Appiattita contro una delle colonne
del portico dell’università Jude
sospirò, alzando il viso verso la spessa
coltre di nubi che copriva il cielo.
Era
la prima volta che nevicava
quell’anno e Jude aveva interpretato il semplice avvenimento
meteorologico come
un presagio di malaugurio. Quella neve, quel cielo scuro che tanto
odiava, la
stava sbeffeggiando, ricordandole che quello stesso pomeriggio avrebbe
perso il
lavoro.
Perché
l’avrebbe perso, lo sentiva,
e non si sarebbero limitati a licenziarla, ma le avrebbero anche
consegnato il
premio come imbecille-lancia-cappuccini
dell’anno.
-sono
pronta, andiamo?- Elle la
raggiunse mentre era ancora intenta a riporre i libri nello zaino.
-certo-
borbottò cominciando a
scendere gli scalini
-va
tutto bene?- Elle doveva essersi
accorta del suo malumore, visto che di solito Jude era piuttosto loquace
-no,
mi licenzieranno- disse secca
lei e Elle si accigliò
-cos’è
successo?-
Jude
sbuffò concentrando il suo
sguardo sulle sue scarpe.
-ho
buttato un cappuccino addosso ad
un cliente- sussurrò imbarazzata
-beh
sono cose che capitano, sei
nuova e devi ancora ambientarti, vedrai che non sarà
così tragica- Elle cercò
di consolarla, ma non conosceva ancora gli avvincenti dettagli della
vicenda.
-il
fatto è che…- come poteva
spiegarle di essere una pazza psicopatica?
-…ecco…quel cappuccino…non mi
è casualmente caduto di
mano-
Elle
alzò entrambe le sopracciglia,
intuitiva –vuoi dire che gliel’hai buttato addosso
di proposito?-
Jude
si limitò ad annuire mentre per
l’ennesima volta, dentro di se, si dava
dell’idiota. Si era abbondantemente
pentita di quello che aveva fatto, ma ormai era troppo tardi per
tornare
indietro. Ci aveva pensato tutta la notte e la cosa che più
l’aveva irritata
era il fatto che quel gesto non era affatto da lei. Lei che era sempre
così
sorridente, disponibile verso il prossimo, che trovava sempre qualcosa
di buono
in tutti, che credeva che ci fossa
ancora qualcosa di buono in tutti, come poteva aver avuto quello scatto
di rabbia?
Certo, non che quel ragazzo non avesse fatto niente per meritarselo.
Jude non
aveva mai visto un ragazzo tanto bello quanto viziato e forse, quando
gli aveva
tirato quel cappuccino addosso, era solo arrabbiata con se stessa per
essersi
sentita attratta per un istante da quel troglodita senza un minimo di
educazione.
-perché
l’hai fatto?- Elle sembrava
sorpresa, come lo era lei stessa tra l’altro
-quel
ragazzo era un vero
maleducato- si limitò a borbottare lei, senza addentrarsi
nei dettagli
-e
credi che abbia avvertito il tuo
capo della cosa?-
Jude
storse il naso –a giudicare dal
tipo, di certo non si terrà la cosa per se-
sospirò –gli ho offerto su un
piatto d’argento l’occasione di provare che aveva
ragione sulla mia
professionalità- sussurrò sta volta
più a lei che all’amica.
-cosa
vuoi dire?- chiese Elle
confusa, ma ormai erano arrivate a destinazione
-lascia
stare- si fermarono di
fronte alla biblioteca –augurami buona fortuna!-
urlò Jude mentre attraversava
la strada, andando incontro al suo destino.
Nei
pochi metri che separavano la
biblioteca da Frankie’s Jude immaginò diverse
situazioni, che finivano sempre
con il suo licenziamento.
Quella
mattina aveva controllato il
suo cellulare una decina di volte, aspettandosi una chiamata da parte
di Frankie
che la invitasse a non presentarsi al lavoro quel pomeriggio, ma il suo
cellulare era rimasto muto, probabilmente era uno che preferiva
sbrigare le
cose faccia a faccia e non parlarne a telefono.
Prese
un respiro profondo prima di
aprire la porta in legno laccata di giallo –che
stonava completamente in quell’ambiente- e
stringere le mani in due pugni.
-Jù!-
l’apostrofò Frankie facendola
sobbalzare nonostante avesse usato un tono calmo
Jude
passò a rassegna l’intero
locale, cercando di trovare qualcosa di diverso, un segno, prima di
postare lo
sguardo su Frankie che –a differenza
del
suoi pensieri, dove l’aveva immaginato rosso in viso, con un
espressione
furibonda- la guardava con un gran sorriso sotto i folti
baffi.
-‘giorno
Frankie- salutò avvicinandosi
sospettosa al bancone
Perché
le sorrideva in quel modo? Si
stava forse prendendo gioco di lei?
-sei
in anticipo oggi- commentò
pulendosi le mani sul grembiule una volta bianco –meglio
così, ci sono già
alcune consegne che aspettano-
Cosa?
Consegne? E cosa ne era stato
del suo licenziamento?
Jude
annuì lentamente, ancora
confusa, mentre Frankie le posava la solita busta di cartone tra le
braccia.
-va
tutto bene?- era la seconda
volta che qualcuno glielo chiedeva
-certo-
ma il suo tono di voce era incerto
e l’uomo piegò la testa di lato, come se
così potesse studiarla meglio.
-mi
sembri un po’ pallida- constatò
in fine
-è
il freddo- mentì lei.
Se
lui stesso non sollevava la
questione, perché avrebbe dovuto farlo lei?
Si
avviò per la strada completamente
in trance, mentre muoveva i piedi uno dietro l’altro in gesti
automatici.
Perché
non era stata ancora
licenziata?
Non
poteva essersi immaginata di
aver buttato il cappuccino addosso a quel tipo, assolutamente. Che
Frankie non
avesse dato peso ad una cosa del genere era improbabile, anche se non
l’avesse
licenziata, come minimo le avrebbe fatto una ramanzina e non le avrebbe
rivolto
quell’enorme sorriso al suo arrivo.
Che
quel ragazzo arrogante non
avesse esposto lamentele? Era improbabile, ma era l’unica
spiegazione logica.
Perché non l’aveva fatto? Probabilmente non ne
aveva avuto il tempo, si era
esageratamente lamentato per un caffè senza schiuma, per il
suo gesto avrebbe
sicuramente fatto una tragedia. In questo caso, per una volta, gli
avvenimenti
erano a suo favore e doveva sfruttarli al meglio. Doveva andare dal
ragazzo e
ringraziarlo di non aver detto niente, sperando che questo suo gesto lo
spingesse a non denunciare l’accaduto.
Non
l’aveva mai fatto di giorno e
questo lo turbava un po’.
Era
solito cedere la sera, quando
quella roba gli veniva offerta nelle discoteche o prima di qualche
sfilata, di
giorno era sempre riuscito a tenere i suoi pensieri ben chiusi in un
angolino
del suo cervello e a resistere alla tentazione di rendere le cose
più semplici,
meno dolorose, meno vuote.
Quel
pomeriggio era diverso però,
non aveva chiuso occhio tutta la notte ed anche quella precedente e
quella
precedente ancora, sarebbe crollato da un momento all’altro e
lui non poteva
permetterselo. Non poteva fare mezzo passo falso.
-oh,
andiamo, ancora con quella
merda- sentì la voce di Marlon alle sue spalle e
sobbalzò spaventato, non che
qualcuno in quel posto si sarebbe stupito a vederlo fare una cosa del
genere,
metà della gente che era lì faceva uso di cocaina
per tenere i ritmi alti,
proprio come lui. Dell’altra metà invece, faceva
parte Marlon.
-non
rompere- ringhiò aprendo il
rubinetto per ripulire il bordo del lavandino
In
due passi Marlon gli fu accanto,
scostandolo poco delicatamente dal lavabo e costringendolo a posare gli
occhi
nei suoi.
Andrew
si passò con fare stanco una
mano sul viso, sospirando.
-senti,
sono stanco, ok? Non ce la
faccio a…-
-se
sei stanco fatti prescrivere
delle vitamine dal tuo dottore e smettila di prendermi per il culo-
Strinse
i denti, pronto per
ribattere ma nessuna parola uscì dalla sua bocca. Cosa
poteva dirgli, d’altronde?
Quello che faceva era sbagliato e lo sapeva, era un debole non un
idiota.
-devi
farti aiutare Andy- disse,
questa volta in tono più gentile
Andrew
si allontanò di qualche
passo, dirigendosi verso l’uscita del bagno.
-non
ho bisogno d’aiuto- rispose a
denti stretti e sentì Marlon sospirare
-ti
ucciderai così-
Il
ragazzo si voltò nuovamente, di
scatto, facendo scoccare la lingua. Marlon non capiva, come suo
fratello, i
suoi genitori, come tutti gli altri. Loro avevano la loro bella vita, i
loro
bei sogni, persone pronte ad amarli mentre lui non aveva niente, non
gli era
rimasto più niente.
–trovami
una sola motivazione per
cui debba vivere, ed io lo farò-
Jude
si guardò intorno, ispezionando
ogni centimetro quadrato della stanza, ma di quel ragazzo nemmeno
l’ombra.
Nella
sua mente si era ripetuta più
e più volte il discorso che gli avrebbe fatto: si sarebbe
scusata, gli avrebbe
detto che non le era mai capitata una cosa del genere e
l’avrebbe ringraziato
di aver tenuto la bocca chiusa. Nel caso più disperato poi,
aveva già deciso di
buttarsi ai suoi piedi e pregarlo poco dignitosamente di non riferire
nulla al
suo capo.
Nel
suo immaginario però il ragazzo
era lì ad attenderla, con le braccia incrociate al petto e
quel suo solito
sguardo di sfida. Ora cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva mica
mettersi a
girare tra quella gente impazzita per cercarlo.
-ciao-
sentì alle sue spalle e
sobbalzò stringendo convulsivamente la busta tra le mani
Si
voltò di scatto incontrando lo
sguardo divertito e gentile del
moro che
aveva visto l’ultima volta, Marlon.
-vengo
in pace, non buttarmi nulla
addosso Bambi- lo vide alzare le
mani
in segno di resa ed inevitabilmente arrossì per
l’imbarazzo.
-Bambi?-
chiese storcendo il naso
-oh,
scusa- sorrise con finto
imbarazzo –quello proprio non sapeva
dove
stava di casa l’imbarazzo, ne era sicura- come se
solo in quel momento si
fosse reso conto del nomignolo appena usato –non si
può non chiamarti così con
quei begli occhioni blu-
Arrossire?
Il leggero rossore sulle
sue gote era solo un lontano ricordo, prontamente sostituito con
l’imbarazzante
color paprica diffuso su tutto il suo viso.
-è
tutto ok?- le sorrise con una
strana espressione, come se fosse stupito che si fosse imbarazzata per
così
poco
-certo-
trillò cercando di spostare
i suoi pensieri su qualcosa di meno imbarazzante e finalmente
ricordò il motivo
per cui era lì, oltre a consegnare il caffè, era
chiaro.
–il
tuo amico, quello di ieri, è
qui?-
Marlon
la guardò alzando un
sopracciglio, probabilmente chiedendosi perché volesse
saperlo –è lì infondo,
si sta preparando. Perché me lo chiedi?-
-dovrei
parlargli un attimo- rispose
sbrigativa lei e con un mezzo sorriso tirato fece per avviarsi verso la
parte
della stanza indicatole, ma la voce del moro che le intimava di
aspettare la
fece bloccare, voltandosi nuovamente.
Come
la volta precedente, Marlon le
sorrise prendendole la busta dalle mani.
-in
questo caso, è meglio che questi
li prenda io- le fece l’occhiolino e Jude arrossì
fino alla punta dei capelli.
Ancora una volta.
Non
fu difficile trovare Andrew, o
meglio, non fu difficile notarlo. Nonostante ci fossero una decina di
modelli
nelle vicinanze, gli occhi di Jude erano subito corsi al ragazzo seduto
di
fronte ad un enorme specchio, con lo sguardo basso, mentre una ragazza
dietro
di lui era intenta ad aggiustargli i capelli.
Jude
si fermò qualche metro dietro
di lui e per la seconda volta mentre studiava il viso senza difetti del
ragazzo
si ritrovò a pensare che c’era qualcosa di unico
in lui e non era nella sua
bellezza o nel suo fisico che avrebbe fatto invidia ad ogni essere di
genere
maschile presente sulla terra, era negli occhi che teneva bassi, in
quegli
occhi che l’avevano guardata con indifferenza il giorno prima
e quello prima
ancora, era nei suoi occhi tristi, spenti, che non stonavano
completamente col
resto del viso che pareva essere più di un angelo, che un
essere umano. Un
ragazzo dotato di una tale bellezza avrebbe dovuto avere sempre gli
occhi
allegri, vivaci, perché i suoi non lo erano?
Improvvisamente
proprio quegli occhi
si alzarono incontrando i suoi. attraverso lo specchio. e Jude
trattenne il respiro.
-oh…ehm…ciao-
balbettò in completo
imbarazzo per essere appena stata scoperta a fissarlo
In
risposta, vide il sopracciglio
del ragazzo curvarsi verso l’alto.
Sospirò
e si avvicinò di qualche
passo, prendendosi le mani tra di loro, torturandosi le dita.
-sono
venuta qui per…- cominciò
quando capì che non era intenzionato a rivolgerle la parola,
ma si bloccò
subito dopo quando vide la ragazza intenta ad aggiustargli i capelli
sorridere
sotto i baffi. Era già difficile per lei tentare di
scusarsi, se poi accanto aveva
anche una strana tizia con dei capelli dal colore più che
discutibile che da un
momento all’altro rischiava di scoppiarle a ridere in faccia,
allora l’impresa
diventava impossibile.
Andrew
seguì il suo sguardo, fino
alla ragazza.
-Amber,
ti ringrazio, va bene così-
il tono gentile che usò stupì Jude
Evidentemente
il tono acido e
scortese era riservato esclusivamente per lei. Sentì un
po’ della rabbia
provata il giorno prima, ma la soppresse sul nascere. Era lì
per scusarsi, non
per tirargli una bomboletta di lacca dietro la testa.
-dicevi?-
chiese il ragazzo con
quello che doveva essere un tono piatto, ma Jude ci colse
qualcos’altro.
Curiosità?
Jude
osservò la ragazza andarsene
senza battere ciglio per poi tornare a guardare Andrew, che si era
voltato di
poco per riuscire a guardarla direttamente negli occhi.
-sono
qui per scusarmi-
-oh,
ed io che temevo fossi tornata
con una scorta di cappuccini bollenti da rovesciarmi addosso- e quello
cos’era,
sarcasmo?
Jude
fece una smorfia con le labbra,
prima di tornare a parlare –sono seria, mi dispiace per
quello che è successo
ieri, non accadrà mai più, e ti ringrazio di non
aver detto nulla-
Andrew
annuì distratto abbassando lo
sguardo per qualche istante prima di alzarlo di scatto, facendo
prendere un
battito alla ragazza. Poteva davvero essere così bello?
-da
dove vieni?- era così evidente
che non fosse di lì?
-da
New Bern, nel North Carolina-
Vide
il ragazzo mordersi il labbro
inferiore, come a voler trattenere una risata. La stava forse prendendo
in
giro? E poi dal suo accento nemmeno lui pareva essere di New York.
Era
già pronta a chiedergli se
avesse qualche problema con il North Carolina, quando lui riprese la
parola.
-
e cosa fai nella vita, Jude?-
ricordava il suo nome. Dovette trattenersi per non spalancare gli
occhi, per
come l’aveva trattata il giorno prima non si sarebbe sorpresa
che avesse preso
a chiamarla “insetto”
o qualcosa di
simile, invece non solo ricordava il suo nome, ma l’aveva
anche pronunciato in
un modo che la fece rabbrividire.
-oltre
a rovesciare cappuccini sulle
persone, si intende- ancora quella cosa,
ma questa volta era certa si trattasse di sarcasmo.
Non
che lei non fosse una persona
sarcastica, ma non credeva che il ragazzo fosse capace di farne e per
di più
con tanta non-chalance!
-studio
letteratura alla Columbia-
sussurrò
-e
come ti sei ritrovata a fare
consegne?-
-non
vengo da una famiglia ricca, se
voglio mantenermi a New York devo lavorare- alzò il mento,
senza un filo di
imbarazzo.
Quand’era
una ragazzina ricordava
che si sentiva in imbarazzo a dire alle sue amiche che non tutti i
giorni
poteva uscire con loro nel piccolo centro commerciale perché
non poteva
spendere tanto, che mentre loro compravano bei vestiti ogni settimana
da sfoggiare
il venerdì lei doveva racimolare tutti i risparmi per poter
mangiare un
hamburger con loro, ma crescendo Jude aveva capito e camminava a testa
alta
raccontando quanti sacrifici dovessero fare i suoi genitori per non
farle mai
mancare niente.
Vide
Andrew annuire, pensieroso.
-so
cosa significa lavorare per
dover mangiare- la stupì ancora una volta
–è per questo che non ho detto
niente-
Incredibile,
quindi, anche lui era
un essere umano? E per di più non era uno di quei figli di
papà che gira per
Manhattan in limousine gettando dollari lungo il suo cammino?
Jude
stava per sorridergli, ma lui
prontamente rovinò l’atmosfera e quel briciolo di
speranza che Jude nutriva
pensando che lui fosse una persona gentile, in fondo.
-ovviamente,
il mio silenzio ha un
prezzo-
Jude
spalancò la bocca, indignata,
mentre Andrew prese a sorriderle con aria furba, alzandosi dalla sedia
su cui
era seduto.
-oh,
piccola, non fare quella faccia
su! Non voglio niente di così terribile-
Brutto
figlio di…
-e
cosa vuoi, sentiamo?- sentiva già
il nervosismo crescere in lei e ringraziò mentalmente Marlon
per averle preso
quei dannati cappuccini di mano, altrimenti glieli avrebbe buttati in
faccia ad
uno ad uno.
Andrew
si passò una mano sotto al
mento, riflettendo –non lo so ancora, ci devo pensare-
decretò in fine
Jude
pestò un piede a terra, piena
di collera –stammi bene a sentire, brutto troglodita, io non
ho intenzione di
fare nessuna delle cose che…-
-oh,
piccola Jude, non dire così-
scosse la testa con fingendo di essere afflitto –non
è gentile da parte tua
chiamarmi in quel modo- allungò una mano verso il suo mento,
che Jude
prontamente scacciò con un sonoro schiaffo, ignorando il
brivido che le era
corso dietro la schiena nell’istante in cui le sue dita
avevano accarezzato la
sua pelle.
Gentilezza?
Proprio lui le stava
parlando di gentilezza? Doveva
essere
finita in manicomio.
-non
vuoi mica essere licenziata,
no?-le sorrise furbo
-ma
questo è un ricatto!- si ritrovò
quasi ad urlare, rossa in viso, mentre il ragazzo si allontanava
-e
questa è New York, piccola- e le
fece l’occhiolino mandandole un bacio, con tanto di schiocco.
* * *
Salve
a tutte, care!
Scusatemi
se vi ho fatto aspettare
un po’ per questo capitolo, ma fino ad un paio di giorni fa
ero immersa nell’epilogo
di una fan fiction che portavo avanti da un po’, poi in
questi giorni l’ispirazione
è scemata parecchio e sono entrata in uno di quei miei
periodi alla “non so
scrivere niente, faccio schifo, odio il mondo” e via dicendo.
La brutta notizia
è che temo sia vero, la bella che per ora mi faccio coraggio
e mi illudo che
non sia così!
Ma
torniamo a noi. Siamo al terzo
capitolo ormai e si comincia a capire qualcosa in più del
caratterino del
nostro Andrew. Cosa ne pensate? E’ davvero così
stronzo come sembra o è solo
una maschera? A voi la sentenza!
Volevo
dirvi inoltre che mi farebbe
davvero piacere sapere cosa ne pensate di questi primi tre capitoli,
capisco
che la trama non si è ancora sviluppata al punto che
possiate dirmi cosa ne
pensate, ma mi farebbe piacere qualche commento anche al mio stile di
scrittura.
Le
critiche sono sempre ben accette,
positive, ma soprattutto negative, sono qui per imparare e spero mi
aiutiate.
That’s
all!
Spero
tanto il capitolo vi sia
piaciuto, a presto.