lui sollevava il fondo della bottiglia verso l’alto per berne anche le ultime gocce. Non sapeva cosa fare: l’alcol sembrava aver preso le sue vene per strade ad alta velocità, gli girava la testa, aveva una ragazza – una Sanguesporco – appesa al collo e non gli dispiaceva niente di questo.
Ma non lo disse, non lo disse mai.
Non lo disse quando le labbra carnose di Marlene si posarono sulle sue. Non lo disse quando ricambiò quel bacio che sapeva d’alcol – e forse qualcos’altro. Non lo disse quando si alzarono in piedi, mentre la bottiglia s’infrangeva sul pavimento, e iniziarono a salire le scale l’uno abbracciato all’altra. Non lo disse quando posò le mani alla base del collo di Marlene ed entravano in una stanza – probabilmente quella di Marlene e le sue compagne, ma non importava. Non lo disse quando sentì le mani di Marlene sfilargli cravatta e sbottonargli la camicia. Non lo disse quando si ritrovò la pelle del torace a contatto da quella di lei, ormai coperta solo dall’intimo.
Non lo disse quando si stesero sulle coperte rosse, anche se avrebbe voluto urlarlo a tutti.
Il giorno dopo era già troppo tardi.

Si svegliò presto, quella mattina, Regulus. C’era troppa luce, più di quanta i suoi occhi fossero abituati ad incontrare appena svegli. Fece per tirarsi a sedere, quando si accorse di avere ancora il braccio di Marlene attorno al collo ed il suo corpo morbido appoggiato al proprio.
Se si sforzava, riusciva anche a riportare alla mente qualche spezzone della notte precedente: le pelli a contatto l’una con l’altra, i capelli biondi di Marlene tra le dita, le sue labbra morbide sulle proprie e tutto il resto.
Cercando di non prestare attenzione al fiato caldo di Marlene sulla propria pelle, Regulus si sciolse dalla sua presa e scostò appena le tendine del baldacchino, giusto per vedere se ci fosse qualcuno. A quanto pareva, l’unico letto occupato era quello più vicino alla porta, visto che era l’unico a sua volta avente le tendine tirate.
Gli pulsavano le tempie – sicuramente per via della sbronza della sera prima – ma nonostante ciò cercò a tastoni i propri vestiti e poi sgusciò fuori dal letto. Si rivestì in fretta, senza indossare però la cravatta, e lanciò uno sguardo alla sveglia sul comodino di Marlene: erano le sei e quattro minuti – per i corridoi non doveva esserci nessuno.
Si chiuse la porta alle spalle proprio quando lei aprì gli occhi e nascose il viso nel cuscino, stanca.










Note:
Ooookay. Fatemi prendere un bel respiro profondo, perché, nonostante questa storia non stia avendo un grande successo qui sul sito, sul forum sembra essere piaciuta. Eh già. Perché non solo è arrivata SECONDA al Contest di Daphne, ma ha anche vinto il PREMIO GIURIA. E sì, io ora sono strasupermegaiper-fomentata, perché è la seconda volta che una mia storia riceve un giudizio del genere che mi fa commuovere e kdhakja - senza contare che questa storia mi piace da impazzire, proprio come l'altra (che, tra parentesi, è la Sirius/MARLENE - sì, sembra che Marlene con me faccia 'furore', e mi vanto pure, yeeeeH - che si chiama Tutti i sogni che tenevamo stretti sembrano finire in fumo e che ha partecipato al contest di Tefnut)
MA COMUNQUEH.
Nel primo capitolo ho postato il MERAVIGLIOSO banner che mi ha fatto Daphne - è tanto bello che tra poco scoppio a piangere ;A;
POOOOOI. Che ne pensate di questo capitolo? Fatemi sapere, a me piace abbastanza, tranne il primo pezzo - non ha senso, lo so, quel pezzo non ha un briciolo di senso -, ma degustibus.
Ora  però mi ritiro che devo studiare e sistemare il capitolo di una mia Long.
VI AMO IMMENSAMENTE ;A;
   
 
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