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Autore: Lilmon    01/05/2012    1 recensioni
-La conosci quella strana sensazione, quando guardi in alto, al cielo? Vertigini...-
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
يعيش!

“Lei sognava un mondo fasullo”


-Munira devi andartene in fretta! Lui arriverà a breve! Sai che non vuole vederti qua, a casa nostra; ti prego vai in fretta! Altrimenti questa volta non avrà il minimo riguardo- disse Maram disperata all'amica. Dopo averle tirato la borsa, la spinse fuori dall'uscio dell'enorme villa in architettura sunnita eretta tra la Qabla e la Shuada, ai piedi del titanico santuario di Imam Hussein. Prima che Maram potesse chiuderla, Munira fermò la spessa porta lignea col piede e, fattasi strada col gomito disse all’amica –Che antipatica che sei, e poi dovresti sfidare un po’ Ubayd, non hai più due anni- e ridacchiò molto vivacemente. La donna sospinse la porta con più forza, scostò col proprio piede quello dell’amica e disse –Vai Munira! Vai!-. Il portone si richiuse con un gran botto e la donna rimasta al di fuori dell’abitazione gridò ancora –Ciao!-; l’altra, appoggiatasi con la schiena al legno intarsiato rispose –Vai via!-.

La casa, edificata nella città di Kerbala, era immensa. Venti stanze offrivano alloggio ad una delle tre famiglie di uno dei più temuti vertici dell’esercito del Mahdi, l’esercito di combattenti fondato da Muqtada al-Sadr per volere del leader assoluto iracheno Saddam Hussein. La donna mosse i suoi primi passi ed attraversò l’atrio bianco, procedendo tra i vari divani e poltrone in raffinato tessuto purpureo. Sui tavolini di vetro raffinatamente lavorato erano appoggiate innumerevoli pipe ad acqua con a fianco diverse varietà di tabacco, v’era il tabacco alla cannella, il tabacco alla liquirizia, ma anche il tabacco al tabasco. Maram si ritrovò dunque presto in cucina: una grande stanza tutta piastrellata in terracotta rossa, un forno enorme a legna emanava un calore immenso. –Afaf, prepara il latte di capra-, la serva rispose –Subito signora-. Quando il latte fu scaldato a dovere e la serva lo ebbe messo in una piccola tazza verde e blu, la donna si diresse verso le stanze da letto. Attraversò un lungo corridoio alle cui pareti erano appesi innumerevoli tappeti tutti ricamati di fili d’oro e d’argento. Alcuni ritraevano scene religiose del Corano, altri importanti battaglie storiche, dalle più antiche, alle più recenti. Il corridoio dava a sua volta su otto stanze, due bagni enormi e sei camere da letto. La donna entrò nell’ultima stanza, era abbastanza piccola ma piena di fini tendaggi bianchi che riparavano dal caldo e dagli insetti. Al centro di questi una piccola culla rosa, dentro v’era una bellissima bambina di pochi mesi. Qualche capello rado le ricopriva la testa, gli occhioni, in quel momento chiusi in un sonno profondo, erano marroni scuri, caldi, avvolgenti come il deserto arabico; il loro taglio era sottile, il classico taglio arabo, quello che rimane impresso nella mente, quello che esalta lo sguardo, quello che fa sognare. –Aisha, Aisha svegliati-. La bambina aprì gli occhi e guardò la madre sognante, deformò la bocca in una sorta di sorriso; poi spasmodicamente, poiché non era ancora abituata ai movimenti, mosse un braccio verso il viso della donna. –Tesoro mio è ora di mangiare, c’è il tuo latte qua-; detto ciò Maram prese in braccio sua figlia e le imboccò pian piano il latte caldo. Nel mentre cantava una canzoncina molto allegra, tipica della tradizione sunnita: parlava di una bambina che, innamoratasi del sole, che vedeva risplendere ogni giorno nel mezzo del cielo per poi scomparire di notte, iniziò a seguirlo nel suo tragitto attorno a tutto il mondo, ma, non potendo mai raggiungerlo, invecchiata e divenuta tutta rugosa, si trasformò nella luna, bella solo per riflesso della luce solare. Quando poi Aisha ebbe finito di mangiare, le batté qualche lieve colpetto sulla schiena per assicurarsi che tutto il latte fosse stato correttamente ingerito dalla bambina e successivamente la depose nuovamente nella culla. –Dormi mia stella, sì, tu diventerai bellissima, bella e luminosa come una stella-. La donna quindi uscì dalla camera della bambina e si avviò verso il boudoir per cambiarsi d’abito e mettersi la veste da notte.

Sedutasi su una piccola poltroncina Maram iniziò a slegarsi i capelli davanti all’enorme specchio che rifletteva il suo bellissimo volto. Occhi castani scuri, capelli neri come l’ebano, le gote soffici e morbide, il naso piccolo e delicato, il mento perfettamente proporzionato al resto del volto. Era bellissima. Toltasi il velo, dopo aver detto mille preghiere al proprio Dio per non farlo adirare della sua mancanza di rispetto, si slegò finalmente i capelli. Erano lunghissimi, le ciocche più lunghe le arrivavano sino alla parte finale della schiena; ella prese un pettine e cantando iniziò a spazzolarsi i capelli. Un colpo, due, tre; se ne diede quasi un centinaio, poi li raccolse nuovamente avvolgendoli più volte su sé stessi e fermandoli con uno spillone marroncino. Dopo, iniziò a slegare i cordoncini bianchi che le richiudevano il lungo vestito di cotone purissimo che le ricopriva il suo magrissimo corpo. La donna sospirava, quando i lacci furono sciolti la veste ricadde sul suolo. La donna si guardava intensamente allo specchio, con amarezza; guardava incredula e allo stesso tempo rassegnata quel corpo bellissimo, quel corpo divino, quel corpo che una volta era perfetto. Guardava le chiazze scure che le ricoprivano il corpo, osservava quegli enormi ematomi che macchiavano quell’opera d’arte di Allah. Provò a sfiorarne uno che aveva sotto il seno sinistro, quasi nemmeno lo toccò con le sue dita, ma un fremito scosse tutti i suoi nervi, Maram sussultò ed emise una piccola interiezione di dolore. Poi, messasi una mano sul voltò iniziò a singhiozzare molto sommessamente, cercando di fare il minimo rumore possibile.

-Signora, stasera niente bagno?-. La donna interruppe bruscamente il proprio pianto. La serva Afaf stava sulla porta del boudoir, asciugamano di lino tra le braccia, era proprio lei che aveva proferito quella domanda. Maram coprì subito le proprie nudità con la veste, s’alzò in piedi, si diresse furiosa verso la serva e le urlò –Come ti permetti sporca donna volgare? Va via! Va via e non interrompermi più sgualdrina!-. Chiuse violentemente la porta in faccia alla serva, che imprecò qualcosa sotto voce. La donna sconvolta si mise in fretta e furia la veste da notte, si rimise il velo, s’asciugò il viso e si preparò per andare a dormire, quando alla porta risuonarono i colpi di qualcuno che bussava. A quel punto la donna s’alzò nuovamente in piedi ed urlò agitando le braccia –Va via Afaf! T’ho detto che stasera non voglio nessun bagno!-. La porta si spalancò e sulla soglia comparve una figura imponente, enorme, muscolosa. La donna ammutolì subito e cadde all’indietro emettendo gemiti di puro terrore. Le sue mani, che pararono la caduta, si misero in pochi istanti a protezione del volto, la donna sussurrava –Per Allah no, per Allah no-.

Ubayd Makhlouf, quarantasei anni, tre mogli e sette figli. Militare d’alto rango al servizio di Saddam, stava, irato e tutto sporco di fango e polvere, all’ingresso del boudoir, a spalle ancora il kalashnikov tutto consumato. –La schiava m’ha detto che oggi hai visto quella puttana di Munira. Non è vero Maram?-, il marito, accovacciatosi prese il mento della moglie, che con una smorfia di dolore cercava di resistere alla sua morsa. -Maram, rispondimi quando ti parlo-. La donna sussurrò –E’ passata solo a salutare, Ubayd, solo per due minuti-; un colpo risuonò in tutta la casa e la donna si ritrovò immobile a terra. –Brutta stronza! Cosa ti ho ripetuto migliaia di volte? Quella devi smettere di vederla! Hai capito brutta sgualdrina? Qua comando io! Io ti ho concesso di divenire mia moglie! Io ti mantengo! Io decido sulla tua vita!-. La donna iniziò a piangere ed ad urlare –No ti prego! No ti prego!-. Ubayd si slacciò la cintura e molto frettolosamente la tolse dai pantaloni, gridava –Vieni qua puttana! Quando imparerai che qua muori se non fai quello che ti dico io? Vieni qua!-, afferrò la donna che cercava di trascinarsi per terra per sfuggire alla furia del marito. –Credi che io sia contento di fare tutto questo? Torno dalla guerra stanco morto e tu ancora fai la stronzetta con la tua amica, pensando all’occidente, pensando a quel mondo di infedeli schifosi; rispetto è la prima cosa che devi avere, lo stesso rispetto che porti per Allah, Maram, rispetto per il tuo popolo, per le tue tradizioni, per la tua religione, ma più di ogni cosa rispetto per me. E fin quando non capirai questo concetto, ti giuro che continuerò ad insegnartelo, ogni sera-. La cinghia colpiva violentemente il corpo della donna, che si dimenava a terra, urlando e scalpitando. Più e più volte quel suono, quell’aria compressa in pochi secondi, fischiò in tutta la villa. Dopo circa dieci minuti un rumore ostacolò gli insegnamenti di Ubayd: Aisha piangeva. Senza più alcuna voglia di vivere Maram capì quello che sarebbe accaduto di lì a poco, tutti i pensieri più orridi del mondo gli passarono veloci, fulminei in mente, in un unico istante. Con l’ultimo filo di voce sussurrò al marito –Ubayd ti prego no. Continua a colpire me-. Ubayd infuriato disse –La vuoi smettere schifosa puttana? Devi stare zitta hai capito? Sei sempre stata inutile, hai dato alla luce un’inutile femmina. Devi stare zitta, sei stata uno sbaglio orribile-. L’uomo uscì dalla stanza, dopo qualche istante il pianto della bambina crebbe esponenzialmente, poi un breve strillo, l’apice; invadevano la casa così solo più le grida disperate della donna che si dimenava in terra strappandosi tutti i capelli. Nessun pianto più, nessun altro rumore.

Proprio in quell’istante d’inferno, in quell’istante in cui la donna avrebbe preferito non esistere più, non essere mai nata; la villa crollò sotto i bombardamenti della Coalizione. Un polverone s’alzò in tutta la casa e Maram si risvegliò tra le macerie. La gola gli bruciava come se fosse scoppiato un fuoco dentro di lei, non vedeva nulla per la polvere e continuava a tossire e a tossire. Quando si è persa ogni speranza, non rimane più nulla, nulla per cui continuare ad andare avanti, a combattere. Ma quella donna una speranza l’aveva ancora; quella donna credeva in un mondo diverso; quella donna, prima senza forze e senza più alcuna voglia di abitare questo mondo, ora si era ricordata di tutti i suoi sogni, di tutte quelle giornate passate con l’amica Munira all’insaputa del marito a parlare dell’occidente, a fantasticare sull’Europa, sull’America, a guardare quegli esempi di libertà che lei aveva avute negate fin da quando Allah aveva scelto di farla nascere donna. Si era così alzata, nessuno potrà mai dire con quali forze, forse qualche poeta spicciolo potrebbe dire “la forza dell’amore”, aveva mosso qualche passo verso la luce che proveniva da una breccia nel muro, aveva scavalcato il rudere che la separava dall’esterno e, una volta giunta in strada, era crollata senza più dare alcun segno di vita.

Russia. Un’oscura stradina di San Pietroburgo in un inverno molto rigido. Sotto un piccolo lampione stavano due donne, molto poco vestite. Quella a sinistra, robusta, pelle paonazza, capelli biondi tinti, ricci, corti, stava fumando una sigaretta; quella a destra era molto gracile, pelle scura, capelli neri corvini, corti e sciupati, due occhi vitrei, tremava per il freddo. Una macchina blu scuro si fermò, l’uomo alla guida abbassò il finestrino e disse –Quella a destra-. La ragazza s’avvicinò e si chinò entrando con metà busto nella macchina, i suoi occhi castani avrebbero stregato chiunque. L’uomo chiese –Ehi dolcezza, come ti chiami?-. Sì, quella donna, quella prostituta, rispose –Mara-.
 
Nota:

Munira, dall’arabo “colei che sparge la luce”
Maram, dall’arabo “aspirazione”
Afaf, dall’arabo “castità”
Aisha, dall’arabo “vita”
Ubayd, dall’arabo “fedele”
  
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