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Autore: RossaPrimavera    27/04/2012    2 recensioni
“Non avvicinarti, non toccarmi… Questa è una cosa che devo fare da solo"
“Ti sbagli, sai che puoi ordinami tutto ciò che ritieni opportuno, Mio Signore. Io sono il tuo Pugno di Ferro in un Guanto di Velluto”
Dal 1942. Il fiorire della giovinezza, dove un adolescente prende coscienza di chi è, e soprattutto, di ciò che è capace di fare.
Gli anni in cui la rabbia e l’ambizione di Tom Orvoloson Riddle divampano come fiamme, delineando un futuro di distruzione. Quegli anni di cui nessuno ha mai voluto parlare.
Eppure qualcuno c’era: qualcuno che conosceva, qualcuno che partecipava, qualcuno che lo accompagnava in ogni sua impresa. Qualcuno che ha eseguito più dei suoi ordini, occupando un ruolo che Lord Voldemort non ha mai più lasciato libero. Qualcuno che era più di una serva, e più di un' amante.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Un Pugno di Ferro, in un Guanto di Velluto

di Elle H.





CAPITOLO SECONDO
The Rule of Rose
 

“Look like the innocent flower, but be the serpent under it!”
[Lady Macbeth, William Shakespeare]

 
 

“E sono altri cinque punti a serpeverde! I miei più sentiti compliementi, signorina Ballantyne, se continua così non le sarà affatto difficile mettersi in pari per il programma G.U.F.O.”
L’ennesimo elogio del professor Hitchens fu la goccia che fece traboccare il vaso anche in quella mattinata.
Quando suonò la campana che annunciava il pranzo, Tom Riddle si avviò all’uscita con insolita ferocia, subito seguito a ruota dai suoi zelanti amici.
“Ecco, ci risiamo Pearl. Hai fatto di nuovo arrabbiare Riddle” commentò Lysandra, sussurrando per non farsi chiaramente sentire dal diretto interessato.
“Se continui così finirai per diventare la migliore del nostro corso, e allora credo proprio che il nostro bel prefetto vorrà fare una certa chiacchierata con te” disse Walburga con fare malizioso, osservando l’espressione dell’amica, che le rimandò un’occhiata del tutto neutra.
Non era il suo scopo diventare la migliore in tutti i corsi, non le interessava; semplicemente le riusciva.
Eppure non poteva fare a meno di provare un sottile, provocatorio piacere nel trovarsi a tener testa a Tom Riddle, che come aveva scoperto in fretta, era considerato uno degli studenti più dotati di tutta Hogwarts.
Perché non succedeva solo in Incantesimi…
La competizione tra Pearl e Tom era ormai affare quotidiano, uno spettacolo che spesso e volentieri lasciava i compagni pressoché allibiti, immersi in una sorta di timore riverenziale.
Era un perenne confronto anche durante Trasfigurazione, Pozioni, Difesa delle Arti Oscure, persino in Astronomia e Storia della Magia; stranamente, l’unica materia in cui le capacità di Pearl sembravano esser messe a dura prova era Erbologia.
“A me le piante fanno schifo” aveva ribadito più volte la ragazza, mentre osservava con diffidenza un Cavolo Carnivoro Cinese, di fronte agli occhi sconcertati dei compagni di corso, e al cospetto del sorrisetto soddisfatto di Tom.
Salvo poi ritrovarsi nuovamente a contendergli il podio anche durante le lezioni supplementari di Aritmanzia e Antiche Rune.
Ormai Tom era perfettamente al corrente di cosa si diceva, poteva benissimo anche leggere il pensiero degli studenti, a volte persino dei professori: non pensavano che Pearl fosse migliore di lui, semplicemente la consideravano quasi una sua pari.
E lui odiava, detestava visceralmente dover condividere gli stessi meriti con qualcuno, quasi quanto odiava veder la propria immagine di sfolgorante bravura ottenebrata da un’altra persona.
Da una ragazza poi… da una novellina.
Un altro dato che lo spronava a chiedersi dove Pearl avesse imparato… tutto.
Ma era inutile: le poche risposte che aveva ricercato gli erano giunte da altre bocche, e mai dalla sua, che pareva perennemente cucita a doppio filo.
A riconfermare la loro somiglianza, entrambi parevano tenere spasmodicamente a mantenere un alto e superbo profilo, misterioso e di conseguenza inattaccabile.
Quando quel giorno di inizio ottobre Pearl e le amiche si presentarono a pranzo, il morale dei ragazzi del quinto anno era incredibilmente basso.
“No, ma ditemi se caricarci così è normale!” urlò quasi Dolohov, brandendo un foglio fitto di appunti ed annotazioni.
“Silente ci ha dato trenta centimetri di pergamena sugli incantesimi evanescenti, altri trenta per Storia della Magia, gli incantesimi di appello per Hitchens e… cazzo, un intero tema sulle contro fatture per la Gaiamens!” si lamentò per l’ennesima volta, osservando con orrore la borsa dei libri ai suoi piedi.
“E se non te lo stessi dimenticando, oggi pomeriggio abbiamo ancora pozioni” gli fece notare Isobel, una forchetta a mezzaria e“Trasfigurazione Oggi” aperta sulle ginocchia.
“Visto che non dicevo cazzate quando ho scommesso con Yaxley che quest’anno sareste impazziti?
Belli miei, ora tocca a voi!” li prese in giro Rosier, l’espressione serena di chi non ha altre preoccupazioni al mondo oltre agli allenamenti di Quidditch.
Pearl aveva imparato giorno dopo giorno ad apprezzare quel folto gruppo di personaggi, abituali compagni di ognuna delle sue giornate.
Costituivano un insieme a parte, un elite che in qualche modo suscitava fascino ed invidia sull’intero corpo studentesco, a prescindere da quale fosse la casa di appartenenza, e persino su un certo numero di professori.
Era un’ unione eterogenea, composta da differenti elementi di età diversa, che spiccavano sopra gli altri per titolo, capacità o ambizioni.
Tra di loro erano spesso legati a doppio filo: Duncan Rosier, al sesto anno, era il fratello di Druella, la quale era già promessa sin dalla culla a Cygnus Black, il fratello maggiore di Walburga; a sua volta, Walburga stessa era promessa a suo cugino Orion sin da quando non erano altro che bambini, ancora intenti a giocare a rincorrersi nei corridoi delle rispettive case.
Se la prima coppia dimostrava di approvare la loro unione obbligata, la seconda pareva essere giunta ad un piacevole compromesso, basato su una solida amicizia e una giusta dose di disinteresse amoroso.
A loro si aggiungevano le chiassose presenze delle gemelle Selwyn, di Mulciber, Nott, Yaxley, Malfoy, Macnair e così tante altre persone che spesso Pearl faticava persino a ricordarsi i loro nomi.
Ben inseritasi in quell’incredibile gruppo, Pearl non aveva affatto faticato a cominciare a sentirsi davvero a suo agio, i pensieri negativi che si riducevano pian piano ad occupare ormai solo pochi ritagli del suo tempo.
Eppure anche questa nuova, piacevole vita poteva vantare il suo lato oscuro.
Pearl voltò la testa verso il gruppo dei ragazzi: lui non c’era, il suo posto era vuoto.
Ancora una volta aveva saltato il pranzo, rifugiandosi in biblioteca.
Ben presto Pearl aveva iniziato a provare, non senza un certo fastidio, un’immancabile curiosità nei confronti di Tom, e le sue quattro nuove amiche non avevano mancato di erudirla in tal proposito, delineandolo un quadro generale del ragazzo, per quanto indubbiamente farcito di chissà quali pettegolezzi.
Tom Orvoloson Riddle era ormai da anni argomento quotidiano e chiacchieratissimo nella vita del castello.
Orfano di bell’aspetto e dai comportamenti educati, seppur alteri e raffinati, appariva estremamente intelligente e avido di apprendere, e sin dal primo anno era stato eletto come modello di persona da gran parte dei ragazzi, e come sospirato desiderio dalla maggior parte delle ragazze.
Eppure in lui c’era qualcosa di oscuro, qualcosa di sempre velatamente celato che riusciva ad incutere un profondo timore, che rasentava spesso il terrore, in chiunque lo incontrasse.
“Alla fine a nessuno sembra interessare che sia o meno un purosangue… Hai visto Orion e gli altri: impazziscono per lui, letteralmente pendono dalle sue labbra” aveva dichiarato una volta Walburga, sempre la prima a saziare ogni interesse di Pearl.
La giovane ricordava perfettamente quella conversazione, durante un intervallo mattutino diverse settimane prima; strette le une vicino alle altre per ripararsi da un vento gelido che preannunciava l’inverno, e per nascondere la presenza di un’illecita sigaretta, bandita da Hogwarts come qualsiasi effetto babbano.
“A Walburga non piacciono i ragazzi che non ci stanno con lei” aveva commentato Isobel divertita.
“Cazzate. A me non piacciono i ragazzi come lui: da come si atteggia, sembra che debba diventare Ministro della Magia da qui a domani” ribatté la mora, scoccandole uno sguardo acido.
“In ogni caso non avrebbe rifiutato solo te… Ho sentito parlare tante ragazze su di lui, di quello che gli farebbero e compagnia bella, ma mai nessuna che abbia ammesso realmente di essere stata con lui” aveva continuato Druella, quasi giustificando la futura cognata.
“E non l’ho mai sentito vantare le proprie conquiste con gli altri. Mai, neanche una volta” aveva ribadito Lysandra, che insieme a Walburga formava una perfetta e commovente rete di conoscenze.
Da queste ultime parole, Pearl aveva iniziato a porsi una serie di interrogativi a riguardo, giungendo ad una strana conclusione, irreale quanto allarmante.
Perché vi era qualcosa di tetro nella faccenda, un qualcosa  che faceva sentire a disagio Pearl quando gli capitava di trovarsi a guardare il bel profilo del ragazzo.
E una parte di lei desiderava ardentemente scoprire cosa fosse.
Quando quel pomeriggio, alla prima ora, entrò nell’aura antica dell’aula di Rune Antiche, scoprì stupita che l’unico posto libero era accanto a Riddle; quando si sedette, lui non le rivolse neppure uno sguardo, nemmeno una sola parola, fosse anche un saluto.
Trascorsero l’ora nel più religioso silenzio, dedicandosi a copiare attentamente ogni simbolo e trascrizione scritta alla lavagna dalla professoressa Oldridge.
Salvo gli ultimi minuti, quando metà della classe stava già riponendo nelle borse i propri averi.
“Ti sono mancato oggi a pranzo?” le sussurrò improvvisamente.
“Perché, credi forse che io registri le tue assenze?” ribatté la ragazza laconicamente, ancora intenta a sfogliare il libro con fare annoiato.
“Stai mentendo. Dimmi la verità
Lo disse come un ordine, una stilettata di potere e comando che la costrinse a sollevare il capo quasi fosse frutto di un incantesimo.
Gli occhi di Riddle erano straordinariamente vicini ai suoi: li sentì conficcarsi dentro le proprie pupille, analizzare con brutale efficacia il suo io più interiore quasi le stesse scavando dentro.
“Hai pensato a me tutto il tempo” concluse il ragazzo, il viso contorto da un ghigno soddisfatto, una piega sottilmente bestiale che quasi deformava il suo aitante volto.
Il suono della campana giunse a salvarla, donandole quel briciolo di forza necessaria per distogliere lo sguardo; ripose i propri oggetti alla rinfusa, gettandoli senza garbo l’uno addosso all’altro.
Sul suo esile viso era dipinta un’espressione di sdegno profondo, un tale nero risentimento che pareva traboccare dai suoi stessi occhi, confermando le sue più orripilanti fantasie.
“Non credere di poter usare un’altra volta la legilimanzia su di me” disse in un sibilo, molto più simile al soffiare di un gatto, non appena i loro compagni uscirono dall’aula.
Quasi si gettò fuori dalla porta, unendosi alla consueta fiumana di alunni, ma lui la raggiunse in fretta, riuscendo a trattenerla afferrandola per un polso.
“Come hai fatto a capire che la stavo usando su di te?” domandò, senza riuscire a trattenere l’irritazione.
“Ma credi  forse che tutte le persone che cerchi di incantare siano idiote?
Qualsiasi cosa tu abbia fatto con le altre ragazze, non azzardarti minimamente a pensare di poter fare la stessa cosa con me. Stammi alla larga, Riddle” concluse con disprezzo, liberandosi dalla sua presa con un deciso strattone.
Si separarono in fretta, prima che qualcuno potesse vederli assieme, nonostante entrambi si stessero dirigendo nei sotterranei per l’ultima lezione di Pozioni.
Per un attimo Tom si sentì quasi tradito dalle sue stesse capacità, chiedendosi come quell’ambigua ragazza fosse riuscita a capire che le stava violando la mente; e soprattutto a intuire che quel gioco era più che abituale con un insospettabile numero di persone.
Si sentì tuttavia compiaciuto di esser riuscito a  carpirle un certo numero di pensieri, rammaricandosi di non aver potuto scender più in profondità; poco o male, l’avrebbe sicuramente fatto in un’altra occasione.
Che nonostante le decise parole della ragazza, ci sarebbe stata senz’altro.
Perché in quella manciata di fragili pensieri, il nome “Tom Riddle” sfavillava, come impresso a chiare lettere infuocate.

 
 

“You wake up where's the tomb?
Will Easter come, enter my room?
The Lord weeps with me… But my tears fall for you
 
Ti desterai dalla tomba?
Giungerà la Pasqua, entrerà nella mia stanza?
Il Signore piange per me… Ma le mie lacrime cadono per te”
[Gethsemane, Nightwish]

 

“Signorina Ballantyne, posso gentilmente chiederle di fermarsi un attimo alla fine della lezione?
Le vorrei porre una piccola richiesta, che sono più che certo le farà un gran piacere” le aveva proposto Lumacorno a metà lezione, indicandole cordialmente la cattedra in fondo all’aula.
In un’altra occasione Pearl si sarebbe sentita lusingata dalla richiesta di unirsi al suo piccolo “fan club” esclusivo, ma in quel momento il suo umore era reduce da quella che considerava a tutti gli effetti una brutale sconfitta in campo mentale, ragion per cui si limitò a sorridere brevemente.
Pur trovandosi agli opposti del sotterraneo, era più che certa che lui avesse sentito, e per un attimo le sembrò quasi di avvertire i suoi intollerabili occhi incollati sulla schiena.
Si sentiva violata, umiliata, persino sporca, e continuava a porsi una miriade di quesiti.
Come aveva fatto quel maledetto ragazzo, poco più che un quindicenne, ad impiegare solo pochi secondi per penetrarle la mente, per crearvi uno spiraglio da cui sottrarle una manciata di segreti?
Su quante ignare persone doveva già averlo fatto?
Ma soprattutto: quante volte l’aveva fatto con lei? E quanto aveva scoperto?
Tutto ciò le dava la nausea; eppure al contempo, una microscopica e segreta parte di lei pigolava una certa malata approvazione, completamente irretita ed affascinata da una tale oscura capacità.
“Penso che i suoi amici gliel’avranno già accennato signorina…
Ogni tanto mi piace organizzare delle cenette informali o delle piccole festicciole per far incontrare gli alunni che ritengo più dotati. Non si immagini chissà cosa ovviamente, ma adoro anche presentare ospiti illustri, che ho conosciuto e guidato nel corso della mia carriera.
Come ben sa metà degli alunni del suo corso sono presenti, oltre naturalmente a tanti altri che…”
Lumacorno spesso straparlava, e quando lo faceva, riusciva ad essere estremamente tedioso.
Nella lista dei suoi professori lo riteneva sicuramente il più pomposo, per quanto molte volte sapesse essere amichevole e divertente.
In fondo voleva essere solo gentile…
E magari, se gliel'avesse chiesto, avrebbe anche potuto estendere la medesima richiesta anche ai suoi fratelli.
Lo sperava: da quando si trovavano ad Hogwarts i momenti in cui poteva parlare tranquillamente con Schneizel e Barron si erano gradualmente ridotti, riducendosi a improvvisi incontri nei corridoi o a ritagli delle rispettive serate.
“…Allora signorina, che gliene pare? Accetta la mia proposta?” chiese infine il professore, osservandola con occhi speranzosi.
Pearl si riscosse dal divagare dei suoi pensieri, ricomponendo in fretta un sorriso smagliante.
“Ma certo signore, mi farebbe immenso piacere. Anzi, non posso che sentirmi lusingata” rispose con eccessivo entusiasmo, quasi a volersi scusare per essersi persa una buona metà del discorso.
L’uomo ne parve infinitamente contento, accarezzandosi estatico gli enormi baffi che gli coprivano la parte inferiore del volto.
“Suvvia suvvia, una sciocchezzuola. D’altronde conoscendo tuo padre, come non aspettarsi un simile talento come figlia?” commentò, annuendo vigorosamente.
“Lei conosce mio padre?” chiese, sinceramente stupita.
“Eccome! Io e Damocles eravamo nello stesso Club dei Pozionanti qui a Hogwarts, anche se lui era di due anni più grande di me. Solo in seguito venni a sapere che lui è una sorta di figlioccio per il Preside, mi corregga se sbaglio”
“Nessuno sbaglio signore, il professor Dippet è sempre stato un amico di famiglia, e fu il padrino di mio padre” spiegò Pearl, la cautela che prendeva possesso del suo tono di voce.
Sperò ardentemente che la conversazione si chiudesse lì, che il professore non le ponesse alcun altra domanda sulla sua famiglia.
E che soprattutto non si azzardasse a sfiorare quell’unico, proibito argomento.
Ovviamente, contro ogni sua più rosea speranza, lo fece; non si limitò a sfiorarlo, bensì lo sfondò, lanciandovisi contro con la grazia di un Erumpent infuriato.
E inevitabilmente pronunciò quel nome, un nome che Pearl si era augurata di non dover mai più udire.

 

*******

 

Sapeva esattamente cosa lo avesse spinto a ripercorrere a ritroso il gelo dei sotterranei, a liberarsi degli onnipresenti compagni, e a dedicarsi ad inseguire l’idea che l’aveva continuamente stuzzicato durante l’intera lezione di Pozioni.
In fondo, la sua era semplice curiosità, un’emozione che era sempre stato solito soddisfare con immediatezza.
E quale momento migliore per prendere il toro per le corna, e approfittarne?
Aveva saggiato poco prima la fragilità di quella mente, con le condizioni giuste avrebbe potuto benissimo farlo un’altra volta.
E inoltre, dettaglio più che rilevante, sarebbe stata sola, completamente inerme e in suo potere.
Quando Tom giunse all’uscio del laboratorio, il professore stava ancora parlando con la ragazza.
Sembrava si stessero raccontando una qualche storia famigliare, ma ascoltando il giovane udì un nome in particolare, che istintivamente classificò subito come un dettaglio rilevante. Aveva come la sensazione di averlo già udito, o forse letto, da qualche parte, e che avesse un significato decisamente importante.
Quando Pearl uscì dalla porta, prima che Lumacorno potesse vederli assieme, Tom attirò la sua attenzione con un bisbiglio, facendole cenno di seguirlo in un’aula adiacente, fortunatamente deserta.
Si augurò di non dover dar battaglia nel bel mezzo del sotterraneo, una piccolezza che avrebbe inevitabilmente attirato l’attenzione su di loro, ma la giovane lo seguì senza fiatare, del tutto inespressiva.
Dopo essersi premurato di aver chiuso accuratamente la porta, voltandosi si ritrovò senza troppo stupore una bacchetta puntata al livello esatto del cuore.
“Ti avverto, Riddle: non sono dell’umore adatto ai tuoi giochetti” sibilò incollerita, il pallore nobiliare del viso leggermente imporporato di rabbia.
“Trovi? Io invece sono dell’umore adatto a ricevere delle risposte” esordì, prima di sentire la punta della bacchetta conficcarsi nei suoi abiti, producendovi una bruciatura e scottandogli lievemente la pelle.
“Non farmi incazzare! Non ho intenzione di star qua a sentire nessun’altra delle tue domande, mi rifiuto di…”
“Chi è Desdemona Vasquez?” proruppe il giovane, certo dell’effetto che avrebbe ottenuto da lì a poco.
Come previsto, l’espressione sul viso della giovane cambiò drasticamente nella frazione di un secondo.
Per un attimo Tom sospettò che stesse per sfiorare lo svenimento: la vide barcollare impercettibilmente, abbassare la bacchetta ed indietreggiare per sostenersi ad un banco.
Anche senza legilimanzia, il suo viso era chiaramente un libro aperto, che riportava le pagine di un orripilante realtà.
“Ebbene?” la incoraggiò Tom spazientito, nuovamente incitato alla scoperta dal semplice effetto che aveva prodotto quel nome.
Pearl parve dover raccogliere un grande coraggio prima di riuscire a parlare, ma quando lo fece la sua voce era ferma, senza traccia di tremiti, e nuovamente dotata di una grande freddezza.
“Se hai davvero ascoltato ciò che io e Lumacorno ci stavamo dicendo, dovresti già saperlo”
“Purtroppo per me sono riuscito a sentire poco o niente. Avanti, rispondimi!” le ordinò con fare imperioso, pronto a minacciarla in caso contrario, la mano già stretta attorno alla propria bacchetta.
Ma Pearl lo anticipò, lanciandogli contro parole che all’improvviso assunsero il peso di pietre, tanto parevano cariche di emozioni di spaventosa durezza.
“Deh Vasquez era una bellissima ed eccezionale strega, immensamente dotata, ma che ha sempre nutrito un profondo interesse per la magia oscura, che le fu fatale”
Pronunciò queste ultime parole con inverosimile distacco, ma all’ultimo momento la voce le morì in gola, facendola esitare prima di completare la frase; i suoi grandi occhi scuri erano contornati da tracce di lacrime, un anticipo dell’oceano di dolore che essi contenevano.
“Ed era mia madre” concluse amaramente.
Quando Tom si sedette al suo fianco, evocandole e porgendole un fazzoletto con un unico tocco della bacchetta, si rese conto di star compiendo probabilmente il gesto più impensabile dell’intera giornata.
“Come è morta?” domandò semplicemente, senza particolare enfasi.
“Con un incantesimo, amava sperimentare”
“Che genere di esperimenti?” chiese nuovamente il ragazzo, senza riuscire a nascondere nel tono di voce un certo interesse per la materia, di cui la ragazza si accorse immediatamente.
“Fatti i cazzi tuoi” lo rimbeccò, sorprendendolo; gli occhi arrossati di Pearl erano ancora colmi di rabbia repressa, questa volta decisamente pronti a non farsi cogliere alla sprovvista.
Si rese conto di aver sbagliato, anche solo per un attimo,  ad averla considerata l’ennesima ragazzina da consolare.
“Che cosa speravi di fare attirandomi in una classe vuota, eh? Frugarmi un’altra volta nella testa?” disse irritata, alzandosi precipitosamente ed asciugandosi gli occhi infastidita, striando le guance di trucco nero.
Fece per puntargli nuovamente contro la bacchetta, ma con un abile gesto il ragazzo la precedette; si ritrovarono a fronteggiarsi, gli occhi come pezzi di carbone che contenevano ogni possibile ed immaginabile capo d’accusa.
Questa volta il suo sguardo era altero e vigile: Tom fu consapevole che con tutta probabilità non sarebbe riuscito a violarlo.
“Non ci pensare neanche. Non sono stupida, Riddle: non ti fornirò mai più un’altra possibilità per poter giocare con la mia mente”
“Nei sei così sicura? C’è forse qualcosa che ti fa credere che non me la sappia prendere da solo?”
Pearl sentì la bacchetta avversaria scorrerle sul petto, indugiarle sul collo, giungerle sul viso a sfiorarle lentamente le guance.
“Cosa ti fa pensare che per me non sarebbe facile, qui e adesso, stregarti, soggiogarti a me completamente?”
Quante volte aveva usato quel tono, poco prima di attaccare e prendersi ciò che riteneva suo; sorrise intensamente, mostrandole in un ghigno maligno tutta la sua arte persuasiva.
Per un lungo istante Pearl non  disse nulla, gli occhi che cercavano di ignorare quella bacchetta dal tocco sempre più intimidatorio.
Sì sentiva debole, intorpidita: ma non per questo disposta ad arrendersi.
“Perché io te lo impedirò. Ormai dovresti averlo capito: io e te siamo piuttosto simili. Ragion per cui puoi star certo che farò il possibile per difendermi ed attaccare, prima di soccomberti”
Fu con profonda risolutezza che la mano della ragazza afferrò la bacchetta, spingendola con decisione verso il basso.
“Non osar mio più sottovalutarmi Riddle, te ne pentiresti amaramente” concluse quando ebbe raggiunto la porta, la borsa dei libri stretta al petto quasi fosse uno scudo.
“E tu d’ora in poi dovresti stare molto attenta, Ballantyne. Io ottengo sempre ciò che voglio” ribadì il bel serpeverde, calcando accuratamente sulla parola “sempre”.
Solo quando si furono separati, con un buon numero di piani a distanziarli, entrambi si permisero di considerare l’accaduto e analizzare le proprie emozioni.
Tom Orvoloson Riddle: consapevole di essersi lasciato sfuggire l’ennesima possibilità di occuparsi della giovane, e più che mai cosciente del profondo interesse che nutriva nei suoi confronti.
Pearl Nicholai Ballantyne: cosciente del profondo interesse che sapeva di nutrire da quando l'aveva conosciuto, e soprattutto, consapevole di aver rischiato, per un lungo attimo, di vacillare e cadere tra le braccia del suo nuovo nemico.

 
 

“For my dreams I hold my life, for wishes I behold my night….
The truth at the end of time, losing faith makes a crime

 
Grazie ai miei sogni tengo in mano la mia vita, grazie ai desideri scorgo la mia notte
La verità alla fine del tempo, perdere la fiducia è commettere un delitto”

[Sleeping Sun, Nightwish]
 

 
 

Anche quella notte, fu con un gesto teatralmente adirato che Tom Riddle accantonò, per l’ennesima volta, un registro dei prefetti; vi era però una differenza fondamentale con tutte le altre sere trascorse in quel luogo: quello era l’ultimo registro da controllare, il più antico che era riuscito a trovare.
Aveva esaminato tutto ciò che aveva a disposizione, dai registri dei prefetti, a quello dei capiscuola, e persino ogni singolo premio e annotazione contenuta nella Sala dei Trofei.
Ma a nulla era valso.
Una parte di lui, stanca e infiacchita dalla delusione, gli intimava a gran voce di arrendersi, ma l’altra, quella più ambiziosa e ragionevole, non osava davvero crederci: come poteva lui, proprio lui, essere un… mezzosangue?
Improvvisamente provò per se stesso uno smisurato sentimento d’odio intimamente mischiato a disgusto, un moto d’ira così violento che si sentì persino scuotere le membra.
Per un attimo sentì che, se avesse ceduto, probabilmente si sarebbe ritrovato a piangere; così si prese la testa tra le mani in un gesto istintivo, rifiutandosi di lasciarsi sfuggire anche una sola lacrime dagli occhi.
Ma in tutta quell’inquieta disperazione, un unico qualcosa riuscì a farvi breccia e ad attirare la sua attenzione: un rumore più che impercettibile, ma diverso da ogni altro.
Il fruscio di pagine che vengono sfogliate, accompagnata da movimenti leggeri.
“Nox” sussurrò, la luce della bacchetta che si affievolì sino a scomparire.
Con un secco gesto fece evanascere i registri, cancellando ogni prova del suo passaggio.
Abbandonando quell’angolo remoto della biblioteca, avanzò con estrema cautela verso il centro stesso di quella sala millenaria.
La Sezione Proibita: baluardo della Magia Oscura, luogo che conosceva quasi come le proprie tasche già ben prima che riuscisse ad ottenere un permesso autentificato, come quello che ora aveva in tasca.
Quando fu abbastanza vicino, individuò subito una sottile riga di luce filtrare tra alcuni volumi, rivelando chiaramente la presenza di un altro esploratore notturno.
In nessuno di quei cinque anni gli era mai capitato di dover condividere, di notte, la biblioteca con qualcun altro; nei corridoi incontrava saltuariamente altri studenti, ma lì…
D’altronde, chi altri oltre a lui desiderava aumentare le proprie ore di studio?
Nemmeno quella “so-tutto-io” di Isobel Gamp esagerava a tal punto.
Era esclusivamente una sua prerogativa.
Se non altro, affatturando il povero malcapitato, avrebbe senz’altro potuto placare la propria ira, e magari divertirsi anche un po’.
Per lui era questo il vero, autentico divertimento: assoggettare qualcuno ai suoi desideri, osservare gli occhi altrui riempirsi di terrore nei suoi confronti, essere certo di avere in pugno una volontà, con la consapevolezza di possedere il potere di distruggerla con una semplice decisione.
Ma quando fu abbastanza vicino e riuscì a scorgerne il profilo, delineandone immediatamente l’identità, non poté fare a meno di chiedersi quanto il destino influissi sugli eventi della sua vita.
“Buonasera, Pearl”
La ragazza alzò gli occhi di scatto, puntando la bacchetta verso la provenienza della voce.
Scostandosi una ciocca di capelli scuri da davanti gli occhi, scorse Tom Riddle appoggiato a una libreria molto vicina, con la divisa negligentemente sbottonata e gli occhi fissi su di lei.
“Che cosa ci fai qua?” si limitò a chiedere allibita.
Lentamente richiuse il tomo che teneva aperto tra le mani, prendendolo cautamente con se senza osar staccare gli occhi e la bacchetta dalla quella figura.
“Potrei farti la stessa domanda, non credi? Cosa stai leggendo di così interessante?” continuò il ragazzo avvicinandosi, ma Pearl alzò nuovamente la bacchetta.
“Non osare avvicinarti” sussurrò, cercando di ritirarsi piano piano, scoprendo che però il ragazzo non aveva la benché minima intenzione di mollare la presa.
“Temi qualcosa, forse? Oh, dimenticavo… Ci troviamo nella Sezione Proibita, devo quindi dedurre che stai facendo qualcosa che non dovresti” disse deridendola, un ghigno di delizioso sadismo che dalle labbra si propagava al resto del volto.
Un vivido accenno di timore riuscì a rompere la sicurezza della ragazza: il serpeverde notò subito come ella stringeva la presa sul libro, indietreggiando esitante tastando alla cieca le scaffalature, cercando di raffigurarsi un’eventuale via di fuga.
“Avanti Pearl, non commettere sciocchezze… Porgimi quel libro, o temo proprio che dovrò far valere la mia autorità di prefett…”
Stupeficium!” urlò Pearl interrompendo le sue parole, sorprendendolo a tal punto che per schivare l’incantesimo Tom fu costretto a lanciarsi oltre la libreria, mentre l’incantesimo colpiva altre mensole, facendone cadere rumorosamente a terra il contenuto.
Notò subito la ragazza intraprendere la corsa, veloce e frenetica a tal punto che sembrava che volasse, e non senza fatica si mise ad inseguirla; non era mai stato un tipo atletico, ma dalla sua aveva ben altre risorse.
“Impediminta!” gridò, riuscendo a colpirla nonostante l’elevata distanza.
Pearl non ebbe la sua stessa prontezza di riflessi: la forza dell’incantesimo fu tale da farla cozzare violentemente contro uno degli scaffali, coprendola dolorosamente con una montagna di libri.
A fatica tentò di rialzarsi, il proprio tesoro ancora stretto nella mano, ma scoprì con un accenno di panico di avere la gamba del tutto paralizzata.
Expelliarmus!
La bacchetta le venne violentemente strappata dalla mano, e in un attimo ricomparire in quella del ragazzo; ormai pochi passi di distanza li separavano: non poteva più nulla.
“Dammelo” ordinò Tom seccamente, non appena le fu vicino.
“Questi non sono fatti tuoi Riddle, lasciami in pace, per fav…”
“Stai zitta. Non costringermi a farti del male per così poco”
Pearl non dubitò neanche per un istante della veridicità delle sue parole: il suo compagno di casa aveva sul viso un’espressione di spietata perversione che non ammetteva nessun tipo di replica.
Eppure decise ugualmente di ostentare il proprio rifiuto di consegnargli quel vecchio tomo consunto, perché arrendersi sarebbe stato un vero e proprio affronto, un tradimento alla Sua memoria.
Tom la vide alzare il capo fieramente, la fronte corrugata dalla sfida e dallo sforzo, mentre cercava di mantenersi eretta nonostante la gamba immobilizzata.
“Come sei stupida, Pearl…” si limitò a commentare affascinato, pronto a strapparle quel volume con la forza.
Tuttavia non ebbe neppure il tempo di protendersi su di lei.
Solo un unico suono avrebbe potuto interrompere quel momento, o meglio, una sola voce.
“Demoni, ragazzi malefici… Tutto questo rumore… Ma questa volta mi sentirete, vi troverò e  vi staccherò a morsi la pelle…”
I due ragazzi si guardarono con occhi sbarrati.
“Apollon Pringle!” sussurrarono contemporaneamente, riconoscendo la rauca voce del vecchio custode.
Calvo, sdentato e pressoché ripugnante, l’uomo peggiorava ulteriormente il pessimo aspetto estetico con un sanguinario, profondo debole per le punizioni corporali, le frustate in particolare.
Tom fece per andarsene, aggirando cautamente la catasta di libri, ma sentì una mano serrarsi in una morsa attorno alla sua caviglia.
“Se mi lasci qui da sola, giuro che ti trascino all’inferno con me!” lo minacciò Pearl.
Il ragazzo parve calcolare per un istante quella possibilità, ma quando l’aguzzo profilo del custode si stagliò contro il muro più vicino, si arrese a sollevarla da terra senza troppi complimenti.
“Disillio” sussurrò appena, disilludendo entrambi, stupendosi di quanto fosse leggero ed inerme quel fragile corpo tra le sue braccia.
Piano, con estrema e calcolata lentezza, i due ragazzi si accinsero ad uscire, evitando per un soffio la figura del guardiano che si avvicinava sempre più, la frusta in una mano e la bacchetta nell’altra, sguainata come fosse un pugnale.
Ripercorsero i corridoi a ritroso, sempre attenti a non fare il benché minimo rumore, fosse anche solo un passo di troppo; Pearl si sosteneva al ragazzo, aggrappandosi al suo collo senza remore finché non avvertì l’incantesimo d’Ostacolo scemare.
Solo allora si staccò da lui, e solo allora osarono rivolgersi uno sguardo, consapevoli di quanto avevano appena rischiato.
E Pearl aveva ancora, stretto in una mano, il libro ancora integro.

 
 

 *******
 

“Sei un idiota, Tom Riddle! Guarda cosa hai fatto al mio viso!”
La voce di Pearl era un lamento basso e lacrimoso mentre si rimirava in uno specchio, tastandosi lo zigomo sinistro su cui stava velocemente comparendo un grosso livido scuro.
“Se non riesco a cancellarlo, giuro che dirò a tutti che tu mi hai stuprata!” ribadì seccamente, cercando di scongiurare la macchia con dei leggeri, concentrici tocchi di bacchetta.
Ma Tom non le prestava attenzione, gli occhi che scorrevano velocemente alcune pagine del volume che tanto Pearl aveva cercato di proteggere.
Trattato dell’Eterna Gioventù della Rosa di Ponce de León?” domandò retoricamente, sfiorando il titolo riportato in elaborati caratteri dorati.
Pearl annuì appena.
“Non avevo il permesso per entrare nella Sezione Proibita” si limitò a borbottare.
“Avresti potuto chiederlo a chiunque, a Lumacorno per esempio… quando sei uno degli alunni migliori, nessuno ti rifiuta nulla” le fece  notare, inarcando le sopracciglia.
“Ma avrei dovuto dire il perché... e in tutta sincerità, non ne avevo voglia” ammise laconicamente la giovane, riponendo poi lo specchio e mostrando il volto tornato sano.
Si trovavano seduti in un angolo appartato della sala comune, in ogni caso deserta e appena rischiarata dalle braci del camino.
Evidentemente era notte di  luna piena: la sua luce argentata giungeva fin lì sotto, illuminando fiocamente le profondità del lago.
“Che cerchi tra queste pagine, Pearl?”
Il tono di entrambi era imbarazzato e al contempo confidenziale, come se l’essersi trovati a combattere in una biblioteca millenaria, e aver sfiorato la perdita del loro status dorato di studenti modelli, li avesse inevitabilmente messi sullo stesso piano.
“E’ una lunga storia… Un po’ complicata”
“Allora vedi di sintetizzarmela” ribatté il ragazzo, adagiandosi morbidamente allo schienale del divano.
Pearl lo guardò a lungo, come se stesse scegliendo con cura le parole, ma alla fine con un cenno di assenso decise di parlare.
“Mia madre è morta due anni fa. Oggi pomeriggio ti ho detto che la causa è stato un incantesimo sperimentale, ed è la verità. Lei cercava… l’eterna giovinezza” spiegò lentamente e con tono asciutto.
“Non le interessavano le pozioni: voleva solo un incantesimo che di giorno in giorno la facesse ringiovanire fisicamente, arrestandosi sino al momento da lei considerato perfetto.
Desiderava la bellezza, non l’immortalità. Cercava di creare un qualcosa che nulla aveva a che vedere con la trasfigurazione, un qualcosa di resistente e permanente nel tempo, da comandare a suo piacimento” disse piano, precedendo eventuali domande del ragazzo.
“Purtroppo, nonostante fosse una strega fuori dal comune, fallì. L’incantesimo ottenne l’effetto contrario, divorandole gli anni in pochi giorni. E così, l’ho vista spirare davanti ai miei occhi”
Il ragazzo l’osservò rapito, notando come ad un tratto della spiegazione l’ambizione e il desiderio avevano conquistato una parte del racconto della giovane.
“E’ stata lei ad insegnarti tutto ciò che sai?”
Pearl annuì ancora.
“Sì, lei e mio padre, seguendo un’antica tradizione irlandese. Sai chi era la Regina Maeve?”
“Era una Regina d’Irlanda nel Medioevo, una strega… giusto?”
“Giusto, non finisci di stupirmi. Durante il suo regno si occupò di chiamare a se giovani maghi e streghe per istruirli nel suo castello, prima della nascita di Hogwarts; da lì si è tramandato l’uso di istruire privatamente, per un certo periodo, i propri figli” spiegò ancora, riferendosi a se stessa con un largo gesto della mano.
“E quindi ora che cosa vuoi?”
“Non lo so che cosa voglio… Voglio solo approfondire l’argomento, per ora” sbottò la ragazza, nonostante tutto ancora infastidita dall’interesse del compagno di casa per l’argomento.
Come la sera di solo un mese prima, i due ragazzi rimasero per un certo periodo in religioso silenzio, ma questa volta ad infrangerlo fu Pearl.
“Ho sentito dire che anche tu sei orfano, e che…”
“…vivo in un orfanotrofio babbano, già”
Il volto di Tom, solitamente così inespressivo quando si rivolgeva a chiunque, riportava un’immagine di rabbioso dolore.
“Ciò ti disgusta?” le chiese, la voce tagliente ed affilata come la lama di un rasoio.
“No, ma mi sconcerta. Tu non puoi essere figlio di babbani” rispose Pearl semplicemente.
“E perché mai?”
“Perché sei troppo… troppo perfetto” confessò, esitando prima di rispondere.
Tom sorrise amaramente.
“Sono così perfetto da non esser riuscito a trovare neppure uno straccio di traccia sulla mia genealogia; ufficialmente da questa notte, la mia ricerca pare esser finita”
Fu quasi come un ordine, un comando dettato dall’istinto: la voce aspra di Tom accese con violenza la fiamma della sua curiosità, mai sopita sin da quando settimane prima ne aveva parlato con le amiche.
“Cosa hai cercato finora?”
“Il nome di mio padre, uno dei pochi dettagli di me stesso di cui sono certo: Tom Riddle”
“Perché escludi a priori tua madre?”
“Mi hanno detto che è morta di parto nel darmi alla luce. Come può a una strega succedere qualcosa di simile?” decretò duramente, ma Pearl liquidò la sua affermazione con un gesto di diniego.
“Che sciocchezza. Non puoi giudicarla senza sapere cosa ha vissuto prima di darti la vita.
In ogni caso una ricerca sulla propria stirpe dovrebbe partire sempre dalla donna, dalla madre:
è lei l’unica cosa certa, la vera forza motrice”
“Sei una sognatrice, vero?” le domandò il ragazzo con un cenno beffardo, segretamente colpito da quel ragionamento.
“Al contrario, sono estremamente realista. Che cosa sai di lei?”
“Nulla, solo il nome di suo padre, di mio nonno: Orvoloson
“Beh, è già un punto di partenza. E’ un nome antico, oscuro: puoi ben sperare, forse.
Ma le genealogie magiche sono infinite, credo tu lo sappia”
Ancora una volta rimase per un attimo incerta prima di parlare.
“Se tu me lo consenti… io ti aiuterò” disse infine, guardandolo negli occhi, così simili ai propri.
Tom inclinò appena la testa, valutandola.
“Cosa ti spinge a propormelo?”
“Perché ora tu sei a parte di un mio segreto, ed è giusto che io venga a parte del tuo.
Occhio per occhio, dente per dente, Tom Riddle” disse alzandosi, trattenendo uno sbadiglio.
Prima di allontanarsi si voltò, tornando indietro per afferrare la bacchetta che lui le aveva sottratto poco prima.
“E all’infuori di ogni dubbio: Riddle non è assolutamente un cognome magico; pensaci bene, buonanotte” sussurrò, prima di seguire le scale e dirigersi verso il proprio dormitorio.
Era l’esatta copia di quella sera, quasi del tutto identica, eppure al contempo totalmente diversa.
Solo dopo poco Tom si concesse un sorriso rilassato, optando a sua volta per andare a dormire.
In quella frenetica giornata, densa di avvenimenti, Pearl Ballantyne era stata per lunghi momenti il centro dei suoi pensieri, conquistandosi di pieno diritto un posto che non avrebbe mai concesso a nessun altra.
Quando quella notte chiuse gli occhi, fu certo di aver preso una delle decisioni migliori della sua vita.



COMMENTO AL CAPITOLO
Amo il fatto che i protagonisti si contrappongano: sul serio, è forse uno dei particolari che tengo ad evidenziare particolarmente. Mi piace far capire come tra loro si sviluppi gradualmente una forte tensione. Dopotutto Tom e Pearl sono entrambi due leader: era inevitabile lo scontro (eccome!)
Piccoli particolari che potrebbero meritare chiarimenti:
-La Legilimanzia: ho dato per scontato che, nonostante l'età, Tom sia più che in grado di attuarla con il semplice sguardo, senza sprecarsi in incantesimi. 
-La sigaretta (nel corso del primo paragrafo): una domanda intelligente da fare alla Row sarebbe "Ma i maghi fumano? Pipe a parte..". Io dico: sì! Ma do per scontato che la sigaretta sia un oggetto di stampo babbano, di conseguenza considerato "illecito" a Hogwarts. Ma mi piace pensare al contrabbando.
-Il custode, tale Apollon Pringle: nominato da Molly Weasley nel quarto libro, ho scelto di considerarlo anche per il periodo di Tom e Pearl. Dopotutto, anche Gazza è un povero vecchio v.v
-Ponce de Léon, l'autore del libro che cerca Pearl: chiaramente non un mago, è un personaggio veramente esistito, che si occupò della ricerca della leggendaria "Fonte della Giovinezza".

COMMENTO DELL'AUTRICE
Vi avverto, sono lenta ad aggiornare. Anzi, peggio: lentissima.
Mi metto in testa di finire tutte le storie che ho in ballo, che ho pubblicato o meno, e inevitabilmente per un motivo o per l'altro finisco per non combinare nulla.
Però ci tengo a precisare: non abbandono mai nulla, specialmente una storia come questa!
Merita giustizia, eccome se la merita ;)

Al prossimo aggiornamento, che avviso, con la fine della scuola sarà decisamente in là.
Adieu

Elle H.


 

   
 
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