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Autore: shoved2agree    23/04/2012    7 recensioni
[Traduzione][Frerard]traduzione di OhCheshireCat
Gerard Way vede il mondo in modo differente. Solo e segregato in un istituto psichiatrico, afferma di essere braccato, e che la sua mente contenga la chiave dell'esistenza. Davvero Gerard è in possesso di un segreto così potente? O è solo pazzo, come tutti gli altri all'interno dell'ospedale?
Pensavo di potermi nascondere da loro. Pensavo che si sarebbero dimenticati di me. Mi stanno cercando, proveranno a farmi parlare. Ma non posso far loro sapere -perchè sono l'unico che capisce quanto questo potrebbe essere devastante?
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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A SPLITTING OF THE MIND

 

***

20.


I'm probably one of the most dangerous men in the world if I want to be. But I never wanted to be anything but me.







Sembrava che fossi stato condannato alla presenza permanente del mio tirocinante, il tirocinante che avevo conosciuto durante la Settimana Infernale: Brendon.
Mi ricordavo di lui. Pensava di essere mio amico. Si sbagliava. Non era un mio amico. Era il mio nemico.
Certo, non era così tanto nemico come Loro, ma ritenevo appropriato classificarlo in questo modo. Mi ricordavo molto chiaramente la brutalità con cui aveva scritto a Markman quelle bugie, nella sua tesina su di me. Mi aveva chiamato insensibile ed egoista. Mi aveva chiamato pazzo.

Non sono pazzo,” dissi a Brendon e alla Dottoressa Morgan con impazienza. Mi stavo entrambi fissando attentamente, con le penne pronte a scrivere la continuazione della mia terapia involontaria.
Era una bugia, ovviamente. Sapevo di essere pazzo. Avevo distrutto mio fratello a causa di questa pazzia. Ma non volevo essere lì, quindi dovevo convincere la Dottoressa Morgan e Brendon che ero sano e che dovevo essere dimesso. Dovevo convincerli entrambi che stavo abbastanza bene da poter riprendere la vita in comunità.
Non sarebbe mai successo, ma qualcuno deve pur sperare.
Non pensi di essere pazzo?” ripeté la Dottoressa Morgan. Non mi piaceva. Per niente. In effetti, la odiavo. Era anche più brava di Markman a leggermi la mente, e questo mi spaventava. Avevo il suo metodo per guardarmi negli occhi e costringermi a dirle come mi sentivo. Quindi ero stato costretto ad alzare due muri da quando ero arrivato a Brock e l'avevo conosciuta. Non poteva essere umana. Ovviamente era malefica.
Annuii, d'accordo con quello che aveva detto.
“Quindi, eri lucido quando hai ferito Mikey?” chiese.
Che cazzo di domanda era?! Come si fa a chiedere una cosa del genere? Cazzo. Ecco perché era malefica. Non doveva chiamarsi Dottoressa Morgan, ma Dottoressa Malefica.
Non le risposi. Sentivo stringermi il petto mentre lei mi costringeva a pensare a come avevo distrutto Mikey. Avevo speso un sacco di tempo per trovare il modo di non pensarci, ma la Dottoressa Malefica sollevava l'argomento ogni volta che mi vedeva.
“Gerard?” mi fece pressione.
“Non lo so!” dissi sulla difensiva. Ad essere onesto, non mi ricordavo nemmeno di aver ferito Mikey, quindi non avevo modo di sapere se fossi lucido al momento oppure no.
La Dottoressa Malefica mi guardò con attenzione e velocemente cambiai espressione facciale. Non volevo che vedesse quanto dolore mi causasse pensare a Mikey. “Quindi, non pensi di essere pazzo, Gerard?”
“Pazzo è una parola molto forte,” obiettai con noncuranza, guardandomi le unghie. Comportarmi con noncuranza era uno dei muri che avevo costruito. Era molto efficace. Dovevo dare l'impressione di essere indifferente e sotto controllo. Essere stabile era esattamente l'opposto di essere pazzo, e io non potevo essere entrambi.
La Dottoressa Malefica sembrava sorpresa. “Sto usando le tue parole, Gerard,” disse. “Sei tu che le hai usate per primo, dicendomi che non eri pazzo. In effetti, non penso che tu sia pazzo. Sei solo malato.”
Il mio muro di indifferenza cominciò a inclinarsi dopo la parola 'malato'. Molte volte Markman aveva cercato di convincermi che ero malato. Frank aveva provato a fare lo stesso. Non ero malato.
Malattia implicava debolezza e debolezza implicava che non ero in grado di mantenere i segreti.
Jasper si sbagliava; non ero una scelta patetica e debole per un custode di segreti. Li avevo mantenuti al salvo per anni. Avrei pagato per sapere se qualcun altro potesse fare questo lavoro meglio di me. Molti custodi di segreti erano durati al massimo sei mesi, ma non io.
Strinsi con forza i pugni. “Non sono malato,” dissi, pesando ogni parola, sputandola fuori come se fosse veleno.
La Dottoressa Malefica annuì. “Quindi, non sei malato, e non sei nemmeno pazzo?” chiese.
Esattamente.
“Allora perché pensi di essere qui?” continuò con indifferenza.
“Non lo so.”
“Sì che lo sai.” La sua calma era frustrante.
“Onestamente non ne ho idea.” Era una bugia.
“Certo che sì.”
“No, seriamente, Dottoressa-.”
Lei scosse la testa per la mia protesta. “Sì, sai esattamente perché sei qui. Dimmelo.”
“No.” Sapevo esattamente perché ero lì, ma non volevo ammetterlo.
“Dimmelo.” La sua foce era ferma, ma lei era ancora profondamente composta. La odiavo. Mi avrebbe fatto dire qualcosa di cui poi mi sarei pentito.
Sbattei il pugno sul bracciolo della sedia. “No, la smetta.”
“Dimmelo.”
“Perché ho distrutto mio fratello! Okay?!” Le parole mi uscirono di bocca prima che ne fossi del tutto sicuro.
La Dottoressa Malefica restò in silenzio, mentre io praticamente tremavo per la rabbia. Era un'informazione privata. Mi aveva costretto a dirgliela. Come osava usare le sue abilità con me? Aveva dei poteri. Non aveva il diritto di farmi dire cose come quella.
“Distrutto?” disse lei piano.
Mi alzai dalla sedia e uscii dalla stanza. Non mi sarei sottoposto a nessun'altra domanda su Mikey. Lei non aveva il diritto di sapere quanto quel dolore mi stesse lacerando l'anima e consumando lo stomaco. Era una cosa privata.
Ero a Brock perché ero un mostro.

Mi feci strada verso la mensa e mi sedetti a un tavolo vuoto. Lì non ne avevo uno personale. Non mi piaceva sedermi a uno nuovo tavolo a ogni pasto. Lo odiavo, ma potevo controllarlo. Non osavo sfidare nessuno in quel posto. Sembrava che mi potessero uccidere a mani nude.
A Bluestone le persone mi rispettavano e mi temevano. Mi lasciavano da solo. Avevo una reputazione. Ma lì a Brock ero il ragazzo nuovo, e tutti sanno che il ragazzo nuovo viene trattato come una merda.
Tirai fuori il blocco da disegno dalla giacca e lo presi fra le mani. Un secondo dopo, uno degli altri pazienti me lo prese. Si allontanò da me mentre cercavo di raggiungerlo.
“Cosa abbiamo qui?” disse quello con superiorità, sfogliando le pagine. Entrai nel panico, mi alzai dietro di lui, ma lui scappò dietro al tavolo che ci divideva. “Oh, chi è questo?” chiese, alzando uno schizzo incompleto che avevo fatto di Frank. “E' così carino.”
“Ridammelo!” esclamai, allungandomi senza successo sul tavolo davanti a lui.
“Sembra una di quelle persone viola. Lo è? La mia ragazza lo era. Aveva la pelle viola. Ecco perché è morta.”
“Ecco perché l'hai uccisa,” schioccai, prendendo il quaderno dalle sue mani.
Lui fece spallucce. “Era una del popolo viola. Non era umana. Gli umani non hanno la pelle viola, testa di cazzo.”
“Misha, lascia Gerard da solo.” Finalmente arrivò un' infermiera che aveva notato il fastidio che mi stava arrecando Misha, e si avvicinò per porre fine a questa storia. “Vai a sederti ad un altro tavolo.”
Lanciai un'occhiataccia al ragazzo e lui si allontanò. Non ero una testa di cazzo. Lui lo era. E Misha? Che cazzo di nome era Misha? Mi risedetti al tavolo e lisciai le pagine che lui aveva spiegazzato. Smisi di passare le dita fra le pieghe per guardare il disegno che avevo fatto. Mi mancava così tanto Frank.
Velocemente chiusi il quaderno e lo rimisi dentro la giacca, mentre l'infermiera si avvicinava al mio tavolo. Mi porse un piccolo bicchiere di carta, e io lo accettai con obbedienza. Poi, come avevo fatto per il resto della settimana, mi buttai le pillole in bocca, facendo finta di ingoiarle con un sorso d'acqua. Dopo averle nascoste sotto la lingua, dietro la gengiva inferiore, aprii la bocca affinché l'infermiera potesse ispezionarla. Mi guardò con più attentamente del normale, ma non vedendo nessun segno di falsità, se ne andò ad avvelenare il paziente successivo.
Appena si girò di spalle, mi sputai le pastiglie in mano prima che si disintegrassero nella mia bocca, e le nascosi in tasca. Alla prima occasione le avrei gettate nel water. Era troppo facile.
Mi allarmai quando Brandon apparve improvvisamente dietro di me, e tolsi con discrezione la mano dalla tasca, poggiandola con imbarazzo sulla gamba. “Posso sedermi?” chiese, indicando il posto di fronte a me.
Scossi la testa. “No, lo sto tenendo per una persona.”
Brendon sembrava un po' sorpreso dalla mia risposta. Era come se pensasse che fosse un vero oltraggio da parte mia dire che qualcuno in quel buco infernale avrebbe gradito condividere il tavolo con me.
“Chi?” chiese stupidamente. Bhé, tutto quello che diceva era stupido; lui era stupido.
“Gesù,” dissi con noncuranza, cominciando a giocherellare con il bicchiere di plastica vuoto di fronte a me.
Brendon si guardò attorno come se pensasse che Gesù stesse veramente per apparire. “Oh,” disse infine. “Bello scherzo.”
Lo guardai, con lo sguardo più disgustato che riuscissi a fare. “La mia scelta di credere in una divinità e in suo figlio ti diverte? Sono abbastanza sicuro che sia illegale discriminare qualcuno per la sua religione.”
Il comportamento professionale di Brendon sparì. Si spostò dalla sedia che avevo prenotato per Gesù e se ne andò. Sogghignai e tirai fuori di nuovo il mio quaderno. Ma, prima di farlo, mi accertai che Misha non fosse dietro di me. Se avesse provato di nuovo a prendere il mio taccuino, gli avrei dato un pungo nell'occhio. Perché sull'occhio? Perché fa fottutamente male – me l'aveva insegnato Bert. Avevo appena finito di ombreggiare il disegno di Frank, quando Brendon riapparve. Si sedette al posto di Gesù e alzò un sopracciglio.
“Tu non sei religioso,” disse trionfante. “Non credi nemmeno in Gesù.” Sembrava così fiero ad averlo scoperto.
Feci spallucce. Ero stato capace di allontanarlo per almeno cinque minuti, e ne ero felice. Non mi importava se sapeva che stessi mentendo riguardo la storia di Gesù. Pensavo che fosse la mia indifferenza a irritarlo. Non riuscivo a capire come questo uomo potesse essere un dottore. Personalmente non lo consideravo tale; per me, era più simile ad un'alga da stagno. Mi piaceva la frase 'alga da stagno'. Mi ricordava un sacco di persone: Bert, la Dottoressa Malefica, Ray (okay, solo qualche volta), il Dr. Leto...
“Gerard, penso che abbiamo cominciato con il piede sbagliato,” disse Brendon.
Lo ignorai.
“Ora lavoro a Brock a tempo pieno. Mi occuperò del tuo caso...bhè... molto a lungo, okay, Gerard? Quindi, penso che tu debba cominciare a riconoscermi come un dottore. Ma, più importante, che tu cominci a riconoscermi come qualcuno che ti vuole aiutare.”
Lo canzonai facendo un rumore a voce alta, non potei evitarlo. Brendon stava cercando di essere il migliore in quel posto, e mi sentivo un po' in colpa a prenderlo in giro mentre cercava di instaurare un rapporto con me. Non sembrava afflitto, comunque. Anzi, sembrava pieno di energie.
“Non pensi che io ti possa aiutare?” chiese, mentre cercava di capire il perchè della mia presa in giro.
“Certo che non mi puoi aiutare,” gli dissi con tono superbo. “Markman non ce l'ha fatta, cosa ti fa pensare che tu ci riusciresti?”
Non rispose perchè non aveva nessuna risposta. Annuii, soddisfatto, e usai il mio dito indice per sfumare una linea sulla fronte di Frank.
“Come sta Frank?” chiese in modo informale, indicando il mio disegno.
Gli lanciai un'occhiataccia. Come cazzo facevo a sapere come stesse Frank?
Brendon doveva aver capito di aver superato il limite, perchè velocemente si alzò e se ne andò. Probabilmente aveva interpretato il mio sguardo nel modo giusto, come un avvertimento del fatto che gli stavo per spaccare la faccia.
Non ero stato da solo nemmeno per dieci minuti, che la Dottoressa Malefica arrivò per informarmi che la sessione di terapia di gruppo stava per cominciare, e che era richiesta la mia presenza. Roteai gli occhi e la seguii verso la sala in cui erano state messe tutte le sedie in cerchio. Mi sedetti cautamente su una sedia vuota, guardando con attenzione gli altri pazienti. Con mio grande sollievo, sembravano tutti disinteressati alla mia esistenza e alla mia partecipazione a quella sessione.
Non l'avrei mai detto a nessuno, ma ero spaventato. Avevo paura degli altri pazienti. Erano persino più pazzi di quelli che avevo incontrato a Bluestone. Volevo tornare alla mia vecchia clinica più di qualsiasi altra cosa. Volevo vedere di nuovo Frank e addormentarmi accanto a lui. Dannazione, non ero nemmeno contrario al rivedere Markman. Almeno lei non usava le sue forze malefiche per costringermi a tirare fuori i miei sentimenti.
Le tecniche della Dottoressa Malefica erano la cosa che mi rendevano più ansioso in quella terapia. Non volevo che mi facesse dire nulla che poi avrei rimpianto, di fronte agli altri matti. Asciugai i palmi sudati sui pantaloni di cotone blu che stavo indossando. Aggrottai la fronte vedendo la macchia che le mie mani sporche avevano lasciato sul tessuto. Un'altra cosa che odiavo di quel posto era la totale assenza di privilegi. Non avevo nulla. Non potevo uscire. Non potevo prendere spuntini dalla caffetteria, e non mi era concesso indossare nulla che non fosse quella divisa che ci avevano dato il primo giorno.
Mi ero svegliato indossando i pantaloni azzurri del pigiama e una maglietta bianca. Non sapevo nemmeno cosa fosse successo ai miei jeans.
Erano i miei jeans preferiti. Se fossi stato sveglio quando li avevano presi, avrei lottato ferocemente per tenerli.
Ero anche obbligato a portare le pantofole. Avevo detto a ogni infermiera e ad ogni inserviente che non volevo indossarle, ma a loro non importava. Era davvero ingiusto. Era ingiusto “conquistarsi” i privilegi per i vestiti. Vestiti rispettabili e appropriati alla mia età sarebbero dovuti essere considerati come una regola primaria. Mi segnai mentalmente di parlare con mio padre, affinchè usasse la sua influenza per creare una specie di regolamento.
La Dottoressa Malefica aveva già iniziato la terapia, ma io non stavo prestando attenzione. Stavo ispezionando gli altri pazienti. Misha era seduto tutto fermo sulla sua sedia, e ascoltava molto attentamente la dottoressa. I suoi capelli dritti erano strapieni di gel, che gli faceva alzare molte ciocche all'insù. Accanto a Misha c'era una donna più grande di nome Jess. Avevo sentito la settimana precedente della sua litigata con un'infermiera che reputava inutile darle due porzioni di cibo per cena ogni sera. Jess aveva detto chiaramente che una era per lei e una era per suo marito, che l'avrebbe raggiunta a breve. Suo marito era incredibilmente arrabbiato, per essere un uomo morto da dodici anni.
“Morirete tutti.”
Girai la testa per guardare il ragazzone che si era alzato in piedi per annunciare la sua predizione al gruppo. Non sapevo il suo nome, ma indossava una maglietta nera con sopra dei mostruosi disegni a forma di teschio, quindi decisi di chiamarlo Skull*.
La Dottoressa Malefica sembrava sconcertata da quello che aveva detto il ragazzo. “Jonas, non è appropriato,” disse, indicandogli di sedersi. Il suo nome era Jonas? Che nome stupido. Decisi di continuare a riferirmi a lui come Skull.
“Certo che non è appropriato, ma è la verità,” disse lui, rimanendo in piedi. Si girò indicando tutti ad uno ad uno. “Morirete.” Indicò la persona successiva. “Morirai anche tu. E tu.” indicò Jess. “E anche tu. Vi ucciderò tutti.”
Restai senza fiato. Adesso Skull sembrava un nome davvero appropriato per quello psicopatico. Perchè la dottoressa gli permetteva di minacciare tutti? Se avesse puntato il suo dito scheletrico verso di me, glielo avrei spezzato in due.
“Jonas, smettila. Non ucciderai nessuno.”
“Ucciderò tutti,” insistette Skull, indicando le tre persone successive nel cerchio. Ero io il prossimo. Se avesse provato a minacciarmi, avrei mostrato a lui e a tutti quanti che sbaglio fosse mettersi contro Gerard Way. “E ucciderò te!” disse apertamente, puntando il dito nella mia direzione.
Mi bloccai. Non mi alzai dalla sedia, ne' gli spezzai il dito come avevo programmato. La paura mi teneva incollato al mio posto. “E...” Skull si fermò improvvisamente e si girò piano per guardarmi, come avesse percepito il mio intenso odio verso di lui. “Oh,” fece, spalancando gli occhi in maniera incredibile. Sembrava sorpreso. “Errore mio. Non sarò io a ucciderti.” disse, parlando direttamente a me.
Che cazzo stava succedendo?
“No. Non avrò l'occasione di ucciderti. Loro ti prenderanno per primi. Fanculo,” mormorò. “E' ingiusto.”
Senza pensarci, mi alzai dalla sedia e mi buttai su Skull con tutta la forza che avevo. Lo colsi di sorpresa, prendendolo per la gola mentre lo appendevo al muro, togliendolo dal circolo di sedie.
“Come sai di Loro?!” schioccai, comprimendogli più forte che potevo la trachea con la mano. Sapevo che non avrei ottenuto risposta se avessi continuato a soffocarlo, ma era troppo bello per smettere.
Riuscii a tenerlo per la gola un paio di secondi, prima che qualcuno mi tirasse indietro. Non mi opposi; odiavo essere sedato. I sedativi mi facevano male alla testa per ore. Skull si massaggiò con cautela il collo e mi sputò. “Hai paura, frocio?” raschiò malignamente. “Hai paura perchè Loro stanno per venirti a prendere?” si passò il dito sulla fronte, simulando di aprirla.
Mi avvicinai a lui di nuovo, ma gli infermieri mi tirarono indietro e mi trascinarono nella direzione opposta. Tutti quelli che erano nel cerchio adesso stavano in piedi, guardandomi interessati, con le loro stupide facce. La Dottoressa Malefica sembrava davvero sconcertata. Scommettevo che stesse pensato di avermi inquadrato del tutto. Nessuno inquadrava Gerard.
“Come sai di Loro?” urlai, mentre i due infermieri mi tenevano per le braccia, intenti a portarmi fuori dalla stanza.
Skull non rispose. Mo sogghignò, tenendosi una mano sulla gola.
Non lottai contro i due infermieri, mentre mi scortavano nella mia camera. Mi fecero entrare e poi mi fecero sedere sul pezzo di legno che spacciavano per un letto. “Ti comporterai bene?” chiese uno dei due.
Annuii con rispetto in modo che non pensassero che fosse necessario legarmi al letto. Se ne andarono, lasciandomi da solo e terrorizzato.
Come cazzo faceva Skull a sapere chi fossero Loro? Non avevo mai detto una singola parola che li riguardasse, in quel posto. Non li avevo neanche menzionati alla Dottoressa Malefica. Certamente lei sapeva di quella situazione, Markman aveva scritto un sacco sul mio file. Ma, era Skull la loro spia? Era lui la spia di cui mi aveva avvertito Jasper? Skull era uno di Loro? Mi sdraiai sul letto, accoccolandomi in posizione fetale contro il muro. Passai un sacco di tempo messo così. Volevo essere forte, ma ero solo un patetico pezzo di merda che aveva distrutto suo fratello e aveva perso l'amore della sua vita.
La porta si aprì e il mio battito accelerò immediatamente, considerando subito che potessero essere Loro. Non avevo il coraggio di girarmi a guardare. Il mio visitatore si sedette sul bordo del materasso.. Decisi che fosse la Dottoressa Malefica, basandomi soltanto sul fatto che la sua piccola ossatura non riempisse quasi per nulla il letto.
“Gerard,” cominciò. Mi sentii orgoglioso di aver indovinato chi fosse. Tenni gli occhi aperti, non facendole capire che la stessi ascoltando. “Non badare alle minacce di Jonas, davvero. Minaccia di far male alle persone da due anni, ogni giorno, e ancora non ha fatto male a una mosca. Non devi avere paura di lui.”
Aveva torto marcio. Non avevo paura di Skull. Avevo paura di Loro. Skull potevo sopportarlo. Potevo sopportare il fatto che mi avesse chiamato 'frocio'. Ma non sopportavo il fatto che sapesse che Loro mi stavano per uccidere. Non sopportavo il fatto che Jasper avesse ragione. Stavo per morire. Presto. Sapevo chi ero. Sapevo certe cose, ricordate?
“Gerard?”
Restai fermo fino a quando la Dottoressa Malefica lasciò la stanza. Forse pensava che stessi dormendo? Non lo sapevo. Non mi importava. Tutto ciò che mi importava era rimanere in vita... e Frank.

Alla fine mi addormentai. Non sognai. Non sognavo da molto tempo. La cosa non mi dispiaceva -i miei sogni di solito riguardavano sangue, fratelli morti o fidanzati morti. Mi svegliai improvvisamente quando qualcuno mi chiamò. Mi stavano dicendo che avevo visite. Pensavo fosse uno sbaglio. Non ricevevo visitatori.
Frank era dall'altra parte del paese e nessun altro si sarebbe preoccupato di me.
Feci finta di essere ancora addormentato e alla fine l' infermiera scomparì. Forse aveva detto al mio visitatore di andarsene. Mi chiedevo se fosse Lindsey. Forse era qui per prepararmi al processo? La porta si aprì di nuovo e poco tempo dopo sentii il passo di un paio di scarpe di cuoio sul pavimento. La persona si sedette al bordo del mio letto, ma era molto più pesante della Dottoressa Malefica.
“Gerard?”
Il visitatore era mio padre. Che sorpresa. Ma non una sorpresa piacevole. Avevo deciso che non mi stava molto simpatico -praticamente mi aveva condannato a morte, mandandomi in questo posto. Lo ignorai. Preferivo far finta di dormire, piuttosto che dover conversare con lui.
Mio padre mi strinse forte la spalla e mi girò in modo che fossi di schiena, per poterlo guardare. Non mi aspettavo questa reazione improvvisa, e istintivamente aprii gli occhi. Diedi uno sguardo al suo volto severo e cercai di girarmi di nuovo. Non sembrava contento di quello che stavo facendo.
“Gerard,” disse seccato, bloccandomi la spalla sul materasso, per non farmi muovere. “Non essere scortese.”
Non risposi, né alzai gli occhi al cielo. Lo guardai soltanto, sconfitto.
“Come stai?”
“Bene,” mentii. Non stavo bene. Stavo per morire. Mi chiesi se avrei avuto l'opportunità di salutare Frank. Forse potevo scrivergli una lettera.
Mio padre realizzò improvvisamente che mi stava stringendo molto forte la spalla, e la lasciò andare. Rotolai di fianco per guardare il muro.
“Oh, Gerard,” sospirò lui, frustrato. “Mi avevano avvisato del fatto che tu non saresti stato pronto a vedermi di nuovo.”
“Sono le stesse persone che ti hanno avvisato di dimenticarmi mentre ero a Bluestone?” chiesi d'un tratto, guardandomi alle spalle.
Sembrava imbarazzato. “Non mi sono dimenticato di te. Mi hanno detto che la tua guarigione sarebbe stata più facile se non ti fossi venuto a trovare.”
Mi morsi il labbro e scossi la testa, deluso. “Certo che sì. Grazie a dio che c'è qualcuno che pensa al posto tuo. “Oh, hey, ti hanno già detto cosa mangerai a colazione domani?” chiesi sarcastico. “O, e se ti dicessero che mangerai uova, mentre tu vuoi i cereali? Dovrai mangiare le uova?”
Sapeva di meritarlo. Mi aveva abbandonato. “Gerard, mi dispiace.”
“Non ho mai avuto nemmeno un visitatore. Mai. Sai, pensavo davvero di essere un orfano senza famiglia, lasciato in affidamento allo stato. Ma per tutto questo tempo sono stato tuo figlio, e tu non sei mai venuto a farmi visita.”
Seguì un silenzio imbarazzante. Non lo avrei mai perdonato per avermi abbandonato. Ne aveva tutto il diritto, certo, considerando ciò che avevo fatto a Mikey, ma questo non lo rendeva meno doloroso.
“Devo andare,” disse lui, rompendo il silenzio. Mi toccò con delicatezza la spalla. “C'è qualcosa che posso fare per te?”
Decisi di cogliere l'occasione per chiedergli dei miei vestiti. “Puoi farmi riavere i miei vecchi abiti?” domandai.
“Oh, no, Gerard, è qualcosa che ti devi guadagnare. Sono sicuro che te li ridaranno appena te li sarai meritati. Niente più battaglie,” disse scherzoso.
Sospirai e mi afferrai la maglietta di cotone. “Non posso indossare questa roba,” obiettai.
“Cos'ha che non va?”
“Prude ed è orrenda.”
“E allora? Comportati bene e in un men che non si dica riavrai i tuoi jeans.”
Non avevo tempo. Stavo per morire. Mi sarei dannato se fossi morto con un paio di pantofole. “Non voglio morire vestito così,” dissi scontroso.
Mio padre sembrava allarmato. “Gerard, non stai per morire. Perchè dici una cosa del genere?”
Alzai un sopracciglio. “Certo che sì. Loro potrebbero venirmi a prendere da un momento all'altro.”
Era davvero confuso. “Loro? Gerard, no! No! Loro non sono reali. Sono un'allucinazione. Loro sono la ragione per cui hai ferito Mikey. Ricordi? Non ti faranno del male, perchè non sono reali. Okay?”
Non mi aspettavo che mi capisse. Nessuno mi capiva. Loro erano reali. Stavano arrivando per prendere i miei segreti, e non c'era modo di fermarli. Anche Skull lo sapeva. Avrebbero preso i miei segreti, e il mondo sarebbe finito.
Mi fermai improvvisamente, quando ebbi un'idea geniale. Forse non potevo fermarli e sapevo che sarebbe stato altrettanto inutile cercare di non farli entrare nel mio cervello. Ma potevo controllare cosa sarebbe successo dopo che avrebbero preso i miei segreti. Potevo evitare la fine del mondo. Non potevo salvarmi, ma potevo salvare l'umanità.
Mio padre se ne andò, e ricominciai a fissare il muro. Potevo evitare la fine del mondo -solo che non ero sicuro come.
Quella sera non lasciai la stanza per andare a cena, e nemmeno per andare a colazione il mattino dopo, quindi le infermiere mi minacciarono di mettere un punto rosso accanto al mio nome, se non fossi andato alla mensa per pranzo. Il punto rosso era la cosa peggiore che ti potesse capitare in quel posto. I punti bianchi erano i migliori. Se avevi cinque punti bianchi, passavi di categoria e ottenevi dei privilegi. Se avevi più di cinque punti rossi, tutti i tuoi bianchi venivano cancellati; scendevi di categoria e perdevi i tuoi privilegi. Ne avevo già tre rossi e anche se non avevo nessun privilegio da perdere, non avevo particolarmente voglia di essere conosciuto come il ragazzo che aveva raggiunto cinque punti rossi nella sua prima settimana.
Quelli bianchi ti venivano dati se in qualche modo aiutavi a pulire l'aula di disegno. Io ne avevo solo uno, e Brendon me l'aveva dato quando mi aveva visto raccogliere una cartaccia dal pavimento. L'avevo raccolto soltanto perchè pensavo che fosse qualcosa che avessero scritto gli altri pazienti. Speravo che fosse una specie di pettegolezzo che potessi usare a mio vantaggio. I punti rossi li avevo avuti per aver soffocato Skull, per aver preso a parolacce Brendon e per aver lanciato le mie pantofole dalla piccola finestra del bagno, il primo giorno.
Alla fine me ne avevano dato subito un altro paio, quindi i miei sforzi per riavere le mie scarpe erano stati inutili, ma ne era valsa la pena. Volevo davvero sapere cose avrebbe pensato il giardiniere, trovandole nei cespugli.
Mangiai il pasto più velocemente che potessi, tenendo gli occhi bassi per tutto il tempo. Sapevo che la gente mi stava guardando. Non era un posto molto emozionante; l'avevo capito nelle prime ventiquattro ore. La mia rissa con Skull, il giorno prima, probabilmente era stata la cosa più interessante che fosse successa da molto tempo.
Appena mi misi il panino al butto d' arachidi in bocca, mi alzai e mi diressi verso la mia camere. Ero solo a un paio di mentre dalla porta, quando qualcuno saltò di fronte a me, bloccandomi l'ingresso.
“Hey!” Non capivo come tutti potessero essere così allegri in quella prigione. L'entusiasmo di quel ragazzo mi fece venire la nausea.
Cercai di allontanarmi, ma lui mi seguì. Feci un respiro profondo e cercai di non guardarlo. “Va avanti” gli dissi in modo scortese.
“Sono Pedro,” disse, porgendomi la mano. Lo guardai accigliato. Non ero lì per farmi degli amici, specialmente non qualcuno che si chiamasse Pedro.
Feci un altro passo di lato, ma lui mi copiò, ancora intenzionato a fermare il mio cammino. “Fanculo,” dissi rabbiosamente.
“Come ti chiami?” persistette Pedro, con la mano ancora stesa, in un gesto di benvenuto. “Se me lo dici ti farò passare.”
Fissai la sua faccia brufolosa. Stava mentendo? Dirglielo sarebbe stato dannoso? Avrebbe già dovuto sapere chi ero. Il mio nome era sulla Lavagna Punti, da quanto sapevo. Il mio nome era quello con tutti i punti rossi. Non si poteva non vedere.
“Gerard,” risposi scontroso.
Pedro sorrise. “Piacere di conoscerti, Gerard,” disse lui, mettendo più avanti la mano, cercando di stringere la mia. Non vedevo nessun lato negativo in una stretta di mano, quindi presi la sua e la strinsi con forza, cercando di intimidirlo. Lui improvvisamente mi strinse il polso con l'altra mano e mi fece quasi cadere, inclinandomi verso di lui. Raggiunse la mia mano libera e la prese con fermezza, scrutando attentamente il mio palmo con i suoi occhi spenti.
“Ma che cazzo?” mi opposi, tirando indietro la mano.
Pedro sembrava infastidito. “Voglio solo leggerti il palmo,” disse, allungandosi per riprendermela di nuovo. Velocemente misi la mano nella tasca del pigiama.
“Fanculo,” dissi in modo acido, continuando a camminare.
“Si chiama Chiromanzia. E' una vera e propria arte,” mi informò lui, correndo per raggiungermi. Mi scosse la mano davanti al viso. “Vedi queste linee?” mi chiese, facendo passare un dito al centro del suo palmo. “E' chiamata Linea del Cuore. Esprime le tue emozioni, specialmente l'amore. Sei mai stato innamorato? Scommetto che posso dirtelo guardando la tua linea.”
Mi fermai per guardare Pedro, e il suo entusiasmo contagioso. La Chiromanzia era un trucco. Ero sicuro che non si potesse dire a qualcuno di essere stato innamorato soltanto leggendo la linea della sua mano? “Allora vai,” dissi consenziente, porgendogli la mia mano sinistra.
Perdo la strinse con forza e con leggerezza fece correre le dita sul mio palmo. “Vedi questa?” disse, tracciando una scia sulla linea superiore. “Questa è la tua Linea del Cuore.” Mi guardò e sorrise. “Sei innamorato,” disse risoluto.
“Sì,” ammisi con imbarazzo.
“Di un ragazzo,” continuò.
Spalancai gli occhi. “Come fai a dirlo dal mio palmo?” chiesi, sorpreso.
Pedro sembrava divertito. “No. Jonas ti ha chiamato frocio. Significa soltanto una cosa, sai?”
“Fanculo Jonas,” grugnii, portando indietro la mano.
Lui la prese di nuovo. “Non ho finito,” disse con tono di disapprovazione, continuando ad analizzare il mio palmo. “Ora, la prossima è la tua linea della vita. Ti dice quando morirai.” Mi lasciò andare la mano e me la mostrò. “Vedi?” disse, indicando la sua. “Questa mi dice che vivrò sessantasette anni. Morirò di infarto miocardico.”
Ero convinto che il novantacinque percento di ciò che diceva Pedro fossero stronzate. L'altro cinque percento era di dubbio, ma ero incredibilmente curioso. Sarei morto presto. Nessuno lo sapeva tranne me. Se Pedro era un vero chiromante, mi avrebbe detto quando sarei morto. Gli presentai il mio palmo e gli chiesi di leggere la mia linea della vita.
Pedro sembrava preoccupato. “Gerard, molte persone non vogliono sapere quando moriranno. O come. E' una cosa grossa, sul serio. Potrebbe mandarti in pezzi. Ho detto a Mel che sarebbe morta esattamente dopo una settimana e indovina cosa è successo una settimana dopo? E' morta.
“Fallo,” gli ordinai.
Con riluttanza, prese il mio palmo e lo esaminò. Poi, dopo un minuto, cominciò a dare di matto. Lasciò andare la mia mano come se fosse una granata, e si allontanò timorosamente da me.
Anche io mi spaventai. “Cosa?” domandai con urgenza. “Cosa dice?”
Pedro si afferrò la testa. “Gerard!” disse lui, nel panico. “Non ne hai una!”
“Che cazzo vuol dire?” chiesi, con il cuore che cominciava a battermi veloce. Mi guardai i palmi, in attesa di risposta.
Si guardò attorno, nervoso. “Gerard, non hai una linea della vita.”
Stava per caso dicendo che ero già morto? Ero uno zombie? Non capivo.
“La morte sta arrivando a prenderti, Gerard!” Pedro cominciò ad allontanarsi da me, come se volessi ucciderlo. Si girò a guardarmi solo una volta.
“Aspetta!” lo chiamai, cercando di raggiungerlo. “Come morirò?” lo implorai. Volevo essere pronto.
Pedro esitò per un secondo. “Il tuo cervello esploderà, Gerard. Mi dispiace.” se ne andò, lasciandomi davanti alla porta della mia camera, in stato di shock.
Feci un passo di lato per appoggiarmi al muro. Le mie ginocchia stavano per cedere e mi sentivo svenire. Il mio cervello sarebbe esploso. Anche Pedro sapeva che Loro stavano arrivando per aprirmi la testa. Non avevo una linea della vita; ero già morto. Velocemente mi rimisi in piedi e andai a cercare la Dottoressa Malefica. Dovevo convincerla a trasferirmi in un' altra clinica. Avevo bisogno di più tempo per pensare a un modo per nascondermi da Loro.
Brock era molto diversa da Bluestone e i dottori non erano immediatamente raggiungibili. A Bluestone potevo entrare nell'ufficio di Markman quando volevo. Invece qui dovevo parlare prima con una segretaria.
“Hai un appuntamento?” chiese la segretaria, guardandomi attraverso gli occhiali.
“No, ma è urgente. Devo vedere la dottoressa. Immediatamente. E' questione di vita o di morte.” Letteralmente.
Lei scosse la testa. “Mi dispiace, ma in questo momento la Dottoressa Morgan non è raggiungibile. Vuole lasciarle un messaggio?”
“No!” dissi scocciato, sbattendo i piedi per terra come un bambino. “Per favore, solo cinque minuti.”
“Che succede, Gerard?” alzai lo sguardo e vidi la Dottoressa Malefica che mi fissava dall'entrata del suo ufficio. Mi sforzai di calmarmi. “Devo parlarle.”
Lei annuì. “Okay, avanti,” disse gentilmente, facendomi cenno di entrare.
Feci un grande sospiro di sollievo e mi affrettai ad entrare nella stanza. Mi sedetti sul divano di pelle. La dottoressa mise una sedia vicino a me e si sedette.
“Sono abbastanza sorpresa che tu voglia parlare con me,” disse. “Non hai mai mostrato interesse per questa cosa, in passato.”
“Devo essere trasferito,” dissi schiettamente, ignorando la sua osservazione sulla mia solita assenza di partecipazione alla terapia.
“Ah,” disse lei, annuendo come se si aspettasse che dicessi una cosa del genere. “Perchè Loro stanno venendo a prenderti? Corretto?” mi derise. Non capiva quanto fosse potente la loro organizzazione. Non capiva che il mondo era in pericolo.
“Sì,” risposi, stringendo insieme le mani con forza. “Come fa a saperlo?”
“Tuo padre mi ha detto che avevi l'impressione che Loro stessero per venirti a prendere,” disse, perforandomi con gli occhi.
Come aveva potuto dirle tutto! Non ne aveva il diritto. Scacciai il bisogno di lamentarmi. Avevo cose più importanti di cui discutere. “Allora, quando posso trasferirmi? Andrò da qualsiasi altra parte.”
“Non ti trasferirò,” disse lei.
Chiusi gli occhi e contai fino a dieci. Una volta riaperti, dissi di nuovo, “voglio essere trasferito. Dove posso andare?”
La dottoressa scosse la testa. “Non andrai da nessuna parte, Gerard. Mi dispiace.”
Mormorai un fiume di improperi. Era un disastro. Perchè non capiva cosa sarebbe successo?
“Gerard, voglio leggerti una cosa.” disse lei, prendendo un foglio dalla dal cassetto della scrivania. Me lo porse. Lessi con disgusto le prime righe:
'Tipi di Schizofrenia: Schizofrenia Paranoide -Queste persone hanno molto sospetto per gli altri e spesso hanno grandi manie di persecuzione alla base del loro comportamento. Allucinazioni, e molto più frequentemente illusioni, sono una parte prominente e comune della malattia.'
“Suona familiare, Gerard? Grandi manie di persecuzione? Ti ricorda qualcosa?
“Se si riferisce a Loro, si sta sbagliando,” dissi con rabbia.
“Davvero?” chiese. “Qualcun altro ha mai visto Loro, Gerard? Hai detto che ti sono venuti a trovare parecchie volte. Perchè nessun altro li ha visti? Gerard, tu li hai descritti come soldati di un esercito. Perchè nessun altro ha mai visto dei soldati dell'esercito girovagare attorno alla clinica?”
Non era ovvio? “Le persone sono accecate dai propri problemi. Perchè dovrebbero badare ai miei?” dissi.
“Allora, neanche Frank li ha mai visti? Era lì quando tu pensavi che Loro ti avessero trovato, no? Non lo stavi stringendo quando gli hanno puntato una pistola alla tempia? Perchè lui non li ha visti? A lui importa di te. Gli importa dei tuoi problemi. Non avrebbe dovuto vederli. Infatti, non li ha visti. Forse non li ha visti perchè non sono mai esistiti?”
Avevo gli occhi bagnati di lacrime. Non volevo ascoltarla. Non sapevo perchè Frank non li avesse mai visti. Non ci avevo mai pensato prima. Mi diceva sempre che Loro non erano reali. Forse non lo erano davvero. “Perchè io li ho visti, se non c'erano veramente?” chiesi. Ero così confuso. Non capivo. Ero del tutto pazzo. Non sapevo più cosa fosse reale.
“Perchè soffri di una malattia mentale chiamata schizofrenia. Hai delle allucinazioni. Loro sono un'allucinazione. Jasper è un'allucinazione.”
“Ma Pedro ha detto...” cominciai, e la Dottoressa Malefica mi guardò esasperata.
“Ti ha detto che stai per morire?” chiese.
Come faceva a saperlo? Annuii cautamente.
“Pedro mi ha detto che sarei stata sbranata da un orso in campeggio all'età di trentacinque anni. Indovina quanti anni ho, Gerard?” chiese.
Mi chiedevo se fosse una domanda a trabocchetto. Non volevo dire un'età che fosse troppo alta. Non volevo che si arrabbiasse con me per aver detto che sembrava più vecchia di quanto in realtà fosse. Feci spallucce.
La dottoressa incrociò le braccia. “Farò trentotto anni fra due mesi. Non ho mai visto un orso in vita mia, e odio il campeggio.”
“Quindi?”
“Quindi? Pedro si inventa le cose. Dice bugie. Gli piace spaventare la gente dicendogli quando moriranno. Ti ha detto quando morirà lui? A me ha detto che morirà per mano di cannibali metropolitani dei tempi d'oggi. Molto fantasioso.”
A me aveva detto che sarebbe morto di arresto cardiaco. Quel fottuto testa di cazzo. Come aveva osato inventare stronzate su di me? Mi guardai i palmi, e poi le linee. Non sapevo quale fosse quella della vita, ma probabilmente non era inesistente, come diceva Pedro. Forse non ero ancora morto, dopo tutto.
“Non distrarti ora, Gerard. Sai cosa voglio dire quando ti dico che soffri di Schizofrenia?”
Scossi la testa. “Non ne voglio parlare,” dissi, coprendomi le orecchie con le mani. Non volevo sentire più quella parola: Schizofrenia. Era tutto ciò di ci aveva parlato Markman. Era sempre: ho questo disturbo, oppure ho una malattia. Aveva tentato di convincermi che ero difettoso -ma non lo ero. Il mio cervello era perfetto -ecco perchè ero stato scelto per custodire i segreti. Non sarei mai stato scelto se avessi avuto qualche problema al cervello.
“Gerard,” disse la dottoressa con delicatezza, togliendomi le mani dalla testa.
“Mi trasferirà?” chiesi. Lei scosse la testa. Mi alzai. “Me ne andrò nella mia stanza,” dissi, uscendo fuori. Mi fermai alla porta e mi girai a guardarla. “A morire,” aggiunsi, per un effetto drammatico.
Passai i tre giorni successivi rannicchiato sul mio letto, guardando il muro. Li aspettavo. La Dottoressa Malefica venne a vedere come stavo almeno dieci volte. Provò di tutto per farmi uscire dalla stanza, ma mi rifiutai. Avrei aspettato lì fino alla fine.
Mi ero arreso. Non avevo la più pallida idea di come poter salvare il mondo, ma non mi importavo molto, comunque. Non avevo neanche scritto la mia lettera a Frank. Mi chiedevo se pensasse a me tanto quanto io pensavo a lui. Probabilmente no.
Mentre giacevo nel mio stato di rassegnazione, combattendo il sonno, decisi di passare attraverso i miei ricordi. Ne trovai uno delle mie prime settimane a Bluestone. Stavamo guardando un film. Non riuscivo a ricordare il titolo. Tutto quello che sapevo era che si trattava di un' orribile commedia romantica. C'era una scena, comunque, che era rimasta impressa nel mio cervello. La protagonista si era addormentata sul letto, e il suo amore si era sdraiato su di lei, e ricordavo chiaramente che l'avesse svegliata con un bacio devoto sulle labbra. Dopo che si era svegliata, vissero tutti felici e contenti. Era un film di merda.
Pensavo che le cose da film non succedessero mai nella vita reale. Ma ovviamente mi sbagliavo. Perchè mi sbagliavo? Perchè Frank mi stava dando il bacio del risveglio in quel momento. Anche se i miei occhi erano chiusi, sapevo che era lui. Riuscivo a sentire il suo odore. Ed era fantastico.
Aprii gli occhi e strinsi le braccia attorno a Frank, abbracciandolo stretto. Lo allontanai e lo sdraiai sul materasso. Poi mi sdraiai anche io, quasi sopra di lui, baciandolo per davvero. Mi fermai solo per chiedergli “Perchè sei qui?”
Lui alzò le spalle. “La Dottoressa Morgan ha detto a Markman che eri davvero depresso. Allora Markman me l'ha detto, e mi ha chiesto se potevo venirti a trovare. E io ho detto di sì.”
“Non sono depresso,” obiettai debolmente. Forse sì, non ne avevo idea. In ogni caso l'avrei negato.
Frank si morse il labbro. “Bhè, parli del fatto che stai per morire, Gerard. E' una cosa abbastanza deprimente.”
“E' vero.”
Lui non rispose, né dibatté. Prese la parte inferiore della mia testa e mi avvicinò per potermi baciare di nuovo.
“Come stai?” lo interruppi. Non era che non volevo stare lì per sempre con Frank a baciarlo. Era che avevo un sacco di cose da dirgli, prima che se ne andasse. Non poteva restare a lungo. I tempi di visita in quel posto erano molto brevi, specialmente per persone come me che non avevano nessun privilegio.
Frank annuì. “Sto bene,” disse.
“Non mentire,” lo avvertii, e lui sembrò irritarsi.
“Quindi non mi è concesso stare bene?” chiese.
“Non ti è concesso dire che stai bene quando non è così.” Non poteva stare bene per davvero. L'ultima volta che l'avevo visto era ancora afflitto.
Frank mi allontanò e si mise a sedere. “Che ne sai di come sto? Non sai nulla di me da due settimane.”
“E' questo il punto!” insistetti. “Sono solo due settimane. Non può succedere nulla in due settimane.”
Sembrava arrabbiato. “Possono succedere molte cose in due settimane,” si oppose.
Non gli credevo. “Per esempio?” Forse si era fatto un nuovo amico. Forse aveva conosciuto qualcuno di nuovo. Forse questa persona era più di un amico. Forse aveva trovato qualcun altro da amare.
“Molte cose, okay?”
Annuii. Mi ero sbagliato. Era ancora afflitto. Pensavo di poterlo mettere a posto, ma avevo fallito. Avevo fallito come per qualsiasi cosa che avessi fatto. Avevo fallito anche come custode dei segreti.
“Cosa c'è che non va?” chiese lui. Era bravo a capire quando stavo soffrendo.
Mi sedetti contro il muro, portandomi le ginocchia al petto. “Ho fallito.” Ero un perdente. Non sapevo nemmeno perchè Frank fosse venuto a trovarmi. Non capivo proprio perchè volesse vedermi. Gli avevo detto che l'avrei guarito, e lui mi aveva lasciato scopare con lui, credendo che questo lo avrebbe rimesso a posto.
Improvvisamente Frank mi prese la mano e la premette sul suo petto. “Cosa stai-?” dissi. L'ultima volta che qualcuno mi aveva preso la mano, avevo scoperto che il mio cervello sarebbe esploso.
“Shhh!” disse a voce alta, posandomi due dita sulle labbra. “Lo senti?” chiese. Si avvicinò a me, piegandomi il braccio.
In quell' esatto momento ero davvero perplesso su cosa stesse cercando di comunicarmi. Scossi la mano, ma Frank non si mosse. Rimosse il mio palmo dal suo petto per togliersi la maglietta. Poi portò di nuovo la mia mano su di sé, ma questa volta non c'erano vestiti a contatto con la nostra pelle. “Lo senti?” chiese di nuovo.
“Sento il tuo cuore che batte?” dissi lentamente, confuso.
Frank sorrise. “Esattamente.”
“Huh?”
“Il mio cuore sta battendo, Gerard.”
Annuii. “Bhè, sì, se non battesse saresti morto,” dissi in modo ragionevole.
Sospirò. “Gerard, ho aspettato che il mio cuore ricominciasse a battere per almeno due anni.”
Oh. Oh. Non diceva in modo letterale. Mi sentii abbastanza stupido.
“Ho aspettato per tantissimo tempo. Ha smesso di battere perchè mi sentivo morto. Mi sentivo così disgustoso, sporco e me ne vergognavo, mi sentivo violentato e il mio corpo si è spento. Non volevo vivere più e sembrava che il mio cuore avesse smesso si battere. E' stato fermo per così tanto che pensavo sarebbe rimasto così per sempre.” Sembrava davvero triste, riportando a galla quel ricordo. Mi diede un colpetto sul braccio. “Ma poi sei arrivato tu, con le tue stupide teorie e la tua stupida faccia, e hai cominciato ad aiutarmi!” Premette la mia mano più forte sul suo petto. “Sei arrivato e sei riuscito a farlo battere per un paio di secondi, e per quei preziosi secondi io mi sono sentito vivo. Ma poi si è fermato e io sono tornato ad essere morto.”
Lentamente alzai la mano libera per toccare la sua guancia.
“Poi è ricominciato di nuovo. Non ricordi? Mi hai chiesto perchè il petto mi facesse male? Non mi faceva male. Era la migliore sensazione del mondo. Gerard, io non sono ancora morto. Riesco a sentire il cuore battere tutto il tempo. Mi sento vivo, tutto il tempo. Gerard, tu...”
“Ti ho guarito,” dissi, incredulo.
Sì,” disse lui a voce bassa. “Gerard, sto bene. Starò bene.”
Mi avvicinai e lo presi fra le mie braccia. Non pensavo che sapesse davvero quanto significava per me sentigli dire tutto questo. Non sarei morto preoccupandomi ancora per lui, e questo mi confortava immensamente.
Frank mi restituì l'abbraccio, più stretto di quanto avesse mai fatto. Era l'abbraccio d'addio. “Markman mi dimette,” mormorò sul mio petto.
Non avevo nulla da dire. Premetti le labbra sulla sua testa e sperai che non vedesse la piccola lacrima che mi stava scorrendo sulla guancia. Lo avevo guarito. Avevo distrutto Mikey, ma avevo guarito Frank. Mi sentivo come se avessi ripagato qualche debito del karma con l'universo. Avrei dovuto sapere fin dall'inizio cosa avevo fatto a Mikey. Forse era stato perchè ero stato troppo impegnato a un modo per guarire Frank. Per tutto quel tempo avevo cercato di trovare un modo per farmi perdonare da mio fratello.
“Ti amo.”
Aveva il viso sepolto sul mio petto, ma lo spostai per baciarlo. Non mi importava se vedeva quelle stupide lacrime e la mia debolezza. Lo amavo più di qualsiasi altra cosa. Lo avevo guarito.
“Ti amo,” ripetè lui, con le labbra ancora premute sulle mie. Lo aveva detto per la prima volta. Mi amava.
Frank restò abbracciato a me fino a quando l'infermiera arrivò per farlo andare via. Ora era davanti alla porta, con i capelli arruffati e la maglietta arricciata sulla vita.
“Ciao, Gerard,” disse con tristezza.
“Ti amo,” gli ricordai, e lui sorrise gioiosamente.
“Ci vediamo dopo?” chiese, aprendo la porta.
Scossi la testa. Non l'avrei visto più tardi. Frank si morse il labbro e annuì. “Giusto,” disse, ricordando la rivelazione sulla mia morte imminente. “Bhè, sappi solo che ti amo, okay? Ti amo e starò bene. Okay?”
Annuii. Frank si alzò in piedi per baciarmi un' ultima volta, poi se ne andò.
Toccai la porta, sfiorandola come una ragazzina. Il mio cuore era troppo pieno per rompersi, ma riuscivo già a sentire le crepe che si formavano. Non ebbi il tempo di rimuginare sul mio ultimo incontro con Frank, perchè la mia ombra contro la porta tremò, offuscata da qualcuno che si era messo davanti alla finestra.
Mi girai, cercando con paura la finestra. Molte altre ombre si erano posate di fronte al vetro. Una delle figure era così prominente che riuscivo a vedere la sua maschera bianca. Ero senza fiato, il mio battito cardiaco era accelerato, ma non restai fermo. Improvvisamente sapevo come salvare il modo. Sapevo certe cose, ricordate?
Aprii il mio quaderno e premetti la matita sul foglio. Scrissi esattamente ventiquattro parole. Ventiquattro parole avrebbero salvato il mondo. Tornai sui miei passi e aprii la porta. Avevo appena fatto tre passi verso l'ufficio della Dottoressa Malefica, quando qualcuno chiamò il mio nome.
Mi girai e vidi Markman camminare verso di me. Non ero mai stato così felice di vedere quella donna in tutta la mia vita. La raggiunsi, con il pezzo di carta ancora stretto in mano.
“Gerard,” disse amabilmente Markman. Presumetti che fosse contenta di vedermi fuori dal mio letto.
Non avevo tempo per le gentilezze. Piegai il foglio in due, rendendolo delle dimensioni di una carta da gioco, e glielo porsi. “Non lo legga fino a quando non sarò morto,” le ordinai.
Sembrava sorpresa. “Scusa?” disse, abbassando lo sguardo verso il pezzo di carta.
Glielo misi in mano. “Per favore, non lo legga fino a quando non sarò morto. Se lo legge prima rovinerà tutto. Capisce?”
Markman mi toccò il braccio. “Gerard, perchè parli della tua morte?”
“Me lo prometta!” esclamai, guardandomi attorno nervosamente. Loro stavano arrivando. Erano lì fuori. Non avevo più tempo.
Lui accettò il foglio con cautela. “Cos'è questo?” chiese.
“Non lo legga fino a quando non sarò morto. L'ha capito?”
Annuì. “Certo,” disse. “Ma Gerard, lo sai che vivrai molto pià di me, non avrò mai l'occasione di leggerlo. Me ne andrò prima che sia il tuo turno.”
“Il mio turno è arrivato,” dissi fermamente, cominciando ad allontanarmi. Markman mi seguì nella mensa. Vidi Skull seduto a uno dei tavoli. Alzò lo sguardo verso di me e sogghignò.
In quel momento capii che era lui la loro spia. Era quello di cui Jasper mi aveva avvertito. Lo avrei ucciso prima che Loro avessero ucciso me.
“Gerard!” disse Markman persistente. Mi ero dimenticato di quanto fosse persistente. Normalmente potevo accettarlo, ma ora? Ero pronto a farla cadere per terra. “Cos'è questo? Se non me lo dici lo aprirò.”
Sapevo che probabilmente sospettava che fosse una lettera di suicidio. Probabilmente pensava che con tutto questo parlare della mia morte, avessi programmato di uccidermi. Non mi sarei mai suicidato. Non potevo fare una cosa del genere a Frank; sarebbe stato da egoisti. Ma non volevo che leggesse il foglio, quindi mi girai a guardarla.
“E' uno dei miei segreti,” dissi a voce bassa, in modo che Skull non potesse sentire.
Markman alzò un sopracciglio, sorpresa. “E lo stai affidando a me? Perchè?”
“Perchè lei è l'unica che può farlo. Lei è forte e intelligente. Frank non è pronto. Non voglio dare a lui questo peso. Mi dispiace di averlo dato a lei, dottoressa, ma non posso lasciare che Loro li prendano tutti. Se succedesse...” mi fermai e lanciai uno sguardo velenoso a Skull. “Il mondo finirebbe e tutti quanti morirebbero. Frank morirebbe. Non voglio che lui muoia.”
“Gerard, nessuno morirà.”
Lui sì,” dissi, prima di gettarmi su Skull. Mi stava aspettando. Mi aspettava da settimane. Si alzò in piedi mentre io mi avvicinavo a lui. Chiusi la mano in un pugno e la schiantai contro la sua faccia. Lui cadde all'indietro. Non avevo un coltello o una pistola, quindi dovevo finirlo con le mie mani. Ero molto bravo con le mani.
Skull si rimise in piedi, alzando le braccia sulla faccia per proteggersi. Lanciai il mio pugno destro di nuovo, ma non ebbi l'occasione di fare altri danni. Qualcuno mi prese per i bicipiti, trascinandomi indietro. Mi divincolai, cercano di scappare da quella presa, ma riuscii solo a farmi del male. Skull non si era ancora ripreso, ma fece un passo verso di me. Mi prese la testa e la sbattè con violenza sul tavolo di metallo. Il buio seguente fu qualcosa di terrificante.

 

***



Quando mi svegliai, mi accorsi di non poter muovere le braccia. Riuscivo a sentirle, ma erano legate così strettamente al letto che non riuscivo a muovermi nemmeno di un centimetro. Cercai di spostare le gambe, ma anche quelle erano legate. Non avevo idea di dove fossi. La stanza era completamente vuota, fatta eccezione per me e per il letto. Le pareti erano bianche e il soffitto era alto. Anche l'unica finestra nella stanza era alta, completamente irraggiungibile da essere umano. Questo avrebbe dovuto confortarmi, se non fosse stato per il fatto che Loro non erano umani.
La testa non mi faceva per niente male. Questo mi sorprese. Mi aspettavo un gran dolore, dopo che Skull mi aveva sfracassato la testa sul tavolo. Fottuto coglione. Almeno ero riuscito a dargli un bel pugno, prima che il suo amichetto riuscisse a impedirmelo. Il suo naso sanguinava -forse glielo avevo rotto? Il pensiero mi rallegrò. Un naso rotto sarebbe stato benissimo con la sua brutta faccia da traditore.

Chiusi gli occhi per un minuto. Frank sarebbe stato bene. Potevo vederlo nei suoi occhi. Era di nuovo vivo. Ce l'avevo fatta. Lo avevo guarito. Aprii gli occhi e non mi sorpresi di vedere Jasper appoggiato al muro.
“Tu,” dissi acidamente. Lo stavo aspettando.
“Io,” rispose lui con arroganza, alzando lo sguardo.
Seguii il suo sguardo e sobbalzai quando il vetro della finestra cadde in mille pezzi. Sentii i frammenti cadere per terra, e guardai mente Loro cominciavano a strisciare attraverso la finestra, sul pavimento. Erano esattamente come me li ricordavo. Comunque, non ero spaventato nel vederli riempire ogni centimetro della stanza con le loro divise scure e le loro facce senza lineamenti. Non ero spaventato perchè sapevo di averli sconfitti. Non lo sapevano ancora, ma io sì, e questo placava ogni mia paura.
Il loro capo fece un passo in avanti dalla massa e si mise davanti al mio letto. Mi sogghignò, piegando le labbra della maschera nella stessa posizione.
“Ciao, Gerard,” disse piano, con la sua voce indelebilmente roca. In lontananza, vidi Jasper ridere di me. £Hai paura?” chiese, tirando fuori tranquillamente un bisturi dalla tasca della sua veste antiproiettili.
Scossi la testa e il suo ghigno si affievolì. Si avvicinò lentamente e mi toccò leggermente la fronte con il bisturi.
“Stai sprecando il tuo tempo,” mi sforzai di dire. Avevo mentito prima. Ero spaventato. Ero terrorizzato. Ero abbastanza sicuro che me la sarei fatta addosso. Li avevo già affrontati prima, ma non ero mai stato così fottutamente indifeso.
“Oh?” disse il capo, divertito, facendo correre le dita coperte sulla mia guancia.

“Ne ho dato via uno,” dissi, lanciando a Jasper uno sguardo vendicativo.
Il sorriso del capo sparì completamente. “Stai mentendo,” disse immediatamente, girandosi a guardare Jasper.
Quello fece un passo avanti, puntando il dito verso di me. “Stai mentendo. Non ne daresti mai via uno! Ti ho detto che saresti morto se mai l'avessi detto a qualcuno. Due persone non possono sapere lo stesso segreto! Stai mentendo. Saresti morto se ne avessi ceduto uno.”
“Bhè,” dissi freddamente. “Immagino che vogliate darci un'occhiata, non è vero?”
Il capo fece immediatamente un passo avanti e mi prese per i capelli, per tenermi la testa ferma. Poi mi trapassò la pelle con il bisturi, come se stesse tagliando il burro.
Era il dolore più atroce che avessi mai sentito in tutta la mia vita. Era come essere preso ripetitivamente a calci sulla testa. Il dolore stava scivolando in modo insopportabile all'interno del mio cranio. La mia coscienza divenne vaga mente il capo continuava a tagliare e cominciava a togliere tutti i segreti che avevo protetto per una vita intera. Improvvisamente sentii salirmi la nausea ed ebbi giusto il tempo di girare la testa e vomitare sul cuscino. Il capo sembrava posseduto mentre raspava dentro il mio cervello. Sapevo che stava contando i segreti, ma non poteva contarli tutti. Non avrebbe mai trovato il numero nove. Il numero nove se n'era andato. Attualmente era in possesso di Markman. Non lo aveva ancora letto, ma dopo aver scoperto che ero morto l'avrebbe fatto, e il segreto sarebbe passato a qualcun altro.
Mi sentivo colpevole ad aver messo in pericolo Markman, passandole il segreto? Sì, mi sentivo incredibilmente colpevole. Ma lei era l'unica altra opzione. Non avrei mai potuto darlo a Frank. Quei segreti avevano preso tutta la mia energia e alla fine, anche tutta la mia vita. Non avrei mai potuto fargli una cosa del genere. Lo amavo troppo. Markman sapeva badare a se' stessa. In più, Jasper sapeva che la odiavo, quindi non avrebbe mai sospettato del fatto che avrei affidato a lei i miei segreti. Senza 
tutti i segreti, Loro non potevano fare nulla. Il mondo era in salvo. Frank era in salvo.
Il capo ringhiò con furia quando capì che non avevo mentito. Non sapevo quanto a lungo sarei riuscito a tenermi sveglio. Stavo cadendo sempre di più in stato di incoscienza. Sentivo come se stessi in caduta libera verso le tenebre, anche se il mio corpo era inchiodato stretto al letto. Poi, proprio quando pensavo di cadere nel buio eterno, mi risvegliai sentendo Jasper e il capo litigare violentemente. Tutti gli altri si stavano muovendo nervosamente nella propria fila, realizzando che la loro ricerca durata quasi due decadi era finita in modo negativo e improvviso.
Ogni volta che mi riprendevo, era come se avessi raggiunto la fine di una corda elastica. Sbattei rapidamente gli occhi e il cuore mi battè fortissimo, alla ricerca di una speranza. Gli occhi mi lacrimavano per il dolore violento. Sperai disperatamente di poter fermare questa ripresa di coscienza. Volevo solo che la corda si rompesse.
Il Loro capo si profilò minacciosamente davanti al mio viso. “Dov'è?” urlò, tenendomi stretto per il collo, costringendomi a guardarlo. Lo fissai accigliato, non comprendendo a pieno le sue parole. Mi dimentai flebilmente, ma all'improvviso realizzai che tutta la parte sinistra del mio corpo si era intorpidita in maniera preoccupante. Non riuscivo a controllare la parte sinistra del mio viso e la mia visuale si stava annebbiando. Mi sentivo strano. Percepivo le lacrime che mi scendevano dagli occhi. Non capivo cosa mi stesse succedendo.
Capivo, comunque, che stavo morendo.
Il capo cominciò a gridare e ad urlarmi in faccia, ma non riuscivo nemmeno a capire cosa stesse dicendo. Sembrava che parlasse in un'altra lingua. Non mi faceva più paura.
Crollai di nuovo, ma capii che sarebbe stata l'ultima volta; mi sentivo trascinare giù. Loro mi stavano trascinando giù, verso il buio eterno. Il mio cervello continuò a tenermi sveglio, ma sapevo che non poteva continuare per sempre. Alla fine avrebbe ceduto. Quando fosse successo, Loro mi avrebbero avuto. Per sempre.
Sorrisi pensando a Frank. Pensai ai lui quando la corda finalmente si spezzò, e io caddi. Questa volta sapevo che non mi sarei svegliato. Il mio cervello aveva ceduto. Questa volta Loro mi avevano. Sapevo che mi avevano. Sapevo che non mi sarei svegliato. Non questa volta. Mai più. Lo sapevo.
Sapevo certe cose.
Ricordate?

 

 

 

Note di traduzione: *Skull, ovvero teschio/cranio in inglese.

  
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