Anime & Manga > Detective Conan
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Autore: stefania1977    22/04/2012    2 recensioni
Proprio quando viene finalmente trovata la formula per invertire il processo dell’Aptx 4869 e Conan è ormai prossimo a metter fine all’organizzazione degli uomini in nero che ha scoperto la sua vera identità grazie alla sua spia Bourbon alias Subaru Okiya, subisce un grave incidente, causato proprio da Vodka e Gin.
L’FBi preoccupata per la sorte del giovane detective decide di mettere il ragazzino e Ai nel programma testimoni e trasferisce i due bambini in una località segreta, cambiando la loro identità per proteggerli. Conan dopo un lungo periodo di coma riprende conoscenza, ma un’amara sorpresa attende tutti, il ragazzino ha perso la memoria, non solo non ricorda il suo nome, ma l’incidente ha causato anche la perdita di tutte le informazioni relative all’organizzazione che Edogawa aveva scoperto, in un anno di indagini, grazie all’aiuto della giornalista Rena Mizunashi nel frattempo anche lei improvvisamente scomparsa. Dimesso dall'ospedale Conan si trasferisce insieme ad Ai nella casa di Jodie. La scienziata si prende amorevolmente cura del giovane detective che continua a non ricordare nulla del passato...
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4° Capitolo

"Voglio sapere che cosa ci faceva Conan in quel magazzino." la voce di Megure tuonò per l'intero ufficio, l'uomo corpulento seduto davanti a lui ebbe un piccolo sussulto sulla sedia, ma non osò muovere neppure un dito, rimase immobile davanti al suo interlocutore, cercando di dominare le proprie emozioni, fermo in una posizione rigida, con la fronte leggermente imperlata di sudore e un'espressione alquanto turbata: nessuno in tutto il dipartimento aveva mai visto l'ispettore così fuori di sé: il volto era livido di rabbia e le vene delle tempie gli pulsavano convulsamente.

"Le ho già detto tutto quello che so." affermò nuovamente l'uomo grassottello, stavolta con tono meno incisivo rispetto alle altre volte in cui aveva dovuto rispondere alla medesima domanda.

"Sono certo, invece, che lei sappia molte più cose di quanto voglia farmi credere dottor Agasa" aggiunse l'altro ostentando sicurezza. "le risposte che mi ha dato fin ora sono state troppo vaghe e inconcludenti, evidentemente non si rende conto della sua posizione." proseguì Megure con una sfumatura velatamente minacciosa nella voce. "Conan era con lei quando si è allontanato, quindi è responsabile di quanto, gli è accaduto."

"A… aspetti un attimo… di che cosa mi sta accusando…"farfugliò lo scienziato che iniziava con sconcerto a comprendere dove il poliziotto voleva andare a parare.

"Lei potrebbe essere accusato di negligenza…"

"Ma… ma Conan si è allontanato di sua volontà subito dopo aver ricevuto la chiamata di Kogoro."

"Già la famosa telefonata che non è mai stata fatta!"

"Forse Conan ha mentito, forse non si trattava di Kogoro, ma è questo, ciò che mi ha riferito prima di andare via."

"Dottore, spero che lei si renda conto della grande responsabilità di cui sono, mio malgrado, investito." fece una breve pausa durante la quale non smise mai di fissare il volto rubicondo dello scienziato. "Fra poco Kogoro e Ran saranno qui e a me spetterà l'ingrato compito di doverli informare che il ragazzino che viveva in casa loro e gli hanno affidato con tanta solerzia per fare una gita al lago, probabilmente è morto nell'esplosione di un magazzino al porto, può per un attimo riuscire a immaginare la loro reazione?”

Morto. Quella parola fece sussultare la figura minuta rannicchiata sul divanetto, come se fosse stata colpita all'improvviso da uno schiaffo, un brivido di terrore le attraversò la schiena costringendola finalmente a uscire dall'isolamento in cui si era chiusa e che, fino a quel momento, le era servito da protezione: un mezzo per estraniarsi dalla verità, ma anche da sé stessa e dai sentimenti confusi che in quel momento la stavano tormentando.

Ai era seduta sul quel sofà da diverse ore: teneva le ginocchia piegate al petto e il viso sprofondato nelle braccia, non aveva proferito nemmeno una parola da quando gli agenti l'avevano scortata, insieme al dottor Agasa, fino alla centrale, nemmeno i tentativi discreti fatti dall'ispettrice Sato avevano dato alcun riscontro, Imprigionata in quello stato di stordimento non riusciva a riprendersi: il boato causato dall'esplosione continuava a rimbombarle nelle orecchie e se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere le fiamme che si levano alte verso il cielo e a sentire l'odore acre di fumo che le toglieva il respiro. Sollevò piano la testa e prese a guardarsi intorno, aveva la stessa espressione di una che si è appena svegliata da un lungo sogno; ed proprio in questo che aveva sperato, di trovarsi in un sogno, un brutto sogno, ma non era così, l'ambiente, i visi contriti delle persone, i discorsi sommessi, le occhiate lanciate in tralice tutto ciò che la circondavano non lasciava alcun dubbio sul fatto che quella fosse suo malgrado la realtà. Sentì gli occhi bruciare, ma cercò di resistere, non poteva e non voleva lasciarsi sopraffare dai sentimenti, altrimenti sarebbe nuovamente scoppiata a piangere. Seppur a fatica riprese il controllo di sé stessa, Shinichi non era morto non era stata trovata alcuna prova che potesse confermare questa ipotesi; poteva anche darsi che fosse riuscito a fuggire dal magazzino prima dell'esplosione. Un'eventualità remota, ma era comunque una possibilità. Nascose nuovamente il viso fra le braccia e si aggrappò a quella speranza con tutte le sue forze, si sentiva responsabile di quanto accaduto, era più che mai convinta che tramite lei, l'organizzazione, fosse risalita fino a Kudo. Quel pensiero continuava a tormentarla, al punto da non dare più importanza al fatto che fosse lei il prossimo obiettivo dei Mib; era stanca di fuggire, presto o tardi quel gioco sarebbe finito, tanto valeva regolare subito i conti in sospeso, non desiderava che altre persone ci andassero di mezzo. Il suo pensiero corse al dottore. Se Gin fosse andato a cercarla per ucciderla anche lo scienziato l'avrebbe seguita subito dopo e questo non doveva accadere. Maturò una scelta difficile, ma necessaria: abbandonare per sempre la casa di Agasa

 

Un forte tramestio di passi rimbombò nel corridoio della centrale, poco dopo la porta dell'ufficio si spalancò e un uomo dall'aspetto imponente, con il viso scarno e un paio di baffi neri entrò nella stanza seguito a breve distanza da una giovane ragazza.

Si avvicinò alla scrivania di Megure a passo sostenuto, evidentemente seccato di essere stato disturbato a quell'ora.

"Insomma Ispettore vuole spiegarmi perché ci ha fatto venire fino a qui nel cuore della notte?" Megure stava per rispondere, quando lo sguardo di Kogoro cadde proprio su Agasa, un secondo dopo fu colto da uno dei suoi strampalati deliri. "Ho capito! Scommetto che quella piccola peste di Conan insieme ai suoi amichetti ha fatto qualche danno, vero? Rivolse un'occhiataccia accusatoria nei confronti del vecchio scienziato. "Se è così, non appena lo trovo avrà ciò che merita e per avvalorare le sue parole vibrò un pugno con la mano destra sul palmo della mano sinistra e poi lo fece roteare su sé stesso."

"Sta calmo Kogoro non è accaduto nulla di simile, tuttavia, quello che devo dirti riguarda proprio Conan; forse è meglio che vi sediate." fece un cenno a entrambi di accomodarsi sulle sedie, ma l'investigatore privato rifiutò categoricamente. C'era una cosa che odiava a morte, era la gente che tergiversava.

"Allora ispettore si decide a parlare oppure no!"

"Come ti ho anticipato prima hai asserito una mezza verità in merito al ragazzino che viveva con voi!"

"ahhhhhh! Lo sapevo." urlò con un'espressione tronfia… "Sapevo che alla fine quel moccioso mi avrebbe messo nei guai…" Si guardò intorno freneticamente cercando ovunque con lo occhi quel piccolo monello. "Si è nascosto vero? Ma se lo trovo stavolta una bella dose di sculacciate non gliele toglie nessuno." e mentre lo diceva, si chinò per cercarlo sotto la scrivania di Megure.

"Conan non è qui!" Cantilenò l'ispettore in tono grave, non lo troverai nemmeno mettendo a soqquadro l'intero dipartimento."

Il volto di Kogoro riaffiorò da sotto la scrivania con espressione piuttosto ebete così buffa che strappò un mezzo sorriso anche a Megure.

Tutta quella storia stava cominciando a dargli sui nervi"Non capisco… insomma ispettore si può sapere a che gioco sta giocando."

"Non sto giocando Mouri." soggiunse il poliziotto evidentemente seccato da quella conversazione sterile. Poi si rivolse a Ran. È meglio che ti sieda le notizie che devo darvi non sono delle migliori."

Ran trasalì, lesse qualcosa nell'espressione enigmatica dell'ispettore, qualcosa che non le piacque per nulla.

"Non sarà mica successo qualcosa al piccolo Conan, vero?" La voce gli tremò appena.

La faccia di Megure si fece nuovamente seria. L'intero ufficio cadde in un religioso quanto snervante silenzio, Ran avanzò tremante verso la scrivania, nei suoi occhi una supplica; scrutò attentamente il viso dell'ispettore alla spasmodica ricerca un segno, una speranza che ciò che in quel momento stava pensando non corrispondesse alla realtà.

Un lieve accenno fatto col capo, smorzò ogni sua speranza.

"Sta tranquilla figliola deve trattarsi di qualche lieve ferita, lo sai come sono i bambini… non è vero ispettore?" Megure alzò nuovamente lo sguardo sul detective ma la sua bocca restò serrata.

"Insomma vuole dirci che diavolo gli è successo?" gridò Kogoro in un eccesso di rabbia.

"Ecco… purtroppo, si tratta di una cosa più grave… di qualche ferita!"

"Quanto più grave?"

"C'è stata un'esplosione in un magazzino e crediamo che il ragazzino sia rimasto coinvolto…"

Non appena l'ispettore ebbe terminato di parlare si udì un tonfo sordo. Kogoro si voltò atterrito verso sua figlia e la vide riversa a terra priva di sensi.

 

Fuggire.

Non pensava ad altro, non riusciva quasi a dormire, non mangiava, aveva persino interrotto le sue ricerche sull'Aptx. Andava in giro per la casa come uno zombie. Era viva, ma si sentita svuotata, continuamente imprigionata in quello stato di stordimento che dal giorno dell'incidente non l'aveva mai abbandonata. Aveva sperato tanto che Conan si facesse vivo, teneva il cellulare sempre vicino sperando che potesse chiamarla, ma non era accaduto… Spesso durante la notte si svegliava urlando, dopo l'ennesimo spaventoso sogno.

Non erano serviti tutti i tentativi del professore per cercare di consolarla, era responsabile di quanto accaduto.

I giornale avevano dedicato alla notizia un piccolo spazio in seconda pagina…

 

Esplosione in un magazzino al porto, un morto.

 

L'articolo non faceva alcun riferimento a possibili congetture su attentati terroristici, né sulla possibilità di collegamenti a qualche organizzazione criminale, soprattutto perché in quel deposito, vi era solo della chincaglieria, roba che non dava adito ad altri ipotesi se non quella di un gioco finito tragicamente.

La bocca della polizia poi, era più cucita che mai, per giorni non era trapelata nessuna informazione e nemmeno Kogoro era riuscito ad avvicinare Megure per avere chiarimenti sull'esatta dinamica dell'incidente. Tutti al dipartimento si guardavano bene dal divulgare notizie e fare dichiarazioni pubbliche, nel più assoluto rispetto per il dolore che la perdita di una vita così giovane aveva scatenato i tutte le persone che lo conoscevano.

Erano già trascorsi tre giorni, da quell'evento drammatico, da allora Ai non era più andata a scuola, Ayumi le aveva telefonato in mattinata, con la voce roca, tirava di continuo su con il naso segno che aveva pianto e non poco, voleva avvertirla che la loro classe avrebbe tenuto una cerimonia commemorativa speciale nella palestra a ricordo del loro piccolo amico scomparso, ma quella proposta fece letteralmente indignare la piccola scienziata che ancora rifiutava categoricamente di credere che Shinichi fosse morto, Era certa che quello scavezzacollo fosse ancora vivo, ferito certo, ma vivo, sarebbe spuntato fuori all'improvviso, con il suo solito sorrisetto da saccentone e quello sguardo accattivante, scusandosi per aver fatto venire i capelli bianchi a tutti quanti.

Il telefono sulla scrivania squillò. Ai rimase a fissarlo inebetita, un'ondata di panico le attraversò le membra. Quel maledetto affare squillava tutti i giorni a quell'ora dal momento dell'incidente, non sapeva chi fosse a chiamarla perché dall'altra parte l'interlocutore non aveva mai proferito parola. Ai era più che mai convinta che si trattasse di loro: gli uomini nero, Conan avevano ragione, sapevano dove trovarla, quelle telefonate, volevano significare che stavano arrivando, si divertivano sadicamente a torturarla, volevano portarla sull'orlo della follia e poi l'avrebbero ammazzata come un cane. Doveva fuggire, per evitare di coinvolger Agasa in questa maledetta storia; il dottore era fuori per fare compere Doveva approfittarne ora. Ai scese dal letto, si infilò un paio di jeans e una casacca con il cappuccio con la quale si coprì il capo, allacciò le scarpe da tennis, inforcò un paio di occhiali scuri e un giubbotto, non avrebbe portato altro con sé non né aveva bisogno. Scese i gradini che portavano all'ingresso secondario, sul mobile all'entrata lasciò il biglietto che aveva preparato precedentemente in cui si scusava con il dottore e gli spiegava le ragioni del suo gesto. Un breve messaggio senza inutili convenevoli, né frasi stucchevoli, non era nella sua natura perdersi in smielati sentimentalismi. Girò la maniglia e aprì la porta, uscì nell'atrio e sollevò la testa per rivolgere un ultimo saluto a quella casa che l'aveva accolta e protetta per tanto tempo, fece un profondo sospiro… era pronta, ora poteva andare via. Piroettò su sé stessa ma non appena lo fece si trovò faccia a faccia con un tipo losco dall'aspetto imponente, completamente vestito di nero. Il sangue le si gelò nelle vene, fu colta da un folle terrore. Erano arrivati, il momento era giunto. Fece un passo indietro, ma urtò contro qualcosa o meglio qualcuno. Un altro uomo era comparso alle sue spalle e incombeva su di lei pronto ad afferrarla. Ai si guardò attorno, tentare di fuggire era inutile, abbandonò le braccia lungo i fianchi e aspettò: avvertì una presa forte, bocca e naso affondarono in un fazzoletto intriso di cloroformio, tentò un’ estrema reazione ma fu inutile, quasi subito si sentì avvolgere da uno strano torpore e tutto divenne confuso infine perse i sensi definitivamente.

I due uomini vestiti di nero la caricarono in auto e poi ripartirono a gran velocità.

 

La voce automatica ripeteva da tre giorni a questa parte lo stesso messaggio: il telefono dell'utente chiamato era irraggiungibile. Stizzita Ran chiuse il cellulare e lo scaraventò ai piedi del letto, possibile che quando serviva Shinichi non era mai presente? In una situazione di questo genere, non poteva contare su di lui neppure per una parola di conforto. Sonoko aveva ragione, era solo uno stupido egoista, insensibile.

Si alzò dal letto e si diresse verso la finestra, il cielo era grigio e le nuvole cariche di pioggia, Ran sentì gli occhi inumidirsi, quella giornata così cupa acuiva il suo dolore.

Ran-neechan.

Appena un sussurro, una voce familiare ma lontana.

Ran-neechan

Di nuovo. Era un sogno, la mente a volte fa brutti scherzi. Conan era morto e non sarebbe più tornato, rimase con il viso rivolto alla finestra dando le spalle alla porta, doveva smettere di illudersi.

La maniglia scattò la porta si aprì, udì qualcuno entrò nella camera, un lieve frusciò di pantofole, una lacrima le scivolò sulla guancia.

Sua madre Eri aveva appena varcato la soglia di camera sua, aveva un'espressione affettuosa, gli angoli della bocca leggermente incurvati in un tenero sorriso.

"Vieni Ran-neechan vieni, la cena è pronta!"

  
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